Rimborso IRAP, il giudice tributario è obbligato ad indagare sulle spese

Rimborso IRAP, il giudice tributario è obbligato ad indagare sulle spese

Il giudice tributario, chiamato a decidere sul silenzio- rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate alla domanda di rimborso Irap da parte di un professionista, è tenuto obbligatoriamente ad effettuare un’indagine sulla tipologia delle spese dallo stesso sostenute al fine di verificare la loro eventuale correlazione con l’attività professionale svolta. E, quindi, verificare se sussista o meno il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini Irap. Questo è il principio di diritto affermato dalla V Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione nell’Ordinanza n° 22718/2020 depositata in cancelleria lo scorso 20 ottobre 2020.

I fatti di causa. La pronuncia degli Ermellini in commento deriva da un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la Commissione Tributaria Regionale della Campania che aveva deciso a favore del contribuente, ribaltando la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli. Quest’ultima si era pronunciata a favore dell’Agenzia delle Entrate e aveva rigettato il ricorso del contribuente sul silenzio- rifiuto dell’amministrazione finanziaria al rimborso di alcune annualità Irap ritenute non dovute.

Per la Commissione Tributaria Regionale della Campania il professionista – contribuente aveva ancora la possibilità di richiedere il rimborso, nonostante la domanda fosse stata inoltrata all’Agenzia delle Entrate dopo più di 4 anni dalla dichiarazione Irap e dal relativo versamento operato dal contribuente. Inoltre, la CTR della Campania aveva ritenuto insussistente in capo al professionista il requisito dell’autonoma organizzazione quale presupposto impositivo dell’Irap. E ciò nonostante avesse, in maniera alquanto contraddittoria, affermato nella stessa motivazione della decisione che, in un primo momento, il professionista si fosse avvalso, anche se in misura limitata, dell’ausilio di alcuni dipendenti o collaboratori. Salvo, poche righe dopo, affermare che lo stesso contribuente avesse svolto la sua attività professionale in totale assenza di personale dipendente. Di conseguenza, contro tali decisioni l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione.

La decisione della Corte. La Suprema Corte di Cassazione ha deliberato per l’accoglimento del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate. Infatti, in merito al trascorrere del termine di 4 anni per la domanda di rimborso, gli Ermellini hanno richiamato un loro consolidato orientamento. Questo afferma, infatti, che “in tema di rimborsi indebitamente corrisposti il termine di decadenza di quarantotto mesi, previsto dall’articolo 38 del DPR 602/1973 in tema di rimborso di versamenti diretti, decorre dalla data di versamento, indipendentemente sia dalla data di presentazione della dichiarazione sia da quella di scadenza del termine ultimo normativamente previsto per il versamento del saldo”. Nel caso di specie, era indubbio e non contestato che le imposte versate si riferivano a ben più di 4 anni indietro rispetto alla domanda di rimborso che era stata inoltrata dal professionista nel 2011.

Per quanto riguarda, invece, il requisito dell’autonoma organizzazione, la V Sezione Civile richiama la definizione fornita dalle stesse Sezioni Unite del Supremo Collegio nella Sentenza n° 9451 del 10 maggio 2016. In tale famosa pronuncia si ribadisce che il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione sussiste in due casi. In primo luogo, quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferite ad altrui responsabilità od interesse. E, in secondo luogo, impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, oppure si avvalga in modo non occasionale del lavoro altrui superando la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria o meramente esecutive. L’onere della prova della mancanza dell’autonoma organizzazione, ovviamente, spetta al contribuente.

La Cassazione chiarisce, poi, che per quanto riguarda il requisito dell’impiego non occasionale del lavoro altrui, esso può essere desunto anche verificando l’entità dei compensi corrisposti a terzi soggetti. Tali compensi, inoltre, devono essere correlati allo svolgimento di prestazioni non occasionali afferenti all’esercizio dell’attività del soggetto passivo d’imposta. Da ciò, secondo i giudici di legittimità, deriva la necessità di un’indagine da parte del giudice tributario sull’entità e la tipologia delle spese che punti a verificare ed accertare l’eventuale correlazione delle mansioni svolte da collaboratori o dipendenti con l’attività svolta dal professionista contribuente.

Nel caso di specie, il Supremo Collegio rileva come tale indagine da parte della CTR della Campania sia mancata del tutto. Per tale via, la Commissione Tributaria Regionale ha errato non valutando debitamente la prova, in capo al contribuente, della mancanza o meno di un’autonoma organizzazione quale presupposto impositivo dell’Irap. Da ciò l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate e la cassazione della sentenza impugnata.


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