È illegittimo il licenziamento in caso di interruzione del comporto con le ferie

È illegittimo il licenziamento in caso di interruzione del comporto con le ferie

Cass. Civ., Sez. Lav., ord. 8 gennaio 2024, n. 582

Nella vicenda in esame, i giudici d’appello confermavano la sentenza di prime cure che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a Tizio dalla società Alfa in ordine all’avvenuto superamento del periodo di comporto essendo stati erroneamente computati cinque giorni di assenza che, invece, fare riferimento alle ferie del lavoratore.

I giudici di secondo grado rilevavano che alla scadenza dell’ultimo periodo di malattia Tizio aveva domandato ed ottenuto cinque giorni di ferie, che erano scaduti in prossimità della chiusura aziendale per la pausa estiva; Pertanto, ritenevano che il dipendente, il quale aveva chiesto di poter fruire delle ferie al termine della malattia, non era assolutamente tenuto a precisare di volere interrompere il decorso del comporto.

La Corte distrettuale reputava la condotta datoriale contraria a correttezza e buona fede, dal momento che dopo due anni aveva imputato a malattia i giorni di ferie del lavoratore.

Altresì, i giudici del gravame precisavano che la società datrice aveva risposto in maniera scorretta alla richiesta del dipendente di informazioni circa i termini di compimento del comportamento, inducendo in tal modo in errore Tizio, il quale, sulla base delle stesse, non era stato posto in grado di valutare compiutamente la tua situazione.

A questo punto, la società Alfa si rivolgeva alla Suprema Corte, che, però, le dava torto.

I giudici di piazza Cavour hanno sottolineato che “Al lavoratore assente per malattia è consentito mutare il titolo dell’assenza con la richiesta di fruizione delle ferie già maturate al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto; ove una richiesta di ferie sia stata avanzata e , sia puramente parzialmente, accolta prima del superamento del periodo di comporto, la dedotta successiva rinuncia alla fruizione delle ferie nel periodo indicato dal datore di lavoro deve essere provata in maniera chiara e inequivoca, attesa la garanzia costituzionale del diritto alle ferie e il rilevante e fondamentale interesse del lavoratore a evitare, con la fruizione delle stesse o di riposi compensativi già maturati, la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto, con l’ulteriore conseguenza della perdita definitiva della possibilità di godere delle ferie maturate” .

Per gli Ermellini, la facoltà del dipendente di sostituire le ferie all’assenza per malattia al fine di interrompere il decorso del comportamento non è incondizionata; ciononostante il datore, di fronte a una richiesta di conversione dell’assenza per malattia in ferie ed essendo in capo a quest’ultimo il potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale coniugando le esigenze dell’azienda con gli interessi del lavoratore, deve considerare e valutare adeguatamente la posizione del lavoratore poiché, appunto, esposto alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto.

Resta fermo che, tale obbligo non si configura nel caso in cui il dipendente abbia la possibilità di beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli permettono di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comportamento e, in particolare, quando le parti sociali hanno convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita.

Infine, i giudici di legittimità hanno ricordato che nel nostro ordinamento vige il principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro, “principio che, in difetto di una disciplina legislativa di dettaglio, opera in tutte le sue implicazioni e con riferimento ai reciproci rapporti fra tutte le varie ipotesi di sospensione dell’obbligo lavorativo, con la conseguenza che anche il periodo di comporto, ai fini dell’art.2110 cod.civ., diviene suscettibile di interruzione per effetto della richiesta del dipendente di godere del periodo feriale, che il datore di lavoro deve concedere anche in costanza di malattia del dipendente stesso” .

In virtù di ciò, il Tribunale Supremo ha rigettato il ricorso.


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