TSO illegittimo e danno non patrimoniale: le novità della Cassazione
Sommario: 1. Definizione e leggi di riferimento del TSO – 2. Esame e spiegazione del caso affrontato dalla Cassazione – 3. Questione di diritto – 4. Risoluzione della questione
Recentemente, la Cassazione, con l’ordinanza del 19 dicembre 2024, n. 33290, si è pronunciata su un tema di particolare rilevanza: il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), che riveste una grande importanza sia sociale che giuridica. Il TSO implica non solo l’intervento sulle libertà individuali delle persone con disturbi psichici, ma solleva anche questioni fondamentali legate alla tutela dei diritti, alla protezione della salute e al rispetto delle normative che regolano l’accesso e l’applicazione di tale trattamento.
Prima di affrontare il tema trattato nell’ordinanza, è utile inquadrare la questione all’interno di un contesto giuridico e sociale, fornendo una definizione precisa del TSO e delle leggi di riferimento.
1. Definizione e leggi di riferimento del TSO
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) è una misura sanitaria che può essere adottata nei confronti di una persona affetta da un disturbo psichico grave, quando questa rappresenta un pericolo per sé stessa o per gli altri. Il trattamento può essere somministrato contro la volontà del paziente, con l’obiettivo di tutelarne la salute e la sicurezza, ma solo se le condizioni previste dalla legge sono soddisfatte.
La principale legge che regola il TSO è la Legge 13 maggio 1978, n. 833, meglio conosciuta come Legge Basaglia, che ha sancito la chiusura dei manicomi e promosso un approccio più rispettoso nei confronti dei pazienti con disturbi psichici. In particolare, il TSO è disciplinato dagli articoli 1-5 della Legge 833/1978 e dal Codice Civile, in particolare dagli articoli 417 e seguenti, che disciplinano le procedure e le modalità di applicazione del TSO.
Inoltre, il D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo Unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope) e altre normative regionali possono integrare la regolamentazione del TSO a livello locale.
2. Esame e spiegazione del caso affrontato dalla Cassazione
Il caso riguarda Tizio, il quale, a seguito di una lite con un vicino durante una sagra, è stato sottoposto a Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Tuttavia, il TSO non è stato convalidato dal Giudice Tutelare, che lo ha ritenuto privo di adeguata motivazione. Di conseguenza, Tizio ha citato in giudizio il sindaco, il comune, il maresciallo dei carabinieri, un agente della polizia municipale, i medici coinvolti e la ASL, chiedendo il risarcimento dei danni per il trattamento a cui è stato sottoposto.
La vicenda coinvolge diversi soggetti, poiché il TSO può essere richiesto da un medico, che, dopo aver valutato la persona e il suo disturbo psichico grave, stabilisce se sussistano i presupposti per applicarlo, ovvero se la persona rappresenti un pericolo per sé stessa o per gli altri.
La procedura per l’applicazione del TSO è ben definita dall’art. 33 della Legge Basaglia e prevede diverse fasi:
– Valutazione medica: un medico psichiatra valuta la condizione della persona e stabilisce se il disturbo psichico sia tale da non consentire un trattamento volontario.
– Richiesta scritta: se il medico ritiene necessario il TSO, redige una relazione motivata e la invia al sindaco del comune di residenza del paziente. Il sindaco è l’autorità competente a disporre il trattamento obbligatorio, previa valutazione della documentazione medica.
– Intervento del giudice tutelare: in alcuni casi, può essere necessario l’intervento del giudice tutelare per convalidare il TSO, specialmente se la persona è in grado di esercitare i propri diritti o se sorgono contestazioni legali.
L’articolo 33 della Legge Basaglia pone l’accento sul rispetto dei diritti fondamentali della persona sottoposta al trattamento. In particolare, stabilisce che il TSO deve essere effettuato nel rispetto della dignità della persona, con il minimo di invasività possibile e con l’inclusione nella scelta del medico e del luogo di cura, in conformità all’art. 32 della Costituzione. I trattamenti sanitari obbligatori devono essere effettuati nel rispetto della dignità della persona, prevedendo, per quanto possibile, la libertà di scelta del medico e del luogo di cura.
Il legislatore ha dato un particolare significato sociale e giuridico all’articolo in esame:
– Tutela dei diritti: si vuole bilanciare la necessità di intervento sanitario con il rispetto della libertà individuale, fissando delle garanzie per evitare abusi. Infatti, il TSO non può essere imposto senza una giusta motivazione e senza la verifica delle condizioni psicopatologiche del paziente.
– Controllo giuridico: il sindaco, il giudice tutelare e il medico sono tenuti a un controllo reciproco al fine di salvaguardare i diritti della persona sottoposta al trattamento.
3. Questione di diritto
La questione oggetto di approfondimento concerne il profilo della risarcibilità del danno derivante da un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) illegittimamente disposto, con particolare riferimento alla lesione dei diritti fondamentali della persona e alle conseguenze pregiudizievoli tanto sul piano patrimoniale quanto su quello non patrimoniale, segnatamente per il danno alla salute e il discredito sociale che può colpire un soggetto considerato “fragile”.
In presenza di un provvedimento di TSO dichiarato illegittimo dall’autorità giudiziaria, infatti, viene in rilievo la compressione ingiustificata della libertà personale, diritto di rango costituzionale che, come tale, è protetto da una fitta rete di garanzie interne e sovranazionali. L’illecita privazione della libertà non si traduce soltanto in un vulnus giuridico astratto, ma comporta nella concreta esperienza del soggetto una sofferenza psicofisica, un pregiudizio alla sfera relazionale e una possibile stigmatizzazione sociale, elementi che giustificano la pretesa risarcitoria anche sotto il profilo del danno non patrimoniale.
Il risarcimento dei danni conseguenti alla violazione dei diritti della persona trova fondamento anzitutto nella Costituzione italiana, che agli articoli: art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, anche nelle formazioni sociali; art. 3 tutela il principio di eguaglianza e la pari dignità sociale; art. 13 sancisce l’inviolabilità della libertà personale, prevedendo che ogni restrizione debba essere disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge; art. 21 protegge la libertà di manifestazione del pensiero, spesso indirettamente incisa nei casi di trattamenti forzosi che comportano isolamento o silenziamento del soggetto.
Sul piano sovranazionale, i riferimenti fondamentali sono: la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in particolare: l’art. 3, che vieta ogni forma di tortura e trattamento inumano o degradante; l’art. 8, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare; la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che all’: art. 1 tutela la dignità umana come valore supremo; art. 3 riconosce il diritto all’integrità fisica e psichica; art. 7 garantisce il rispetto della vita privata e familiare.
Tali disposizioni impongono che ogni limitazione alla libertà personale – quale un TSO – sia strettamente necessaria, proporzionata, giustificata e accompagnata da rigorose garanzie procedurali. L’assenza anche di uno solo di tali requisiti comporta l’illegittimità del provvedimento, con conseguente obbligo risarcitorio.
In aggiunta alla lesione dei diritti fondamentali, viene in rilievo il danno alla salute, da intendersi non solo nella sua componente biologica (ossia la lesione dell’integrità psicofisica), ma anche nella più ampia accezione di compromissione dell’equilibrio esistenziale e del benessere della persona.
Il Codice civile riconosce espressamente il diritto al risarcimento dei danni derivanti da comportamenti illeciti: art. 2043 c.c.: obbligo di risarcire ogni danno ingiusto cagionato per fatto doloso o colposo; art. 2059 c.c.: riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale, comprensivo del cosiddetto danno biologico e del danno morale soggettivo; art. 185 c.p.: il danno causato da reato (quale può essere, ad esempio, la privazione della libertà personale al di fuori dei casi consentiti) è sempre risarcibile in sede civile.
Va inoltre richiamata la Legge n. 57 del 2001, che ha introdotto una disciplina specifica per la liquidazione del danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psicofisica suscettibile di accertamento medico-legale, anche indipendentemente da una compromissione reddituale. In tali casi, il danno deve essere valutato sulla base di parametri medico-legali (gradi di invalidità, età della vittima, etc.) e liquidato secondo tabelle elaborate dalla giurisprudenza.
In definitiva, il soggetto che abbia subito un TSO illegittimo può legittimamente domandare: il risarcimento dei danni patrimoniali, ove sussistano (ad es. perdita di lavoro, costi per cure post-traumatiche, etc.); il risarcimento dei danni non patrimoniali, in forma articolata: per lesione della libertà personale e dei diritti fondamentali; per danno alla salute fisica e psichica; per pregiudizio all’immagine e alla dignità personale, in quanto persona trattata ingiustamente come malata mentale, con possibili ripercussioni sociali, relazionali e professionali.
Il tutto in un quadro in cui la responsabilità dell’Amministrazione sanitaria e dell’autorità che ha disposto il TSO va rigorosamente verificata anche alla luce dei principi di legalità, proporzionalità e necessità, secondo un parametro di stretta conformità alla legge e alle convenzioni internazionali.
4. Risoluzione della questione
Secondo la sentenza in esame, la sottoposizione, contro la propria volontà, a trattamenti sanitari non consentiti e indesiderati, che consistono in una ingiustificata compressione del diritto inviolabile alla libertà personale, costituzionalmente garantita, può dar luogo a un danno risarcibile, indipendentemente dall’esistenza di danni alla salute. Oltre ai danni fisici, infatti, si configura anche un danno sotto il profilo della sofferenza e della perdita di considerazione sociale. La Cassazione sottolinea che la sottoposizione a misure di contenzione determina una sofferenza reale, manifestandosi come un danno dinamico-relazionale. Tali misure, infatti, devono essere utilizzate solo in extremis e temporaneamente, al fine di tutelare la sicurezza del soggetto interessato e delle persone con cui entra in contatto, e non per una mera gestione del paziente da parte della struttura sanitaria1.
Inoltre, nell’ordinanza in esame, la Cassazione esclude che la fragilità psichica o psicologica del paziente, sottoposto illegittimamente a TSO, possa costituire una condizione tale da escludere la responsabilità per le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito. La sofferenza e il pregiudizio nella sfera dinamico-relazionale devono essere valutati considerando la particolare condizione del soggetto danneggiato. Non si deve escludere a priori che la privazione della libertà possa comportare una sofferenza significativa, e l’indagine deve accertare anche in che misura il rapporto già eventualmente difficoltoso con gli altri della persona psicologicamente fragile sia stato danneggiato, nell’immagine e nella considerazione sociale, dalla sottoposizione al TSO successivamente dichiarato illegittimo.
A conclusione dell’ordinanza in esame, la Cassazione ribadisce che “i comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza come danno non patrimoniale, nelle sue componenti della sofferenza pura e del danno dinamico relazionale, anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica. Diversamente opinando si arriverebbe all’estrema, inaccettabile conseguenza, di affermare che gli episodi di violenza, di minaccia, di dileggio che si consumano a danno di persone psichicamente instabili o comunque che si collocano ai margini della società, e di illegittima privazione della libertà personale nei confronti di queste persone non producono mai alcun danno perché queste persone anche prima non godevano di elevata considerazione sociale o perché le stesse, avendo un equilibrio fragile e instabile, non sono in grado di avvertire il peso delle umiliazioni o di soffrire per la privazione della propria libertà.
1 Nella sentenza in esame la Cassazione riporta una sentenza della Corte Edu, Lavoragna c. Italia, del 7 novembre 2024 che ha recentemente condannato lo stato italiano per la sottoposizione di un paziente sottoposto a TSO, per diversi giorni, mediante un trattamento con cinghie di contenzione. Tali misure, secondo la Corte Edu sono utilizzabili solo nei casi in cui sia necessario evitare un danno, concreto ed imminente, al soggetto che sia ricoverato in una struttura ospedaliera e per il fatto che la pericolosità di questi non possa essere neutralizzata diversamente ossia con il ricorso a trattamenti clinici meno invasivi.
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Fabiana Cavicchia
Giurista.
Specializzata in Diritto Amministrativo presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, con tesi finale in Prevenzione della corruzione e trasparenza nella pubblica amministrazione.
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