Gli effetti sul giudizio di divorzio della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 9004 del 31 marzo 2021

Gli effetti sul giudizio di divorzio della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 9004 del 31 marzo 2021

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 9004 del  31 marzo 2021, si sono pronunciate sulla questione se  il giudicato interno (per effetto di una sentenza parziale o capo autonomo non impugnato della sentenza)  che dichiari la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario sia idoneo a paralizzare gli effetti della nullità del matrimonio, dichiarata con sentenza ecclesiastica poi delibata dalla Corte d’appello con sentenza passata in giudicato, soltanto in presenza di statuizioni economiche assistite dal giudicato ovvero anche in assenza di dette statuizioni, con l’effetto – in quest’ultimo caso – di non precludere al giudice civile il potere di regolare,  secondo la disciplina della legge n. 898/1970, i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi il cui vincolo sia consacrato in un atto nullo.

Al riguardo Le Sezioni Unite hanno precisato che in tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile.

E’ da escludersi, dunque, che una sentenza, con cui sia stata dichiarata efficace nel nostro ordinamento la sentenza canonica di nullità del matrimonio, risulti idonea a precludere la prosecuzione del giudizio quando il divorzio è già stato dichiarato con sentenza, ma il processo è ancora pendente per accertare la spettanza dell’assegno divorzile e per fissarne l’ammontare (cfr. Cass., Sez. I, 23 gennaio 2019, n. 1882).

Ciò in ragione del fatto che la sentenza di primo grado ha costituito oggetto di impugnazione nella sola parte in cui ha riconosciuto il diritto della resistente alla corresponsione dell’assegno divorziale e ne ha determinato la misura e che il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, verificatosi a seguito della proposizione dell’appello e quindi in data anteriore alla delibazione della sentenza ecclesiastica, consente di escludere l’operatività di quest’ultima in ordine alla determinazione delle relative conseguenze economiche, imponendo di procedere all’esame delle censure proposte con il ricorso per cassazione.

Dunque, le Sezioni Unite hanno precisato che “una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio,  non può impedire la prosecuzione del giudizio di divorzio, neppure quando sia stata delibata e, dunque, riconosciuta efficace in Italia, se è in corso la fase del processo relativa alle conseguenze economiche della cessazione degli effetti del matrimonio”.

A sostegno di tale tesi le Sezioni Unite hanno affermato che non sussiste un rapporto di “primazia” della pronuncia di nullità, secondo il diritto canonico, del matrimonio concordatario sulla pronuncia di cessazione degli effetti civili dello stesso matrimonio. Si tratta, infatti, di procedimenti autonomi, aventi finalità e presupposti diversi.

Del resto, come già ha sottolineato La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4202/2001 “ove le parti non introducano espressamente nel giudizio di divorzio, attraverso contestazioni al riguardo, questioni sulla esistenza e validità del matrimonio (…) di regola la esistenza e la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della sentenza di divorzio, ma non formano nel relativo giudizio oggetto di specifico accertamento suscettibile di dare luogo al formarsi di un giudicato. Per questa ragione la sentenza di divorzio – che ha causa petendi e petitum diversi da quelli della sentenza di nullità del matrimonio – (…) non impedisce la delibabilità della sentenza dei Tribunali ecclesiastici che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni concordatari assunti dallo Stato italiano e nei limiti di essi. Quanto, invece, ai capi della sentenza di divorzio che contengano statuizioni di ordine economico, si applica la regola generale secondo la quale, una volta accertata in un giudizio fra le parti la spettanza di un determinato diritto, con sentenza passata in giudicato, tale spettanza non può essere rimessa in discussione – al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 c.p.c., non dedotti nella specie – fra le stesse parti, in altro processo, in forza degli effetti sostanziali del giudicato stabiliti dall’art. 2909 c.c.. In proposito va sottolineato che gli impegni assunti dallo Stato italiano con l’Accordo del 18 febbraio 1984, si sostanziano, nella materia de qua, secondo la lettera e la ratio dell’art. 8, nell’obbligo per lo Stato italiano – alle condizioni ivi indicate, così come precisate nel protocollo addizionale all’accordo medesimo – per un verso di riconoscere gli effetti civili “ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico”, per altro verso di dichiarare efficaci “le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo” facendo venir meno il vincolo matrimoniale in conformità di esse. Resta, invece, rimessa alla competenza sostanziale dello Stato italiano la disciplina dei rapporti patrimoniali fra i coniugi derivanti dai conseguiti effetti civili dei matrimoni concordatari, come si evince dal disposto dell’art. 8, comma 1°, che sostanzialmente rimanda in proposito alle disposizioni del codice civile, mentre ogni statuizione riguardo al venire meno di tali effetti, con riferimento alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità dei matrimoni concordatari, è rimessa dall’art. 8, comma 2, ultima parte, esplicitamente alla giurisdizione e implicitamente alla normativa dello Stato italiano. Ne deriva che nessun principio concordatario, a proposito della sopravvenienza – rispetto alla attribuzione con sentenza passata in giudicato di un assegno di divorzio – della delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, osta alla piena operatività dell’art. 2909 c.c. in forza del quale, una volta accertata in un giudizio fra le parti la spettanza di un determinato diritto, con sentenza passata in giudicato, tale spettanza non può essere rimessa in discussione al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 c.p.c. fra le stesse parti. Conseguentemente, una volta accertato nel giudizio con il quale sia stata chiesta la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario, la spettanza a una parte di un assegno di divorzio, ove su tale statuizione si sia formato il giudicato ai sensi dell’art. 324 c.p.c., questo resta intangibile, in forza dell’art. 2909 c.c.. Non giova dedurre in contrario che in caso di delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio concordatario le conseguenze economiche dell’annullamento sono disciplinate dagli artt. 129 e 129 bis c.c., dettando tali articoli una normativa che, in caso di passaggio in giudicato di una sentenza di divorzio prima della delibazione della sentenza ecclesiastica, ai fini della sua applicabilità ne implica il coordinamento con i principi che regolano il giudicato».

Per le Sezioni Unite, “inoltre, la declaratoria di nullità ex tunc del vincolo matrimoniale non fa cessare alcuno status di divorziato, che è uno status inesistente, determinandosi, piuttosto, la riacquisizione dello stato libero”.

Tanto premesso, le Sezioni Unite ribadiscono anche che nel nostro ordinamento, il titolo giuridico dell’obbligo al mantenimento dell’ex coniuge non è costituito dalla validità del matrimonio, oggetto della sentenza ecclesiastica, ma è  fondato sull’accertamento dell’impossibilità della continuazione spirituale e morale tra gli stessi coniugi, conseguente allo scioglimento del vincolo matrimoniale civile o alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario.

Pertanto,  “la questione della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile non è preclusa quando l’accertamento inerente all’impossibilità della prosecuzione della comunione spirituale e morale fra i coniugi (…) sia passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del medesimo matrimonio, come si verifica nell’ipotesi in cui nell’ambito di un unico giudizio la statuizione relativa allo stato sia stata emessa disgiuntamente da quelle inerenti ai risvolti economici”.

Le Sezioni Unite  con la sentenza n. 9004 del 31 marzo 2021 hanno anche affermato che “non merita poi consenso l’osservazione secondo cui riconoscere al giudicato di divorzio una portata preclusiva dell’efficacia della dichiarazione di nullità, a seguito dell’intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica, significherebbe far riemergere la tesi, già respinta da questa Corte, secondo cui la pronuncia di cessazione degli effetti civili comporta la formazione di un giudicato implicito in ordine alla validità del matrimonio: la preclusione in esame non impedisce infatti alla sentenza di nullità di spiegare i propri effetti ad altri fini, ad esempio ai fini della validità di un secondo matrimonio eventualmente contratto, in violazione dell’art. 86 cod. civ., anteriormente allo scioglimento del primo”.


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Avv. Alessandro Palma

Alessandro Palma, avvocato del Foro di Napoli e specializzato in professioni legali, è dottore di ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Presso lo stesso Ateneo si è perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali ed è cultore della materia in Diritto Ecclesiastico ed in Diritti Confessionali. E’ Tutor di Diritto Costituzionale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II nonché Tutor di Diritto Ecclesiastico presso l’Università Telematica Pegaso. Per l’a. a. 2018/2019 è docente a contratto sulla cattedra di Diritto Ecclesiastico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino. I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su questioni di bioetica e biodiritto, con particolare riguardo alle tematiche della fine vita e dei diritti fondamentali, sull’esperienza religiosa alla luce delle neuroscienze e della psicologia evoluzionistica e cognitiva, sui rapporti tra diritto e religione e sugli strumenti di inclusione giuridica delle diversità culturali nelle società multiculturali. E’ autore di molteplici recensioni e pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e di una monografia intitolata Finis Vitae. Il Biotestamento tra diritto e religione, Artetetra, Capua, 2018.

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