Il divieto di maternità surrogata ed il “best interest of child”

Il divieto di maternità surrogata ed il “best interest of child”

Premessa. Gli sviluppi della scienza ed i mutamenti sociali maturati nel tempo hanno determinato la nascita di nuove forme di genitorialità che affiancandosi a quella tradizionale – fondata sul rapporto biologico tra genitore e figlio, nato all’interno del matrimonio – hanno indotto tanto il legislatore quanto la giurisprudenza ad individuare una regolamentazione giuridica puntuale, idonea a tutelare il preminente interesse del minore ed a prevenire forme ingiustificate di discriminazione a danno di soggetti nati da coppie non sposate o da genitori dello stesso sesso.

Pur non potendosi in questa sede offrire una completa disamina di tutti gli interventi normativi che hanno caratterizzato la materia della filiazione e dell’istituto dell’adozione in Italia, giova porre l’accento sul settore concernente il riconoscimento dei figli nati all’estero da coppie omosessuali.

Il rinnovato interesse per l’argomento, suscitato dalla proposta di introdurre il reato “universale” di maternità surrogata, potrebbe, infatti, rappresentare il corretto stimolo per dare atto dei passaggi che hanno condotto all’attuale disciplina in materia, delle ragioni etico – sociali poste alla base della stessa, e da ultimo, delle criticità tutt’ora presenti.

Trascrizione dell’atto di nascita e delibazione delle sentenze straniere che riconoscono lo stato di figlio al nato all’estero tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita vietate in Italia. Il problema che normalmente si pone con riferimento alle nuove forme di genitorialità c.d. intenzionale – da contrapporsi a quella biologica – riguarda soprattutto il ricorso da parte di coppie omosessuali, sovente praticato negli Stati esteri che lo consentono, a tecniche di procreazione medicalmente assistita che l’ordinamento italiano vieta.

Tra queste, vengono in rilievo

– la fecondazione eterologa, consentita solo nei casi previsti dalla Legge 40/2004 tra cui non rientra l’accesso ad essa da parte di coppie di coppie omosessuali ove una delle due donne della coppia sarebbe la gestante,

– ed, appunto, la maternità surrogata, tramite la quale una donna porta avanti la gestazione “per altri” ed una volta nato il figlio, rinuncia alla maternità, affidandolo ai genitori intenzionali.

Differenti sono, peraltro, le conseguenze derivanti dalla violazione dei divieti su esposti:

– in caso di fecondazione eterologa praticata in Italia, l’ordinamento prevede l’erogazione di una sanzione amministrativa in capo alla coppia omosessuale che vi ha fatto ricorso;

– mentre, l’accesso alla maternità surrogata costituisce per l’ordinamento italiano una condotta penalmente rilevante incriminata all’art. 12, comma 6[1] della legge 40/2004.

Dal momento che siffatte tecniche sono ammesse in taluni Paesi esteri che riconoscono, pertanto, lo status di figlio a colui che nasce attraverso esse, occorre comprendere quali conseguenze si registrano sul piano nazionale allorquando i genitori intenzionali, recatisi all’estero ed elusi i divieti statali, facciano poi ritorno in Italia.

Ci si chiede cioè se l’atto di trascrizione della nascita o la sentenza che abbia riconosciuto lo stato di filiazione all’estero possa essere rispettivamente trascritto nei registri dello Stato civile italiano ovvero delibata da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, sì da consentire al minore di essere considerato anche nel nostro Stato quale figlio di entrambi i genitori della coppia omosessuale.

E ciò, non solo a livello sociale, ma anche e soprattutto sul piano giuridico.

Il criterio cui si è fatto riferimento per rispondere a detto quesito si fonda sull’accertamento della violazione dell’ordine pubblico ad opera delle tecniche su esposte: è necessario, invero, valutare se il riconoscimento dello stato di figlio in capo a colui che sia nato all’estero mediante procedure vietate in Italia sia lesivo – o meno – dei valori appartenenti all’ordine pubblico internazionale.

Il rimedio dell’adozione in casi particolari. Proprio su questo terreno la giurisprudenza nazionale ha da tempo osservato che i limiti imposti dal legislatore al ricorso alla fecondazione eterologa sono espressione di una scelta discrezionale dello stesso, ma non certamente di un valore primario di ordine pubblico.

Ciò in quanto la fecondazione eterologa non incide negativamente sulla dignità della donna, rappresentando, piuttosto, il risultato di una scelta condivisa di due donne (ricorrendo ad essa la coppia omosessuale composta da due donne) che intendono divenire genitori e che hanno intrapreso, insieme, un percorso in siffatta direzione.

Pertanto, la giurisprudenza si è ormai assestata nel senso che il genitore intenzionale – ossia colei che non ha portato avanti la gestazione all’estero – possa ottenere il riconoscimento dello status di “madre” anche in Italia.

Il figlio, quindi, sarà considerato a tutti gli effetti tale sia con riferimento alla madre biologica che ha condotto la gravidanza, sia con riferimento all’altra componente della coppia che ha condiviso con quella la volontà di divenire genitore[2].

Diversamente, la medesima giurisprudenza ha osservato come la trascrizione di un atto straniero o la delibazione di una sentenza che abbiano attribuito lo status di figlio a colui che è nato mediante maternità surrogata siano lesivi dell’ordine pubblico internazionale, ovunque il figlio nasca.

Del resto, come chiarito dalla sentenza, il divieto imposto in Italia al suo ricorso – configurando una fattispecie penale – rinviene la sua ratio proprio nella volontà di tutelare la dignità della donna ed a prevenire il pericolo che questa possa sottoporsi a forme di sfruttamento del proprio corpo per ragioni che non siano ispirate ad un puro ideale solidaristico, bensì a bisogni diversi – come quelli economici – da soddisfarsi accettando di “affittare il proprio utero” per conto di altri.

Ferma restando l’impossibilità – per tali ragioni – di addivenire in Italia alla trascrizione dell’atto di nascita del minore così nato, si è imposta ovviamente l’esigenza di tutelare il c.d. “best interest” di questi, quindi di disciplinare i rapporti all’interno della sua famiglia.

Ed a tal proposito, l’istituto cui si è fatto riferimento per colmare il vuoto di tutela che si era registrato attorno all’interesse di protezione del minore è la c.d. adozione “in casi particolari”, ex art. 44 lett. d) legge n. 194/1983.

Merita, peraltro, osservare che siffatto rimedio alternativo riguarderebbe nell’ottica della Corte la sola posizione del padre intenzionale, ossia di colui che non ha legami biologici con il bambino e che quindi non ha offerto il suo seme per la fecondazione dell’ovocita della donna.

Diversamente, l’altro padre – biologico – potrebbe considerarsi padre a tutti gli effetti: lo status di figlio del minore verrebbe quindi dichiarato solamente nei suoi confronti.

La sentenza monito della Corte Costituzionale n. 32/2021. Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità sono state oggetto di numerose critiche che hanno condotto all’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 32/2021.

In disparte la possibilità di rinvenire un differente trattamento giuridico tra coppie omosessuali composte da donne e quelle composte da uomini che esprimano l’eguale desiderio di divenire genitori, in quell’occasione la Corte ha chiarito che l’ordinamento giuridico debba garantire una piena tutela all’interesse del minore ad esser riconosciuto come figlio di entrambi i componenti della coppia che ne hanno voluto la nascita e che lo hanno poi accudito, esercitando di fatto la responsabilità genitoriale.

Il legame genitoriale del minore con la coppia (eterosessuale o omosessuale) che ne ha voluto la nascita e ne ha determinato il concepimento all’estero, prendendosi cura di lui quotidianamente, è parte integrante dell’identità del minore che cresce all’interno di una specifica, ed unica, comunità di affetti.

A nulla rileva il fatto che la medesima sia composta da persone dello stesso sesso, non incidendo l’orientamento sessuale sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale.

In quest’ottica, la Corte ha rilevato che la piena tutela del minore cui fa riferimento non può esser assicurata mediante l’operatività dell’adozione c.d. non legittimante, quella “in casi particolari:

– non solo l’adozione non legittimante non recide i rapporti con il genitore biologico – in tal caso la madre surrogata,

– ma richiede, altresì, affinché possa operare, il consenso del genitore biologico, con la conseguenza che laddove la coppia non dovesse andare più d’accordo ed il genitore che ha contribuito al concepimento del figlio all’estero dovesse negare all’altro di adottare il figlio nato mediante una tecnica di procreazione vietata in Italia, quest’ultimo nulla potrebbe pretendere dinnanzi all’autorità giudiziaria;

– peraltro, una soluzione di questo tipo sarebbe irragionevole dal momento che l’autore di un illecito ossia il genitore che ha dato il suo contributo biologico sarebbe comunque “premiato” tramite il riconoscimento dalla genitorialità nei confronti del nato (che assumerebbe solo nei suoi riguardi lo stato di suo figlio); mentre l’altro padre, colui che non ha contributo biologicamente, verrebbe “punito”, dovendo necessariamente ricorrere all’adozione in casi particolari.

Escluso, dunque, che l’adozione in casi particolari possa essere un procedimento “effettivo e celere”, la Corte ha invitato il Legislatore ad introdurre un istituto che si sostituisca a questa e che sia al contempo alternativo alla filiazione.

In tal senso, richiamando un orientamento dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo sul punto, la Corte chiarisce che assicurare piena tutela al minore non vuol dire dover riconoscere necessariamente provvedimenti stranieri che attribuiscano la doppia genitorialità, e dunque lo stato di figlio, nei casi assimilabili alla fattispecie esaminata.

Ciò nondimeno, l’esclusione di una simile soluzione non può incidere negativamente sugli interessi del minore, dovendo quindi il legislatore contemperare questi con la necessità di disincentivare pratiche di maternità surrogata, introducendo un procedimento alternativo alla filiazione, ma egualmente soddisfacente per la protezione del primo.

L’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite e l’attuale situazione. Il monito promosso dalla Corte Costituzionale non è stato accolto dal Legislatore, non essendo ancora operante nel nostro ordinamento una normativa compiutamente dettagliata che possa far fronte alle problematiche su esposte.

Proprio le difficoltà connesse all’individuazione di un istituto idoneo ad operare un opportuno bilanciamento tra la dignità della donna e l’interesse del minore sono alla base di una nuova ordinanza di remissione alle Sezioni Unite[3], affinché queste possano dirimere la questione concernente il riconoscimento dell’atto di nascita all’estero ed esprimersi circa “l’inadeguatezza” della disciplina dell’adozione in casi particolari a tutelare le pretese del genitore intenzionale e l’interesse del minore.

A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, ma in assenza di una compiuta disciplina legislativa sul punto, infatti, pare difficile comprendere come l’autorità giudiziaria, alla cui attenzione siano sottoposte, debba trattare le fattispecie in esame. Se, la giurisprudenza del 2019 aveva infatti concluso per l’operatività dell’adozione in casi particolari, come su esposto, la Corte Costituzionale non l’ha, tuttavia, ritenuta pienamente efficace.

In tal senso, l’ordinanza propone una soluzione che, in attesa di un intervento legislativo sul punto, possa dar luogo ad un nuovo diritto vivente fondato su un bilanciamento concreto – e non astratto – tra l’interesse del minore e la dignità della donna, entrambi valori assoluti ed irrinunciabili.

Occorrerebbe cioè valutare se le modalità con cui si è compiuta la maternità surrogata all’estero consentano di ritenere che il vulnus alla dignità della donna sia ragionevolmente e proporzionalmente sacrificabile – considerando che peraltro ormai c’è stato e non si tratta di prevenirlo ex ante ma di porvi un rimedio ex post – nell’ottica della preminente tutela del minore.

Sarebbe, quindi, fondamentale valutare l’assenza di condizionamenti nel consenso prestato dalla donna, il quale dovrà essere libero, consapevole e scevro da bisogni economici o da interessi di profitto; lo stesso, inoltre, dovrebbe potersi revocare in ogni momento; sarebbe, poi, necessario che sussista un rapporto biologico con almeno un componente della coppia omosessuale, sì da creare un legame che impedisca di guardare alla madre surrogata come mero strumento di intermediazione.

Laddove simili condizioni vengano soddisfatte, verrebbe meno il rischio di commercializzazione della donna e dunque la violazione con l’ordine pubblico internazionale, sicché, potrebbe riconoscersi in Italia piena validità all’atto che attribuisce al nato all’estero lo stato di figlio di entrambi i genitori della coppia (non essendo “efficace” l’adozione in casi particolari).

Conclusivamente, non può non osservarsi come l’apertura giurisprudenziale in materia – intesa a rinvenire un equo e proporzionato contemperamento tra i vari interessi in gioco – si ponga, quanto meno in prima battuta, in contrasto con l’ipotesi di introdurre un “reato universale”, ferma restando la necessità di attendere ulteriori sviluppi a riguardo anche con riferimento alla posizione che il legislatore vorrà assumere per assicurare il tanto evocato “best interest of child”.

 

 

 

 

 

 


[1]Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.
[2] Diversamente, laddove una coppia omosessuale dovesse ricorrere alla tecnica della fecondazione eterologa in Italia, essendo questa vietata – sebbene con una sanzione amministrativa -, alcun riconoscimento diretto dello “status filiationis” potrebbe operare, quanto meno con riguardo alla madre “intenzionale”.
Ciò nondimeno, dovendosi avere riguardo “al preminente interesse del minore” a crescere all’interno di una famiglia in cui entrambi i genitori siano titolari di diritti ed obblighi nei suoi confronti, le Sezioni Unite della Cassazione hanno, nel 2019, individuato nell’istituto dell’adozione “in casi particolari” – Art. 44, lett. d), l. n. 194 del 1983 – lo strumento cui l’ordinamento può ricorrere per affermare il rapporto di filiazione con il genitore intenzionale.
Contro esso, peraltro, per le medesime ragioni esposte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 32/2021, sono state mosse numerose critiche che hanno suscitato l’intervento della Corte anche in detta materia; cfr. sul punto sentenza n. 31/2021.
[3] cfr. ordinanza di remissione, Prima Sezione Civile della Cassazione, n. 1842/2022.

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