L’emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’eccezione della mancanza della sede operativa non è sufficiente ai fini della contestazione per indebita detrazione

L’emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’eccezione della mancanza della sede operativa non è sufficiente ai fini della contestazione per indebita detrazione

Nota a Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 16 febbraio 2022, n. 5059

di Andrea Jonathan Pagano, ricercatore universitario; Simone Giugni, avvocato; Mariangela Salvante, dottoressa commercialista; Jessica Dal Canto, dottoressa commercialista; Claudio Lodovichi, dottore commercialista e Caterina Calderone, consulente del lavoro
Sommario: 1. Massima – 2. Il caso – 3. La questione e le soluzioni giuridiche – 4. Conclusioni

1. L’assenza di una specifica sede operativa sul territorio italiano, di per sé, non sostanzia un elemento indipendente e bastevole atto a dimostrare che il cessionario fosse effettivamente a conoscenza della ratio evasiva e fraudolenta del soggetto cedente, risultando, invece, necessario che l’Amministrazione finanziaria provi la connotazione soggettiva di consapevolezza e, dunque, la sussistenza della malafede del contribuente nel porre in essere l’operazione commerciale, al fine di ovviare – in assenza della deduzione in giudizio de qua – alla conseguenza della naturale illegittimità dell’avviso di accertamento contestante l’indebita detrazione ai fini Iva di cui all’utilizzo di fatture inesistenti da un punto di vista soggettivo.

2. Il caso trae origine da un accertamento effettuato dalle Fiamme Gialle della provincia di Messina, a seguito del quale, l’Amministrazione Finanziaria procedeva alla contestazione contro il contribuente della totale indeducibilità di talune fatture – parimenti ai fini dell’iva che delle imposte dirette – ritenendo i suddetti documenti fiscali soggettivamente inesistenti, ponendo a fondamento la circostanza – l’unica, a dire il vero – che il cedente non avesse “mai avuto una sede operativa adeguata allo svolgimento dell’attività asseritamente svolta”.

Il contribuente proponeva rituale gravame dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale decideva con sentenza nel senso di accoglierne integralmente.

L’Agenzia delle Entrate appellava la sentenza ricorrendo ritualmente in Commissione tributaria regionale che, però, emetteva provvedimento confermativo rispetto alla pronuncia di primo grado sul presupposto che le risultanze istruttorie – medio tempore occorse – avessero confermato la congruità e la effettività delle operazioni commerciali di cui alle fatture di acquisto “incriminate” del contribuente.

L’Amministrazione Finanziaria ricorreva, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dunque alla Suprema Corte, ravvisando la violazione e susseguente falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 19 e 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, nonché 2697 c.c., dolendosi che fosse stato non correttamente ritenuto dal giudice di secondo grado – e di conseguenza anche da quello di prime cure – che le documentate operazioni di cui alle fatture emesse dal terzo fornitore sottendessero a transazioni reali e non fittizie [1].

3. La questione preliminare sottende alla fattispecie di una qualche effettiva esistenza di una fattura conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 del d.P.R. n. 633/1972, talché faccia presumere la veridicità di quanto ivi rappresentato e descritto, onde far sorgere, in capo al contribuente, il diritto alla detrazione dell’Iva.

Sul piano normativo sovranazionale, l’art. 168, lett. a, di cui alla Direttiva comunitaria 2006/112 prescrive che la mera regolarità formale del documento fiscale, pur astrattamente idonea ai fini, non sia bastevole, per il contribuente, per beneficiare della detrazione, sussistendo, invece, la congiunta necessità che la transazione abbia, in primo luogo, come parte acquirente un soggetto passivo ai fini iva [2], in secondo luogo, che gli assets o servizi quali mezzi a base di tale diritto siano utilizzati dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta ed, infine che quanto sia fornito provenga da un altro soggetto passivo [a].

Gli Ermellini, ricevuto il ricorso, procedevano con provvedimento di rigetto, confermando, tra le altre, integralmente la sentenza impugnata.

Dall’angolo visuale della Suprema Corte, sembra pacifico che, nell’alveo della normativa IVA, l’Amministrazione Finanziaria, abbia il precipuo onere – allorquando operi una contestazione sulla inesistenza soggettiva [3] della operazione sottesa alla fattura de qua – di dimostrare (in senso conforme Cass. civ., Sez. V, 20/04/2018, n. 9851), non già il mero carattere fittizio del fornitore da un punto di vista oggettivo oggettiva, bensì anche l’elemento soggettivo di cui al contribuente talché quest’ultimo, utilizzando i dettami civilistici dell’ordinaria diligenza professionale, avesse contezza, fattualmente o finanche potenzialmente, della sostanziale inesistenza della controparte contrattuale (in senso conforme Cass. civ., Sez. V, 02/12/2015, n. 24490).

Da tale principio, dunque, ne deriva che l’Amministrazione Finanziaria sia onerata, pur finanche in base a mere presunzioni [b], che il contribuente, al tempo della transazione, fosse nelle condizioni soggettive [4] ed oggettive idonee (in senso conforme Cass. civ., Sez. Unite, Sentenza, 12/09/2017, n. 21105) a ritenere come inesistente la controparte venditrice o, finanche, la di questi voluntas di evadere l’imposta [5].

Sul piano squisitamente processuale, allorquando l’Amministrazione Finanziaria provi correttamente quanto asseritamente contestato, il contribuente sarà obbligato, a sua volta, a dimostrare di avere adottato, nei limiti della diligenza professionale [6] astrattamente, la massima accortezza nel verificare l’esistenza soggettiva e fattuale della controparte nonché la provenienza dei beni e servizi acquistati.

Alla luce del provvedimento, gli Ermellini, dunque confermavano l’angolo visuale di entrambi i giudici di merito, statuendo, de facto, l’estraneità del ricorrente originario a qualsivoglia coinvolgimento nelle operazioni soggettivamente inesistenti, soppesando l’irrilevanza presuntiva degli elementi di prova dedotti dall’Amministrazione Finanziaria nell’ambito dell’accertamento. Ai fini, la oggettiva non sussistenza di una sede operativa idonea alla conduzione dell’attività commerciale, assurta ad unico elemento probatorio, così come circostanziata in sede di accertamento, non appare idonea a presumere oltre ogni ragionevole dubbio l’elemento soggettivo nonché la conoscibilità, per il contribuente cessionario, della fittizietà celata nell’alveo dell’operazione commerciale sottesa alla fattura [7].

4. La Suprema Corte, dunque, afferma e ribadisce, con la pronuncia in commento, un principium iuris col quale si statuisce che, in materia di Imposta sul Valore Aggiunto, l’Amministrazione finanziaria abbia l’(arduo) onere di dimostrare – allorquando sia contestata la inesistenza soggettiva delle operazioni sottese alla fatturazione de qua – non solo l’oggettiva inesistenza del cedente, bensì, altresì la forma mentis di consapevolezza – o conoscibilità – talché si evinca la malafede del cessionario nell’effettuare l’operazione commerciale.

Quest’ultimo profilo aggrava particolarmente l’onere dell’ente, in quanto appare estremamente chiaro che sia quantomeno complesso dimostrare – non più giusti elementi puramente indiziari o presuntivi bensì, invece, sulla base di effettivi elementi oggettivi e specifici – che il contribuente abbia l’effettiva conoscenza e consapevolezza del consilium fraudis e della scientia damni di cui alla operazione posta in essere (anche) dal cedente.

[a] A mente della normativa suesposta, pare dunque, prospettare le seguenti situazioni: I) le transazioni commerciali non sono, in tutto o in parte, mai state effettuate, tali da risultare oggettivamente inesistenti talché la corrispondente fattura sia mera espressione cartolare di eventi non avvenuti; II) le operazioni commerciali che sottendono al documento fiscale sono state rese al cliente, che le ha effettivamente ricevute, ma da altro soggetto rispetto a quello che ha fittiziamente effettuato la cessione o la prestazione declinata nella fattura, sostanziando, dunque una operazione soggettivamente inesistente.

[b] L’Agenzia delle Entrate è legittimata ad assolvere l’onere probatorio, anche mediante semplici presunzioni ovvero l’utilizzo di elementi indiziari, ai sensi e per gli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972 in materia di Imposta sul Valore Aggiunto.

 

 

 

 

 


[1] M. Greggi, La tutela cautelare nel diritto processuale tributario italiano. 2018.
[2] C. Leda Rita, “Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: un ‘circolo delle quinte’ tra prova, controprova e onere di contestazione argomentata,” 2009.
[3] N. Menardo, “Sul concorso nell’emissione di fatture inesistenti,” Giurisprud. Ital., pp. 5–6, 2012.
[4] P. Conci, “Sulle implicazioni della soggettività passiva delle SICAV in materia di imposta sul valore aggiunto (nota a Corte di giustizia Ce, sez. III, causa n. C-8/03/2004),” Riv. di Dirit. Tribut., vol. 5, 2005.
[5] S. Dorigo, “Il concorso tra emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti nella giurisprudenza recente: punti fermi e questioni controverse,” 2015.
[6] G. Campobasso, “Diritto commerciale. Vol. 3.” 2015.
[7] F. Tesauro, Istituzioni di Diritto Tributario. 2017.

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Andrea Jonathan Pagano

Corporate Lawyer at Sime s.r.l.
M.D. Law at University of Pisa 2010-2015;Ph.D. Law at Turiba University 2017-2018;Lecturer Private International Law at Turiba University 2017;Ph.D. Management Engineering (Insurance Law) at Riga Technical University 2018 - in progress;Lecturer Smart Insurance Contract at Riga Technical University 2018;Visiting Fellow Insurance risk management at University of Pisa 2020 - 2022;Adjunct Professor “Insurance risk: evaluation and management” Master in Risk Management at University of Pisa 2022 - in progress

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