Il divieto di refoulement nella giurisprudenza amministrativa

Il divieto di refoulement nella giurisprudenza amministrativa

Il principio di non-refoulement sancito nell’art 33 della Convenzione di Ginevra prima e poi trasposto nel regolamento di Dublino (Reg. UE 604/2013) prevede l’impossibilità di trasferimento o altra misura ad esso equiparato del richiedente asilo o immigrato, anche irregolare, laddove da tale misura possa derivargli un grave danno alla incolumità o altro diritto fondamentale.

Il non-refoulement è oggi un mezzo di tutela per il richiedente asilo che trova pieno riconoscimento nel diritto eurounitario ed interno.

Sui confini giuridici di tale divieto si osserva un’attenzione particolare da parte della giustizia amministrativa, la quale è intervenuta recentemente a tracciarne le coordinate applicative. Si segnala, in particolare, la sentenza del C.d.S. n. 5085 del 2017, con la quale il supremo organo della giustizia amministrativa ha ritenuto non legittimo il trasferimento di un richiedente asilo in Bulgaria, in quanto fortemente pregiudizievole.

I giudici amministrativi non hanno ritenuti fondati i motivi alla base del provvedimento emesso dalla Direzione Centrale dei servizi civili; tale provvedimento, infatti, era stato adottato sulla scorta di una valutazione fallace.

L’autorità ministeriale ha ritenuto che vi fossero sufficienti e presumibili condizioni di garanzia dei diritti umani. Di tutt’altro avviso è stato, invece, il Consiglio di Stato secondo cui il procedimento di espulsione cosi come quello di trasferimento deve essere condotto dalle autorità competenti sulla scorta di un’attività seria e precisa che assicuri l’effettività delle condizioni di accoglienza. Non basta, infatti, che vi siano presunzioni sull’osservanza degli obblighi internazionali ed europei per il trasferimento in un Paese.

Per maggiori approfondimenti sul tema e sulla sentenza del C.d.S. n. 5085/2017:

Richiedenti asilo in Bulgaria, Consiglio di Stato: c’è il rischio di trattamenti disumani

 


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