In breve, l’evoluzione giurisprudenziale dell’assegno di divorzio

In breve, l’evoluzione giurisprudenziale dell’assegno di divorzio

Da anni pietra miliare dell’istituto del matrimonio era l’indissolubilità del vincolo coniugale.  Tuttavia, tale criterio venne meno con l’introduzione del divorzio, disposto con legge n.898/1970, cambiando radicalmente la tradizione millenaria ispirata all’idea cattolica del matrimonio.(BIANCA)

Il divorzio è una causa di scioglimento del matrimonio ed è ammissibile soltanto qualora il Giudice, esperito il tentativo di conciliazione dei coniugi, “accerta che la comunione spirituale e materiale dei coniugi non può essere mantenuta o ricostruita”. (Art.1. legge n.898/1970) Pertanto, causa essenziale del divorzio è la disgregazione definitiva del c.d. “affectio maritalis” tra i coniugi. Tra gli effetti prodotti dalla sentenza di divorzio vi è l’obbligo disposto dal Tribunale per uno dei due coniugi di corrispondere un assegno periodico all’altro, obbligo sancito dall’articolo 5, sesto comma, della Legge n. 898/1970. In tal caso, il Giudice procederà ad una valutazione tenendo conto dei criteri contemplati dalla norma e rapportati alla durata del matrimonio.

Cercando di ricostruire l’iter giurisprudenziale del credito in oggetto, per anni il criterio guida  che ispirò l’interpretazione dell’articolo 5 della menzionata legge, fu quello di attribuire all’avente diritto un assegno divorzile periodico tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello sostenuto in concomitanza del matrimonio. Tale linea interpretativa è stata poi successivamente superata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11504 del 2017 che confermò l’orientamento opposto negando il riconoscimento dell’assegno divorzile al richiedente che fosse economicamente autosufficiente. Nel merito, la Corte Costituzionale fornì una lettura costituzionalmente orientata stabilendo che l’assegno di divorzio serba in sé una complessa funzione ed è riferibile al coniuge che si trovi “incolpevolmente in stato di bisogno e nell’impossibilità di svolgere attività lavorativa.”(Cfr.Corte Cost.sent.n.1041/1988) Pertanto, il credito in questione, secondo un’interpretazione estensiva, dev’essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa secondo i criteri indicati all’art. 5, sesto comma, della legge n.898/1970.

L’acceso dibattito sorto tra i due contrapposti orientamenti culminò con l’ intervento a Sezioni Unite con la sentenza n. 18287 dell’11 Luglio del 2018, introducendo una linea interpretativa “ex novo” comportando una rottura rispetto al passato attribuendo all’assegno di divorzio una funzione riequilibratrice del reddito degli ex coniugi, poiché non più finalizzato alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.(Cfr.Cass.Civ.Sez.U.sent.n.18287/2018; Cass.Civ.sent.n.17098/2019)  Inoltre, per comprendere il significato dell’intervento a Sezioni Unite che ha ricostruito la disciplina dell’assegno di divorzio sopra riportata, occorre ricordare, per chiarezza espositiva, che per quasi trent’anni la giurisprudenza ha seguito l’orientamento introdotto con la nota decisione della Cassazione a Sezioni Unite del 1990 sentenza n.11490, secondo la quale l’assegno di divorzio ha natura assistenziale affinché il richiedente non disponga di mezzi autosufficienti a mantenere il tenore di vita goduto durante la vita coniugale. Tale orientamento ha spesso determinato vere e proprie rendite vitalizie a favore dell’ex coniuge, comportando gravi difficoltà economiche a carico dell’obbligato.

Successivamente, il mutamento del concetto di famiglia e del matrimonio ha messo in luce l’inadeguatezza del risalente orientamento, comportando l’intervento a Sezione Unite della Corte di Cassazione. A seguito di tale intervento fu introdotto il nuovo indirizzo basato sul “principio dell’autosufficienza economica del richiedente”, assicurando all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito come ut supra descritto.


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