Licenziamento a seguito di tardiva contestazione disciplinare. La parola alle Sezioni Unite

Licenziamento a seguito di tardiva contestazione disciplinare. La parola alle Sezioni Unite

Applicazione della tutela reale  o della tutela obbligatoria?

Cass. ord. n. 10159 del 21. 04. 2017.

Il caso di specie ha avuto ad oggetto il licenziamento di un dipendente del settore bancario ( qualifica professionale quadro direttivo ) a seguito di tardiva contestazione disciplinare. Nello specifico, il dipendente ha ricevuto una lettera di contestazione nel giugno 2012 per fatti occorsi ed addebitati allo stesso  relativi all’anno 2010. I due gradi di giudizio hanno riconosciuto l’illegittimità del provvedimento espulsivo in quanto fondato palesemente sulla violazione del principio di immediatezza della contestazione di addebito, ma i giudici hanno fornito una diversa interpretazione delle   tutele da adottare . E’ opportuno qui  brevemente richiamare in via generale alcuni aspetti del licenziamento disciplinare per ben comprendere l’importanza della suindicata ordinanza, anche da un punto di vista applicativo delle diverse tutele .

Il licenziamento disciplinare si fonda su una condotta imputabile al lavoratore  a titolo di colpa in senso generico, e quindi ascrivibile  alla categoria del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e giusta causa (Cass. 88/1377).

Sono applicabili a tal provvedimento non solo le regole procedimentali stabilite a garanzia del contradditorio dai primi tre commi dell’art. 7 L. 300/70, ma anche dal successivo  5° co. per  cui non può essere intimato, obbligatoriamente in forma scritta,  al lavoratore,  prima che siano trascorsi cinque giorni dalla data del fatto  che è stato motivo di contestazione, salva la facoltà del datore di lavoro di adottare tal provvedimento non appena gli siano pervenute le giustificazioni dello stesso lavoratore incolpato, anche se il termine medesimo non sia  ancora definitivamente decorso ( S.u. 94/3965).

Requisito fondamentale  è l’immediatezza della contestazione dei fatti da addebitare ;nel valutare detto elemento occorre tener conto dei contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare un procedimento senza aver acquisito i dati essenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole lasso di tempo dalla loro commissione( Cass. 07/1101).

L’immediatezza , che si ricorda configurarsi quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, deve essere intesa in senso relativo, dovendosi obbligatoriamente tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente all’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più complessa è l’organizzazione dell’impresa ( Cass. 16/1248).

Sempre in tema di tempestività della contestazione, occorre rilevare che il datore ha il potere , ma non l’obbligo, di controllare continuamente i propri dipendenti, contestando loro qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un siffatto obbligo, non desumibile neppure dai principi di cui all’art. 1175 e 1375 c.c., negherebbe ab origine l’elemento fiduciario del rapporto di lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi della violazione ove avesse continuamente controllato il lavoratore, bensì avuto riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza ( Cass. 16/10069).

Rese queste brevi premesse, nel nostro caso si è avuta in fase decisionale una prima interpretazione da parte dei giudici secondo cui, un fatto oggetto di procedura disciplinare contestato tardivamente, riconosciuto  dunque come non sussistente e allo stesso modo non causa di risoluzione immediata del rapporto di lavoro, farebbe ricadere il lavoratore nell’alveo della tutela prevista dall’art. 18, co. 4 L. 300/1970 così modificato dalla legge Fornero ( L. 92/2012), ossia della reintegrazione nel luogo di lavoro.

Diversamente, si è ritenuto la tardività della contestazione del fatto non come insussistenza dello stesso, ma bensì come violazione dell ’art. 7. L .300/70 e  dunque, dato il contenuto dell’art. 18, 6 co. L. 300/70, riconducibile  ad una tutela obbligatoria, ossia di natura risarcitoria ma risolutiva del rapporto di lavoro.La ricostruzione del procedimento da parte della Suprema Corte ha portato la stessa a dover decidere sulla scorta dei  due diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità attualmente previsti; un primo ( cfr. Cass. 23669/2014) che ritiene il ritardo della contestazione una violazione procedurale e, come tale, contenuta nell’alveo della tutela obbligatoria e comprensiva della risoluzione del rapporto di lavoro; l’altro, più recente (cfr. Cass. 2513/2017) che vede  nella tardività della contestazione l’insussistenza del fatto e, dunque, la previsione della tutela reintegratoria del lavoratore.

In riferimento a ciò la Suprema Corte ha rimesso al Primo Presidente la questione affinché, assegnata alle Sezioni Unite,  queste dirimano il contrasto giurisprudenziale in essere. Questione, peraltro, di non poco conto, poiché si ricorda che anche per i lavoratori assunti dopo l’introduzione del contratto a tutele crescenti previsto dal jobs act ( d.lgs. 23/2015), la reintegrazione  è ancora prevista in caso di “fatto insussistente”, ampliando così notevolmente la platea dei possibili beneficiari di tale  tutela.


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