Deducibile il mutuo versato in conto mantenimento al coniuge separato

Deducibile il mutuo versato in conto mantenimento al coniuge separato

Cass. civ., V Sez., Ord. 4 marzo 2021, n. 5984

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha stabilito che “…In tema di imposte dirette, in base al tenore letterale dell’art. 10 TUIR, comma 1, lett. c), è onere deducibile l’assegno di mantenimento periodico corrisposto da un coniuge all’altro, in conseguenza di separazione legale (ed effettiva), nella misura risultante dal provvedimento dell’autorità giudiziaria o dall’accordo di separazione. La prescrizione dell’art. 10 TUIR, comma 1, lett. c), non impedisce, anzi consente al coniuge, tenuto a corrispondere l’assegno di mantenimento, di adempiere alla propria obbligazione versando al terzo creditore le rate del mutuo a carico dell’altro coniuge, e maturando, in àmbito fiscale (che è l’unico che qui rileva), il diritto alla deduzione, dal proprio reddito, dei relativi esborsi, entro il limite del valore dell’assegno di mantenimento. Del pari, sono oneri deducibili i ratei del mutuo sull’abitazione (intestata all’altro coniuge o cointestata) pagati da un coniuge in ottemperanza al patto di accollo interno contenuto in un accordo di separazione omologato dal Tribunale, ove tale esborso sia finalizzato al mantenimento del coniuge “debole“.

In conseguenza di tanto, la Corte Suprema ha precisato come sia preciso dovere del Giudice tributario di merito, impegnato nella disputa circa la deducibilità o meno di questi ratei di mutuo da parte del coniuge obbligato al pagamento, compiere tutte le necessarie ricerche ed indagini per comprendere l’esatta portata della clausola pattizia sub iudice riportante detto obbligo di versamento, e segnatamente per accertare se l’esborso ivi previsto contribuisca, in modo determinante, al mantenimento del coniuge “debole” ovvero sia soltanto un’obbligazione liberamente concordata dalle parti che affianca e non sostituisce l’assegno di mantenimento finalizzata alla sola regolamentazione, su un piano prettamente civilistico, dei reciproci rapporti patrimoniali tra coniugi.

Riflessioni e commento. Con questa interessante recentissima ordinanza la Corte Suprema interviene in una problematica, giuridica e fiscale, quanto mai ricorrente in una fase così delicata quale può essere quella della crisi coniugale, nella quale, come è noto, oltre alla consueta, e possiamo dire per certi versi quasi “ istituzionale “, disposizione in tema di contributo di mantenimento si assiste sempre più spesso ad ulteriori patti e/o accordi di natura negoziale che i coniugi separandi stringono tra loro per regolamentare al meglio i reciproci rapporti economici e patrimoniali.

A fronte, pertanto, di queste obbligazioni “collaterali” rispetto a quella, principale, avente ad oggetto il contributo di mantenimento assume ovviamente rilevanza il relativo regime fiscale cui possano essere soggetti tali pagamenti in favore del coniuge più debole e tra questi, nella fattispecie oggetto di commento, quello cui sottoporre l’accollo, da parte del coniuge obbligato al versamento, dei ratei di mutuo per l’abitazione riconosciuta al soggetto più debole in relazione al chiaro disposto di cui all’art. 10 TUIR comma 1 lett. c) del D.P.R. n. 917/1986 che, come è noto, in tema di “Oneri deducibili” statuisce testualmente che: “Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente: […] c) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria“.

L’ordinanza in commento, pertanto, in questo districato ambito normativo si segnala alla nostra attenzione per una ricostruzione quanto mai chiara ed esaustiva dei presupposti giuridici e di fatto che hanno interessato il caso specifico, oltretutto aggravato dalla sussistenza di più ricorsi avverso differenti cartelle esattoriali emesse per il recupero degli oneri in questione relativi a diversi anni di imposta, poi effettivamente riuniti tra loro per connessione soggettiva ed oggettiva, e, soprattutto, dall’altalenante orientamento che i Giudici di merito di volta in volta interessati hanno avuto sul tema nonostante, appunto, si trattasse della medesima imposizione tributaria sia pure riferita a differenti annualità.

Vi è certamente da dire come i Giudici di legittimità, nel pervenire in conclusione all’affermazione di principio sopra riportata, abbiano fatto un complesso ragionamento ermeneutico ricordando, tra l’altro, in proposito come il citato art. 10 TUIR consenta la deducibilità ai fini IRPEF solo quando si tratti di “’assegno periodico “ e come pertanto tale beneficio fiscale sia escluso nell’eventualità in cui il pagamento sia eseguito in unica soluzione in favore del coniuge, essendo stato tale differente trattamento fiscale riconosciuto conforme anche al dettato costituzionale (Corte Cost. ordinanza n. 383 del 2001) in quanto pienamente “riconducibile alla discrezionalità legislativa che, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta né irragionevole né in contrasto con il principio di capacità contributiva“.

Non è, del resto, una precisazione di poco conto, poiché la stessa si basa sulla rilevanza che la Corte espressamente ha inteso riconoscere al significato semantico e letterale della citata disposizione normativa, nella quale non a caso si parla unicamente di “assegni periodici”, si individua come unico beneficiario di questi il “coniuge”, si esclude soprattutto dal novero di questi i “figli” a testimonianza di una scelta, quella adottata dal Legislatore tributario, certamente sofferta di equo contemperamento tra l’esigenza di garantire comunque il gettito erariale e la necessità di tutelare anche le ragioni della famiglia e della persona che dalla separazione riceve un danno personale ed economico non indifferente.

Forse è questa la spiegazione più plausibile di un convincente orientamento della Corte Suprema, ripreso anche nella ordinanza in commento, che ad esempio ha ritenuto non deducibili ai fini IRPEF i premi dell’assicurazione sulla vita pagati dal marito in favore della moglie divorziata (vedi Cass. 31/01/2011, n. 2236) sebbene pure si tratti di versamenti periodici, poiché riferiti ad un presupposto di fatto, l’assicurazione sulla vita appunto, che non rientra tra i beni ed i diritti inviolabili della persona e, quindi, indispensabili per il mantenimento e l’assistenza del coniuge debole.

Al contrario, in forza di tali presupposti di diritto, sono stati inclusi tra le deduzioni in questione “ le spese afferenti all’immobile di abitazione della moglie e del figlio, con limitazione in questo caso alla metà degli importi, ove il bene sia a disposizione di entrambi, ai sensi del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 3 “ (Cass. 24/05/2013, n. 13029) ovvero appunto le somme corrisposte da un contribuente “in vece e per conto” del coniuge separato ad estinzione di “ratei” del mutuo a quest’ultimo intestato, in quanto d’importo inferiore all’ammontare dell’assegno di mantenimento determinato dal provvedimento giudiziale adottato nel procedimento di separazione personale (Cass. 02/04/2015, n. 6794).

In definitiva, infatti, possiamo certamente affermare come il punto focale del ragionamento operato dai Giudici Tributari della Corte Suprema nel caso che ci occupa sia stato quello di basare la propria decisione circa la deducibilità o meno dei ratei di mutuo unicamente sulla centralità del contributo di mantenimento propriamente inteso e sulla correlativa relazione che possono assumere detti versamenti rateali in favore di soggetti terzi rispetto allo stesso contributo in quanto sempre e soltanto miranti a contribuire all’assistenza del coniuge debole che versi in stato di bisogno.

E’ oltremodo significativo anche il fatto che la Corte Suprema legittimi pienamente questa deducibilità fiscale sul fondamento della “ fungibilità “ dell’obbligo alimentare e, specificatamente, delle modalità di assolvimento dello stesso, riconoscendo dunque la medesima rilevanza giuridica e fiscale sia che si tratti di contributo di mantenimento nel vero senso della parola, sia ancora che questo sia corrisposto in maniera differente quale può essere, appunto, l’accollo del mutuo gravante sull’abitazione concessa al coniuge debole e magari anche ai figli minorenni o non ancora economicamente autosufficienti poiché anche in questo modo si realizza pur sempre l’obiettivo, ritenuto essenziale dal Legislatore tributario per essere sottoposto al regime premiante della deducibilità fiscale, di aiutare esso coniuge nell’accertato suo stato di bisogno, purché si tratti, come abbiamo visto, di bene essenziale della vita.

Non dobbiamo, invero, mai dimenticare l’esempio calzante e quanto mai istruttivo, sopra riportato, della mancata deducibilità dei premi da assicurazione sulla vita, nonostante in questo specifico caso il ragionamento potrebbe farsi molto più ampio e complesso, comprendendo dunque, a buona ragione, un valore, quello della vita stessa e quindi della persona del coniuge debole oggetto del contratto di assicurazione, che non può non avere pari dignità rispetto all’abitazione normativamente così protetta, per cui è fondato ritenere che l’orientamento giurisprudenziale sin qui formatosi non sia poi del tutto scontato e soprattutto uniforme in futuro.

Si tratta, peraltro, di interpretazione che appare anche ai nostri occhi certamente condivisibile in punto di diritto, sebbene foriera di non poche difficoltà applicative, ampiamente dimostrate proprio dalle contrastanti posizioni della giurisprudenza di merito che già solo nella fattispecie considerata sono inevitabilmente emerse all’attenzione della Corte. E’ evidente, infatti, come lo sforzo che si andrà necessariamente a richiedere ai Primi Giudici debba essere quello di accertare attentamente la reale natura di questi accordi e delle relative obbligazioni e di verificarne la compatibilità con una situazione concreta di stato di bisogno del coniuge debole; occorrerà, cioè, che tali negozi siano realmente parte integrante del genus più ampio del “mantenimento” propriamente inteso e non meri corollari di questo o, peggio ancora, sue “integrazioni” per sfuggire a possibili imposizioni di natura tributaria.


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Nata a Lecce nel 1963 e conseguita la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Siena con la votazione di 110/110, svolge da subito la pratica legale presso uno studio di Milano abilitandosi all’esercizio della professione forense nel 1991 e nello stesso anno diventa titolare dello studio già avviato dal padre Avv. Renato da cui eredita, oltre alle qualità umane, l’inclinazione per il Diritto Civile, operando prevalentemente in tutto il Salento. All’iniziale interesse per il Diritto di famiglia e dei minori si affianca l’approfondimento di altre branche del diritto privato, quali il Diritto Commerciale e la sicurezza sul lavoro, complice anche l’espletamento di ulteriori incarichi quali quelli di Giudice Conciliatore e di Mediatore Professionista. La sua attività professionale si estende nel tempo anche al campo dei diritti della persona e tutela degli stessi e l’acquisizione di una crescente esperienza in materia di privacy e sicurezza sul lavoro la incita ad incrementare l’impegno riposto nell’aggiornamento continuo. Particolare rilevanza assume anche lo svolgimento dell’attività di recupero crediti nell’interesse di privati e società, minuziosamente eseguita in ogni sua fase, nonché quella per la tutela del debitore con specifica attenzione alla nuova disciplina in materia di sovraindebitamento. Dal 1990 è docente di Scienze Giuridiche ed Economiche presso gli Istituti ed i Licei di Istruzione Superiore di Secondo Grado, attività che svolge con passione e che, per il tramite della continua interazione con le nuove e le vecchie generazioni, le agevola la comprensione dei casi e delle fattispecie a lei sottoposte, specie nell’ambito del diritto di famiglia. E’ socio membro di FEDERPRIVACY, la più accreditata, a livello nazionale, Associazione degli operatori in materia di privacy e Dpo. Dà voce al proprio pensiero per il tramite degli articoli pubblicati sul proprio sito - SLS – StudioLegaleSodo (www.studiolegalesodo.it) nonché attraverso i rispettivi canali social ( FaceBook e LinkedIn ) ed è autrice di vari articoli e note a sentenza su riviste telematiche del diritto di primario interesse nazionale.

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