Il valore della causa e la liquidazione delle spese: tra formalismo dichiarativo e principio del decisum
Sommario: 1. I fatti oggetto del giudizio – 2. Il principio del decisum nella liquidazione delle spese – 3. La dichiarazione del difensore e i suoi effetti: tra ininfluenza giuridica e rilevanza equitativa – 4. La compensazione delle spese e il nuovo volto dell’art. 92 c.p.c. – 5. Brevi osservazioni
La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, n. 13145 del 17 maggio 2025, affronta con rigore sistematico il tema della determinazione del valore della causa ai fini della liquidazione delle spese processuali. La Suprema Corte riafferma che la base per l’applicazione degli scaglioni tariffari non può essere individuata nelle dichiarazioni del difensore relative al contributo unificato, trattandosi di atti privi di valenza giuridica sostanziale ai fini del giudizio. L’articolo analizza il contenuto dell’ordinanza, il quadro normativo di riferimento (in particolare il D.M. n. 55/2014 e l’art. 10 c.p.c.) e le implicazioni sistemiche per la pratica giudiziaria e la difesa tecnica, soprattutto in sede di impugnazione.
Nel diritto processuale civile, il tema della liquidazione delle spese giudiziali rappresenta un crocevia tra equità, certezza del diritto e tutela del principio dispositivo. Il valore della controversia, rilevante non solo ai fini del contributo unificato ma anche per la determinazione dei compensi spettanti al difensore della parte vittoriosa, è spesso oggetto di contenzioso. In tale ambito si inserisce l’ordinanza n. 13145/2025 della Corte di Cassazione, che chiarisce il discrimine tra valore processuale effettivo del decisum e valore dichiarato ai fini amministrativi del contributo unificato.
1. I fatti oggetto del giudizio
La vicenda trae origine da un errore formale contenuto nell’atto di appello: la parte appellante aveva indicato un valore della controversia pari a € 1.200,71, limitatamente alla determinazione del contributo unificato. Tuttavia, l’impugnazione aveva ad oggetto solo un capo della sentenza di primo grado, relativo alla misura delle spese liquidate (€ 620 contro i € 310 richiesti). In sede di decisione, il giudice d’appello ha condannato l’appellante al pagamento delle spese secondo lo scaglione corrispondente al valore dichiarato (€ 1.378), e non secondo il valore effettivamente oggetto di impugnazione (€ 429,82). La ricorrente ha dunque proposto ricorso per cassazione, denunciando l’errata applicazione dei parametri di liquidazione, e ha chiesto la rideterminazione delle spese di lite, con distrazione a favore del proprio difensore.
2. Il principio del decisum nella liquidazione delle spese
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ribadendo un principio consolidato: il valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese, si determina in base all’effettivo oggetto del contendere e non alle indicazioni formali o amministrative fornite dal difensore.
La Corte ha distinto tra: giudizio di primo grado, ove il valore è pari alla somma domandata (se rigettata) o a quella accolta; giudizio di appello, ove il valore coincide con la parte della pretesa ancora oggetto di contestazione o, se l’appello è accolto, con la differenza tra quanto accordato in secondo grado e quanto riconosciuto in primo.
In tal modo, viene esclusa ogni rilevanza dell’indicazione fatta nell’atto d’appello ai soli fini del contributo unificato.
3. La dichiarazione del difensore e i suoi effetti: tra ininfluenza giuridica e rilevanza equitativa
Pur dichiarando l’irrilevanza della dichiarazione del difensore per la determinazione del valore della causa, la Corte ne riconosce una valenza fattuale sotto il profilo della regolazione delle spese. Infatti, un errore materiale di tale tipo può incidere sulle valutazioni del giudice e indurre una errata applicazione degli scaglioni tariffari, generando effetti distorsivi.
Da qui il principio affermato dalla Corte, ove la dichiarazione del difensore, attinente alla determinazione del contributo unificato, è ininfluente sul valore della domanda, ma, ove sia errata, può costituire una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese processuali dell’impugnazione proposta dalla parte che voglia emendare l’errore in cui ha indotto il giudice adito nella determinazione dello scaglione applicabile per liquidare le spese.
Si tratta di un punto di equilibrio tra due esigenze: da un lato, evitare che meri formalismi amministrativi condizionino l’equa liquidazione delle spese; dall’altro, impedire che dichiarazioni errate restino prive di conseguenze, specie se generano attività processuali aggiuntive.
4. La compensazione delle spese e il nuovo volto dell’art. 92 c.p.c.
L’ordinanza in esame consente anche di riflettere sul perimetro di applicabilità dell’art. 92, comma 2, c.p.c., secondo cui la compensazione può essere disposta per gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’errore della parte ricorrente, sebbene non doloso, sia stato tale da giustificare l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità. Non è equo che i costi dell’impugnazione, resa necessaria da un errore della parte, gravino sulla controparte che non ha nemmeno resistito all’impugnazione stessa. Ciò configura un’interpretazione evolutiva dell’art. 92 c.p.c., che valorizza la responsabilità processuale delle parti anche sotto il profilo delle dichiarazioni accessorie.
5. Brevi osservazioni
La pronuncia della Terza Sezione Civile si inserisce in una linea giurisprudenziale coerente con i principi di effettività, proporzionalità e ragionevolezza nella liquidazione delle spese. Il valore della causa non può essere deformato da meri elementi esterni, come le autodichiarazioni ai fini fiscali, le quali non integrano la “domanda” ai sensi dell’art. 10 c.p.c. D’altro canto, l’attenzione mostrata dalla Corte per gli effetti pratici di tali dichiarazioni — tanto da giustificare una compensazione integrale ex art. 92, co. 2, c.p.c. — segnala l’emergere di una giurisprudenza attenta alla qualità della difesa tecnica, alla buona fede processuale e al contenimento dei costi della giustizia.
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Riccardo Renzi
Funzionario della Pubblica Amministrazione a Comune di Fermo
Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo, membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Menabò, Notizie Geopolitiche, Scholia e Il Polo – Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti”, e Socio Corrispondente della Deputazione di Storia Patria per le Marche. Ha all'attivo più di 500 pubblicazioni tra scientifiche e di divulgazione, per quanto concerne il diritto collabora con Italia Appalti, Altalex, Jus101, Opinio Juris, Ratio Iuris, Molto Comuni, Italia Ius, Terzultima Fermata e Salvis Juribus.
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