Breve storia sulla vita del Cardinale De Luca, teologo liberale ottocentesco e “papa mancato”

Breve storia sulla vita del Cardinale De Luca, teologo liberale ottocentesco e “papa mancato”

Alla “nonna” Carmela e alla sua “moneta d’oro”, ispiratrice della stesura del presente lavoro

Sommario: 1. Gli anni di formazione di un giovane e brillante studioso – 2. Il sacerdozio e l’ascesa alle alte cariche pontificie – 3. La carriera diplomatica tra la Baviera e l’Austria – 4. Il Cardinalato e i conclavi, un “papa mancato”

1. Gli anni di formazione di un giovane e brillante studioso

Antonino Saverio De Luca, nacque a Bron­te da Vincenzo e Francesca Saitta, ultimo di dieci figli, il 28 Ottobre 1805. La sua era una famiglia della piccola borghesia terriera dell’entroterra siciliano, e proprio per ragioni economiche i genitori avevano prefigurato per lui una carriera ecclesiastica. Venne battezzato nello stesso giorno della nascita da don Saverio Raimondo nella chiesa della SS. Trinità della cittadina alle pendici dell’Etna[1].

Iniziò gli studi a Bronte nel Real Collegio Capizzi, nel 1816 su spinta dei genitori per poi trasferirsi presso il seminario di Monreale per dare inizio alla propria carriera di prelato. Nella cittadina palermitana oltre a studiare con profitto le materie teologiche ebbe modo di imparare sia le lingue classiche come il greco e il latino quanto le lingue moderne come l’inglese, il francese e il tedesco. Tale predisposizione per lo studio linguistico, quasi in maniera premonitrice, si rivelerà di fondamentale importanza per la sua futura carriera di alto diplomatico pontificio.

Non sentendosi, tuttavia, ancora pronto per il sacerdozio, continuò la sua formazione e nel 1826 vinse il premio Di Giovanni che assegnava un legato di 1.000 scudi al giovane siciliano che eccellesse tra una cerchia di dieci partecipanti con una miglior preparazione in latino, greco, italiano, storia sacra e storia siciliana. In seguito rimase a Palermo per completare la propria formazione culturale, trovando anche un buon impiego come istitutore privato per i rampolli delle famiglie più facoltose del capoluogo siciliano.

Nel 1827 si trasferì a Napoli con l’idea di farne una tappa provvisoria per un progressivo avvicinamento a Roma, ma, non avendo trovato appoggi economici favorevoli, dovette tornare a Palermo; della città eterna lo attirava soprattutto la possibilità che essa offriva a chi, come lui, aspirava ad intraprendere una carriera nella diplomazia pontificia. Continuò pertanto a prepararsi con lo studio restando in “provincia”, senza poter contare sulle tradizioni e la disponibilità economica delle famiglie dell’altissima nobiltà capitolina e per di più senza aver frequentato i corsi dell’Accademia dei nobili ecclesiastici.  A tali carenze il giovane De Luca supplì con una strenua ambizione e volontà, tant’è che nel dicembre del 1829, provveduto di lettere di presentazione per monsignor Grassellini e per i cardinali De Gregorio e Arezzo, si decise definitivamente a partire alla volta di Roma.

L’esordio capitolino non fu per nulla facile: l’ambiente, non particolarmente evoluto, respingeva gli estranei o ne diffidava, e per esservi ammesso il futuro cardinale prese a muoversi nella dimensione che gli era congeniale, quella culturale, cominciando a scrivere articoli su temi di attualità e cercando di accreditarsi come difensore della religione dagli attacchi cui la esponevano le moderne teorie filosofiche o estetiche.

È proprio a Roma che nel 1830 pubblicò un lungo saggio di riflessioni critiche Sulla pretesa attitudine del politeismo a preferenza del culto ebreo e cristiano ad incivilire i popoli e a render le bell’arti fiorenti… in risposta ad un nuovo saggio critico di un anonimo sul Genio del Cristianesimo, inserito nella Rivista enciclopedica di Parigi, tom. XXXIX, luglio 1828: come chiariva il lungo titolo, si trattava di una puntigliosa confutazione della tesi che aveva attribuito alla mitologia greca capacità di evocazione fantastica e poetica. Nello specifico l’autore polemizzando con tale tesi rivendicava alle religioni monoteistiche una inconfutabile “attitudine a spargere e far tra’ popoli germogliare i semi della civiltà e della vera socievol cultura”.

Le doti dialettiche palesate in questo primo lavoro unitamente a una personalità già matura se non del tutto compiuta fornirono al giovane De Luca un buon lasciapassare per il mondo della pubblicistica cattolica, in quegli anni impegnata, al di là delle occasionali dispute teoriche, soprattutto nella difesa dell’assolutismo e nella sua riaffermazione. Ammesso nell’Arcadia venne chiamato a collaborare ad alcuni periodici, tra i quali il Giornale arcadico di Roma o il Nuovo Giornale dei letterati di Pisa, con articoli stesi prevalentemente in forma di recensione, il De Luca continuò un carattere più marcatamente politico ai propri interventi, anche se in famiglia c’era chi, come il fratello Placido, più tardi professore di economia politica a Napoli e dopo l’unificazione deputato al Parlamento italiano, gli consigliava di non scoprirsi eccessivamente per difendere ideali che venivano ripugnati dalla maggioranza dell’opinione pubblica colta. Ascoltandolo almeno in parte, fece uscire sotto anonimato un altro corposo saggio Sulla eccessiva diffusione e lettura delle gazzette francesi in Italia, che, ospitato nel primo fascicolo della Voce della ragione di Monaldo Leopardi (1832), al modello francese propagandato dalla stampa d’Oltralpe di una società caotica turbolenta, anarcoide, pervasa di principi deleteri quali quello della sovranità nazionale, contrapponeva il vagheggiamento di un ideale legittimistico dove il monarca fosse assoluto, la Chiesa rispettata, ogni progresso frutto non di uno strappo rivoluzionario ma di una lenta evoluzione.

Notevole è che in questo scritto, pur di esorcizzare lo spettro di un’Italia esposta al corruttore influsso della stampa transalpina e quindi devastata da una rivoluzione che, a suo dire, avrebbe fatto solo il gioco della Francia, il De Luca non esitava a fare l’apologia del riformismo settecentesco da una parte esaltando personaggi come Bernardo Tanucci per la sua lotta contro il feudalesimo meridionale o come Vittorio Amedeo III di Savoia per i limiti imposti alla “eccessiva potenza de’ nobili”, dall’altra rievocando con accenti nostalgici il grande rigoglio culturale dell’Italia del ‘700 e la funzione trainante esercitata in Lombardia ed a Parma dal pensiero dei philosophes.

Questo ed altri elementi del saggio del De Luca dimostravano che egli non era in tutto e per tutto assimilabile agli scrittori di tendenza reazionaria operanti prevalentemente in città come Modena e Pesaro. Proprio su un fascicolo successivo della Voce della ragione apparve una lettera anonima Ai signori redattori che polemizzava con gli spunti anti-aristocratici presenti nello scritto additandoli come convergenti con quelle tesi rivoluzionarie che pure si pretendeva di combattere. Non è difficile rintracciare nel giovane abate siciliano i segni d’una irrequietezza intellettuale che in quegli stessi anni, cioè all’indomani della rivoluzione del 1830, lo spingeva a coltivare altri e differenti tipi di ricerca, di natura più teologica, intrattenendo una breve relazione epistolare con Félicité de Lamennais, da lui conosciuto di persona a Roma nel 1832, nel periodo in cui questi, gettava le basi teoriche del cattolicesimo liberale e dalle colonne dell’Avenir predicava l’urgenza di un rinnovamento della Chiesa in senso antiautoritario[2]. Dimentico di avere appena tuonato contro gli effetti delle pubblicazioni francesi, nel marzo del 1833 il De Luca si felicitava col de Lamennais della diffusione dei suoi scritti in Italia e si augurava che la sua meditazione filosofica non lo portasse fuori della Chiesa: quando, nel 1834, ciò avvenne, i rapporti tra i due si interruppero e il teologo siciliano non dette seguito all’intenzione, preannunziata in un’altra lettera dell’ottobre del 1832, di recarsi in Francia a studiare teologia col Lamennais.

La rinunzia a tale proposito lo ricondusse alla scienza pubblicistica con lo sforzo di tracciare il quadro di uno sviluppo storico universale in cui la Chiesa, il Papato, il cattolicesimo erano presentati come fattori di progresso, di difesa degli umili, di liberazione degli oppressi; applicato all’Italia tale criterio interpretativo lo indurrà a sostenere, in una conferenza tenuta il 23 luglio 1835 presso l’Accademia di religione cattolica, che il Papato non aveva in passato diviso la penisola ma l’aveva salvata dai pericoli esterni, aveva costituito prima un “principio di assimilazione morale”, quindi, dopo Carlo Magno, un “principio di equilibrio politico”, infine un “principio di unione” (De’ vantaggi che i romani pontefici hanno arrecato alla condizione politica de’ popoli italiani, Roma 1835). L’area di maggior interesse per il De Luca, che sembrava meglio testimoniare la funzione positiva esercitata dal cattolicesimo sul piano storico, era quella anglosassone dove la voce di Roma da secoli arrivava flebile e viveva tra mille contrasti: una Storia del cattolicesimo in Irlanda, a cui lavorò per diversi anni, non vide mai la luce, ma il bisogno di documentarsi lo mise in contatto con il cardinale Thomas Weld, a cui fece da segretario tra il 1833 e il 1836; grazie al cardinale inglese entrò negli ambienti più aperti di tutta la cultura cattolica, spingendolo a riflettere sull’arretratezza dell’ambiente romano, povero di iniziative adeguate nel campo della ricerca e della divulgazione e spesso addirittura ostile, e sulla necessità di metterlo al passo con le più progredite città europee.

2. Il sacerdozio e l’ascesa alle alte cariche pontificie

All’età di trenta anni, fonda a Roma nel 1835 la prestigiosa rivista bimestrale “Annali delle scienze religiose”, che curò e diresse personalmente nel primo decennio di vita. Tale rivista, che ebbe un notevole successo, offriva al mondo cattolico articoli, estrat­ti originali di opere, notizie di ogni nazione, memorie di varie accademie, disposizioni pontificie, decreti di Sacre Congregazioni, bevi biografie ed annunzi bibliografici. Il 10 febbraio del 1839, ricevette l’ordinazione sacer­dotale dal patriarca di Antiochia Antonio Piatti nella sua cappella pri­vata di Roma. Un anno dopo l’Università cattolica di Lovanio nel Belgio gli conferì la laurea in sacra teologia ad honorem, cameriere segreto del papa nel 1843, l’8 dicembre1845 fu consacrato vescovo e inviato a reggere la diocesi di Aversa previa approvazione di Ferdinando II, anch’egli lusingato dal prestigio che il De Luca si era guadagnato come uomo di profonda dottrina.

Ultima opera di un certo rilievo della sua attività pubblicistica era stata una dissertazione, letta all’Accademia di religione cattolica il 28 luglio 1842, sul Cattolicesimo e i sistemi socialisti considerati ne’ loro rapporti colla condizione economica de’ popoli (Roma 1843), dove il desiderio di confrontare la posizione della Chiesa con il socialismo umanitario portava l’autore a condannare, ancora una volta in sintonia con le tesi dei conservatori, non solo pensatori come Saint-Simon, Fourier, Owen e le loro utopie più o meno collettivistiche ma la stessa idea di rivoluzione industriale, i nuovi rapporti di produzione, l’ordinamento sociale che ne conseguiva e, insomma, tutto il pensiero economico classico cui il De Luca contrapponeva il magistero morale della Chiesa, l’avversione per “l’egoismo mercantile”, un modello di società fondata sul solidarismo e sulla carità e attenta a sviluppare le risorse agricole più che la produzione industriale.

L’episcopato distolse completamente il De Luca dalla saggistica e lo costrinse a lasciare gli Annali che, diretti da G. Arrighi, si pubblicarono fino al 1854. Ad Aversa tuttavia portò un certo fervore innovativo teso a vivificare il tono della diocesi con cicli di conferenze morali, l’apertura di un seminario per i giovani e il completamento di un refettorio diocesano. Queste ed altre iniziative pastorali lo resero popolare e, soprattutto, gli conferirono l’autorità necessaria per portare a Ferdinando II alcune richieste dell’episcopato campano (1849) e, successivamente, per guidare a Napoli una missione incaricata di trattare la limitazione dell’autonomia del Tribunale della monarchia sicula dall’autorità di Roma (1852-53). La missione fallì, ma l’alto prelato siciliano rivelò qualità di negoziatore tali da indurre Pio IX a promuoverlo arcivescovo di Tarso il 22 dicembre 1853 e contemporaneamente ad inviarlo come nunzio pontificio nel Regno di Baviera, carica che assunse il 24 dicembre del medesimo anno.

3. La carriera diplomatica tra la Baviera e l’Austria

Si aprì così una lunga parentesi nella vita del cardinale De Luca che rimase in diplomazia per dieci anni[3].  Dapprima con una significativa esperienza a Monaco di Baviera alla corte di Massimiliano II, il periodo trascorso nel regno bavarese gli servì per prendere confidenza col mondo cattolico germanico, è però importante la successiva e più prestigiosa nunziatura a Vienna nomina di cui venne investito il 9 settembre del 1856.

Nella capitala dell’impero austriaco, alla corte di S.M.I. Francesco Giuseppe il De Luca rimase fino al 1863, un settennio in cui, pur muovendo da una situazione iniziale molto positiva quale quella aperta dal concordato del 1855, i rapporti tra Austria e Stato pontificio si trovarono presto a subire i contraccolpi dell’alterazione degli equilibri europei derivata dal mutato assetto della penisola italiana negli anni 1859-61. Da Vienna il D. si sforzò di far capire al segretario dello Stato Pontificio Antonelli che l’Austria, per quanto desiderosa di sostenere le ragioni del Papato, doveva fare i conti con una difficile situazione interna che era il prodotto del declino inarrestabile dell’idea imperiale e sovranazionale, da essa impersonata, di fronte al prevalere di forti tendenze centrifughe quali, da un lato, l’ostilità delle popolazioni ungheresi e, dall’altro, la fine della dominazione sulla Lombardia. Questo pessimismo di fondo e un certo naturale distacco gli impedirono inizialmente di riversare nella difesa degli interessi temporali della Chiesa il fanatismo proprio di altri ecclesiastici, al punto che uno storico cattolico, il Pirri, ha scritto di lui che “si dimostrò assolutamente impari all’altezza del suo compito” e che l’Antonelli dovette “servirsi di frasi anche dure e pungenti per spronare la sua innata indolenza”. Le sollecitazioni dell’Antonelli a dispiegare maggiore energia furono in realtà giustificate fino al dicembre del 1859, quando apparve l’opuscolo del visconte de La Guéronnière su Le pape et le congrés: dopo di allora il cardinale siciliano si fece molto più battagliero, e qualche diplomatico straniero si sorprese a vederlo ora “très ému”, ora “presque violent, j’allais dire presque menaçant” nella difesa dei diritti della S. Sede. In effetti l’alto prelato, oltre a sollecitare da tutti i vescovi dell’Europa cattolica indirizzi di solidarietà al papa, non esitò a consigliare a Roma di accettare animosamente la lotta puntando sul sostegno delle potenze conservatrici e cercò anche di portare al servizio del Papato le truppe dei deposto duca di Modena, in una anticipazione di quella che sarebbe stata la linea, ostile all’Antonelli, del cardinale de Mérode.

Al di là di tutto c’era però nel De Luca la convinzione che la Chiesa fosse solo uno degli elementi di un quadro che coinvolgeva tutta l’Europa in una fase di cambiamenti storici: sullo sfondo egli scorgeva infatti la crisi dell’assolutismo, e la stessa avversione da lui manifestata contro l’orientamento nazionalistico del clero ungherese, i cui problemi aveva conosciuto da vicino in un lungo viaggio nell’autunno del 1858, denunziava il timore che ogni indebolimento della posizione austriaca si traducesse automaticamente in un indebolimento della Chiesa.

4. Il Cardinalato e i conclavi, un “papa mancato”

La nunziatura a Vienna precedeva usualmente la promozione al cardinalato, seppur con qualche ritardo dovuto all’insoddisfazione della segreteria di Stato, il De Luca l’ottenne il 16 marzo 1863. Il ritorno a Roma lo riportò ad occupazioni meno politiche, aveva conservato fama di uomo di scienza; fama che fu consolidata dal conferimento della prefettura della congregazione dell’Indice avvenuta il 28 dicembre 1864. In tal veste il cardinale, che già a Vienna aveva conosciuto i più bei nomi dell’aristocrazia europea, e non solo di quella intellettuale, era un interlocutore naturale di quanti, soprattutto stranieri, visitavano Roma, sempre traendo dagli incontri con lui impressioni molto favorevoli per il suo moderatismo. Presto si parlò di lui come di uno degli esponenti di punta della corrente liberale in seno al Sacro Collegio[4].

Tornò in primo piano quando, durante il concilio Vaticano I, tra i cinque cardinali incaricati di presiedere a turno le sedute, si palesò come il più aperto alle istanze della minoranza anti-fallibilista e si impegnò a sostenerne in qualche misura le posizioni; si disse anche che il papa, infastidito per il suo anticonformismo a volte eccessivamente ostentato, meditasse di sostituirlo, cosa che poi non avvenne, ma che rafforzò l’opinione che negli ambienti liberali lo faceva ritenere uno dei candidati da preferire per la successione a Pio IX. Allo stesso modo si fece il suo nome nel 1876 quando, scomparso l’Antonelli, si attese la scelta di un nuovo segretario di Stato.

Nel 1878, dopo la morte di Pio IX, il De Luca non diede gran prova della duttilità che gli veniva da più parti riconosciuta e insistette perché, in segno di sfiducia verso lo Stato liberale e la legge delle guarentigie, il conclave si tenesse all’estero. Non fu difficile fargli cambiare parere, e nelle due votazioni che precedettero l’elezione del cardinale Gioacchino Pecci, il De Luca raccolse qualche suffragio di stima.

Leone XIII mostrò subito di tenerlo in grande considerazione nominandolo, nel concistoro del 15 luglio 1878, vicecancelliere di S. Romana Chiesa, preconizzandolo vescovo suburbicario di Palestrina, creandolo commendatario di S. Lorenzo in Damaso e ponendolo alla testa della congregazione degli Studi, nomina avvenuta il 13 agosto 1878[5]. In omaggio all’autorità derivatagli da tale incarico il cardinale, che sul finire del 1879 era stato consultato per la fondazione della Accademia tomistica, fu chiamato, con motu proprio del 18 gennaio 1880, a far parte della commissione di tre cardinali incaricata di curare l’edizione completa delle opere di S.Tommaso[6].

Il 18 agosto 1883 il papa gli comunicava con una lettera l’apertura agli studiosi dell’Archivio e della Biblioteca apostolica Vaticana ma da tempo malato, il cardinale non fu neanche in grado di valutare l’importanza della novità con cui si mirava a rilanciare una seria cultura storica di matrice cattolica anche in risposta alla scienza laica e ai suoi veleni.

Il De Luca si spense il 29 dicembre 1883 a Roma, dove fu sepolto al Verano, un patrimonio ingentissimo fu lasciato ai suoi nipoti[7]; qualche anno più tardi, grazie a parte del legato, gli fu eretto un superbo monumento funebre a S. Lorenzo in Damaso, ancora oggi visibile.

 

 

 

 

 


[1] Numerose sono le biografie del cardinale, la più completa, in parte condotta su documentazione originale, è quella di B. Radice, Due glorie sicilianeI fratelli De Luca, Bronte 1925; cfr. inoltre: G. M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, pp. 532 ss.; G. De Luca, Storia della città di Bronte, Milano 1883, pp. 270-276, 356 s.; L. Boglino, La Sicilia e i suoi cardinaliNote stor., Palermo 1884, pp. 94-98. Dati sulla carriera ecclesiastica del D. in R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VII-VIII, Patavii 1968-78, ad Indices.
[2] R. Carmignani, Simpatie lamennesiane nella cittadella cattolica, in Il Risorgimento, XII (1960), pp. 91 s.; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell’Ottocento, Roma 1963, ad Indicem;F. Gregorovius, Diari romani, a cura di A. M. Arpino, Roma 1967, ad Indicem; La questione italdalle annessioni al Regno d’Italia nei rapporti fra la Francia e l’Europa, s. 3, 18481860, I, a cura di A. Saitta, Roma 1968, ad Indicem;G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano 18701901, Milano 1971, ad Indicem;N. Roncalli, Diario romano, a cura di M. L. Trebiliani, I, Roma 1972, ad Indicem;Ch. Weber, Quellen und Studien zur Kirche und zur vatikanischen Politik unter Leo XIII…, Tübingen 1973, ad Indicem; Doccdiplit., s. 2, Il (1º genn.-30 giugno 1871), e VI (1ºgenn187524 marzo 1876), Roma 1966 e 1978, ad Indices.
[3] Il materiale documentario relativo alle nunziature del D. in Baviera e in Austria è conservato in Arch. segr. Vaticano, rispettivamente nell’Archivio della nunziatura di Monaco, buste 85-91, e in quello della nunziatura di Vienna, voll. 373-431a. In Vaticano sono anche conservate, nel fondo Spogli dei cardinali, 3 buste intestate al D. contenenti documentazione varia (corrispondenza privata, carte delle nunziature, relazioni manoscritte, registri e inventari, lettere d’ufficio) di un certo interesse. Due lettere del D. al Lamennais sono custodite nella Bibl. dell’Ist. per la storia del Risorg. di Roma, b. 171/32; altre, a vari destinatari, in Bibl. ap. Vaticana, RaccFerrajoliVisconti, nn. 2434-40. I principali dispacci da Vienna sono editi in molteplici raccolte di fonti: in partic. si vedano P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele dal loro carteggio privato, II, La questione romana 185664, Roma 1951, ad Indicem;L. Lukics, The Vatican and Hungary 18461878Reports and correspondence on Hungary of the apostolic nuncios in Vienna, Budapest 1981, ad Indicem;I. Dumitriu Snagov, Le SaintSiège et la Roumanie moderne 18501866, Roma 1982, ad Indicem; Il carteggio AntonelliDe Luca 18591861, a cura di C. Meneguzzi Rostagni, Roma 1983.
[4]  – “sans cependant qu’il ait donné des epreuves de la consistence des sentiments qu’on lui prête”, notava un consulente dell’ambasciata francese a Roma all’inizio del 1863 (Weber, Kardinäle…, II, p. 656) – ma probabilmente si equivocava su di un atteggiamento come il suo che metteva in subordine le vicende politiche rispetto al più vasto campo degli interessi culturali e spirituali. Ma, anche da questo lato, il D., si era come adagiato in un placido ozio, che qualcuno diceva provocato da un ottundimento delle capacità mentali, e non produceva più nulla, lasciando invece molto spazio alla vita di società.
[5] R. De Cesare, Il conclave di Leone XIII, Città di Castello 1887, pp. 162, 186, 194, 196, 202, 273 s., 289, 305, 307, 382; A. Battandier, Le cardinal J.-BPitra évêque de Porto…, Paris 1893, pp. 397 ss.; E. Soderini, Ilpontificato di Leone XIII, Milano 1932, ad Indicem;
[6] Nonostante che all’origine del progetto si potesse vedere l’esigenza, dal De Luca molto avvertita negli anni della giovinezza, di mettere d’accordo scienza e religione, l’incarico fu accolto con scarso entusiasmo e il risultato che se ne ebbe fu tardivo e qualitativamente assai mediocre.
[7] Donna Carmela Gullotti di Ucria, nipote del cardinale brontese e trisavola di chi ha scritto il presente articolo ricevette dall’alto prelato brontese una moneta d’oro con l’effige di Pio IX che ancora oggi è custodita dalla famiglia Zito.

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Agostino Zito

Dopo aver conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza, marzo 2019, presso l'Università degli studi di Enna "Kore" ha condotto studi approfonditi sulla storia del diritto medioevale e moderna ed in particolar modo sul periodo costituzionale e rivoluzionario della Sicilia nell'ottocento, ulteriori temi di ricerca sono stati lo ius feudale siculo e il diritto nobiliare. Da gennaio 2020 è assistente presso l'Università degli studi di Messina in Storia del diritto, da Ottobre 2022 è dottore di ricerca con borsa presso il dipartimento di Scienze Politiche, cattedra di Storia delle Istituzioni sempre all'interno dell'ateneo peloritano. Dalla primavera del 2019 ricopre il ruolo di consulente legale presso la Società agricola Zito, storica azienda agricola di famiglia. Post laurea ha seguito un master in english for business a Cambridge (UK), giugno - luglio 2019; un master part - time sul diritto agroalimentare presso la business school del Sole 24 ore sede di Milano, ottobre - dicembre 2019; ed un E- Course in agribusiness erogato dalla University of Adelaide (Australia), marzo 2021. Da settembre 2021 è autore di contributi scientifici con la rivista Salvis Juribus.

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