Hegel e il diritto

Hegel e il diritto

Introduzione alla filosofia del diritto hegeliana

Secondo una modalità (forse) semplificatrice dell’esegesi del pensiero hegeliano, il medesimo si sostanzia in un triumvirato formale, composto da Tesi, Antitesi e Sintesi (termini che Hegel non usa. Il mito della triade hegeliana è riconducibile al filosofo tedesco Heinrich Moritz Chalybäus (1796-1862), il quale propone un’interpretazione divulgativa della dialettica hegeliana (si tratta dei tre momenti della logicità chiariti da Hegel nei §§ 79-82 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche). Un esempio di questa dialettica si è rinvenuto in un esempio, ripreso dalla Fenomenologia dello spirito, ovvero la relazione servo-padrone. La tesi è l’autocoscienza del padrone che si pensa come libera, assoluta, e afferma in tal modo la sua superiorità sul servo, ridotto a cosa, a strumento. L’antitesi è l’attività del servo, che si scopre libero grazie al lavoro con il quale mantiene in vita il suo padrone. La conciliazione si ha quando, come per magia, dall’antitesi “scaturisce la sintesi, che consiste nell’affermazione del diritto del servo e del padrone (e, dunque, di tutti) alla libertà e nel superamento della schiavitù”.

La dialettica non è una struttura che produce il passaggio nella determinazione opposta e poi la conciliazione delle determinazioni. È il venire alla luce, il manifestarsi, dell’essenza vera della “cosa”, del contenuto determinato che il pensiero sta prendendo in considerazione. Hegel rifiuta di considerare la dialettica come un metodo a priori: la dialettica non è cioè un insieme di  giudizi sintetici a priori che portano alla realtà effettiva. Questa era ancora la posizione di Kant, per cui era necessario chiarire se e come siano possibili i giudizi sintetici a priori. La dialettica hegeliana è superamento del metodologismo e sorge dal movimento delle cose. Se noi ci creiamo a priori griglie metodologiche per conoscere le cose, finiremo per conoscere non le cose, ma le griglie che abbiamo costruito per conoscerle. E’ noto che il nostro sistema cognitivo filtra la realtà concreta, attraverso sistemi rapresentazionali che divergono da persona a persona. Pertanto, si conosce la griglia interpretativa e  non la realtà.  E, in tal modo, depotenziamo la conoscenza stessa, ci appiattiamo avvitarci nel metodo a priori costruito per comprendere le cose e – come Kant – mettiamo dei limiti alla conoscenza umana, anziché tentare di vedere qual è l’articolazione che spetta a un rapporto fisico, concettuale, etico, politico, artistico, ecc. Se spieghiamo la relazione servo-padrone utilizzando una formula, noi capiamo la formula, non il rapporto reale, effettivo, storicamente concreto, tra un servo e un padrone. E Hegel insiste su quell’effettività, sullaWirklichkeit, su ciò che effettivamente si dà e produce effetti nel mondo concreto, non sui vuoti formalismi.

La dialettica di Hegel parte dallo sviluppo del pensiero del giovane filosofo nei primi anni di speculazione. Da una certa prospettiva, la dialettica di Hegel è “umanistica”, focalizzando l’attenzione sulla tematica dell’”alienazione” dell’uomo e del suo superamento, per il recupero della piena dignità dell’uomo stesso. Questa visione viene fatta propria dalla Sinistra hegeliana. Hegel si pone la problematica della perdita di autonomia morale dell’uomo, proprio per effetto dell’alienazione, alla quale deve subentrare la riappropriazione dell’identità umana. In una fase speculativa successiva, la dialettica hegeliana assume una fisionomia diversa e si focalizza su una reinterpretazione dell’alienazione come perdita della natura umana, di cui occorre riappropriarsi, riconquistando la libertà.

Nell’Etica kantiana l’alienazione diviene eteronomia e occorre che la medesima si trasformi in riappropriazione, perché si raggiunga l’autonomia. Il giovane Hegel, anche in base alla corrispondenza con Schelling, esamina l’alienazione anche da altra prospettiva, con l’introduzione di elementi di metafisica (si pensi allo scritto “Spirito del Cristianesimo”). Il Nostro si propone di conciliare i contrari. Vi sono gli echi di un soggettivismo di matrice fichtiana. Siffatto bilanciamento non appare, secondo Hegel, soddisfacente e questo crea i presupposti per una rielaborazione in chiave diversa della sua dialettica. Più esattamente vie è un tentativo di unificare le due dialettiche, quella prevalentemente elaborata nel periodo giovanile, e quella impostata in età più matura, le quali in realtà sono esito di un medesimo pensiero (alienazione, riappropriazione, unificazione degli opposti).

Sia nella “Logica” di Jena, sia nell’articolo sul “Diritto naturale”, emerge uno sviluppo che porta alla “Fenomenologia dello Spirito”, portando a una dialettica dell’”Intero”, che si aliena da sé e si riconquista, dimostrando organicità.

Acquisisce rilievo prioritario il principio di unificazione degli opposti, piuttosto che l’alienazione.  Si riscontra un movimento dell’”Intero” che, diversificandosi da sé, produce il determinato (“ciò che è”). Più in profondità: ci si rende conto che il movimento è finzione, in quanto non assume il ruolo di “altro da sé”. Si ottiene un movimento circolare. Da questo deriva l’emersione di una concezione conservatrice nella “Filosofia del diritto”, ove si sostiene l’ereditarietà della monarchia e della Classe dei pari, legata quest’ultima al possesso di terere. Echi di conservatorismo possono emergere anche nella concezione sulla guerra e sulla sostanziale inesistenza del diritto internazionale.

La storia è ricompresa nel tutto e va chiusa . Si comprende “ciò che è ed è stato”, non “ciò che sarà”-

Hegel elabora una concezione del diritto, la quale segue un percorso che dal “soggettivo” porta all’”oggettivo”. Si parte dalla libertà del singolo, la quale progredisce in una prospettiva, che si estende alla spiritualità oggettiva del mondo. L’essenza del diritto è libertà autocosciente e formalismo. La libertà ha vari stadi di sviluppo e sorgono vari livelli, attraverso un meccanismo di “formalismo” iniziale del diritto, con il transito da un diritto più astratto a un percorso che lo Spirito compie, per pervenire a un diritto più concreto, perciò stesso più evoluto. Hegel conclude nel senso che il diritto concreto è un diritto superiore, perché consente di risolvere le specifiche vicende di vita, senza fermarsi alla mera contemplazione di problematiche esclusivamente teoriche

La filosofia riguarda le “Idee”, che vanno tenute distinte dai concetti, i quali, peraltro, si danno realtà autonomamente Il concetto porta con sé ciò che non è transitorio. L’idea guarda allo sviluppo della cosa stessa.

Partendo dalla convinzione a priori che filosofia e scienza non siano epistemologicamente sovrapponibili, secondo Hegel, le definizioni in diritto si collocano al di fuori del metodo filosofico e attengono al metodo scientifico. Esse, data la loro tendenziale universalità, fanno emergere le contraddizioni, talora presenti nella realtà cruda degli ordinamenti giuridici non evoluti, fanno emergere le contraddizioni, accorpandolo, ponendo in risalto gli elementi ingiusti, come nel caso della definizione di “uomo”, in cui viene incluso anche lo schiavo, che in diritto romano antico concettualmente è considerato oggetto di diritti. Hegel riflette sulla ragion d’essere di taluni istituti che agli occhi odierni appaiono frutto di barbarie, come lo ius vitae ac necis”, il quale attribuisce al creditore il diritto di uccidere e schiavizzare il debitore, che non abbia adempiuto; si argomenta che proprio il carattere truce della legge adesso riferita ne avrebbe bloccato l’applicazione[1].

Nella conoscenza filosofica assume valore prioritario la necessità di un concetto, nel costrutto definitorio, l’andamento del risultato, che funge da dimostrazione. Il concetto può diversificarsi nella sua verità e nella sua rappresentazione, la quale, se vera, può essere innalzata alla forma di concetto. Hegel condivide il pensiero di Montesquieu, secondo cui la legislazione è momento dipendente di una totalità. La medesima legislazione, se decontestualizzata, può considerarsi palesemente irrazionale, ma se inserita in un determinato sistema storico, può acquisire sensatezza.

Il diritto formale della persona si presenta opposto alla morale. Si assiste a una successiva evoluzione e perfezionamento del diritto, attraverso un innalzamento del “livello” del medesimo, con una maggiore accostabilità alla morale. La determinazione ed esistenza della libertà si declina nell’interesse dello Stato, nell’eticità, nella libertà.

Hegel connette il diritto con la libertà e manifesta la dialettica anche in questo settore; vi è il Diritto formale (Libertà in sé), la Moralità (Libertà per sé), l’Eticità (Libertà in sé e per sé). Hegel costruisce come caposaldo del suo pensiero la “sostanza” in senso aristotelico. Lo Stato costituisce il terzo momento della Eticità e viene dopo la Famiglia e la Società civile. Il diritto si compenetra in risultato e dimostrazione. Il diritto è “Libertà in quanto Idea”, che dà libertà, la quale riguarda ontologicamente la persona, si sviluppa come libertà universalistica. Il diritto si riverbera nella storia del mondo. Questa dialettica si storicizza, partendo dal particolare e andando all’universale.

Il processo dell’Idea non ha una collocazione temporale, Ogni stadio è risultato concettuale degli stadi anteriori, secondo uno schema dialettico. L’idea dello Stato si biforca in senso dialettico nella Famiglia e nella Società civile.

Uno dei nuclei essenziali della filosofia hegeliana si dischiude nella ben nota affermazione secondo cui “ciò che è reale è razionale e ciò che è reale è razionale”, ossia la filosofia produce la comprensione che nulla è reale al di fuori dell’idea che tutta la realtà è interpretabile razionalmente, ed è la manifestazione dell’Idea, la quale non è scindibile dall’Essere.

Se la riflessione si basa sulla coscienza soggettiva, riguarda il presente ed è sostanzialmente vana, in quanto è altrettanto vana la collocazione della realtà solo nel presente. Bisogna spostare la gnosi all’eterno, in cui la realtà è dotata di una scorza interna, vale a dire la contingenza. La moltitudine di oggetti transeunte va collocata al di fuori della razionalità reale, anche per arrivare alla massima percezione della realtà razionale, vale a  dire lo Stato, il quale non va costruito come un “dover essere”, ma come struttura giuridico-filosofica intrinsecamente coerente, manifestazione dello Spirito Oggettivo. Detto altrimenti, occorre comprendere che cosa sia ontologicamente lo Stato, senza stabilire come debba estrinsecarsi idealmente il  medesimo. La filosofia è pensiero del mondo e, pertanto, non può occuparsi di come il mondo debba essere, ma prendere atto di come il medesimo si estrinseca.

Il reale è razionalità, donde deriva il carattere sostanzialmente “giusto“ di ciò che accade, ma il riferimento è ad avvenimenti storici di spessore e non alla quotidianità. E’ razionale se accade che un personaggio storico ottenga risultati storicamente tangibili nel suo ambito di azione. Si può porre l’esempio di un grande condottiero, che ottenga successo nelle attività di conquista. Se ciò nei fatti storiografici si manifesta è perché è razionale. Ove non si riscontri la razionalità, quel condottiero non ottiene storicamente quel successo. Ciò che succede storicamente è in consonanza con lo “Spirito del mondo”. La razionalità, pertanto, non è astratta, ma concreta, così come l’esistenza è una estrinsecazione della ragione. Ciò che esiste corrisponde alla ragione,  E’ possibile sostenere che l’intento hegeliano è di evidenziare l’identità fra ragione (o pensiero) e realtà. Ciò che è razionale non è affatto un concetto astratto ma si attua nella realtà concreta e in essa è riscontrabile. Al contempo, l’esistente è espressione della ragione.

Il lemma “ciò che è razionale è reale” intercetta la manifestazione razionale dell’Assoluto in ogni fenomeno empiricamente percepibile e l’essere umano ha consapevolezza di questo. Il lemma “ciò che è reale è razionale” si riferisce alla presenza di una sorta di “sintassi” logicamente e intrinsecamente coerente di ciò che accade concretamente nel mondo, letto in termini unitari. In ogni modo, l’affermazione è essenzialmente riferita agli elementi permanenti nel tempo, piuttosto che a quelli che restano contingenti. Si crea una scissione fra “esistenza” e “realtà” e la prima si riferisce al non contingente. Dio viene considerato il massimo grado di esistenza, all’interno di una cornice in cui il pensiero sembra determinare una sintesi fra religione e razionalità.

Hegel è un pensatore molto sistematico, e per questo è opportuno collocare all’interno dell’intera costruzione speculativa del sistema la filosofia del diritto, la quale rientra nello Spirito oggettivo. Hegel si propone di superare il dualismo kantiano basato sulla distinzione tra fenomeno e cosa in sé, il quale crea uno steccato fra soggetto e oggetto. Al dualismo kantiano va sostituito il monismo. Proprio l’affermazione secondo cui la realtà è la razionalità e la razionalità è la realtà compendia la reductio ad unitatem del dualismo kantiano, fra oggetto e soggetto e fra tutti i correlativi dualismi, che sono esito inevitabile del filosofare kantiano, donde deriva che per Hegel non vi è qualcosa che “trascende” il reale, collocandosi “fuori” da esso. La “logica” del reale è al suo interno, da collocare nell’immanente.

Nella filosofia hegeliana vi è, pertanto, un tentativo di valorizzazione dell’uomo, il quale può anelare all’oggettività. Hegel potenzia, rispetto a Kant, il ruolo dell’uomo, il quale ha una sostanziale possibilità di capire i meccanismi della natura e si perviene, in conseguenza alla costruzione di “un mondo umano” (Hegel si esprime in termini di “seconda natura”). Il mondo dell’uomo ricomprende questioni giuridiche, morali, teologiche, in cui è possibile individuare un nucleo essenziale di razionalità. L’elemento casuale è da accantonare, perché il mondo umano è intrinsecamente coerente, di dignità superiore, rispetto al mondo naturale. Il diritto, emanazione umana, è intrinsecamente razionale e lo strumento della dialettica può servire per comprendere i meccanismi dei rapporti interpersonali, con l’avvertimento che la struttura triadica che dalla “tesi” che si compenetra con l’”antitesi” all’interno della “sintesi” non esaurisce la comprensione della speculazione filosofica in commento. La materia apparentemente grezza contiene una struttura razionale, secondo un prisma dialettico. L’idea può anche considerarsi un primo “momento” del processo dialettico, e la medesima si reifica, divenendo struttura materiale in un processo logico, che rende la materia medesima dotata di una propria organizzazione, all’interno di un meccanismo “atemporale”, in una prospettiva logica. La natura è il secondo “momento” del pensiero dialettico e al suo interno nasce lo “spirito”, in termini di “umanità consapevole”. L’uomo è il terzo momento.

L’alleanza intellettuale e creativa fra gli uomini, dopo che ciascuno di loro giunge all’autocoscienza, secondo un percorso scandito in varie tappe, ossia sensazione, percezione, intelletto e, appunto, autocoscienza, porta a una crescita esponenziale del processo di consapevolezza ed essa alleanza determina il transito dallo Spirito Soggettivo a quello Oggettivo.

Lo Spirito Oggettivo è il nucleo della filosofia del diritto hegeliana, in quanto analizza i rapporti umani nella dimensione giuridica (separate dalle norme giuridiche, ma da compenetrare con esse, attraverso l’etica, vi sono anche le norme morali). La dialettica è alla base della speculazione hegeliana e non ha una connotazione puramente filologica, ma storica. Si prendono le mosse dalla sottolineatura dell’alienazione  e  della riappropriazione  umana. La genesi di questi concetti sembra avere un carattere rivoluzionario. Dopo, la collocazione dell’alienazione muta fisionomia e si procederà a una lettura della stessa come “divenir altro”, la riappropriazione funge da “riconquista” di sé, tramite l’Assoluto.

Questa diversa percezione e lettura dei fondamentali concetti sopra richiamati si ricollega a un’espansione di “senso” della dialettica hegeliana, che ricomprende la totalità[2]

Leggi giuridiche e norme morali sono oggettive, nel senso che il diritto trascende gli individui, Il legame tra gli uomini enucleato nella morale è oggettivo, gli uomini anche in tal caso si trascendono i singoli individui. Il trascendere i singoli individui è ancora più intenso per quanto attiene l’eticità, che si concretizza nelle istituzioni della famiglia, della società civile e dello Stato.

L’opera in cui Hegel analizza lo Spirito Oggettivo è proprio i Lineamenti di filosofia del diritto.  La sfera del diritto, della moralità e dell’eticità, hanno una razionalità interna.

Quest’opera è stata pubblicata nel 1821. È importante, collocare la trattazione dello spirito oggettivo anche nell’epoca storicaHegel riceve la cattedra all’Università di Berlino nel 1818, tiene corsi di lezioni a Berlino fino alla morte nel 1831.

L’anno prima del suo arrivo si manifestano intense contestazioni studentesche per il centenario della riforma protestante: 1517-1817. Nel 1819 dallo studente Carl Ludwig Sand viene ucciso Kotzebue, il più noto esponente della pubblicistica reazionaria.  Il governo prussiano organizza una forte attività di attività di repressione: Sand viene condannato a morte, la condanna viene eseguita e molti professori di diritto, di teologia vengono allontanati dalle cattedre;, con la contestuale instaurazione una censura rigidissima su ogni tipo di pubblicazione,

Hegel è dunque prudente nella Filosofia del diritto perché si tratta di un’opera a sottoposta alla censura, mentre è più aperto nelle lezioni. Si può asserire che un Hegel “esoterico” appaia nei “Lineamenti di filosofia”, mentre un Hegel “essoterico” emerga nella didattica accademica. Per conoscere il pensiero completo di Hegel sul diritto, la morale e lo Stato, bisogna attingere ai quaderni di “Filosofia del diritto” dei discepoli di Hegel, (un’ampia antologia in italiano è stata curata da Domenico Losurdo, a seguito di una ricerca promossa dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, e pubblicata nel 1989 col titolo: Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale).

La Prefazione è[3] centrata sulla coincidenza della razionalità e del reale (quindi anche della realtà dello spirito oggettivo). Hegel dice, al capoverso 7 della Prefazione:

Per Hegel il pensiero non si esprime con la divergenza, perché lo Stato, per come esso è come esso è attualmente organizzato, rappresenta una sedimentazione storica, frutto della razionalità delle generazioni che ci hanno preceduto,

La filosofia morale, la filosofia del diritto, non devono individuare come il mondo deve essere, o enunciare un dover essere, ma occorre percepire qual è la razionalità già preesistente e sedimentata negli Stati, nei sistemi morali, ecc.: infatti, i sistemi, pur nella loro perfettibilità, hanno un certo livello di razionalità, anche gli Stati hanno un certo livello di razionalità. Reale e razionale sono uniti. Occorre individuare la logica, la razionalità interna della natura e lo stesso metodo deve applicarsi anche al mondo umano. Il mondo spirituale, più elevato di quello della natura, deve possedere almeno altrettanta razionalità del mondo naturale.

La famosa frase: ciò che è razionale è reale e viceversa negli appunti presi alle lezioni la frase figura in un caso al futuro e con il senso del dovere: il razionale dovrà diventare reale. 

La realtà va distinta dall’accidentale e dal transitorio esistente.

Hegel ha compreso che la Rivoluzione francese non ha realizzato i suoi obiettivi più alti perché ha costruito alti ideali di uguaglianza, fratellanza e libertà, ma la realtà non li ha recepiti, in quanto ci si è fermati sugli aspetti meramente formali della tutela di eguaglianza e libertà, senza prevedere un intervento dello Stato, per rimuovere la diseguaglianza di fatto che penalizza gli svantaggiati nei punti di partenza, proprio secondo gli schemi dello Stato sociale.

Secondo Hegel, bisogna “trovare il polso”, da cui si desume se l’individuo sta e pulsando al ritmo giusto. La filosofia sboccia come una nuova primavera sempre al momento culminante delle civiltà, al suo momento conclusivo.

Alla Prefazione seguono le tre parti dell’opera, che corrispondono a diritto (che Hegel denomina diritto “astratto”), moralità ed eticitàL’eticità a sua volta si esteriorizza nella famiglia, nella società civile e nello Stato. Lo spirito oggettivo è il momento di unione delle varie autocoscienze sulla base di vincoli oggettivi, che consistono prima di tutto nelle leggi. Tuttavia, il vincolo derivante dalla legge è esteriore.  Nella moralità i rapporti umani si fondano sull’interiorità, perché l’adesione alle norme morali si basa su un’intima convinzione, anche se non sempre vi è attuazione dei precetti Vi è, pertanto, una divaricazione fra il desiderio di realizzazione del bene e la sua concreta attuazione . Alla parzialità del diritto e della morale il diritto e la morale e la morale sono parziali  e si sintetizzano compenetrandosi reciprocamente nell’eticitàin cui si aderisce a per un’intima convinzione a comportamenti regolamentati da leggi. Lo Stato è l’entità etica di maggior dignità, in cui è ricompreso anche il concetto di “patria”, come insieme di valori nazionalistici condivisi. Il diritto rende possibile la convivenza, sulla base dell’esteriorità. Nella moralità, i rapporti fra gli uomini sono fondati sull’interiorità. Alla parzialità del diritto e della morale segue un terzo momento sintetico, l’eticità, in cui rinveniamo comportamenti regolamentati da leggi, , ma cui si aderisce spontaneamente.

Lo Spirito oggettivo si manifesta con l’uomo autocosciente, la volontà libera, la personalità. L’autoaffermazione avviene verso l’esterno L’uomo cerca di affermarsi proiettandosi all’esterno, impossessandosi delle cose, e ciò implica l’esigenza di disciplinare tale impossessamento con la proprietà il diritto nasce prima di tutto per stabilire la proprietà delle cose. La proprietà si acquisisce con il contratto, la sua violazione viene sanzionata con la pena. Pertanto, si creano i presupposti per la configurazione di una tipica triade hegeliana, in cui si riscontra il contratto come tesi, il delitto, da interpretare come negazione di quel della tesi (l’antitesi), e la pena, che invece è il ristabilimento del diritto originario e, pertanto, costituisce la sintesi (negazione della negazione). Nella Filosofia del diritto di Hegel viene distinta la proprietà, che serve a fini di utilità personale, dal patrimonio, che può assumere anche utilità sociale. Vi è un progresso, rispetto al mero formalismo nella tutela dell’uguaglianza e delle libertà, esito degli itinerari intellettuali della Rivoluzione francese e dell’illuminismo. Vi è un’esplicita anticipazione dello Stato sociale. La trasformazione della proprietà in patrimonio si traduce in utilità estesa alla comunità, con la contestuale esigenza di un intervento dello Stato sotto controllo dallo Stato.

Pertanto, la realizzazione dell’uomo nel diritto si realizza l’esteriorità e, pertanto, impossessandosi delle cose e dandosi una serie di leggi Il diritto è sganciato dal foro interno: e intimamente si può non condividerlo. Si tratta quindi un insieme di norme e di leggi esteriori- La sua parzialità, crea i presupposti per la configurazione alla sua antitesi, da identificarsi nella la sfera della moralità, in cui prevale l’intervento della interiorità e l’adesione spontanea ai suoi contenuti.

La libertà, fondantesi sull’esteriorità  è limitata, quella collegata all’interiorità è di grado più elevato. L’interiorità implica l’intenzione; si aderisce a norme morali, ma Kant avverte che, per impedimenti, che possono non dipendere dalla nostra sfera, interiore, ma per cause esterne, spesso non si riesce ad aderire al proprio afflato interiore. Donde la circostanza, condivisa sia da Hegel , sia da Kant,. che la morale sia “intenzionale”, non trasformativa

La triade hegeliana si compie con l’eticità: non deve esistere discrasia fra il “dover essere” e l’”essere”, in rapporto al bene, in quanto il progetto morale deve potersi tradurre nella realtà, in coerenza con l’identificazione biunivoca fra razionalità e realtà  la realtà è la concretezza dello Stato. Per Hegel “astratto” è ciò che è “tratto fuori” dal contesto totale, il “concreto” (da “cum” latino) è quello che, ricompreso  nella totalità. Pertanto, il senso della terminologia appare differente rispetto a quello del linguaggio non filosofico. l’uomo non vive isolato, esso, dice Hegel è destinato alla vita in comune, e questa è la sfera propria dell’eticità. L’eticità compenetra in sé il diritto e il dovere morale.

Il primo momento dell’eticità, è la famiglia. In essa, dice Hegel, l’individuo è una sola cosa con gli altri membri della famiglia. l’individuo già da quando nasce fa parte della piccola comunità della famiglia, che apre la strada alle comunità più ampie della società e dello Stato. la famiglia è una piccola totalità basata sul sentimento, sul consenso e sulla fiducia reciproca.. La famiglia è un organismo etico proprio in quanto presuppone vincoli accettati volontariamente, liberamente.

:Non tutti i bisogni che si presentano all’interno della famiglia si possono soddisfare da qui l’esigenza del  passaggio alla società civile, vale a dire al mondo dell’economia, della produzione, con la diversificazione delle attività, terminologia

Hegel  distingue nettamente la società civile dalla società politica, in quanto la società civile non si  contrappone a società barbarica, a barbarie, si focalizza sulla sfera dei rapporti economici dell’uomo, che lavora e si aggrega nella realtà sindacale, per tutelare i suoi interessi eminentemente economici . Il suo interesse prioritario, nel corpo della società civile Questo è l’ambito della società civile. Invece la società politica è lo Stato, in cui emerge la sfera del pubblico. Proprio la distinzione fra sfera del pubblico e sfera del privato prende maggior vigore in Hegel, mentre resta sfumata e non distinguibile in Kant e Aristotele, anche se in Hegel la “società civile” ha una fisionomia non totalmente positiva, in quanto è concetto afferente alla sfera dei bisogni. All’interno di tale concetto si inserisce la famiglia, con al suo interno gli individui autodeterminatisi, la quale mira a soddisfare i propri bisogni materiali. Il ruolo dell’intelletto è una rappresentazione del carattere ancora separato e non aggregato degli uomini, pur all’interno della famiglia. Vi è, ancora, una matrice individualista. La ragione è concetto che argina il proliferare dell’individualismo e assume una caratteristica “sintetica”, rispetto all’”intelletto”, avente natura analitica. Ciò determina la successione dello Stato alla società civile.

Con il concetto di “Stato” Hegel allude all’”universalità” La sfera dello Stato è, pertanto, lo sviluppo dell’ universalità dei rapporti umani, con rifiuto di perversioni, come il razzismo (lo Stato nazista è, in termini hegeliani, una falsificazione). . Lo Stato hegeliano, oltre che per l’universalità della legge, si caratterizza anche per la tendenziale uguaglianza dei cittadini.

Hegel muove da una critica a una concezione dello Stato di tipo contrattualistico.

In questa prospettiva, lo Stato viene letto come un contratto fra uomini, per superare il modello di Hobbes, sintetizzato nella massima homo homini lupus. Questo modello viene tendenzialmente mantenuto fermo fino a Kant e con Hegel se ne teorizza il superamento. Si inverte la prospettiva: infatti, in precedenza si ritiene che lo Stato nasca dall’individuo, a seguito del tentativo di superamento della condizione di ostilità reciproca fra gli uomini, mentre per Hegel lo Stato precede l’individuo Il contrattualismo e il liberalismo implicano che allo Stato devono essere conferite delle attribuzioni minime, con lo scopo principale di evitare le controversie primitive fra gli uomini, fondate sulla barbara sopraffazione.

Lo Stato liberale provvede solo a una proclamazione formale dell’eguaglianza e della libertà, in cui si svolge un controllo sull’assenza di reciproche sopraffazioni, ma ci si astiene dall’attivarsi per eliminare le disuguaglianze nei punti di partenza. Ciò implica che, in adesione al modello di Stato liberale,

occorre che il medesimo controlli che nessun uomo prevarichi sull’altro, ma non è previsto alcun intervento nella sfera economico-sociale , in quanto gli individui sono gli  unici protagonisti della vita sociale.

La concezione di uno Stato interventista, la quale appare sostenuta da Hegel, può contribuire a eliminare gli squilibri nei punti di partenza e da questo deriva una visione dello “Stato” medesimo non solo come dato giuridico, ma anche come dato etico, interpretabile come insieme di valori comuni, all’interno di un processo di sintesi dialettica, secondo gli schemi di pensiero tipicamente hegeliani. Il Nostro critica la concezione contrattualistica dello Stato ed estende questa critica a un’applicazione della medesima ai rapporti fra gli Stati, proprio per evitare la nascita di un conflitto fra queste entità, le quali vengono considerate analoghe agli individui sul piano speculativo.

Hegel sostiene che ogni Stato si presenta poi, rispetto agli altri Stati, come un individuo, e afferma che, come non vale il contrattualismo tra gli individui, così non vale neanche tra gli Stati: infatti, ogni Stato tende a entrare in conflitto con gli altri Stati e purtroppo per risolvere le loro contese non c’è un pretore, non c’è un giudice al di sopra dei singoli Stati. Si manifesta un allontanamento nei confronti della concezione kantiana della “pace perpetua”, di cui si asserisce l’accidentalità. Manca un mediatore tra gli Stati, per prevenire le controversie (in questo punto si introduce un elemento che si potrà sviluppare in sede si analisi della mediazione civile nel prisma della dialettica hegeliana).Hegel critica Kant proprio in rapporto al suo progetto di pace perpetua fra le nazioni, in quanto il medesimo è illuministico, astratto: occorre la presenza di un Giudice che imponga sanzioni; in caso contrario, le controversie nascono inevitabilmente.

La realtà (razionalità) si crea da sé, e l’uomo, una volta riconosciutala, non può che descriverla senza divenire artefice di modificazioni della medesima, in quanto la realtà si è già formata. Pertanto, è pur vero che Hegel attribuisce un rilievo primario al ruolo dell’uomo, ma non al punto da attribuire a questo l’attitudine di incidere sulla realtà-razionale già cristallizzatasi. L’idea di diritto, nella prospettiva hegeliana, contiene sia il razionale, sia il reale, in quanto fusione di concetto e realtà.

La scienza del diritto s’identifica con l’autoesposizione del diritto, il quale è l’esito di una precedente dimostrazione che cade fuori della scienza del diritto. La scienza del diritto viene configurata come una seconda natura per lo Spirito, ossia un dato oggettivo esterno da riacquisire. Il diritto riceve un elemento positivo dal carattere nazionale di un popolo, dal grado del suo sviluppo storico, e da tutti quegli elementi che appartengono alla necessità naturale e non occorre effettuare alcun intervento. E’ positivo anche perché vi è la necessità che un sistema giuridico-legale venga applicato alla conformazione particolare degli oggetti e dei casi. Il diritto naturale è il diritto filosofico, partorito in modo spirituale. Hegel fa riferimento a Montesquieu per quanto riguarda la storicità del diritto, ma non bisogna confondere la genesi storica con la genesi speculativo-filosofica. La genesi storica di concetti e/o istituti giuridici sta su di un altro piano rispetto alla genesi strettamente concettuale. Tra loro vi è indifferenza, ma anche può sorgere conflitto. Secondo Hegel la genesi concettuale ci fa comprendere il diritto nella sua essenza; la generi storica ‘giustifica’, rimane alle circostanze, al relativo, non coglie l’assoluto.

Parte prima. Diritto astratto. Ecco la norma fondamentale del diritto astratto: “L’imperativo giuridico-formale è pertanto: sii una persona e rispetta gli altri come persone” (p. 129) La persona ha di fronte a sé ‘cose’ o comunque altre persone come dati esterni. Nasce perciò il problema di come appropriarsi dell’esterno.

Problema del possesso, della proprietà, del contratto, dell’illecito, del dolo, del delitto e della pena.

Articolazione del Diritto Astratto: a) possesso come proprietà; b) contratto fra persone (arbitrio); c) illecito e delitto; rottura arbitraria del contratto.

Prima sezione: la proprietà. Nell’Introduzione Hegel parla della proprietà privata come sfera esterna della Libertà della persona, e come diritto assoluto di appropriazione dell’uomo su ogni cosa. La proprietà è l’aspetto giuridico del possesso. Hegel è assolutamente contrario alla proprietà comune: questa è antigiuridica nella misura in cui va contro la libertà ‘personale’ di cui sopra. Critica all’idea dello stato platonico (alla comunione dei beni) che contiene proprio questo aspetto antigiuridico di dichiarare la persona non suscettibile di proprietà privata.

Si prende poi a tema la proprietà del corpo e della vita: ‘Io sono Mio’, anima e corpo. Può sembrare strano, ma Hegel la pensava proprio così. Infatti, dice, se si fa violenza al corpo di una persona si fa violenza alla persona nel suo complesso. Pagine importanti. (141-143)

La proprietà particolare di una cosa rende necessario il momento dell’impossessamento che rende mia la materia di una cosa, la quale per sé non si appartiene. L’uomo ha l’universale diritto di appropriazione sulle cose naturali. Con l’impossessarsi delle cose, la materia di esse non diventa completamente mia (naturalità astratta che rimane esterna alla persona); il pensiero giuridico della proprietà scioglie la ‘durezza’ in cui permane l’immediato impossessamento. Faccio mie le cose solo spiritualmente.

Il rapporto vero e proprio fra volontà e cosa avviene in tre gradi (di giudizio):

– presa di possesso(giudizio Positivo): presa di possesso corporea (l’atto corporeo immediato di prendere la cosa), attività formatrice (l’attività che dà forma alla cosa e che dà autonomia a ciò che è Mio) (5), mera designazione della cosa (mettere la propria volontà su una cosa; segno che do alla cosa)

– uso della cosa(giudizio Negativo): l’uso è questa realizzazione del mio bisogno che nega la cosa, la consuma, la annienta. Viene con ciò rivelata la natura automatica, priva del Sé della cosa (priva di personalità giuridica), la quale adempie così la propria destinazione. Differenza sostanziale tra Uso e Proprietà. Il valore della cosa si deduce dal suo uso confrontato quantitativamente con l’uso delle altre cose della medesima qualità. Astraendo dalla specificità d’uso della cosa si ha la semplice universalità di essa: il suo valore. La proprietà può cadere in prescrizione quando l’uso non è continuato.

– alienazione(giudizio Infinito): Io posso privarmi della mia proprietà innanzitutto perché la cosa è a me esteriore. Ciò che non è a me esteriore è per definizione inalienabile. Posso alienare mie particolari attitudini lavorative per un certo periodo di tempo determinato. Posso alienare alcuni miei prodotti spirituali (un’opera, etc.). Qui Hegel esamina i pro e i contro dei diritti d’autore.

Antigiuridicità del suicidio: alienazione totale della vita e della personalità. La morte o è immediata naturalità come la vita (ti capita perciò dall’esterno) o avviene per mano estranea al servizio dell’Idea etica, acquistando piuttosto il senso di un sacrificio.

Passaggio dalla proprietà al contratto: rapporto fra due volontà. Avere la proprietà di una cosa mediante la volontà comune. Questa mediazione è il contratto.

Sezione seconda: il contratto. Il contratto procede dall’arbitrio (e presuppone il riconoscimento personale), arriva a una volontà comune, ha come oggetto una cosa esteriore.

Matrimonio e Stato non possono essere sussunti sotto la categoria del contratto. Non c’è nulla di esteriore da contrattare. Rimando all’Eticità.

Varie forme di contratto (di donazione, di scambio). Deduzione del valore di scambio come ciò che rimane identico nello scambio. La cosa passa di mano, il valore resta; oppure si scambiano due cose qualitativamente diverse il cui valore è identico. Il valore è l’aspetto universale degli oggetti di scambio. I due contraenti conservano, al dunque, la medesima proprietà.

Digressione sul linguaggio come segno più degno per rappresentare lo Spirito, in questo caso per rappresentare l’accordo-stipulazione del contratto. La stipulazione del contratto mi obbliga immediatamente alla prestazione. Segue una lunga classificazione dei tipi di contratto.

Passaggio all’illecito come collisione fra volontà particolare e volontà comune essente-in-sé.

Sezione terza: l’illecito. Nell’illecito il diritto in sé (cioè la volontà comune) diventa un termine dell’opposizione (fra diritto in sé e volontà particolare), perciò esso stesso un diritto particolare. Ma è proprio la mediazione dell’opposizione che ristabilisce il diritto in quanto tale. Il Diritto è una parvenza (il diritto può essere negato dalla rottura del contratto), ma a sua volta nega la negazione (fa rispettare la stipulazione del contratto) e si determina come realtà vigente.

Ci sono diversi modi di negare il diritto: sfera civile dell’illecito senza dolo (rivendicazione del possesso su una stessa cosa da parte di due persone) o con dolo(intenzione dell’illecito da parte di uno dei due contraenti, di fronte alla quale vi è l’impossibilità da parte del diritto di fare il processo alle intenzioni). La giustizia civile (che si risolve al dunque nel conflitto fra titoli giuridici) è pura parvenza e commedia, dice Hegel, nella misura in cui o non può punire (le cattive intenzioni di chi stipula un contratto per poi violarlo) o se attribuisce la cosa a uno dei due contendenti non può non commettere una ingiustizia, poiché non ha un criterio valido universalmente, diverso dal puro arbitrio, che permetta di decidere secondo l’interesse di entrambi i contendenti.

La coercizione viene definita come violenza contro la libertà. Anche la violenza, nel diritto, riceve perciò una sua sistemazione. C’è comunque di fondo una antigiuridicità della coercizione (violenza fisica) che nega il diritto in quanto tale. D’altra parte il diritto astratto è coercitivo proprio quando rimuove l’illecito. Se la risposta del diritto alla violenza coercitiva (fisica) è una seconda coercizione, allora, dice Hegel, siamo lontani di molto dal concetto di libertà. Comunque la violenza viene permessa proprio dall’arbitrarietà con cui viene stipulato il contratto; permette l’arbitrio di romperlo e violarlo.

Hegel muove a questo punto una dura critica al contrattualismo hobbesiano e allo stato di natura come “guerra di tutti contro tutti”. La violenza (la guerra, etc.) viene semmai dopo la stipulazione del contratto, non prima. Quel ‘prima’ è astorico. Comunque la critica è al contratto nel suo complesso; viene stabilito e poi violato perché è fondamentalmente arbitrario.

Si passa a questo punto alla considerazione del delitto e della pena: la sfera del diritto penale (rappresenta e segna la crisi del diritto civile). Quando viene negata la mia giuridicità, viene lesa la mia volontà esistente. Come si ricostituisce il diritto in questo caso? Discussione sulla pena e sul rapporto non casuale né arbitrario che deve correre fra delitto e pena.

Punire il delinquente, secondo Hegel, è riconoscerne la razionalità. Riconoscere il suo delitto come un’azione pur sempre ‘etica’. Restituire all’onore il delinquente vuol dire punirlo. La pena di morte può essere usata dallo Stato come sacrificio dell’individuale. Necessità di una giustizia non vendicativa ma punitiva.

Passaggio dal diritto alla moralità: la ricostituzione del diritto (negazione della negazione) (6) fa sì che il diritto sia esistente come vera e propria personalità soggettiva. La soggettività della Libertà costituisce il principio del punto di vista morale. Non ci sono più cose da una parte e persone dall’altra, ma rapporti fra persone, soggetti di diritto. Siamo arrivati all’autodeterminazione della soggettività, dice Hegel.

Il punto di vista morale prende a tema la soggettività in quanto tale, scaturita dal rapporto conflittuale fra volontà in sé (comune) e volontà particolare. L’accidentalità di entrambe – divenute particolari e due opposte volontà – si spiega con il passaggio alla categoria non più giuridico-formale, ma morale, della soggettività.

Insomma, tra due accidentalità della volontà chi deve decidere? Il Soggetto: l’accidentalità infinita, cioè riflessa entro di sé. Consapevole di essere accidentale. L’arbitrio diventa consapevole di sé.

ll diritto è positivo (cioè posto storicamente) intanto per la forma, e cioè perché è in vigore in uno Stato; da ciò prende avvio la scienza positiva del diritto. Quanto al contenuto questo diritto riceve un elemento positivo dal carattere nazionale di un popolo, dal grado del suo sviluppo storico, e da tutti quegli elementi che appartengono alla necessità naturale. E’ positivo anche perché vi è la necessità che un sistema giuridico-legale venga applicato alla conformazione particolare esternamente data degli oggetti e dei casi: questa applicazione non è più pensiero speculativo e sviluppo del concetto di diritto; viceversa è sussunzione operata dall’intelletto (1). Ma un diritto è positivo anche per quel che concerne la decisione che necessitano le sue determinazioni (decisione del tribunale, etc.).

Il diritto naturale è il diritto filosofico. Non si intende qui il diritto naturale né come diritto di natura (giusnaturalismo-contrattualismo), né come diritto innato nella natura umana. Il diritto è tale solo in quanto è un prodotto spirituale. Il diritto naturale è la ricostruzione filosofico-speculativa del diritto.

Hegel fa riferimento a Montesquieu per quanto riguarda la storicità del diritto e cioè la considerazione del diritto nella sua manifestazione temporale (è uno sforzo puramente storico, dice Hegel): questa visione storica del diritto lo lega al carattere di una nazione e di un’epoca. D’altra parte non bisogna confondere la genesi storica con la genesi speculativo-filosofica. “[…] lo sviluppo da fondamenti storici, infatti, non va scambiato con lo sviluppo dal Concetto, e alla spiegazione e giustificazione storica non bisogna dare il significato di una giustificazione valida in sé e per sé” (p. 79). Insomma, giudicare la storia è lecito, e precisamente lo sviluppo storico del diritto, ma non la si può giudicare rimanendo all’interno della genesi storica; bisogna giudicarla concettualmente. Polemica, a questo proposito, con Gustav Hugo e la scuola storica del diritto. Comunque la genesi storica di concetti e/o istituti giuridici sta su di un altro piano rispetto alla genesi strettamente concettuale. Tra loro vi è indifferenza, ma anche può sorgere conflitto. Secondo Hegel la genesi concettuale ci fa comprendere la Cosa stessa; la generi storica ‘giustifica’, rimane alle circostanze, al relativo, non coglie l’assoluto.

La comprensione concettuale del diritto è la seguente: il terreno del diritto è lo spirituale; il suo punto di partenza è la volontà libera. La libertà è la sua sostanza e la sua destinazione. Il sistema giuridico è la libertà realizzata. E’ lo Spirito che produce il sistema giuridico, il quale diviene come una seconda Natura per lo Spirito stesso.

 

 

 

 

 


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[1] Aulo Gellio  Noctes Atticae, XX, I, 41
[2] Cfr. ROSSI, Rivista critica di storia della filosofia, vol. 15, n. 4, Ottobre-Dicembre 1960, pag. 406 e pagg. 404-412, passim
[3](…) che Dio è reale, ­– che è la cosa più reale e che è la cosa veramente reale, – ma anche, nel rispetto formale, che l’esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte realtà. Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l’errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e passeggera esistenza. Ma già anche per l’ordinario modo di pensare, un’esistenza accidentale non meriterà l’enfatico nome di reale: – l’accidentale è un’esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che è”. 

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