Cass. S.U. 38162/2022: nuova ed attesissima pronuncia in tema di maternità surrogata

Cass. S.U. 38162/2022: nuova ed attesissima pronuncia in tema di maternità surrogata

È stata depositata proprio agli sgoccioli del 2022 l’attesa sentenza delle Sezioni Unite in tema di maternità surrogata.

Tale decisione, che va a regolare un caso specifico tanto particolare quanto indicativo della necessità di regolamentare nel nostro ordinamento tutti quelli che possono essere i contorni al divieto del ricorso alla pratica della maternità surrogata previsto dall’art. 12, 6°comma della legge n.40/2004, segue ad altre importantissime pronunce dedicate alle questioni riguardanti tale divieto.

Nello specifico, la sentenza in oggetto decide su una questione di massima di rilevante importanza relativa alla trascrivibilità in Italia dell’atto di nascita, regolarmente formato in un paese estero dove la pratica è consentita, nello specifico il Canada, di un bambino ivi nato attraverso la pratica della gestazione per altri, cui aveva fatto ricorso una coppia omo-affettiva maschile di cittadini italiani, uniti in matrimonio presso lo stesso Stato Canadese, con atto successivamente trascritto nel registro delle unioni civili italiano.

Ebbene, ricostruendo brevemente la vicenda, occorre sottolineare che, dopo la nascita del bambino, le autorità canadesi formarono un atto di nascita dove veniva menzionato uno dei due componenti della coppia italiana, ossia il genitore biologico, mentre l’altro componente, il genitore intenzionale, non veniva menzionato, così come non veniva menzionata la madre surrogata.

La coppia propose prontamente ricorso alla Corte Suprema della British Columbia, che nel 2017 dispose la rettifica dell’atto di nascita, statuendo che dovevano essere menzionati entrambi i genitori del bambino, sia quello biologico che quello intenzionale.

Sulla scia di questa pronuncia, la coppia chiese all’Ufficiale di Stato italiano la rettifica dell’atto di nascita con l’indicazione anche del genitore non biologico, richiesta che fu respinta a causa dell’incertezza dovuta alla mancanza di dati normativi dalla giurisprudenza di legittimità.

Avverso tale decisione la coppia propose ricorso alla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 702 bis del codice di procedura civile, eccependo che la sentenza canadese doveva essere riconosciuta dall’ordinamento italiano ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218/1995, al quale si rimanda, che elenca i requisiti di riconoscimento e di attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione.

La Corte d’Appello accolse il ricorso della coppia ritenendo la sentenza canadese effettivamente idonea ad essere attuata anche in Italia.

Avverso tale ricorso, l’Avvocatura di Stato, costituitasi già in appello per il sindaco del Comune interessato dalla registrazione dell’atto in oggetto, propose ricorso per Cassazione.

Preso atto anche di svariate sentenze intervenute nelle more del giudizio, la Cassazione, con ordinanza n.1842/2022, rimise gli atti alle Sezioni Unite.

Alla luce di questa breve introduzione è facile intuire come l’ormai abituale ricorso alla maternità surrogata di numerose coppie impossibilitate ad avere figli ed allo stesso tempo aventi disponibilità economica, letto in combinato disposto con il divieto vigente nel nostro ordinamento del ricorso a tale pratica, rendano questo argomento tanto “caldo” quanto discusso e bisognoso di ricevere una maggiore attenzione da parte del legislatore, che si è ad oggi limitato solo e soltanto a statuire il divieto del ricorso alla pratica della fecondazione tramite gestazione di altri, ma che ha omesso di regolare tutti gli aspetti che ruotano intorno a questo divieto, nello specifico quello del necessario bilanciamento del rispetto dei principi di ordine pubblico vigenti nel nostro ordinamento, che hanno portato alla previsione di cui al divieto di cui alla legge 40 del 2004, con l’interesse del bambino nato e la necessità di garantire a quest’ultimo tutti i diritti costituzionalmente previsti.

A dimostrazione di ciò, si richiama la sentenza delle sezioni unite n. 12931/2019, intervenuta anch’essa nelle more del giudizio in esame, che negarono la possibilità di trascrivere un provvedimento straniero con cui veniva riconosciuto lo status di genitore a favore di un membro di una coppia omo-affettiva privo di legame biologico con i due minori nati da maternità surrogata, sottolineando, al fine di tutelare l’interesse del minore, la possibilità per il genitore di intenzione di fare ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari, prevista dalla ormai datata legge n. 183 del 1984 proprio con la ratio della tutela del minore nei casi in cui non avrebbero consentito di giungere ad una adozione piena anche quando questa sarebbe stata auspicabile.

Alla luce di questa pronuncia delle sezioni unite, la prima sezione della Corte chiamata a pronunciarsi sul caso che ci occupa ha sollevato un incidente di costituzionalità sul quale si è pronunciata la Corte Costituzionale con l’importante sentenza n. 33 del 2021.

L’incidente di costituzionalità fu sollevato anche sulla scia dell’ormai non più recentissima sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sul caso Mennesson e Labassee v. Francia, con la quale quest’ultima ritenne eccedente il margine di apprezzamento statale il rifiuto, che pervenne dalle autorità francesi, di riconoscere il rapporto di filiazione tra padre biologico e figli nati mediante il ricorso alla pratica della maternità surrogata in uno stato estero dove questa è permessa.

La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione, richiamando la lesività e l’intollerabilità dell’offesa alla dignità della donna e delle relazioni umane rappresentata dalla pratica della maternità surrogata, che spesso presta il fianco ad abusi di vario genere, tra cui lo sfruttamento di situazioni di disagio da parte delle donne, madri surrogate, che si prestano a tale pratica.

Inoltre, aspetto fondamentale, ed è per questo che la sentenza della Corte Costituzionale si può definire come una sentenza “monitoria”, è quello dato dall’invito che la stessa Corte fa al legislatore di intervenire per regolare questo delicato ambito anche nell’ottica dell’interesse del minore che deve essere sicuramente tutelato ma che da solo non può bastare per far chiudere gli occhi dinnanzi alla pratica della gestazione di altri che nel nostro ordinamento è, e tutt’ora rimane, oggetto di un divieto previsto dalla legge, per i motivi di ordine pubblico sopra detti.

Infine, la Corte Costituzionale sottolineava, contrariamente a quanto statuito dalla precedente pronuncia delle sezioni unite, l’inidoneità dell’istituto dell’adozione in casi particolari a tutelare effettivamente l’interesse del minore e questo principalmente per due ordini di motivi: il primo è quello dato dall’incertezza normativa sulla possibilità di costituire un legame di parentela tra il minore e i parenti del genitore di intenzione e poi, il secondo, quello inerente al necessario assenso del padre biologico, assenso che potrebbe ragionevolmente venir meno in caso di un’eventuale crisi di coppia, così privando il bambino del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall’inizio condiviso il progetto genitoriale, contribuendo anche economicamente a ricorrere alla pratica della maternità surrogata.

Al termine di questa che sembra una vera e propria corsa a tappe per raggiungere l’obiettivo impellente del bilanciamento tra la tutela dell’interesse del nascituro ed il rispetto dei principi di ordine pubblico del nostro ordinamento, il 30 dicembre del 2022 è stata depositata la sentenza delle Sezioni unite sul caso in oggetto.

Tale sentenza, che per questo sarà molto discussa, in sostanza non fa altro che confermare il diritto vivente scaturente dalla sentenza n. 12391 del 2019 sempre delle Sezioni Unite.

In primis, nell’ordinanza di rimessione, veniva fatto presente un presunto vuoto normativo scaturente dal mancato intervento del legislatore in seguito al monito della Corte Costituzionale.

Ebbene, secondo le Sezioni Unite non sussiste alcun vuoto normativo, dato che la sentenza di inammissibilità della Corte Costituzionale invitava il legislatore ad intervenire, ma non affermava alcuna incostituzionalità e soprattutto non dava al legislatore alcun termine di intervento.

Nell’attesa dell’intervento del legislatore, di conseguenza, tocca al Giudice pronunciarsi sul singolo caso specifico e trovare appunto una soluzione ragionevole che tuteli sia l’interesse del minore ma che non trascuri i beni costituzionali implicati.

Tale soluzione, le Sezioni Unite chiamate a giudicare sul caso della trascrizione dell’atto di nascita in Italia del bambino nato in Canada in seguito al ricorso alla pratica della maternità surrogata, la ritrovano ancora una volta nell’adozione in casi particolari.

In particolare, nella sentenza alla quale comunque integralmente si rimanda, viene ribadita l’intollerabile offesa ai diritti della donna derivante da questa pratica, così confermando la non automatica trascrivibilità dell’atto di nascita formatosi all’estero nel quale sia indicato anche il genitore di intenzione.

In più, viene sottolineato ancora una volta come a garantire l’interesse del minore nel nostro ordinamento sia presente l’istituto dell’adozione in casi particolari alla quale può fare ricorso il genitore di intenzione omesso dall’atto di nascita.

I limiti di questo istituto, portati alla luce dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2021, vengono superati dalle Sezioni Unite facendo riferimento alla sentenza successiva (n. 79 del 2022) della stessa Corte, con cui veniva rimosso l’impedimento alla costituzione di rapporti civili con i parenti dell’adottante, ed a svariate sentenze precedenti della Cassazione (ad esempio la n. 18575/2015) che hanno ritenuto superabile l’eventuale dissenso del genitore biologico che non eserciti in concreto la potestà genitoriale sul minore.

Insomma, un’ennesima pronuncia sulla pratica della maternità surrogata, che per forza di cose interessa sia aspetti propri del nostro ordinamento che anche aspetti comparatistici, essendo i singoli Stati più che mai divisi sulla bontà di questa pratica.

Ci sarà quindi da discutere, in attesa di nuove regolamentazioni, su una pratica che, come sottolineato dalla sentenza appena analizzata, rappresentando “un terreno denso di implicazioni antropologiche, sociali, prima ancora che giuridiche, non può essere devoluta alla giurisprudenza, occorrendo, per le riforme, la discussione in sede politica, idonea ad affidare al confronto democratico, e per esso all’intera comunità, scelte di così rilevante significato”.


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Pietro Boccuni

Laureato in Giurisprudenza al Dipartimento Jonico dell'Università degli studi di Bari con votazione di 110/110 e lode. Tirocinante ex art. 73 D.L. 69/13 presso la sezione GIP/GUP del Tribunale di Taranto. Praticante Avvocato.

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