Procacciatori d’affari: hanno diritto alla provvigione?

Procacciatori d’affari: hanno diritto alla provvigione?

Cass. Civ., Sez. III, n. 22871 del 10 novembre 2015

a cura di Paolo Ferone 

Il diritto del procacciatore d’affari nel vedersi riconoscere la provvigione deve essere chiarito dalle Sezioni Unite poiché sul tema sussistono orientamenti tra loro discordanti.

Fatto

La ricorrente contestava la decisione presa dalla Corte d’Appello di Venezia la quale stabiliva che la mancata iscrizione all’albo dei mediatori professionali era condizione essenziale per far sorgere il diritto alla provvigione in capo al soggetto inquadrato quale procacciatore d’affari (c.d. mediatore atipico). Sul punto la parte proponeva ricorso per Cassazione.

Diritto

In primis la Corte ha ritenuto infondato il primo motivo proposto dalla ricorrente secondo cui la nuova formulazione dell’art 360 1° comma n. 5 cpc (che limita la censurabilità della motivazione solo quando si assiste ad un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti), sia applicabile al caso di specie, poiché la mancata condivisione della tesi sostenuta dalla Corte di merito da parte della ricorrente non può rientrare nello schema del nuovo vizio di motivazione. Con il secondo motivo sollevato, la ricorrente ha contestato che la norma che rendeva nulla la pattuizione di una provvigione se il soggetto che si poneva come mediatore non fosse inscritto nell’elenco previsto all’art. 2 della legge n. 39/1989, si possa applicare anche ai procacciatori d’affari, considerando che questi essendo stretti da un rapporto di mandato con il cliente, non si porrebbero in una situazione di terzietà tra i soggetti intermediati e dunque, non vi sarebbe ragione di estendere agli stessi le stesse sanzioni o precetti normativi.

Sussiste il diritto del procacciatore d’affari a vedersi riconoscere la provvigione?

A questa domanda afferiscono due orientamenti della Corte di Cassazione tra loro divergenti:

  • un primo orientamento sostiene che la disciplina prevista dall’art 39/1989 (e recentemente ricavabile dal D.lgs n. 59 del 2010 – Decreto Bersani bis-) non possa ritenersi applicabile alla mediazione atipica (procacciatore d’affari), poiché sussiste tra le due figure una differenza rinvenibile nella posizione di terzietà che assume il mediatore cd tipico ed il procacciatore (Vedi Cass. 7332/2009);
  • un secondo orientamento afferma che pur essendoci delle differenze legate alla terzietà o meno delle due figure, sussisterebbe comunque un nucleo comune, rappresentato nella interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto tra di loro affinché si concluda l’affare (ex multis Cass. 16147/2010, Cass. 762/2014);

In definitiva ad avviso del Collegio i due orientamenti hanno entrambi un fondo di validità, in quanto uno tende a preservare l’interpretazione del dato normativo, finalizzato comunque a non lasciar senza compenso un’attività comunque svolta; dall’altro il più recente indirizzo tende ad attrarre nel nucleo della mediazione anche figure non propriamente simili, ciò soprattutto per contrastare l’abusivismo da parte di soggetti né moralmente né professionalmente idonei. Tra gli interessi presi in considerazione occorre in primo luogo considerare che il diritto ad ottenere il compenso per il lavoro svolto, è stato affermato in sede Comunitaria rispetto al principio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi (direttiva del Consiglio CEE n. 83/653/1986). In secondo luogo, occorre tener presente, il progressivo stabilizzarsi di un indirizzo che nega, al mediatore non iscritto nei ruoli, l’azione di ingiustificato arricchimento, sulla base della ritenuta natura sanzionatoria della previsione prevista all’art 8 della legge 39/1989 (Cass. 10205/2011) . La stessa sezione per dirimere la fruizione sussistente sul tema ha sollecitato un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

 

 


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