L’assenza e il vizio dell’atto di investitura del funzionario di fatto

L’assenza e il vizio dell’atto di investitura del funzionario di fatto

Nel contesto contemporaneo, il tema del funzionario di fatto si rivela centrale per comprendere le dinamiche tra principio di legalità, continuità dell’azione amministrativa e responsabilità giuridica. Sempre più spesso, le pubbliche amministrazioni si trovano a gestire situazioni di irregolarità nelle nomine, con conseguenze non trascurabili in termini di validità degli atti, imputabilità, tutela dell’affidamento e persino responsabilità erariale. La giurisprudenza più recente, inoltre, ha accentuato il bilanciamento tra la legittimità formale dell’investitura e l’efficacia concreta degli atti adottati. In questo scenario, appare dunque utile esaminare criticamente le principali ipotesi in cui si configura la figura del funzionario di fatto.

Tale istituto rappresenta una categoria generale all’interno della quale possono essere ricondotte numerose ipotesi e figure, ognuna delle quali ha proprie caratteristiche e profili di criticità. Difatti, secondo una accezione lata già esaminata in altro scritto[1] “funzionario di fatto” è colui che è privo di una valida legittimazione e nonostante ciò compie un’attività riferibile alla amministrazione. Ciò può avvenire sia a causa della mancanza del titolo sia a causa di un vizio che lo affligge.

In questa sede verranno esaminati proprio i vizi alla base di tale istituto e, in particolare, le ipotesi legate alla mancanza di investitura ab initio, all’annullamento della nomina e alla nomina illegittima ma non rimossa

Sommario: 1. L’invalidità originaria del titolo di legittimazione – 1.1. La mancanza di legittimazione nel caso di dipendenti “privatizzati” – 2. Il vizio sopravvenuto e la nomina annullata – 2.1. La perdita di un requisito essenziale – 2.2. L’invalidità successiva dovuta ad una legge retroattiva e alla declaratoria di incostituzionalità della legge alla base del provvedimento amministrativo – 2.3. L’invalidità successiva dovuta alla scadenza del mandato o all’esercizio di fatto di mansioni superiori – 2.4. La proroga delle funzioni – 2.5. Gli effetti processuali della nomina affetta da invalidità sopravvenuta – 3. La nomina illegittima ma non rimossa – 4. Conclusioni

1. L’invalidità originaria del titolo di legittimazione

La mancanza originaria dell’investitura rappresenta l’ipotesi classica in cui può sorgere la figura del funzionario di fatto. È stato correttamente osservato che sono plurime le ipotesi e i vizi che possono affliggere l’atto di investitura ab initio per cui non sarebbe possibile ricostruire unitariamente tutte le molteplici casistiche. Da qui la necessità di analizzare in modo autonomo le cause di invalidità dell’investitura.

Esse si ricollegano all’esistenza di una grave patologia del provvedimento amministrativo, ossia nella fase procedimentale della costituzione del rapporto di servizio[2].

Alcuni autori ritengono che l’invalidità può derivare o da un vizio di forma del provvedimento o da un vizio procedimentale oppure da incompetenza. In queste ipotesi è del tutto neutro l’interesse del titolare dell’ufficio, anzi sarebbe addirittura configurabile un suo interesse contrario all’emanazione di atti viziati[3].

Tuttavia, vi possono essere dei casi in cui è lo stesso funzionario di fatto ad avere un interesse all’emanazione di un atto viziato: egli manomette i requisiti legali necessari per ottenere un certo incarico; produce documenti non veritieri. Basti pensare a tutte le ipotesi di cronaca che riportano notizie di soggetti che svolgono attività amministrativa senza il titolo di laurea o senza l’apposita iscrizione in un ordine/albo specifico[4].

In tutte queste ipotesi trova applicazione l’art.3 ultimo comma del Testo Unico in materia di impiegati civili dello Stato (D.P.R.n.3/1957[5]) il quale statuisce espressamente che: “l’assunzione agli impieghi senza il concorso prescritto per le singole carriere è nulla di diritto e non produce alcun effetto a carico dell’amministrazione”.

Si è parlato di “nullità del titolo di investitura” che comporta l’invalidità originaria del titolo di legittimazione[6]. La questione è particolarmente controversa in quanto il concetto stesso di “nullità” assume all’interno del diritto amministrativo un significato del tutto diverso rispetto alla nozione civilistica.

Difatti, secondo un primo orientamento, l’atto nullo è inesistente o meglio del tutto irrilevante da un punto di vista giuridico, in quanto inidoneo a modificare l’ordinamento[7]. Secondo un altro orientamento l’atto nullo produce pur sempre una modificazione nell’ordinamento giuridico e dunque non è del tutto irrilevante. La nullità deve essere intesa come una sanzione che presuppone la giuridicità dell’atto ma lo rende del tutto idoneo a produrre i suoi effetti[8]. In ogni caso, la nullità della nomina impedisce di considerare il soggetto legittimamente incardinato nell’ufficio o nell’ente per cui egli non è munus, sebbene effettivamente si venga a costituire un vero e proprio rapporto organico[9].

All’interno dell’ampio genus delle nullità, la dottrina amministrativa individua le cd. “nullità testuali” del provvedimento di investitura[10].

Sul punto è stata riconosciuta la nullità di un rapporto di lavoro costituito a seguito della manifesta violazione di norme imperative che ne disciplinano la costituzione: difatti, dalla nullità del provvedimento amministrativo di nomina ne consegue che non sussiste alcun rapporto organico e ciò rende tutti gli atti posti in essere dall’amministrazione tamquam non esset.

Tuttavia, al fine di garantire la continuazione dell’attività amministrativa si usa una fictio iuris, considerando esistente il rapporto giuridico tra l’amministrazione e il funzionario, sebbene tal rapporto non ha i caratteri della giuridicità[11].

Queste considerazioni, in passato, avevano spinto la giurisprudenza a ritenere che un rapporto di lavoro pubblico potesse trovare il proprio presupposto costitutivo non soltanto nel relativo provvedimento di nomina ma, laddove questo sia viziato o del tutto nullo, anche nel materiale inserimento del funzionario all’interno dell’organizzazione dell’ente, inserimento che poteva essere dimostrato attraverso determinati indici di riconoscibilità[12]. Ne era derivato un ridimensionamento dell’atto di nomina: esso finiva per perdere completamente il proprio valore di elemento costitutivo del rapporto di pubblico impiego. Una simile ricostruzione, tuttavia, non poteva essere accolta in quanto finiva per contrastare nettamente e inevitabilmente con il principio di legalità, considerato come principio fondamentale e che ispira tutta l’attività amministrativa[13].

Proprio per queste ragioni a partire dagli ultimi anni del secolo scorso è stata abbracciata una interpretazione più restrittiva secondo cui la nullità non ammette alcuna deroga: la nomina ha valenza costitutiva del rapporto di impiego mentre tutte le ipotesi di nullità testuale finiscono per incidere negativamente sulla costituzione del rapporto di impiego tra l’amministrazione e il singolo funzionario[14].

La nullità dell’atto di investitura può dipendere dalla violazione di norme imperative, che in maniera esplicita e puntuale, descrivono un certo comportamento[15] ed anche dalla violazione di norme Generali sull’ordinamento del lavoro, così come sancito dell’articolo 53 comma 8 del D.lgs. n.165/2001.

Tale disposizione, infatti, stabilisce che le pubbliche amministrazioni non possono conferire nessun incarico retribuito ai dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza.

Sulla base di ciò è stato affermato che occorre distinguere la nullità del titolo dalla nullità del provvedimento di nomina: nella prima ipotesi viene in rilievo un provvedimento di investitura valido ed efficace, ma che tuttavia non può essere considerato quale titolo legittimante l’esercizio di specifiche funzioni, che debbono essere attribuite mediante un atto ben più specifico, a carattere autorizzatorio.

La mancanza di questa apposita autorizzazione comporta la nullità della legittimazione e la configurabilità dell’esercizio di fatto di funzioni amministrative. Ancora una volta, dunque, la figura del funzionario di fatto che viene in rilievo comporta una vera e propria eccezione al regime della nullità, in quanto manca un vero e proprio atto di legittimazione che dall’inizio attribuisca quella specifica funzione al dipendente pubblico. Si parla, dunque, specificamente di “investitura valida ma incarico nullo[16].

Nel secondo caso (nullità del provvedimento di nomina), invece, il provvedimento stesso è viziato e quindi invalido, impedendo radicalmente l’esercizio delle funzioni.

1.1.La mancanza di legittimazione nel caso di dipendenti “privatizzati

Fatte le considerazioni di cui sopra, occorre però prendere in considerazione anche tutte quelle ipotesi in cui il rapporto di servizio si instaura mediante non un mero provvedimento pubblicistico e autoritario ma sulla base di un vero e proprio contratto di lavoro: il caso dei funzionari e dipendenti “privatizzati[17].

In queste ipotesi, il difetto di legittimazione deve essere analizzato anche sotto profili civilistici per cui occorre distinguere varie situazioni.

– La prima si verifica quando vi sia un soggetto che svolge attività amministrativa sulla base di un contratto nullo: in questo caso occorre richiamare necessariamente i principi dell’apparenza giuridica e dell’affidamento del terzo che si trova in una situazione di buona fede soggettiva, qualora ovviamente vi siano i presupposti per la loro applicazione.

Per comprendere le cause di nullità del negozio (dal quale dipende la costituzione del rapporto di lavoro pubblico) occorre fare riferimento alle norme ex art. 1321, 1325 e 1418 c.c., così come le regole specifiche valide per ciascuna amministrazione.

– La seconda ipotesi si verifica nel caso in cui l’investitura nulla sia frutto di un atto complesso, ossia preceduto da una fase amministrativa (ad esempio gara, concorso o selezione pubblica) a cui segue un negozio giuridico di natura civilistica o sia deliberato da più organi. In queste ipotesi, la nullità potrebbe riguardare anche il provvedimento amministrativo che definisce l’esatta portata dei ruoli che poi devono essere posti in essere dal futuro funzionario. Tuttavia, questa novità non colpisce direttamente il contratto di nomina, ma l’antecedente provvedimento unilaterale e autoritario della pubblica amministrazione.

Difatti parte della dottrina ritiene che in questi casi sussiste un’ipotesi particolare di collegamento negoziale tra atti che sono connessi tra loro da una identica funzione. Pertanto, la nullità del provvedimento a monte non inciderebbe sul negozio a valle, in quanto i due – sebbene funzionalmente connessi- hanno delle cause diverse. Tuttavia, il contratto a valle sarebbe comunque inefficace[18].

Questa tesi è stata accolta dalla giurisprudenza, sebbene solo in parte. Difatti, i giudici di legittimità hanno affermato che, a partire dalla conclusione del contratto, la pubblica amministrazione non esercita più poteri autoritativi ma privatistici, ossia quelli propri del datore di lavoro. Pertanto, non può fare valere la mancanza o un vizio nella procedura amministrativa.

Nonostante ciò, il datore di lavoro pubblico deve comunque rispettare il principio di legalità e deve conformare ad esso tutta la sua attività, sia quella interna che quella esterna.

Perciò, nel caso di illegittimità del bando di gara/concorso, lex specialis della procedura, per violazione di una specifica disposizione di legge comporta l’illegittimità del negozio giuridico, ossia del contratto di lavoro stipulato con la pubblica amministrazione: questo negozio sarebbe non solo inefficace [19]  ma addirittura affetto da nullità[20].

Tale tesi trova il proprio fondamento nel particolare rapporto fra la procedura amministrativa e il contratto di impiego: gli atti amministrativi e procedurali presentano una duplice natura giuridica in quanto sia il bando sia la graduatoria finale hanno rispettivamente la natura di proposta al pubblico e di individuazione del futuro contraente. Da ciò, la naturale conseguenza secondo cui l’assenza o illegittimità della procedura inficia anche il negozio giuridico a valle, ossia il contratto di lavoro tra l’amministrazione e il singolo addetto, affetto da nullità originaria in quanto ciò comporta una violazione della disciplina contenuta nell’articolo 35 del decreto legislativo n.165 del 2001[21].

Nel caso di nullità del provvedimento di nomina, dunque, non sorgerebbe nessun rapporto: l’intervento del giudice non può che accertare tale stato di fatto, ossia l’assenza di qualsiasi rapporto tra il funzionario e l’amministrazione.

Pertanto, lo stesso funzionario o colui che ne abbia interesse può promuovere un’azione di accertamento e, in particolare, l’azione di nullità al fine di fare valere invalidità originaria dell’atto di nomina e l’assenza di qualsiasi rapporto con l’amministrazione.

Difatti, la dottrina ritiene che l’azione di nullità costituisca una particolare ipotesi di azione di accertamento: dinnanzi ad un atto nullo non sarebbe configurabile nessun tipo di azione costitutiva, qual è l’azione di annullamento, ma si può soltanto accertare che il provvedimento è del tutto inidoneo a produrre i suoi effetti giuridici fin dall’origine, e come tale da considerare tamquam non esset[22].

Punto di riferimento, a questo proposito è l’art. 31. comma 4[23] C.P.A che impone un termine di decadenza pari a 180 giorni.

Se questa conclusione è pacificamente condivisa, si pone il problema del riparto di giurisdizione. Difatti, a questo proposito, occorre prendere in considerazione non soltanto la posizione soggettiva del funzionario ma anche le modalità costitutive del rapporto di servizio, a seconda che siano state o meno oggetto di privatizzazione.

A tale proposito, occorre ricordare che sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti e le controversie relative a rapporti di lavoro del personale non soggetti alla contrattualizzazione così come stabilito dall’articolo 3 del D.Lgs. n.165/2001[24].

Da questa conclusione deriva che si ha la giurisdizione amministrativa: -nel caso di nullità del bando di gara e di concorso (lex specialis di tutta la procedura) o di un atto della stessa procedura; -nel caso di assenza della gara, in violazione dell’obbligo di concorso e quindi nel caso di assunzione diretta; -quando il rapporto di lavoro non è contrattualizzato.

Questa impostazione troverebbe conferma anche nella stessa giurisprudenza amministrativa. Difatti, è stato affermato che tutti i candidati che si propongono alla partecipazione ad una gara o ad un concorso sono titolari di un interesse legittimo al corretto svolgimento della procedura, mentre il diritto all’assunzione sorge soltanto alla fine e nel caso del superamento del concorso[25].

Pertanto, spetterebbero al giudice ordinario le controversie: quando la nullità riguarda il contratto, da stipulare dopo la conclusione di una legale e legittima gara e /o selezione pubblica; nel caso di rapporti di impiego “contrattualizzati”; qualora l’assunzione avvenga in via diretta, attraverso la mera analisi dei requisiti prescritti, ad esempio, attraverso liste di collocamento o nel caso di assunzione obbligatorie[26].

2. Il vizio sopravvenuto e la nomina annullata

Il difetto di legittimità dell’investitura può essere provocato anche da un vizio che sopraggiunge in un secondo momento. In questo caso, l’investitura può essere annullata o dalla stessa amministrazione mediante un provvedimento di secondo grado o in via giurisdizionale anche mediante una pronuncia a carattere retroattivo[27].

La peculiarità di queste ipotesi deriva dal fatto che inizialmente l’esercizio della funzione amministrativa è perfettamente regolare e legittima, salvo poi diventare illegittima per difetto del titolo di legittimazione: da qui, l’applicazione di una fictio iuris conseguente al principio della retroattività dell’annullamento[28].

Tuttavia, parte della dottrina ritiene che il concetto stesso di vizio o meglio di invalidità sopravvenuta sia una categoria quanto controversa. Per queste ragioni, sarebbe più opportuno parlare di inefficacia sopravvenuta del titolo di legittimazione[29].

La dottrina prevalente parla di “invalidità sopravvenuta” in tutte le ipotesi in cui vi sia un vizio che sopraggiunge nel corso della vita dell’atto stesso: il provvedimento nasce sano, valido ed efficace, mentre la patologia si verifica e si concretizza soltanto in un momento successivo, provocandone l’invalidità.

Pertanto, l’atto che in origine non è viziato continuerebbe a produrre i suoi effetti fino a quando, non ne viene espressamente dichiarata l’invalidità.

Questa evenienza si verificherebbe in tre diverse ipotesi da considerare separatamente in quanto foriere di diversi dubbi giuridici.

2.1. La perdita di un requisito essenziale

Nella prima ipotesi la dottrina riconduceva alcune fattispecie tra cui, ad esempio, la perdita della cittadinanza italiana da parte del pubblico dipendente: alla luce del D.P.R.n.3/1957, ne derivava quale conseguenza l’immediata decadenza di diritto dall’impiego, decadenza avente natura dichiarativa ed efficacia estintiva del rapporto a causa del venir meno di un requisito necessario[30].

Tale decadenza incide proprio su un atto avente efficacia permanente (l’investitura) facendo venir meno proprio tale efficacia senza che vi sia un vero e proprio vizio invalidante sopravvenuto[31].

In questo caso il vizio consiste nella perdita di un requisito essenziale che non intacca la originaria investitura ma fa venir meno la legittimazione del funzionario.

2.2. L’invalidità successiva dovuta ad una legge retroattiva e alla declaratoria di incostituzionalità della legge alla base del provvedimento amministrativo

Si avrebbe invalidità successiva anche: a) in presenza di una legge retroattiva che rende il provvedimento di nomina, in origine conforme a legge, in contrasto con la disciplina sopravvenuta; oppure b) in presenza di una sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale della legge su cui si fonda il provvedimento di nomina[32].

L’ipotesi sub A)[33] si realizza per il semplice fatto che il provvedimento amministrativo, in qualsiasi momento, deve essere conforme alla legge in virtù del principio di legalità.

Tuttavia giova precisare che in tema di provvedimenti amministrativi trova applicazione il principio tempus regit actum: in caso di successione di leggi si deve prendere in considerazione la legge esistente al momento della emanazione del provvedimento. Soltanto sulla base di questa può essere valutata la legittimità del provvedimento amministrativo, mentre tutte le sopravvenute disposizioni normative sono del tutto irrilevanti.

A questi principi fa eccezione l’ipotesi in cui la norma sopravvenuta abbia carattere retroattivo: la norma retroattiva può comportare la caducazione delle disposizioni alla base del provvedimento e, dunque, finisce per incidere sull’ atto amministrativo rendendolo non più conforme alla nuova disposizione di legge[34].

Di recente la questione è stata affrontata dal Consiglio di Stato affermando che la norma successiva può essere applicata qualora il procedimento amministrativo sia ancora in itinere. Tuttavia, anche in queste ipotesi, l’applicazione della disciplina sopravvenuta avente efficacia retroattiva non è del tutto automatica e scontata, soprattutto quando la procedura si divide in più fasi coordinate, dotate di una propria autonomia. In questa evenienza, la nuova norma può trovare applicazione per le fasi ancora da realizzare che non siano già espletate e compiute[35].

L’ipotesi sub B)[36], invece, si verifica nel momento in cui vi è una sentenza dichiarativa di incostituzionalità emessa ai sensi dell’articolo 136 Cost..

La norma dichiarata incostituzionale, difatti, perde efficacia dal giorno successivo alla data di pubblicazione della sentenza che la dichiara incostituzionale. Normalmente, tale sentenza ha efficacia ex nunc cioè vale per i rapporti sopravvenuti.

In presenza di situazioni ancora pendenti, la sentenza di incostituzionalità della norma alla base del provvedimento amministrativo incontra il limite di tutte quelle situazioni giuridiche già consolidate mediante sentenza passata in giudicato: in questo caso l’atto amministrativo (anche di nomina) non può essere in alcun modo impugnato[37].

Ciò perché la sentenza di incostituzionalità trova il limite della cosa giudicata: nel bilanciamento tra certezza del diritto e legalità formale della pubblica amministrazione, risulta prevalente la necessità di garantire i rapporti che ormai si sono cristallizzati nel tempo tra il privato e la P.A.. E non ci sono regole di segno opposto che fanno propendere ad una diversa soluzione nel caso di provvedimento di nomina di un funzionario[38].

Diverso, invece, il caso in cui i rapporti pendenti non sono stati esauriti e definiti mediante una sentenza passata in giudicato. In questo caso, prevale l’interesse alla legalità, con la conseguenza che la caducazione della norma attributiva del potere può far venir meno anche lo stesso provvedimento amministrativo di nomina e/o investitura[39].

Infine, occorre prendere in considerazione anche l’ipotesi di provvedimenti amministrativi adottati sulla base di un decreto legge non perfettamente convertito o convertito con emendamenti. In tale ipotesi, gli atti amministrativi non perdono la propria efficacia in maniera diretta ma occorre che colui che ne sia interessato li rimuova attraverso i normali mezzi di impugnazione.  Anche in questo caso, dunque, viene in rilievo un vizio sopravvenuto che inficia la legittimità del provvedimento amministrativo in quanto esso è stato inizialmente adottato in maniera conforme ad un decreto legge ma non corrispondente alla nuova legalità insita alla legge di conversione[40].

2.3. L’invalidità successiva dovuta alla scadenza del mandato o all’esercizio di fatto di mansioni superiori

Si ha un vizio sopravvenuto anche nel caso di scadenza del mandato o nell’ipotesi di esercizio “di fatto” di mansioni superiori.

Per quanto riguarda quest’ultima questione, occorre partire da una considerazione: vi è stato uno scarso approfondimento teorico in quanto né la dottrina né la giurisprudenza hanno approfondito tale questione e ciò probabilmente poiché l’adozione di provvedimenti da parte del funzionario che svolga di fatto mansioni superiori costituisce un’ipotesi alquanto residuale[41].

Nonostante ciò si sono formati due diversi orientamenti.

Secondo una prima ricostruzione nel caso di funzionario che svolge di fatto una mansione superiore in assenza di una valida legittimazione si dovrebbe parlare di una attribuzione nulla proprio perché manca fin dall’origine un valido titolo che legittima il funzionario ad esercitare tali mansioni superiori.

Diversamente, secondo un’altra ricostruzione, il vizio che affligge l’investitura è soltanto sopravvenuto: vi è già un valido ed efficace rapporto d’ufficio che lega il funzionario e l’amministrazione solo che ad un certo punto gli vengono attribuite ulteriori funzioni, aldilà di una specifica investitura.

Pertanto, l’attribuzione di mansioni superiore viene considerata una vera e propria sopravvenienza (di fatto) che incide sia sulla validità che sull’efficacia dell’atto d’investitura[42].

Aldilà di questo profilo, pacifica è la considerazione secondo cui il funzionario che esercita mansioni superiori senza un valido titolo di legittimazione rientra tra le ipotesi di funzionario di fatto[43].

Anzi, sulla base di queste premesse, si ritiene che sia addirittura un “funzionario di fatto sopravvenuto”, poiché il problema dell’imputazione degli atti da lui compiuti si pone successivamente alla sua originaria investitura che rimane pienamente valida ed efficace[44].

Questa ricostruzione permetterebbe di spiegare anche l’imputazione alla stessa amministrazione degli atti posti in essere dal singolo individuo: operano pienamente sia il principio dell’apparenza iuris sia il principio dell’affidamento del terzo, intesi come strumenti a tutela degli individui che entrano in contatto con l’amministrazione[45].

2.4. La proroga delle funzioni

Anche in tema di prorogatio non c’è una unanimità di vedute. Difatti, una parte della dottrina ritiene che la proroga delle funzioni non comporti un vizio sopravvenuto dell’investitura soprattutto perché si tratta di un’ipotesi ormai normativamente disciplinata[46].

Altri autori ritengono, invece, che anche il regime della prorogatio comporti un vizio sopravvenuto all’interno di una originaria investitura valida ed efficace[47].

In passato si era ritenuto che il funzionario in regime di prorogatio fosse un vero e proprio funzionario di fatto in quanto il funzionario era privo di un vero e proprio atto di investitura in quanto scaduto e inesistente[48].

Questa originale ricostruzione è venuta successivamente meno all’interno dell’opinione dottrinale in quanto si è affermata l’idea secondo cui l’attività del funzionario prorogato non è un’attività amministrativa di fatto bensì legittimata dalla stessa legge sulla base di una specifica legittimazione che viene conferita al titolare dall’ordinamento[49].

Questa tesi trovava il proprio fondamento nell’art. 16 R.d. n. 99/1981[50] dettato per disciplinare casi specifici, ma ritenuto alla base di un principio di carattere generale ossia quello della continuità nell’esercizio dell’attività amministrativa[51].

Questa ricostruzione è stata condivisa anche dalla giurisprudenza amministrativa che ha esteso l’operatività di tale istituto anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge[52]. In particolare, i giudici hanno sottolineato il dovere del titolare scaduto di rimanere in quello specifico incarico fino all’insediamento da parte del successore: si veniva così a configurare un vero e proprio interesse giuridico alla conservazione della carica per garantire l’esercizio delle funzioni strettamente connessa ad esse[53]. Conseguenza di questa impostazione è che per la legittimità degli atti posti in essere dal funzionario non è richiesto né l’essenzialità né la indifferibilità.

Diversa, tuttavia, la ricostruzione operata dalla Corte dei Conti che, invece, aveva sostenuto la tesi dell’eccezionalità e della temporaneità del regime della prorogatio ritenendo che la proroga delle funzioni deve essere contenuta entro un termine ragionevole[54] poiché la proroga comporterebbe una disfunzione dell’apparato amministrativo in quanto con la stessa si permette e si legittima un funzionario scaduto a conservare ed esercitare poteri amministrativi[55].

Da questo nuovo intervento ne è scaturita l’idea secondo cui la prorogatio è espressione di un cattivo o carente funzionamento dell’apparato amministrativo che comporta una violazione del principio di buona amministrazione sancito proprio nell’ articolo 97 della Costituzione a causa della mancata nomina dell’apposito titolare, da considerare quale vera e propria omissione[56].

Queste considerazioni sono state condivise anche dei giudici costituzionali secondo cui non era possibile desumere un principio generale di prorogatio di durata incerta e illimitata[57]. Opinare diversamente significa non soltanto violare l’articolo 97 della Costituzione ma anche la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa.

In forza di tali considerazioni, il Legislatore è intervenuto con la Legge n.444/1994 al fine di operare un bilanciamento tra il rispetto del principio di legalità e la necessità di garantire la continuità dell’azione amministrativa onde per cui il nuovo regime della prorogatio è stato considerato quale un extrema ratio[58].

Più precisamente il Legislatore ha cercato di responsabilizzare gli organi competenti alla nomina dei funzionari e alla sostituzione di quelli scaduti sottoponendo l’istituto della prorogatio ad un breve termine e introducendo delle sanzioni nel caso di compimento di atti in violazione delle regole prescritte.

Pertanto, il funzionario in regime di proroga subisce una flessione della sua “potestà di agire” potendo compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione mentre gli atti di straordinaria amministrazione possono essere compiuti soltanto se urgenti ed indifferibili.

Tuttavia, deve precisarsi che il Legislatore non ha individuato dei criteri che permettono di stabilire quando, nello specifico settore del diritto amministrativo, si abbia un atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione[59].

In ogni caso, il Legislatore ha condiviso la connotazione negativa sviluppata dalla giurisprudenza: la proroga, sebbene funzionale al buon andamento dell’amministrazione, condiziona inevitabilmente l’esercizio dei poteri pubblici in quanto il funzionario può compiere soltanto limitati atti di carattere pubblicistico[60].

Sulla base di queste precisazioni, la figura del funzionario di fatto sarebbe configurabile qualora il funzionario prorogato compia atti di straordinaria amministrazione che non sarebbero in alcun modo giustificato da ragioni di urgenza ed indifferibilità.

Infatti, vi sarebbe un vero e proprio difetto di legittimazione dell’agente che non deriva però da una patologia dell’atto di investitura: tale patologia – nel caso di funzionario in proroga – dipende dalla violazione di una norma che in maniera espressa limita la sua legittimazione, originariamente piena e delimitata nel tempo[61].

2.5. Gli effetti processuali della nomina affetta da invalidità sopravvenuta

Fatta questa ricostruzione, occorre analizzare anche i profili processuali della nomina affetta da vizio sopravvenuto.

Ebbene, alcuni affermano che il vizio sopravvenuto possa comportare la nullità della originale investitura, dando vita ad una ipotesi di “nullità sopravvenuta”, istituto controverso non solo nell’ambito del diritto civile ma anche nel diritto amministrativo.

Difatti, la dottrina tradizionale sia civilistica che amministrativa ritengono che l’unica forma di nullità è quella originaria, consistente in un vizio che affligge l’atto sin dal momento in cui è venuto in essere[62].

Proprio per questa ragione, si ritiene che il vizio sopravvenuto deve essere inquadrato in uno dei vizi di legittimità: eccesso di potere, incompetenza, violazione di legge. Pertanto, nei confronti dell’atto di nomina successivamente divenuto viziato sarebbe possibile agire mediante impugnazione ossia esperendo l’azione di annullamento (di natura costitutiva) ma non l’azione di nullità (dichiarativa di una invalidità già esistente).

L’annullamento dell’atto di investitura ritenuto viziato può essere annullato sia in via giurisdizionale sia d’ufficio (mediante un procedimento di secondo grado) da parte della stessa amministrazione, la quale intende rimediare alla propria illegittimità.

L’annullamento d’ufficio o la revoca del provvedimento di nomina sono strettamente vincolati al ricorso dei presupposti e dei limiti temporali specifici richiesti dall’art.21 nonies e 21 quiquies della Legge n.241/1990. L’annullamento giurisdizionale presuppone le condizioni e il rispetto dei termini ex art. 29 c.p.a[63].

La questione diventa particolarmente difficile nel caso di rapporto di servizio instauratosi mediante un negozio. Ebbene, nel caso in cui il vizio invalidante riguardi proprio il negozio, si ritiene applicabile la disciplina civilistica (vizi della volontà).

Nel caso in cui, invece, il vizio riguardi il provvedimento amministrativo (ad esempio l’aggiudicazione della gara o la graduatoria del concorso) occorre capire se e in che modo tale vizio si ripercuote anche sul negozio a valle[64].

Parte dell’opinione dottrinale, riprendendo quelle considerazioni già svolte in materia di appalti pubblici, ritiene che l’annullamento della procedura selettiva farebbe venir meno in maniera del tutto automatica anche il contratto di lavoro a valle[65].

Altri autori, invece, hanno ritenuto che il rapporto tra graduatoria concorsuale e contratto di lavoro è del tutto diverso rispetto al rapporto tra aggiudicazione e contratto di appalto. Da qui, l’impossibilità di applicare la tesi della “invalidità per contagio” anche ai rapporti di lavoro pubblicistici[66].

Questa tesi sarebbe confermata anche dello stesso quadro normativo ed in particolare:

dall’articolo 35[67]del D.Lgs.n.165/2001 secondo cui l’assunzione all’interno delle pubbliche amministrazioni deve avvenire tramite procedure selettive a carattere pubblicistico, al fine di tutelare i principi del buon andamento ed imparzialità. Tale regola sarebbe confermata anche dell’articolo 36[68] del medesimo decreto legislativo, secondo cui la violazione di norme imperative comportanti l’assunzione non può mai comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato e di ruolo;

dall’art. 55 quater[69] del medesimo decreto che punisce con il licenziamento il dipendente che abbia commesso falsità documentale ai fini e in occasione della stipulazione del contratto di lavoro;

-dall’articolo 63[70] sempre del medesimo D.Lgs.n.165/2001 che attribuisce la giurisdizione su tutte le questioni riguardanti l’assunzione al giudice ordinario.

Dal combinato disposto di tali disposizioni ne deriva che il nostro ordinamento in nessuna parte ha previsto espressamente la nullità del contratto di lavoro a causa di un vizio inficiante la procedura concorsuale.

Proprio per questa ragione, parte della giurisprudenza ha affermato che la tesi da preferire è quella della inefficacia del contratto.

Difatti, è stato affermato che tra la procedura ad evidenza pubblica e il contratto vi sarebbe un nesso di presupposizione o comunque un collegamento giuridicamente rilevante, per cui, qualora venga a mancare uno degli atti della serie procedimentale precedente rispetto alla stipula del contratto questo cadrebbe automaticamente.

Nell’ambito dei contratti pubblici, questo schema è stato alla base della elaborazione dell’istituto giuridico della “caducazione del contratto[71].

Tuttavia, questa soluzione non è apparsa soddisfacente nell’ambito del lavoro pubblico. Difatti, è stato affermato che questa tesi del funzionamento e del collegamento negoziale non sarebbe pienamente compatibile con il vizio che affligge la procedura e che si traduce in anomalie che la legge considera già come cause di annullabilità.

Pertanto, si ritiene che la tesi da preferire, in coerenza con la articolo 63 comma 2[72] del predetto decreto, sia la tesi della annullabilità del contratto: l’autorità giudiziaria, accertata l’assunzione in violazione delle disposizioni procedurali, può annullare il contratto[73].

Questa ricostruzione è confermata anche dalla giurisprudenza secondo cui l’approvazione della graduatoria e l’individuazione del vincitore da una parte e, dall’altra, la stipulazione del rapporto di impiego mediante contratto, costituiscono due atti reciprocamente distinti e autonomi, sebbene il primo costituisce presupposto per la validità del secondo. Da ciò discende che qualora venga annullato l’atto presupposto non si avrebbe immediata e diretta caducazione dell’atto a valle, rimanendo tale conseguenza affidata al potere conformativo della pubblica amministrazione, la quale può disporre la cessazione del rapporto di impiego ogni qualvolta si discuta sulla legittimità dell’assunzione del lavoratore[74].

Questa tesi sebbene coerente con la necessità di tutelare il rapporto di impiego è stata radicalmente ribaltata dalla più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui, invece, il contratto stipulato della pubblica amministrazione, nel caso di irregolarità o illegittimità del concorso, deve essere considerato affetto dalla ipotesi di invalidità più grave, ossia la nullità[75].

Ciò perché, secondo i giudici di legittimità, il contratto di lavoro pubblico può essere stipulato soltanto a seguito della conclusione di un corretto concorso pubblico, che in ogni momento deve essere conforme a legge.

Diversamente, la mancanza di legittimità della procedura concorsuale comporta un vizio genetico del contratto che appare, dunque, viziato fin dalla sua origine proprio dalla nullità.

Pertanto, in caso di annullamento in sede giurisdizionale di un atto della procedura o annullamento in autotutela da parte della stessa pubblica amministrazione, il rapporto di lavoro non solo non può continuare ma deve essere considerato nullo. Lo impone il pieno rispetto delle norme costituzionali, ed in particolare l’articolo 97 comma 3 e l’articolo 51 comma 1 della Costituzione[76].

Per quanto attiene al profilo del riparto della giurisdizione in caso di vizio sopravvenuto dell’atto di investitura, occorre in parte riprendere i principi già esposti nel paragrafo precedente.

Ne deriva che si ha la giurisdizione amministrativa in presenza:

-di un vizio della procedura selettiva, anche in presenza di un rapporto di lavoro contrattualizzato (solo per i vizi stessi della procedura).

-di un rapporto di lavoro non è contrattualizzato.

Diversamente, invece, si avrebbe giurisdizione ordinaria in relazione al negozio/contratto di lavoro stipulato dopo la procedura selettiva[77].

3. La nomina illegittima ma non rimossa

L’ ipotesi di una nomina illegittima, sebbene non ancora rimossa, pone numerosi problemi relativi alla conservazione degli atti posti in essere dal funzionario.

A tale proposito, occorre ricordare che uno dei principi fondamentali in ambito amministrativo è il principio di conservazione degli atti giuridici.

L’esigenza di conservare gli atti giuridici, soprattutto in presenza di vizi di legittimità ha da sempre posto all’attenzione dei giuristi il compito di bilanciare il rispetto del principio di legalità formale con la necessità di non privare del tutto di efficacia l’attività giuridica già posta in essere, preservandone gli effetti che sono stati prodotti medio tempore[78].

Sebbene il principio di conservazione degli atti amministrativi riguardi tutti i provvedimenti e tutte le attività poste in essere della Pubblica Amministrazione, è stato osservato che il tema della validazione di un’investitura originariamente viziata è stato un tema poco approfondito.

Nonostante ciò, esso ha una grande importanza teorica e applicativa: si pensi al caso della nomina – a conclusione di un procedimento elettorale – di un soggetto che al momento della presentazione della propria candidatura non aveva i requisiti soggettivi necessari e prescritti dalla legge[79]. Pertanto, in assenza di qualsiasi disposizione di segno contrario, occorre tener conto proprio del principio generale di conservazione degli atti amministrativi.

Nell’ambito del diritto amministrativo, tale principio trova la sua più grande espressione in due istituti, la conversione e la convalida[80].

Si tratta di provvedimenti di secondo grado ad esito conservativo che vengono emanati al seguito di un procedimento di secondo grado, volto al riesame e alla revisione di tutti gli atti che sono stati adottati nonostante un vizio di legittimità o di opportunità.

In questo caso, il principio di conservazione degli atti giuridici opera nella sua massima portata in quanto tali istituti sono orientati proprio a far salvo l’atto amministrativo e, nel caso di cui si tratta, l’atto di investitura affetto da invalidità[81].

Con la conversione la pubblica amministrazione mantiene in vita un atto invalido attraverso una modifica della fattispecie legale che viene inquadrata in un’altra fattispecie che ha una portata minore allo scopo di garantire comunque il prodursi di alcuni effetti giuridici propri di quello specifico atto[82].

La dottrina ha osservato che il presupposto per l’applicazione della conversione è la presenza, nell’atto viziato di tutti gli elementi propri e tipici di un altro atto, in virtù del quale è possibile sostituire l’originario atto invalido con un nuovo provvedimento valido ed efficace[83].

Tale istituto trova applicazione sia nel caso di atto nullo sia nel caso di atto annullabile. Tuttavia, la conversione non può essere realizzata in sede giurisdizionale perché in questo caso l’autorità giudiziaria si sostituirebbe a valutazioni proprie della pubblica amministrazione. Sotto quest’aspetto, dunque, è possibile evidenziare una differenza tra la conversione degli atti amministrativi e la conversione che opera nel diritto civile applicabile al negozio nullo[84].

In ogni caso, si ritiene che la conversione nell’ambito del diritto amministrativo è pienamente conforme ai principi sanciti all’interno della Legge n.241/1990 perché si abbandona ogni rigido formalismo per garantire la continuità dell’azione amministrativa ed in particolare il buon andamento[85].

La dottrina tradizionale distingue due diverse figure di conversione. Si parla di conversione-provvedimento e conversione-interpretazione: la prima si verifica qualora la pubblica amministrazione, consapevole dell’invalidità di un proprio atto, emana un nuovo provvedimento di tipo diverso, i cui elementi essenziali siano gli stessi del precedente atto viziato. La seconda, si verifica quando in sede di applicazione dell’atto, ne viene data una particolare interpretazione sia da parte dell’interprete che da parte dell’autorità giurisdizionale volta a sussumere l’atto in un tipo legale diverso[86].

Ebbene, nella maggior parte delle ipotesi quando si parla di conversione atto di investitura, occorre prendere in considerazione la prima figura (conversione-provvedimento) in quanto per la valida e legale costituzione di un rapporto di servizio è necessario che vi sia un espresso atto da parte della pubblica amministrazione.

La convalida, invece, consiste in una manifestazione di volontà da parte della pubblica amministrazione volta ad eliminare proprio quel vizio che ha inficiato l’atto. In questo caso, dunque, la pubblica amministrazione adotta ex novo un provvedimento con cui integra il precedente provvedimento viziato al fine di sanare e garantire la piena validità di tale provvedimento.

L’istituto della convalida, tuttavia, può essere invocato soltanto in presenza di atti annullabili per vizi di legittimità, come ad esempio il difetto di forma e di incompetenza. Pertanto, a differenza della conversione, non può trovare applicazione nel caso di atto, o meglio di investitura nulla o inesistente[87].

In passato, il potere di convalida di un provvedimento viziato era previsto soltanto in relazione al vizio di incompetenza: si pensi all’articolo 6[88] della Legge n.249/1968 con cui si riconosceva alla pubblica autorità il potere di appropriarsi dell’atto emesso dell’organo incompetente mediante appunto la convalida[89].

Proprio per queste ragioni, la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che questa regola non poteva essere estesa al di fuori di vizi di incompetenza espressamente previsti per legge[90].

Sul punto è intervenuto il Legislatore con la Legge n.15/2005 che ha modificato l’articolo 21 nonies comma 2 della Legge 241 del 1990[91], permettendo la convalida di ogni provvedimento annullabile, purché sussistano ragioni di interesse pubblico ed entro un termine comunque ragionevole.

All’interno di questo contesto, occorre parlare anche della ratifica, species particolare di convalida, che si applica in presenza di un vizio di incompetenza relativa. Difatti, essa permette alla pubblica amministrazione competente di riappropriarsi di un atto emesso da parte di un organo incompetente[92].

Sempre in presenza di atti annullabili, si ritiene applicabile anche l’istituto della sanatoria qualora successivamente all’emanazione dell’atto invalido per mancanza di uno dei presupposti di legittimità subentra o si verifica un presupposto che in origine era mancante. Tale istituto viene in rilievo soprattutto con la Legge n.15/2005, che ha modificato anche l’articolo 21 octies comma 2[93] della Legge n.241/1990.

Alla luce di questa disposizione normativa, l’invalidità di un atto amministrativo per violazioni che sono meramente procedimentali o per vizi che riguardano la forma non può che essere irrilevante in tutte quelle ipotesi in cui si riesce a dimostrare che l’oggetto del provvedimento adottato non sarebbe diverso, anche in assenza di quello specifico vizio[94].

Più complessa, invece, la questione che si verifica nel momento in cui l’atto di investitura viziato venga annullato da una sentenza giurisdizionale e quest’ultima venga riformata e a sua volta venga meno.

Sul punto parte della dottrina parla della cosiddetta “validazione” del provvedimento iniziale.

In ogni caso, il venir meno della sentenza di primo grado, immediatamente esecutiva, dovrebbe far rivivere l’originario atto di investitura, sebbene viziato[95].

4. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti è evidente come la figura del funzionario di fatto rappresenti un’ipotesi eccezionale, ma non per questo marginale, nel sistema giuridico amministrativo. Essa si configura in presenza di una investitura affetta da vizio – originario, sopravvenuto o comunque non rimossa – ma in cui l’attività svolta dal soggetto continua ad essere riferibile, in via mediata, all’amministrazione.

Si è osservato che, sebbene il principio di legalità costituisca il cardine dell’azione amministrativa, il nostro ordinamento ammette – per esigenze di continuità e funzionalità – che l’attività posta in essere da un soggetto privo di titolo legittimante possa in alcuni casi produrre effetti giuridici, anche a tutela dell’affidamento dei terzi e dell’interesse pubblico.

Le ipotesi esaminate (mancanza originaria dell’investitura, vizio sopravvenuto della nomina, illegittimità non rimossa) delineano scenari diversificati ma accomunati dalla necessità di contemperare il rispetto delle regole formali con la salvaguardia dell’azione amministrativa già compiuta.

In tale contesto assumono rilievo gli istituti della convalida, della conversione, della ratifica e, in via più generale, del principio di conservazione degli atti, che consentono – entro certi limiti – di neutralizzare o superare l’invalidità di atti di investitura viziati, evitando la totale inefficacia degli atti conseguenti.

In conclusione, sebbene la validità dell’investitura rappresenti il presupposto essenziale per l’esercizio delle pubbliche funzioni, l’ordinamento riconosce talora, in via eccezionale e a determinate condizioni, la rilevanza giuridica dell’attività svolta da soggetti non legittimamente investiti, al fine di assicurare continuità, stabilità e affidabilità dell’azione amministrativa.

 

 

 

 

 

 

[1] SCHIRRIPA V., L’incerta definizione di “Funzionario di fatto”, in Salvis Juribus, 21 novembre 2022.
[2] CAVALLO B., Profilo storicistico di una metodica organizzata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 6 – 7.
[3] CAVALLO B., Profilo storicistico di una metodica organizzata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 7 – 8.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. https://presidenza.governo.it/USRI/magistrature/norme/dpr3_1957.pdf.
[6] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[7] BARTOLINI A., La nullità del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002, pp. 97 e ss.
[8] CAVALLO B., Profilo storicistico di una metodica organizzata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 298 e ss.
[9] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[10] AA.VV., investitura e nullità nel rapporto di fatto, in Abbatescianni.eu.
[11] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[12] Corte di Cassazione n. 2429/1992; Corte di Cassazione n. 3730/1991; Consiglio di Stato n. 467/1992.
[13] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[14] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 1/1992; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 2/1992; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 4/1992; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 5/1992.
[15] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[16] AA.VV., investitura e nullità nel rapporto di fatto, in Abbatescianni.eu.
[17] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 245.
[18] AA.VV., investitura e nullità nel rapporto di fatto, in Abbatescianni.eu.
[19] Consiglio di Stato n. 386/1996; Consiglio di Stato n. 1462/1995.
[20] Corte di Cassazione n. 4057/2021; Corte di Cassazione n.14809/2020; Corte di Cassazione n. 17128/2019; Corte di Cassazione n. 119151/2019.
[21] Ibidem.
[22] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 1236 – 1237.
[23]La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV.
[24] Ivi, pp. 399 – 400.
[25] Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 29916/2017.
[26] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 400 – 404.
[27] FANTINI S., Attività amministrativa del funzionario di fatto ed invalidità derivata, in Il funzionario di fatto ( a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 67.
[28] Consiglio di Stato n. 825/1976.
[29] FANTINI S., Attività amministrativa del funzionario di fatto ed invalidità derivata, in Il funzionario di fatto ( a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 78.
[30] Consiglio di Stato n. 978/1992.
[31] FANTINI S., Attività amministrativa del funzionario di fatto ed invalidità derivata, in Il funzionario di fatto ( a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 79.
[32] FALCON G., Questioni sulla validità e sull’efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo, in Diritto processuale amministrativo, 2003, pp. 15 e ss.
[33] In presenza di una legge retroattiva che rende il provvedimento di nomina, in origine conforme a legge, in contrasto con la disciplina sopravvenuta
[34] OLIVA C., Le ipotesi di invalidità sopravvenuta e l’invalidità derivata del provvedimento amministrativo, in riv. Onlibe Justowin, 2018.
[35] Consiglio di Stato n. 5316/ 2005.
[36] In presenza di una sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale della legge su cui si fonda il provvedimento di nomina.
[37] Ibidem.
[38] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 49.
[39] Consiglio di Stato n. 1312/1995.
[40] OLIVA C., Le ipotesi di invalidità sopravvenuta e l’invalidità derivata del provvedimento amministrativo, in riv. Onlibe Justowin, 2018.
[41] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[42] Cfr. per la ricostruzione del dibattito SGARBI L., Mansioni e inquadramento dei dipendenti pubblici, Milano, 2004.
[43] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 181.
[44] Ivi, pp. 182.
[45] Ibidem.
[46] FANTINI S., Attività amministrativa del funzionario di fatto ed invalidità derivata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 79 e ss.
[47] FORMICHETTI G., L’investitura nulla e il rapporto di fatto, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 165 e ss.
[48] SANDULLI M., I limiti dell’esistenza dell’atto amministrativo, in Rassegna di Diritto pubblico, 1949, pp. 143.
[49] ROMANO A. A., La prorogatio negli organi costituzionali, Minano, 1967, pp. 117.
[50]Gli amministratori nominati a tempo rimangono in carica sino a che i loro successori abbiano assunto l’ufficio”.
[51] PIERONI S., Funzionario di fatto e prorogatio dei poteri, in funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 111 e ss.
[52] Consiglio di Stato n. 174/1951; Consiglio di Stato n. 138/1987.
[53]  Consiglio di Stato n. 527/1952.
[54] Corte dei Conti n. 1817/1987.
[55] Corte dei Conti n. 1525/1980.
[56] Corte dei Conti n. 1967/1988.
[57] Corte Costituzionale n. 208/1992.
[58] PIERONI S., Funzionario di fatto e prorogatio dei poteri, in funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 117 – 118.
[59] Ivi, pp. 120 e ss.
[60] Ivi, pp. 118 -118.
[61] Ivi, pp. 124.
[62] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 632 e ss.
[63]L’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni.
[64] ORABONA F., La sorte del contratto di lavoro a seguito dall’annullamento della graduatoria concorsuale, in riv. Online Salvisjuribus, 2018.
[65] DE MARINIS, Sub art. 63, in Diritto del Lavoro, Il lavoro pubblico, Vol. III, Giuffrè, 2011, pp. 1108.
[66] ORABONA F., La sorte del contratto di lavoro a seguito dall’annullamento della graduatoria concorsuale, in riv. Online Salvisjuribus, 2018.
[67] “1. L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno […]”.
[68]In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.”
[69]Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione; c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio; d) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; e) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui; f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro. f-bis) gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, ai sensi dell’articolo 54, comma 3; (71) f-ter) commissione dolosa, o gravemente colposa, dell’infrazione di cui all’articolo 55-sexies, comma 3; (71) f-quater) la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato l’applicazione, in sede disciplinare, della sospensione dal servizio per un periodo complessivo superiore a un anno nell’arco di un biennio; (71) f-quinquies) insufficiente rendimento, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell’amministrazione di appartenenza, e rilevato dalla costante valutazione negativa della performance del dipendente per ciascun anno dell’ultimo triennio, resa a tali specifici fini ai sensi dell’articolo 3, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 150 del 2009”.
[70]Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo”.
[71] Corte di Cassazione n. 28456/2008; Tar Veneto n. 5285/2010.
[72] “Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro. Il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali”.
[73] ORABONA F., La sorte del contratto di lavoro a seguito dall’annullamento della graduatoria concorsuale, in riv. Online Salvis Juribus, 2018.
[74] Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 1238/2003.
[75] Corte di Cassazione n. 21528/2019.
[76] Ibidem.
[77] CHIEPPA R. – GIOVAGNOLI R., Manuale di diritto amministrativo, IV edizione, 2019, pp. 399 – 402.
[78] PEPE G., Atti giuridici e principio di conservazione, in Amministrativamente – Rivista di diritto amministrativo, Fascicolo 1 – 2/2015, pp. 7 – 8.
[79] FANTINI S., Attività amministrativa del funzionario di fatto ed invalidità derivata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 85.
[80] Ivi, pp. 16.
[81] Ivi, pp. 16 -17.
[82] Ibidem.
[83] BODDA P., La conversione degli atti amministrativi illegittimi, Milano, 1935.
[84] PEPE G., Atti giuridici e principio di conservazione, in Amministrativamente – Rivista di diritto amministrativo, Fascicolo 1 – 2/2015, pp. 17 -18.
[85] Ibidem.
[86] CARINGELLA F, Manuale di Diritto amministrativo, Ed. XIV, Dike, 2021, pp. 147 ss.
[87] BONOMI V., La conservazione degli atti giuridici, in riv. Online, Altalex, 2005.
[88] “Alla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale”.
[89] Ibidem.
[90] TAR Milano n. 5521/2004.
[91]È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
[92] BONOMI V., La conservazione degli atti giuridici, in riv. Online, Altalex, 2005.
[93]Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10 bis”.
[94] Ibidem.
[95] FANTINI S., Attività amministrativa del funzionario di fatto ed invalidità derivata, in Il funzionario di fatto (a cura di Bruno Cavallo), Giuffrè Editore, 2005, pp. 85.

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Veronica Schirripa

Dott.ssa Veronica SchirripaLaureata presso l'Università degli studi di Catania nel 2018 con Tesi sperimentale in diritto penale “Il reato di Tortura tra fonti sovrannazionali e diritto interno" (relatrice: Prof. Rosaria Sicurella). Durante il percorso accademico, la grande passione per i diritti umani e il diritto internazionale l'ha spinta a partecipare ad uno stage al palazzo delle Nazioni Unite (New York) in occasione del CWMUN 2016, organizzato dall'associazione Diplomatici, nella qualità di delegate as Namibia; ad assistere nel 2017 alle discussioni del Parlamento Europeo sul tema della lotta alla criminalità e agli hate speeches. Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali e Forensi di Catania “A. Galati", conseguendo il Diploma nel 2020 con tesi di Diritto Civile “Gli obblighi del sanitario" (Relatore: prof Giovanni Di Rosa). Durante il percorso post-accademico ha svolto un periodo di stage presso la Procura Generale della Repubblica, presso la sede di Catania. Abilitata all'esercizio della professione forense. Svolge l'attività di consulente presso lo Studio Di Paola & Partners.

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È stato pubblicato un nuovo bando per il reclutamento di 653 allievi agenti della Polizia Penitenziaria, riservato esclusivamente al ruolo...

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di Michele Di Salvo L’8 ottobre 2024, l’European Data Protection Board (EDPB) ha pubblicato le Linee Guida n. 1/2024 sulla base giuridica del...