Mobilità “in uscita” nel comparto sanità: natura giuridica, nullaosta e limiti applicativi
di Marco Mariano*
Abstract: Il presente contributo analizza la disciplina della mobilità volontaria nel comparto sanitario pubblico, intesa come una vera e propria cessione del rapporto di lavoro tra amministrazioni, ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. 165/2001. Tale istituto si configura non come un diritto soggettivo del dipendente, bensì come una mera aspettativa legittima, subordinata alla preventiva acquisizione del nullaosta da parte dell’amministrazione cedente. Questo assenso amministrativo si rivela obbligatorio in particolari ipotesi tassative, quali il personale assunto da meno di tre anni, le posizioni dichiarate motivatamente infungibili e quelle in cui la mobilità comporta una carenza superiore al 20% dell’organico nella specifica qualifica. Il nullaosta è esercitato con discrezionalità dall’amministrazione, la quale è tenuta a motivare il diniego fondandolo su concrete esigenze organizzative, quali, ad esempio, la comprovata carenza di personale. La legittimità del diniego, purché adeguatamente motivato, è sottratta a sindacato pieno da parte del giudice, il cui controllo si limita alla verifica della correttezza formale dell’atto. In coerenza con questo quadro, la giurisprudenza prevalente conferma l’ampio margine di discrezionalità riconosciuto all’amministrazione nella gestione della mobilità volontaria e nega l’esistenza di un diritto soggettivo assoluto alla mobilità, rimettendo, però, al lavoratore la possibilità di agire in sede risarcitoria in caso di diniego illegittimo.
Abstract: This contribution analyzes the regulation of voluntary mobility within the public healthcare sector, understood as a genuine transfer of the employment relationship between administrations pursuant to Article 30 of Legislative Decree No. 165/2001. This institution is configured not as a subjective right of the employee but as a mere legitimate expectation, subject to the prior acquisition of an authorization (nullaosta) from the transferring administration. Such administrative consent is mandatory in specific, exhaustive cases, including personnel employed for less than three years, positions declared justifiably indispensable, and situations where the mobility would cause a reduction exceeding 20% of the workforce in the corresponding qualification. The authorization is exercised at the administration’s discretion, which is required to justify any refusal based on concrete organizational needs, such as, for example, a verifiable shortage of personnel. The legitimacy of the refusal, provided it is adequately reasoned, is exempt from full judicial review, with the court’s scrutiny limited to the verification of the procedural correctness of the act. Consistent with this framework, prevailing case law confirms the broad discretionary margin recognized to the administration in managing voluntary mobility and denies the existence of an absolute subjective right to mobility, while nonetheless reserving to the employee the possibility of seeking compensatory relief in the event of an unlawful denial.
Sommario: 1. Premessa – 2. Natura giuridica della mobilità volontaria: diritto soggettivo o aspettativa legittima? – 3. Il regime normativo del nullaosta: presupposti e ambito di applicazione – 4. Motivazione e limiti del diniego del nullaosta: la discrezionalità amministrativa – 5. Il controllo giudiziario sul diniego: limiti e criteri di sindacato – 6. Analisi critica delle pronunce recenti: la giurisprudenza di merito e le sue implicazioni – 7. Conclusioni e indirizzi applicativi
1. Premessa
La mobilità volontaria rappresenta uno strumento fondamentale per la gestione delle risorse umane nel comparto sanitario pubblico, consentendo il trasferimento di personale tra diverse amministrazioni senza soluzione di continuità nel rapporto di lavoro. Tuttavia, la disciplina normativa ed interpretativa che regola tale istituto impone una complessa valutazione sia di natura sostanziale che procedurale, soprattutto con riguardo al rilascio del nullaosta da parte dell’amministrazione cedente, la cui legittimità è frequentemente oggetto di contestazioni giudiziarie. Il presente contributo propone un’analisi della materia, con particolare riferimento alla mobilità nel comparto sanità pubblica.
2. Natura giuridica della mobilità volontaria: diritto soggettivo o aspettativa legittima?
La mobilità volontaria nel pubblico impiego sanitario si configura come una cessione del contratto di lavoro tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. 165/2001. Tale trasferimento determina un mutamento soggettivo del datore di lavoro, mentre restano invariati gli elementi essenziali del rapporto di lavoro, quali la qualifica, il trattamento economico e l’anzianità, come confermato nella consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., n. 26420/2006; Cass. n. 16452/2020; Cass. n. 33213/2018).
Non sussiste, pertanto, un diritto soggettivo acquisito del dipendente al trasferimento, bensì una mera aspettativa legittima, subordinata al consenso di tutte le parti coinvolte (amministrazione cedente, amministrazione di destinazione e lavoratore). Il potere di concessione o diniego rientra, dunque, nella discrezionalità amministrativa, che deve tuttavia essere esercitata osservando i principi di correttezza, buona fede e doverosa motivazione.
La giurisprudenza (cfr. Cass., ord. n. 12134/2025), esclude che il dipendente possa vantare un diritto soggettivo assoluto alla mobilità; al contempo, il diniego motivato con ragioni concrete e oggettive è legittimo, al contrario del rigetto arbitrario o assolutamente privo di motivazione. Questo principio è stato ulteriormente rafforzato dalla giurisprudenza di merito recente, la quale ha sottolineato come la scelta di procedere o meno alla mobilità in uscita spetti pienamente al datore di lavoro e sia insindacabile nel merito, purché le motivazioni siano ancorate a ragioni oggettive di tipo organizzativo e ai principi di correttezza e buona fede [1]. La violazione di tali principi può dar luogo, quanto meno, a tutela risarcitoria, ma non al riconoscimento di un diritto assoluto al trasferimento [1].
3. Il regime normativo del nullaosta: presupposti e ambito di applicazione
L’art. 30, comma 1, D.Lgs. 165/2001, così come modificato dall’art. 3, comma 7, del D.L. n. 80/2021, stabilisce che il perfezionamento della mobilità volontaria richiede il previo assenso dell’amministrazione di appartenenza nelle seguenti ipotesi:
(i) posizioni dichiarate motivatamente infungibili;
(ii) personale assunto da meno di tre anni;
(iii) mobilità che determina una carenza superiore al 20% dell’organico nella qualifica corrispondente;
(iv) personale di enti sanitari o locali con meno di 100 dipendenti a tempo indeterminato (per cui è sempre richiesto l’assenso).
La norma è inderogabile ed impone che il “consenso amministrativo” sia espresso in via preventiva e motivata, rivestendo quindi il nullaosta condizione senza la quale il trasferimento non può perfezionarsi. La giurisprudenza di merito ha ribadito la natura imprescindibile di tale assenso, specialmente in presenza di personale assunto da meno di tre anni, configurandosi come presupposto essenziale per la mobilità in uscita [1], [2].
4. Motivazione e limiti del diniego del nullaosta: la discrezionalità amministrativa
L’amministrazione cedente detiene un potere discrezionale nel valutare l’opportunità di concedere il nullaosta, oggetto di tutela pubblicistica in quanto connesso al buon andamento della pubblica amministrazione e all’organizzazione efficiente del servizio sanitario.
Il diniego del nullaosta deve essere fondato su ragioni concrete, specifiche e comprovate, riconducibili a reali esigenze organizzative e di servizio, quali il fabbisogno di personale, l’assenza di coperture adeguate o la complessa gestione dei turni di lavoro. La giurisprudenza ha affermato che dinieghi generici, astratti o contraddittori sono illegittimi e aprono la strada al sindacato giudiziale, mentre le valutazioni motivate sulla reale consistenza della pianta organica e sulla necessità di garantire la continuità del servizio sono pienamente legittime (cfr., ex plurimis, Cass. ord. n. 12134/2025).
La giurisprudenza di merito recente ha ulteriormente chiarito che la motivazione del diniego basata sulla carenza di personale è palesemente coerente con le valutazioni cui è chiamato il datore di lavoro, e spetta al lavoratore che adduce la contrarietà di essa al vero dimostrare i propri assunti [1]. È stato evidenziato come la carenza di personale, supportata da dati quantitativi (es. Piano Triennale di Fabbisogno di Personale e documentazione dei turni di servizio), possa legittimamente giustificare il diniego, soprattutto quando la mobilità determinerebbe una riduzione del personale tale da compromettere il regolare funzionamento del reparto e la garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) [1], [2].
5. Il controllo giudiziario sul diniego: limiti e criteri di sindacato
Il giudice ordinario ha il potere di sindacare la legittimità del diniego del nullaosta nei limiti della discrezionalità amministrativa, ponendo attenzione alla correttezza e alla buona fede dell’atto motivazionale. Come detto, non sussiste un diritto in senso assoluto alla mobilità: quindi, l’inadempimento all’obbligo di rilascio del nullaosta non è di per sé illegittimo, a meno che non sia accompagnato da violazioni dei principi di imparzialità o motivazioni infondate.
In sede di tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. (ed è questa l’ipotesi più comune che viene portata all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria), il ricorrente deve dimostrare il fumus boni iuris e il periculum in mora, ovvero l’esistenza di un diritto verosimilmente leso e un danno grave e irreparabile derivante dall’attesa della decisione di merito. Le pronunce più recenti hanno rigettato le richieste cautelari in materia di nullaosta quando manca una specifica allegazione dei rischi irreparabili per il lavoratore, attesa la natura meramente modificativa del rapporto senza variazioni di inquadramento o trattamento (Tribunale di Benevento, decreto 4 luglio 2025, R.G. n. 2182/2025 [1]).
La giurisprudenza di merito ha ribadito con forza che il periculum in mora deve essere valutato con particolare rigore nei procedimenti cautelari in materia di lavoro. La mera perdita di un’opportunità di trasferimento, per quanto desiderata, non assume i connotati gravi ed irreparabili che giustificherebbero il ricorso alla tutela cautelare d’urgenza, potendo il ricorrente far valere le proprie ragioni (eventualmente risarcitorie) nelle sedi ordinarie [2]. Inoltre, è stato evidenziato che l’imminenza del pregiudizio è inesistente se il termine ultimo per il rilascio dell’assenso, indicato dall’azienda “ricevente”, è già scaduto [2]. La natura della mobilità, che integra una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro senza alterazioni di mansioni, inquadramento o trattamento economico, rafforza l’esclusione del periculum in mora [2].
6. Analisi critica delle pronunce recenti: la giurisprudenza di merito e le sue implicazioni
La giurisprudenza di merito recente ha fornito importanti chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 30 D.Lgs. 165/2001 in tema di nullaosta. In particolare, un decreto del Tribunale di Benevento (decreto 4 luglio 2025, R.G. n. 2182/2025 [1]) ha confermato il rigore nell’applicazione della norma, valorizzando le esigenze organizzative dell’Azienda Sanitaria Locale. Il giudice ha evidenziato che la discrezionalità amministrativa è correttamente esercitata con una motivazione coerente, basata su dati quantitativi precisi e verificabili (ad esempio, il fabbisogno minimo per garantire i LEA e l’effettiva dotazione organica), e che il ricorrente non avesse fornito elementi sufficienti per confutare tale quadro fattuale né per dimostrare un danno non risarcibile che giustifichi l’intervento d’urgenza.
Analoghi principi sono stati ribaditi da un’ordinanza del Tribunale di Avellino (decreto 22 luglio 2025, R.G. n. 1861/2025 [2]), che ha integralmente condiviso le motivazioni del Tribunale di Benevento in una fattispecie del tutto sovrapponibile. In tale pronuncia, è stato ulteriormente sottolineato che il nullaosta è un presupposto imprescindibile per la mobilità in uscita di personale assunto da meno di tre anni e che non esiste un diritto soggettivo del dipendente al nullaosta. La prova della grave carenza di personale nel profilo di appartenenza è stata considerata una valida motivazione del diniego. Inoltre, è stata ribadita l’incomparabilità di situazioni tra dipendenti con diversa anzianità di servizio, escludendo la disparità di trattamento in caso di diniego per personale con meno di tre anni di servizio a fronte di un nullaosta concesso a personale con maggiore anzianità [2].
Entrambe le pronunce hanno concordato sull’assenza del periculum in mora in queste tipologie di ricorsi, poiché la mera perdita di un’opportunità di trasferimento non configura un pregiudizio grave e irreparabile. La possibilità di ottenere un risarcimento in sede ordinaria e la natura meramente modificativa del rapporto di lavoro in caso di mobilità (senza variazioni di inquadramento o trattamento economico) sono state considerate, infatti, sufficienti ad escludere l’urgenza richiesta per la tutela cautelare [1], [2].
Queste decisioni di merito rafforzano l’orientamento giurisprudenziale che riconosce ampia discrezionalità all’amministrazione nel concedere o negare il nullaosta, purché il diniego sia adeguatamente motivato e basato su reali esigenze organizzative e di servizio. La documentazione della carenza di organico, supportata da dati oggettivi, si conferma un elemento cruciale per la legittimità del diniego. La giurisprudenza di merito, in linea con la Suprema Corte, continua a negare l’esistenza di un diritto soggettivo alla mobilità, configurandola come una mera aspettativa legittima, subordinata alle esigenze organizzative dell’amministrazione cedente.
7. Conclusioni e indirizzi applicativi
In sintesi, la mobilità volontaria nel comparto sanitario pubblico si inquadra giuridicamente come una cessione del rapporto di lavoro subordinato, soggetta al consenso dell’amministrazione cedente tramite il rilascio del nullaosta, la cui legittimità è strettamente condizionata da una valutazione discrezionale esercitata secondo i principi di correttezza, buona fede e motivazione adeguata.
Il diniego del nullaosta, se adeguatamente motivato con riferimento a esigenze oggettive quali la carenza di organico o l’infungibilità della posizione, è legittimo e sottratto a sindacato pieno in sede giurisdizionale, salvo casi di manifesta irragionevolezza o violazione dei principi di trasparenza e buon andamento.
Le richieste di tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. devono essere impregnate da una documentata dimostrazione del periculum in mora, elemento che nella prassi trova difficile soddisfazione nel contesto della mobilità volontaria, vista la possibilità di eventuale riconoscimento risarcitorio in una fase successiva. La giurisprudenza di merito recente ha confermato questa impostazione, rigettando le istanze cautelari in assenza di un pregiudizio grave e irreparabile che vada oltre la mera perdita di un’opportunità di trasferimento [1], [2].
Le amministrazioni, pur potendo, in sede amministrativa, motivare il diniego sommariamente, sono invece chiamate a documentarlo in modo puntuale nel corso del giudizio, fornendo dati oggettivi sulla carenza di personale e sulle esigenze organizzative. I dipendenti, d’altro canto, devono essere consapevoli che la mobilità volontaria non costituisce un diritto soggettivo assoluto e che il diniego, se ben motivato, è legittimo. In ogni caso, la via risarcitoria rimane l’unica percorribile nell’ipotesi di diniego illegittimo, ma non vi è spazio per provvedimenti d’urgenza che anticipino il trasferimento in assenza di un danno irreparabile.
È opportuno, in ultimo, in questo contesto, distinguere la disciplina del nullaosta ex art. 30 D.Lgs. 165/2001 da altre fattispecie di “mobilità”, come quella prevista dall’art. 42 bis del D.Lgs. 151/2001 (assegnazione temporanea). A differenza di quest’ultima, dove la possibilità di negare il nullaosta è circoscritta alla ricorrenza di “casi o esigenze eccezionali”, nell’ambito della mobilità volontaria ex art. 30 D.Lgs. 165/2001, l’amministrazione non è tenuta a motivare il dissenso al trasferimento con la stessa stringenza. Questo perché si presume ragionevolmente che sia conforme all’interesse dell’Amministrazione non privarsi in via definitiva di una risorsa lavorativa, soprattutto se di recente acquisizione e destinata a colmare carenze di organico. L’intensità dell’onere motivazionale è, infatti, inversamente proporzionale all’ampiezza della discrezionalità valutativa di cui dispone la Pubblica Amministrazione. Pertanto, un onere di motivazione minimo, che faccia riferimento a reali esigenze organizzative, è considerato sufficiente e legittimo.
Riferimenti
[1] Tribunale di Benevento, ordinanza 4 luglio 2025, R.G. n. 2182/2025. [2] Tribunale di Avellino, ordinanza 22 luglio 2025, R.G. n. 1861/2025.
* Dirigente Avvocato Responsabile della U.O.S.D. Contenzioso Relativo a Personale e Fornitori della ASL Avellino.
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