Buone prassi minorili: il caso della Corte di Appello di Trento

Buone prassi minorili: il caso della Corte di Appello di Trento

La recentissima ordinanza della Corte di Appello di Trento depositata il 23 febbraio 2017  ha affermato per la prima volta in tema di unioni civili il principio internazionale, ormai codificato nel nostro ordinamento del the best interest of the child a tutela del diritto del minore alla bi genitorialità.

In una prospettiva di una cultura giuridica minorile puerocentrica di difficile attecchimento nelle corti minorili italiane[1]è stato affermato in concreto il preminente e superiore interesse del minore di cui all’art. 3 della Convenzione di New York, su tutti gli interessi in gioco nei procedimenti che riguardano i minori, collocandoli come soggetti di diritto nell’agone giudiziario, come contemplato dalla Convenzione Europea di Strasburgo del 1996 sull’esercizio del diritto del minore e dall’art. 8 II co. della Cedu che statuisce il rispetto della vita privata e familiare.

L’art. 8 in particolare sancisce che le autorità giurisdizionali e legislative non possono compiere nell’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ingerenze che non siano previste dalla legge e siano misure quantomeno necessarie per motivi di pubblica sicurezza per il benessere economico per la protezione della salute della morale o per tutti i diritti fondamentali.

Un caso positivo quello di Trento che si può dire allora dia segnali che la cultura giuridica dell’infanzia in Italia sebbene, con ancora difficoltà in casi eccezionali, come il caso delle situazioni di abusi e conflitto genitoriale nelle separazioni e nei divorzi, stia cominciando in diverse corti di merito italiane, a divenire la regola, seguendo il trend ormai consolidato della giurisprudenza europea.

Orbene, l’ordinanza di Trento ha riconosciuto, – nell’ambito di un procedimento di riconoscimento di sentenze straniere,  in favore da una coppia di due padri-genitori di due gemelli grazie alle tecniche di pma, – a norma dell’art. 67 della L.218 /1995 il dovere di trascrivere in Italia da parte dell’Ufficiale di Stato Civile il certificato di nascita dei due gemellini nati, mediante il ricorso all’ utero in affitto di una donatrice.

Il certificato è stato ottenuto a seguito di provvedimento giudiziale emesso dalla Superior Court of Justice Inglese prima nei confronti dell’unico genitore che aveva riconosciuto i gemelli alla nascita, inseguito al disconoscimento della madre biologica-donatrice, poi, in seguito, sempre con provvedimento giudiziale anche l’altro padre, convivente procedeva all’adozione, quale “genitore sociale” dei due bimbi.

In Italia, la coppia si rivolgeva all’Ufficiale di Stato civile, il quale si trovava a respingere la richiesta della coppia di genitori che si erano presentati presso l’Ufficio pubblico per trascrivere il certificato di nascita. L’Ufficiale di Stato Civile adduceva che il motivo del rifiuto di riconoscere i piccoli come figli legittimi della coppia, fosse la contrarietà all’ordine pubblico, invocando ad uopo la legislazione nazionale che permette il riconoscimento dello status filiationis solo a genitori di sesso opposto.

Il Collegio giudicante ha dato ragione ai ricorrenti.

Il provvedimento della  Corte di Appello di Trento ha in sostanza aderito ai principi normativi e all’orientamento giurisprudenziale internazionale ed europeo in materia.

Il caso in breve. La coppia si era recata all’estero , in Inghilterra, per poter esaudire il loro diritto alla genitorialità stante la loro condizione di unione stabile, che però non gli permetteva in Italia di soddisfare pienamente il loro desiderio di piena realizzazione di una famiglia.

Essi potevano ricorrere così, – in assenza di discriminazioni e divieti espliciti posti dalle legislazioni statali nei confronti dello loro status civile, – alle tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero.

Qui la novità. L’autorità giudiziaria di merito italiana avrebbe affermato che anche laddove un provvedimento giurisdizionale straniero sarebbe contrario all’ordine pubblico, in particolare, alla legge italiana la c.d. legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, la quale ad horas vieta la maternità surrogata, per cui in caso di differenti interpretazioni di materie da parte delle normative degli Stati, non si può impedire il riconoscimento di uno status già  legalmente ottenuto all’Estero, da un altro Giudice.

Ciò detto a tutela dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana la quale deve essere rispettata a prescindere dalle interpretazioni legislative della legge ordinaria legate spesso ai contesti storici e politici.

Tali principi fondamentali di non discriminazione, di uguaglianza dei figli e della famiglia ossia devono trovare comunque applicazione nell’ordinamento italiano, poiché agli Stati è lasciata la libertà di espressione e discrezionalità di inquadrare una materia da un punto di vista giurdico, In special modo nei casi della sfera più intima, privata  della persona, che pongano dilemmi etici che coinvolgano anche il sentimento religioso ( come la Legge 40/2004 tra l’altro già oggetto di tante critiche e scalpore,  su più parti e della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 con la Sent. n. 164/2014 a proposito del divieto di fecondazione eterologa).

Inoltre, la Corte di Appello avrebbe affermato con riguardo all’ordine pubblico, che questo principio deve essere declinato rispetto alle concrete esigenze del caso.

Esigenze ravvisabili nell’avvenuto consolidamento dei rapporti formatosi nel nucleo familiare dei ricorrenti (i due genitori-padri),  da quel legame concreto creatosi tra i due padri e i gemelli fin dalla loro nascita, quindi con i parenti, amici e tutta la rete di legami sociali creati in quegli anni.

Con riguardo al fattore-tempo sarebbe stato rilevante infatti per le Giudici del Collegio il fatto che al momento del ricorso i  due gemelli avessero 6 anni.

Per sei anni “la famiglia” sarebbe stata costituita dalla coppia gay, recentemente riconosciuta formalmente dal legislatore italiano ( dalla legge n. 76/16 sulle Unioni civili); i due bimbi hanno vissuto costruendo dei legami di affetto e di reciprocità propri di uno status filiationis legittimamente acquisito in un paese estero, e sarebbero stati riconosciuti come tali anche nell’ambiente sociale in cui hanno vissuto.

Peraltro, il favor filiationis come è stato riconosciuto dalla Corte di Appello costituisce il presupposto del diritto alla continuità dei rapporti familiari intessuti dei due minori nell’ambiente in cui sono nati e cresciuti, ovvero l’unico che riconoscessero da sempre previsto espressamente dagli artt.13 co.III ed artt. 33 co. I e II.

Lo status di figlio legittimamente acquisito all’estero, non può essere messo in secondo piano rispetto al fatto che il mezzo attraverso cui egli è nato costituisca una violazione delle prescrizioni normative ( il divieto di maternità surrogata di cui alla legge n.40/2004.

Tanto più  che la Corte di Appello nelle sue argomentazioni in diritto precisa pure che non riconoscere nei confronti di quei minori lo status filiationis acquisito e concreto avrebbe generato delle discriminazioni con altre forme di status già contemplate dal nostro ordinamento, come le adozioni in casi particolari ( come l’adozione dei single) di cui all’art. 44 della legge 149/2001.

In conclusione, il principio che deve derivarne è che il diritto fondamentale del figlio ormai nato, il suo superiore interesse deve trovare tutela su tutti gli altri interessi coinvolti operando un bilanciamento difficile ma necessario.

Infine, un altro non meno importante principio non scritto su cui riflettere che può ricavarsi implicitamente da questa pronuncia può essere il seguente.

Agire dal punto di vista dei fanciulli, nei procedimenti che li vedono come parti anche, indirettamente, ma sempre protagonisti della vicenda serve a non dare per scontato che il tempo del bambino, l’aion,l’attimo è “il regno di un bambino che gioca a dadi” come diceva Eraclito, ossia il tempo del gioco, delle favole che per il bambino è tutto.

Pertanto recidere quel legame creato nel tempo dell’infanzia dall’infanzia sarebbe lasciare una ferita aperta nell’adulto che quel bambino sarà condizionando cioè, tutta la sua esistenza e le sue relazioni che non ci possiamo, senza dubbi, permettere.[2]


[1] Come recentemente affermato in occasione del Convegno nazionale organizzato dall’AIGA  Tommaso Bucciarelli e dall’Unione Nazionale Camere Minorili  il 09 marzo 2017 a Roma Cassa Forense dal titolo “il minore nel Conflitto genitoriale”

[2] Resta E. Infanzia Ferita, Laterza 1997


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