Quadro normativo sullo Stress Lavoro Correlato

Quadro normativo sullo Stress Lavoro Correlato

Il datore di lavoro, nella qualità di soggetto titolare del rapporto di lavoro, è obbligato, sin dal 1942, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ad “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e l personalità morale dei prestatori di lavoro”.

La dottrina ha configurato quest’obbligo, anche in virtù della particolare formulazione della norma, in termini di dinamicità e onnicomprensività[1]: al datore di lavoro, spetta, cioè, il compito di individuare, di volta in volta ed in relazione alle particolari caratteristiche della prestazione lavorativa, tutte le misure di prevenzione e protezione che nel corso del tempo si rendano necessarie al fine di garantire la tutela della salute dei propri lavoratori.

Come è noto, la disposizione codicistica ha, nel corso del tempo, ricoperto il ruolo di essenziale di norma di chiusura del sistema prevenzionistico e antinfortunistico italiano caratterizzato, soprattutto negli anni ’50, da una miriade di norme tecniche che imponevano comportamenti specifici senza tuttavia delineare un quadro d’insieme e che, per quanto specifiche e puntuali, di certo non erano in grado di individuare e prevenire tutti i possibili rischi.[2]

L’art. 2087 c.c. si configura, pertanto, come una norma aperta e di carattere generale, e si risolve in un “intervento costante sul complesso dei beni organizzati”[3] aziendali da parte dell’imprenditore al fine di perseguire gli scopi della norma.

Esso costituisce, altresì, il vero e proprio presupposto delle “misure generali di tutela”; queste misure rappresentano una sorta di compendio dei principi generali cui l’intervento legislativo intende ispirarsi e, sostanzialmente, esplicitano e specificano il disposto del medesimo art. 2087 c.c.

Gli obblighi di condotta attiva imposti al datore di lavoro, sono rimessi a due principi: adeguatezza ed effettività[4].

Inoltre tale disposizione è anche un efficace strumento di integrazione e adeguamento della normativa, soprattutto rispetto all’articolo 2049[5] c.c., dato che proprio in tale materia essa è assai mutevole, dovendosi adeguare al progresso tecnologico delle imprese.

Altra norma di riferimento è l’articolo 2086[6] c.c., che è la fonte di un articolato sistema di limiti al potere datoriale nell’organizzazione libera dell’impresa: libertà che per il codice civile non è assoluta.

Per un’analisi degli obblighi desumibili dall’art. 2087 c.c., occorre considerare anche i dettami costituzionali, quali gli articoli 35, 32[7] e 41[8], che trovano applicazione rispetto alla disposizione del codice civile, facendolo quindi divenire un obbligo di carattere generale, che esige da parte del datore di lavoro, un positivo apprezzamento dei mezzi idonei ai fini dell’applicazione della sicurezza[9].

A livello internazionale, nel 1948 l’Organizzazione mondiale della Salute (OMS), definisce la salute come stato di benessere fisico, psichico e sociale e le Convezioni ILO C155 e C161[10], rispettivamente del 1981 e del 1985, parlano di salute mentale, a livello europeo, al di là di isolate manifestazione di interesse in Spagna e in Danimarca, solo nel 1996 viene preso in considerazione il tema dello stress legato al lavoro. La politica comunitaria attribuisce assoluta rilevanza alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, assicurando un elevato livello di prevenzione di rischi attraverso molteplici strumenti.

In Italia, nel frattempo, il recepimento delle Direttive europee conduce al battesimo del D.Lgs. n. 626/1994: il tecnicismo del precedente corpus normativo è così superato e si viene a creare un sistema di prevenzione attivo e partecipato da una pluralità di soggetti con precisi ruoli, compiti e responsabilità, incentrato sulla valutazione dei rischi, tutti i rischi per la salute e la sicurezza, presenti nel luogo di lavoro. Quindi la costante direzione è stata quella di offrire un assetto garantista, che prevede una serie di incentivi volti a rendere effettivo l’esercizio del diritto al lavoro, cosi come inteso dall’artico 4 della Costituzione italiana[11].

Il D.lgs. n. 626/1994, in particolare, ha costituito nel nostro ordinamento il primo complesso organico di norme in materia di sicurezza sul lavoro, emanato al fine di recepire i nuovi indirizzi della Comunità europea con i quali veniva inaugurata una nuova stagione normativa volta a garantire maggiori livelli di sicurezza in un mondo del lavoro ancora caratterizzato da un enorme numero di infortuni[12]. In realtà, non si limita ad una semplice specificazione dell’obbligo di sicurezza già contenuto nell’art. 2087 c.c. ma innova profondamente le sue modalità di attuazione introducendo tre nuovi strumenti: la “programmazione” della sicurezza, la “procedimentalizzazione” dei relativi obblighi e la “partecipazione” dei lavoratori[13]. Elabora, inoltre, una lunga e dettagliata elencazione di principi cardine che il datore di lavoro è tenuto ad attuare  nella gestione della sicurezza nonché delle misure principali volte a realizzare quell’obiettivo. Si tratta di un approccio completamente nuovo, resosi necessario anche per i profondi mutamenti che in quegli anni caratterizzavano il mondo del lavoro, in termini di innovazioni tecnologiche nuove tipologie contrattuali e concorrenza sempre più esasperata[14].

Il documento di valutazione dei rischi costituisce una delle novità più significative introdotte dal d.lgs. 626/1994, il vero e proprio adempimento cardine attorno al quale ruota, in sostanza, tutto il nuovo sistema prevenzionale.

La riforma del 1994 prevede, infatti, per la prima volta, un preciso obbligo per il datore di lavoro di procedere all’individuazione di tutti i rischi collegati all’attività lavorativa, quale presupposto e punto di partenza dell’intero sistema di prevenzione da attuare in azienda.

Il principio base è quello della piena responsabilizzazione del datore di lavoro[15].

La legge è incentrata essenzialmente sull’obbligo del datore di lavoro di portare a conoscenza dei propri dipendenti i rischi connessi alla prestazione lavorativa: “informare per prevenire e quindi ridurre al minimo i rischi”. Infatti il datore di lavoro deve “permettere la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti in tute le questioni che riguardano la sicurezza e la protezione della salute durante il lavoro[16].

Il recepimento della normativa comunitaria all’interno del d.lgs. n. 626/1994 ha comportato, dunque, il passaggio dalla vecchia logica prevenzionistica che riversava sull’impresa un numero elevatissimo di prescrizioni astratte, ad un nuovo modello di sicurezza fondato sull’elaborazione interna all’azienda delle norme prevenzionistiche, trasformando così il datore di lavoro da semplice destinatario delle prescrizioni a vero e proprio fautore delle medesime[17].

L’art. 5 del D.lgs. n. 626/1994 afferma che il lavoratore “deve prendersi cura di sè e delle altre persone su ci possono cadere gli effetti delle sue azioni od omissioni”, conferendogli un ruolo attivo in merito alla sicurezza e sviluppando il concetto di autotutela[18].

Ma nello stesso tempo il decreto istituzionalista una figura di rappresentante dei lavoratori in merito alla sicurezza (RLS) considerando come “cardine della nuova politica di prevenzione”. Infatti ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. 626/1994, il RSL deve essere consultato, preventivamente e tempestivamente, in occasione di tutte le decisioni organizzative che involgono questioni prevenzionistiche[19].

Per permettere al lavoratore di avere un ruolo attivo in ambito di sicurezza, è necessario avviare un processo di formazione ed informazione sui rischi a cui potrebbe andare incontro, ma anche sulle tecniche prevenzionistiche, come previsto dagli artt. 21 e 22 del D.lgs. n. 626/1994[20]. La formazione sui rischi e sulla sicurezza, non deve esclusivamente basarsi su fonti teoriche, ma deve essere integrata da fasi pratiche, in modo che il dipendente sia pronto nella prevenzione del rischio o ad affrontarlo con comportamenti idonei.

L’art. 4 del D.lgs. n. 626/1994, sottolinea un punto innovativo a riguardo della tecnica di organizzazione prevenzionistica: la valutazione del rischio[21].

Il concetto di rischio psicosociale è entrato nel nostro sistema legislativo per il tramite dell’art. 2 comma 4, del D.Lgs. n. 195/2003, nel quale si afferma che “ per le svolgimento della funzione di responsabile del servizio prevenzione e protezione è necessario possedere un attestato di frequenza, con verifica dell’apprendimento, a specifici corsi di formazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e psico-sociale”[22].

Ulteriore impulso è pervenuto dall’Inail che, con la circolare del 17 dicembre 2003, n. 71, poi annullata dal TAR del Lazio[23] , ha tentato di far rientrare nelle patologie risarcibili le malattie di origine psicosociale a causa di lavoro.

Per definire i rischi collegati allo stress lavorativo, il legislatore ha guardato all’Europa richiamando espressamente l’accordo europeo sullo stress da lavoro dell’8 ottobre 2004 che non contempla la violenza sul lavoro, la sopraffazione, lo stress post-traumatico. Oggetto dell’intervento legislativo è, quindi, lo stress lavorativo il quale può essere definito un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alla capacità, risorse o esigenze del lavoratore[24].

Se con l’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008[25], il concetto di rischio da “stress lavoro correlato” compare per la prima volta, in Italia, seppure solo a livello contrattuale, quasi contestualmente, esso viene espressamente consacrato in via legislativa dal D.lgs. n. 81/2008. Tale decreto rende più esplicito l’obbligo di valutare lo stress-lavoro correlato, in conformità al D.lgs. n. 626/1994, ma con qualche innovazione a quest’ultimo.

Una prima evoluzione rispetto al precedente decreto si trova nell’art.2 comma 1 lett. a) in merito ad una nuova definizione di “lavoratore”[26].

Questa nuova definizione permette rispetto alla precedente, di comprendere nell’area antinfortunistica anche lavoratori che non rientrano nel tradizionale concetto di subordinati. Questo ha permesso una maggiore consapevolezza del fatto che la tutela antinfortunistica non può riguardare solo il dipendente subordinato, in quando essendo oggi il mondo del lavoro caratterizzato da variate flessibilità contrattuali, non si può far riferimento  al contratto di lavoro in materia antinfortunistica ma piuttosto bisogna guardare all’attività lavorativa in sé.

L’art. 3 comma 4 del d.lgs. N. 81/2008 afferma che tale decreto “si applica a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati ed autonomi, fermo restando quanto previsto nei commi successivi”. La tutela prevenzionistica si applica a tute el categorie di lavoratori, tranne qualche eccezione, in quanto lo scopo di tale normativa è l’integrità psicofisica della persona che svolge un’attività lavorativa, compresi quindi anche i lavoratori autonomi.

Il bisogno di avviare una cultura prevenzionistica antinfortunistica viene esplicata anche dall’art. 8 del decreto in questione, con la formazione di un sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP)[27].

Un altro punto innovativo del d.lgs. N. 81/2008 di particolare importanza, riguarda la definizione di “salute”: stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità[28]. Questa nuova definizione permette di acquisire la consapevolezza che in un ottica preventiva, la sicurezza sul lavoro non può essere ricondotta a un’alterazione fisica-biologica come l’insorgere di patologie o lesioni, ma riguarda la piena integrità psico-fisica nel contesto lavorativo, focalizzando anche tutte le problematiche psicosociali, dando anche maggiore attenzione all’ergonomia. A riguardo i generici rischi di natura psicosociale sono sostituiti dalla nozione di stress lavoro-correlato.

Le innovazioni apportate dal d.lgs. n. 81/2008, riguardano anche la valutazione dei rischi sanciti dall’art.28[29] secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e dalle modalità di effettuazione della valutazione dei rischi sanciti dall’art. 29[30]. Il primo articolo in questione mira a far puntare l’attenzione dei datori, dei lavoratori ed dei loro rappresentanti, sullo stress da lavoro e ad indicare loro “alcuni dei segnali che possono indicare problemi relativi allo stress da lavoro”.

Inoltre hanno l’obbligo di intervenire, eliminare, ridurre i problemi di stress da lavoro e adottare provvedimenti antistress. I datori di lavoro devono monitorare: l’organizzazione del lavoro e i suoi processi; le condizioni lavorative ed ambientali; la comunicazione; i fattori soggettivi, e a tutti quei rischi immateriali dei lavoratori ricollegabili al lavoro.

Secondo l’art. 29 il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare con il coinvolgimento delle figure aziendali come RSPP e RSL, il medico competente ed eventuali soggetti  interni/esterni indicati dalle organizzazioni, e certificare con la redazione di un documento il DVR (documento di valutazione dei rischi) la valutazione dei rischi e del benessere psicofisico dei propri dipendenti.

L’art. 15 del d.lgs. n. 81/2008 conserva, in linea di massima, l’impostazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 626/1994, mantenendo fermi anche i principi cardine in esso enunciati, creando così una sorta di continuità normativa tra le due disposizioni e lasciandone pressoché immutata la filosofia prevenzionistica[31]. Sebbene le lettere n,o,p,r e s della nuova disposizione siano nuove rispetto al d.lgs. n. 626/1994, infatti, esse costituiscono esclusivamente al specificazione degli obblighi di informazione, formazione, partecipazione e consultazione già previsti dalla lettera s della disposizione del 1994 e che sono stati semplicemente (nonché opportunamente) differenziati in punti diversi dall’elencazione normativa.

Del tutto nuova rispetto alla precedente formulazione è, invece, la lettera t dell’art. 15 che obbliga il datore di lavoro alla programmazione delle misure di prevenzione e protezione, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi, al fine di garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza[32]. Ciò costituisce ulteriore testimonianza della particolare importanza attribuita dal legislatore a tale adempimento ai fini del conseguimento degli obiettivi di tutela.

Il d.lgs. n. 106/2009, poi, ha apportato modifiche di carattere sostanziale operativo al d.lgs. n. 81/2008. nelle materie che tutelano la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Si tratta quindi di un testo correttivo che ha modificato  principalmente alcuni aspetti che riguardano: obblighi e doveri dei soggetti ai quali sono indirizzate le norme; criteri da seguire in materia di appalti e forniture; sanzioni da applicare in caso di mancato rispetto delle norme di riferimento.

Più nel dettaglio, la nuova normativa ha modificato numerosi articoli del decreto legislativo del 2008, andando ad escludere dalla figura di “lavoratore”, cioè colui che deve beneficiare di maggiore sicurezza sul lavoro, alcuni soggetti come i volontari che effettuano il servizio civile, paragonandoli invece ai lavoratori autonomi e quindi con minori tutele.

Nella valutazione dei rischi è stato inserito un importante concetto, lo “stress lavoro-correlato”, una considerazione significativa di questa tipologia di rischio che oltrepassa la valutazione ordinaria di rischio inteso come legato alle attrezzature, alle sostanze o ai luoghi di lavoro.

È stato, successivamente, oggetto di integrazioni e significative modifiche legislative. L’attuale assetto normativo, modificato dal Decreto Legislativo n.151/2015, è finalizzato ad un contemperamento tra gli interessi di tutela efficace dei cittadini lavoratori ed una semplificazione degli adempimenti burocratici per le aziende.


[1] In dottrina: C. Timellini, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in L. Galantino (a cura di), Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il d.lgs. 81/2008 e il d.lgs. 106/2009, 2009, p. 57.

[2] G. Natullo, La nuova normativa sull’ambiente di lavoro, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 1996, p. 690 e ss.; F. Stolfa, Obblighi e responsabili (datore, dirigente, preposto), in G. Natullo, M. Rusciano (a cura di)Ambiente e sicurezza sul lavoro, in F. Carinci, Diritto del lavoro. Commentario, VIII, 2007, p.172.

[3] L. Galantino, Il contenuto del’obbligo di sicurezza, in L. Galantino (a cura di), La sicurezza del lavoro. Commento ai decreti legislativi 19 settembre 1994, n. 626 e 19 marzo 1996, n. 242, II ed., 1996, p.2

[4] Cass. sez. pen., 12 febbraio 2009, n. 6195. In tema di infortunio sul lavoro, l’affermarsi di pericolose prassi operative tra i lavoratori non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, qualora egli non abbia efficacemente adempiuto a doveri di vigilanza e controllo. Inoltre la sentenza nega la sussistenza del nesso di casualità, rispetto all’infortunio, alla condotta del lavoratore che, non abbia ricevuto adeguate informazioni.

[5] Art. 2049 c.c. :I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

[6] L’art. 2086 c.c.: L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.

[7] Art. 32 Cost <<La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana>>.

[8] L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

[9] In tal senso, La Corte Costituzionale con sentenza n. 399 del 1996 ha sottolineato con forza che “la salute é un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona ed impone piena ed esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato […]. La tutela della salute riguarda la generale e comune pretesa dell’individuo a condizioni (di vita, di ambiente e) di lavoro che non pongano a rischio questo suo bene essenziale”. Conseguentemente non sono soltanto le norme costituzionali (artt. 32 e 41) ad imporre ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori. Ancora, la Cassazione ha affermato che “non vi può essere dubbio che il lavoratore, ove effettivamente emergano situazioni pregiudizievoli per la sua salute o per la sua incolumità, possa legittimamente astenersi dalle prestazioni che lo espongono ai relativi pericoli, in quanto è coinvolto un diritto fondamentale, espressamente previsto dall’art. 32 della Costituzione, che può e deve essere tutelato in via preventiva, come peraltro attesta anche la norma specifica di cui all’art. 2087 cod. civ.”.[Cass. Sez. Lavoro, sent. del 9 maggio 2005, n. 9576. Cfr. altresì Cass. Sez. Lavoro 30 agosto 2004, n. 17314, 30 luglio 2003, n. 11704].

[10] Convenzioni: C155 – Convenzione sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, 1981 ; C161 – Convenzione sui servizi sanitari sul lavoro, 1985

[11] La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

[12] Cfr. D. Ceglie, La valutazione dei rischi, in G. Natullo, M. Rusciano (a cura di), Ambiente e Sicurezza del lavoro, Diritto del Lavoro, Commentario, VIII, Torino, 2007, p. 172.

[13] Cfr. in dottrina C. Timellini, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, cit.

[14] Cfr. D. Ceglie, La valutazione dei rischi, cit., p. 199.

[15] Cfr. R. Romei, Il campo di applicazione del d.lgs. 626 del 1994 e i soggetti (artt.1,2,3), in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, 1997, p. 67.

[16] Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, art. 11: Consultazione e partecipazione dei lavoratori: 1. I datori di lavoro consultano i lavoratori e/o i loro rappresentanti e permettono la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti in tutte le questioni che riguardano la sicurezza e la protezione della salute durante il lavoro. Ciò comporta: – la consultazione dei lavoratori; – il diritto dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti di fare proposte; – la partecipazione equilibrata conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. 2. Il lavoratori o i rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori partecipano in modo equilibrato, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, o sono consultati preventivamente e tempestivamente dal datore di lavoro: a) su qualunque azione che possa avere effetti rilevanti sulla sicurezza e sulla salute; b) sulla designazione dei lavoratori di cui all’articolo 7, paragrafo 1, e all’articolo 8, paragrafo 2 e sulle attività previste all’articolo 7, paragrafo 1; c) sulle informazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1 e all’articolo 10; d) sull’eventuale ricorso a competenze (persone o servizi) esterne all’impresa e/o allo stabilimento, previsto all’articolo 7, paragrafo 3; e) sulla concezione e organizzazione della formazione di cui all’articolo 12. 3. I rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori hanno il diritto di chiedere al datore di lavoro di prendere misure adeguate e di presentargli proposte in tal senso, per ridurre qualsiasi rischio per i lavoratori e/o eliminare le cause di pericolo. 4. I lavoratori di cui al paragrafo 2 ed i rappresentanti dei lavoratori di cui ai paragrafi 2 e 3 non possono subire pregiudizio a causa delle rispettive attività contemplate ai paragrafi 2 e 3. 5. Il datore di lavoro è tenuto a concedere ai rappresentanti dei lavoratori i quali hanno una funzione specifica in materia di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori un sufficiente esonero dal lavoro – senza perdita di retribuzione – ed a mettere a loro disposizione i mezzi necessari per esercitare i diritti e le funzioni derivanti dalla presente direttiva. 6. I lavoratori e/o i loro rappresentanti hanno il diritto di fare ricorso, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, all’autorità competente in materia di sicurezza e di protezione della salute durante il lavoro, qualora ritengano che le misure prese ed i mezzi impiegati dal datore di lavoro non siano sufficienti per garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro. I rappresentanti dei lavoratori devono avere la possibilità di presentare le proprie osservazioni in occasione delle visite e verifiche effettuate dall’autorità competente.

[17] Cfr. D. Micheletti, I reati propri esclusivi del datore di lavoro, in F. Giunta, D. Micheletti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, 2010, p. 216.

[18] Art. 5 del D.lgs. 626/1994:  Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. In particolare i lavoratori: a) osservano le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale; b) utilizzano correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza; c) utilizzano in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; d) segnalano immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dispositivi di cui alle lettere b) e c), nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre tali deficienze o pericoli, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; e) non rimuovono o modificano senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; f) non compiono di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori; g) si sottopongono ai controlli sanitari previsti nei loro confronti; h) contribuiscono, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento di tutti gli obblighi imposti dall’autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro.

[19] Art. 19 del D.lgs. 626/1994: Il rappresentante per la sicurezza: a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni; b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell’azienda ovvero unità produttiva; c) è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori; d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’ 22, comma 5; e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti le sostanze e i preparati pericolosi, le macchine, gli impianti, l’organizzazione e gli ambienti di lavoro, gli infortuni e le malattie professionali; f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza; g) riceve una formazione adeguata, comunque non inferiore a quella prevista dall’ 22; h) promuove l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori; i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti; l) partecipa alla riunione periodica di cui all’ 11;  m) fa proposte in merito all’attività di prevenzione;  n) avverte il responsabile dell’azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività; o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impiegati per attuarle non sono idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

[20] Art. 21 del D.lgs. 626/1994: Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva un’adeguata informazione su: a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività dell’impresa in generale; b) le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate;  c) i rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; d) i pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; e) le procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei lavoratori;  f) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente; g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli 12 e 15. Il datore di lavoro fornisce le informazioni di cui al comma 1, lettere a), b), c), anche ai lavoratori di cui all’art. 1, comma 3. Art. 22 del D.lgs. 626/1994:  Il datore di lavoro, i dirigenti ed i preposti, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze,  assicurano che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all’art. 1, comma 3, ricevano una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni.

[21] Art. 21 del D.lgs. 626/1994: 1. Il datore di lavoro è tenuto all’osservanza delle misure generali di tutela previste dall’art. 3 e, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, deve valutare, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari.  All’esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente: a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera a), nonché delle attrezzature di protezione utilizzate; c) il programma di attuazione delle misure di cui alla lettera b).

[22] Cfr. S. Ferrua, M. Giovannone, M. Tiraboschi, Gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari e tipologie di lavoro flessibile: la valutazione del rischio(Titolo I, capo III, art. 28), in M. Tiraboschi, L. Fantini (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d.lgs. n. 106/2009), Giuffrè, Milano, 2009, pp. 569-584.

[23] TAR del Lazio, 4 luglio 2005, n. 5454. Si costruisce così la definizione di “costrittività organizzativa” quale situazione di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo che deve avere caratteristiche strutturali, durative ed oggettive.

[24] Cfr. S. Ferrua, M. Giovannone, M. Tiraboschi, Gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari e tipologie di lavoro flessibile: la valutazione del rischio(Titolo I, capo III, art. 28, cit.

[25] L’obiettivo è di accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress lavoro correlato da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti e offrire loro un modello per individuare, prevenire e gestire i problemi legato allo stress lavoro correlato.

[26] a) «lavoratore»: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione di cui all’articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all’articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni; (lettera così modificata dall’art. 2 del d.lgs. n. 106 del 2009.)

[27] Art. 8 del D.lgs. n.  81/2008:  è  istituito il Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro al fine di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l’integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate.

[28] Art. 2 comma 1 lett. o D.lgs. N. 81/2008.

[29] Art. 28 del D.lgs. n.  81/2008: La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.

[30] Art. 29 del D.lgs. n.  81/2008: Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all’articolo 41.

[31] A. Stolfa, La valutazione dei rischi, I working papers di Olympus, 36, 2014, p.4.

[32] Ibidem


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