Lavoro agile: una leva di efficienza della PA e strumento di equilibrio tra vita privata e professionale
L’evoluzione tecnologica degli ultimi anni ha impresso un’accelerazione significativa al processo di trasformazione digitale delle organizzazioni pubbliche e private.
Per la Pubblica Amministrazione, in particolare, tale trasformazione rappresenta una sfida complessa, non solo sul piano operativo, ma anche sotto il profilo gestionale e organizzativo. Un’accelerazione decisiva si è registrata in concomitanza dell’emergenza pandemica da Covid-19, esplosa nel 2020, che ha imposto l’adozione generalizzata del lavoro da remoto, costringendo migliaia di dipendenti pubblici a proseguire le attività istituzionali dalle proprie abitazioni. Questa esperienza ha segnato un punto di svolta nella cultura organizzativa della PA, imponendo una riflessione profonda sugli strumenti, le modalità e i paradigmi tradizionali di gestione del lavoro pubblico.
In tale contesto, il ricorso al cosiddetto “lavoro agile” – preferibile al più generico termine di “smart working” – si è imposto non solo come soluzione emergenziale, ma anche come elemento strutturale di una nuova visione del lavoro pubblico, orientata a una maggiore flessibilità, responsabilizzazione e autonomia nella gestione delle attività lavorative.
Il lavoro agile, infatti, si inserisce in un percorso evolutivo che coniuga efficienza organizzativa e benessere individuale, implicando una rilettura della cultura del lavoro pubblico, una riconfigurazione degli stili manageriali e un aggiornamento degli strumenti di misurazione della performance individuale.
In questa prospettiva, il lavoro agile può essere considerato non solo una modalità operativa, ma anche una leva strategica per promuovere l’innovazione nella PA, migliorare la qualità dei servizi erogati e favorire un miglior equilibrio tra vita privata e professionale.
Secondo quanto rilevato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, sebbene la diffusione del lavoro agile nella PA sia ancora inferiore rispetto al settore privato, si registra una crescente domanda da parte dei dipendenti pubblici – anche in ragione del progressivo ricambio generazionale in atto – di usufruire di tale modalità, con effetti positivi sull’efficienza complessiva delle amministrazioni.
Invero, proprio per tale ragione, una parte della dottrina ritiene che lo smart working – in un’accezione ampia e strutturale – possa essere inserito in un più generale progetto di welfare organizzativo, ponendosi come una delle principali sfide che la PA è chiamata ad affrontare nel suo processo di adattamento al cambiamento e alla progressiva remotizzazione delle attività lavorative.
La vera sfida, tuttavia, non risiede soltanto nell’adozione di nuovi strumenti digitali, ma nella costruzione di una governance intelligente, in grado di accompagnare e regolare questa trasformazione garantendo, al contempo, trasparenza, responsabilità e continuità amministrativa.
Una PA capace di governare l’innovazione, anziché inseguirla, potrà non solo sopravvivere al cambiamento, ma farsene promotrice: e chissà, magari diventare davvero smart, ma nel senso più nobile del termine.
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Francesco Di Iorio
Francesco Di Iorio, autore di diversi articoli per Salvis Juribus, collabora con la rivista sin dall'anno 2020.
Si è laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università degli Studi del Molise (Unimol).
Attualmente impiegato presso il Ministero della Cultura dove ricopre un duplice ruolo: addetto all’ufficio gare, appalti e contratti e addetto per la gestione del personale.
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