
Mandati successori e divieto dei patti successori: guida essenziale
Sommario: 1. Premessa: la funzione dei mandati successori – 2. Il nodo del divieto dei patti successori – 3. Le tre categorie di mandati successori – 4. Il mandato mortis causa: un divieto insuperabile – 5. Il mandato post mortem in senso stretto: una sopravvivenza consentita – 6. Il mandato post mortem exequendum: operatività materiale e validità – 7. Considerazioni conclusive e prospettive evolutive
1. Premessa: la funzione dei mandati successori
Il diritto successorio italiano si distingue per la presenza della peculiare – e talvolta discussa – figura del mandato in funzione successoria. Si tratta di atti con cui determinati soggetti, i mandanti, affidano ad altri il compimento di attività da eseguire dopo la loro morte. È una dinamica negoziale che, a volerla osservare con un sorriso professionale, sembra voler “organizzare con anticipo l’imprevedibile”, ma che impone rigore interpretativo per non oltrepassare i confini posti dal legislatore.
2. Il nodo del divieto dei patti successori
La questione centrale è rappresentata dall’inquadramento di tali mandati alla luce del divieto dei patti successori sancito dall’articolo 458 c.c. La norma, come è noto, commina la nullità di ogni accordo avente ad oggetto la devoluzione di diritti successori, salvo l’unica eccezione del patto di famiglia. La ratio, consolidata nella lettura prevalente, risiede nella necessità di assicurare che la volontà testamentaria del de cuius rimanga libera sino all’ultimo istante e non venga condizionata da anticipazioni negoziali o da indebite captazioni.
Il divieto colpisce patti istitutivi, dispositivi e rinunciativi; questi ultimi, peraltro, mostrano oggi una progressiva erosione nella prassi interpretativa, indice di una tensione evolutiva che attraversa l’intero sistema delle successioni.
3. Le tre categorie di mandati successori
Dottrina e giurisprudenza concordano nell’individuare tre tipologie di mandati successori: a) il mandato mortis causa; b) il mandato post mortem in senso stretto; c) il mandato post mortem exequendum.
Ciascuna figura presenta proprie caratteristiche strutturali e funzionali, la cui distinzione si rivela decisiva per comprendere quali negozi siano compatibili con il divieto dell’art. 458 c.c. e quali, al contrario, debbano essere considerati radicalmente inammissibili.
4. Il mandato mortis causa: un divieto insuperabile
Il mandato mortis causa attribuisce al mandatario il potere di compiere atti giuridici dopo la morte del mandante. La sua configurazione si pone, senza possibilità di salvezza, in contrasto con il divieto dei patti successori.
L’atto è pertanto nullo, poiché incide direttamente sulla devoluzione ereditaria e, di fatto, anticipa decisioni che l’ordinamento riserva esclusivamente alle forme testamentarie. Una nullità quasi “annunciata”, frutto del tentativo di modellare con strumenti negoziali ciò che il sistema disciplina rigidamente attraverso forme solenni.
5. Il mandato post mortem in senso stretto: una sopravvivenza consentita
Diversamente, il mandato post mortem in senso stretto viene considerato valido. Esso si configura come negozio unilaterale, revocabile in ogni momento, conferito per atto inter vivos ma destinato a produrre effetti solo dopo la morte del mandante.
Tale efficacia posticipata non compromette la libertà testamentaria e rappresenta una deroga fisiologica all’articolo 1722 c.c., che prevede l’estinzione del mandato con la morte del mandante. La sua liceità, tuttavia, è subordinata a un limite invalicabile: l’atto non deve riguardare attività che incidano sulla devoluzione dell’eredità. È una soglia sottile che richiede attenzione interpretativa, quasi un esercizio di equilibrio tra volontà privata e imperativi codicistici.
6. Il mandato post mortem exequendum: operatività materiale e validità
Parimenti valido è il mandato post mortem exequendum, mediante il quale il mandante affida al mandatario il compito di eseguire attività di natura materiale connesse alla successione.
La figura può essere costituita per testamento o per atto inter vivos e non viola l’articolo 458 c.c., poiché non tocca, neppure indirettamente, i diritti successori. Qui il legislatore guarda con favore alla funzionalità: ciò che conta è che al mandatario sia affidato il “fare”, non il “disporre”. Ed è proprio questa distinzione che consente alla figura di operare senza ingerenze nella sfera della devoluzione ereditaria.
7. Considerazioni conclusive e prospettive evolutive
La distinzione tra le varie tipologie di mandati successori non è mero esercizio classificatorio, ma un necessario strumento di protezione dell’architettura del divieto dei patti successori. Nel nostro ordinamento, tale divieto continua a rappresentare una clausola di salvaguardia della libertà testamentaria e della stabilità delle relazioni familiari.
Tuttavia, il futuro del diritto successorio sembra orientarsi verso un progressivo affinamento degli strumenti negoziali, chiamati a misurarsi con esigenze sociali in trasformazione e con una crescente domanda di flessibilità nella gestione del “dopo”. Sarà compito della dottrina e della giurisprudenza delineare, con prudenza e visione, gli spazi operativi delle diverse figure negoziali, evitando che l’innovazione normativa o interpretativa scivoli oltre i limiti tracciati dal sistema.
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Michela Falcone
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