Ristoranti e bar, la somministrazione di pasti e bevande ai dipendenti: la rilevanza ai fini fiscali

Ristoranti e bar, la somministrazione di pasti e bevande ai dipendenti: la rilevanza ai fini fiscali

Cassazione civile, sez. trib., 20/10/2016,  n. 21290

La controversia trae origine da una srl ​che svolge attività di albergo e ristorazione nei cui confronti veinva emesso ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, relativamente all’anno 1998, avviso di accertamento per maggior imposta sulla base della contestazione di maggiori ricavi, nello svolgimento dell’attività di albergo con ristorazione, in relazione ai pasti somministrati ai dipendenti non fatturati come autoconsumo, quantificati nell’importo di Lire 127.691.000 partendo dal prezzo minimo applicato per servizi di pensione completa e di mezza pensione pari a Lire 20.000 moltiplicato per il numero dei pasti consumati dal personale. Il ricorso proposto dalla contribuente venne parzialmente accolto dalla CTP, che rideterminò il valore dei pasti in L.10.000. La Commissione Tributaria Regionale della Sardegna rigettò l’appello proposto dalla contribuente ed accolse quello incidentale proposto dall’Ufficio.

In Cassazione, la società ha sostenuto, tra l’altro, che la somministrazione di pasti costituisce prestazione di servizi, e non cessione di beni, come si evince dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 2, n. 4, che colloca le somministrazioni di alimenti e bevande fra le prestazioni di servizi, e che tra i compensi esclusi dall’ambito delle remunerazioni in natura ai sensi dell’art. 48, che non concorrono a formare reddito, vi sono le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonchè quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro. La socirtà ha aggiunto che trattasi di prestazione di servizi gratuita a favore dei dipendenti dell’azienda.

La Cass. 18 aprile 1998, n. 3953, cui ha puramente e semplicemente rinviato Cass. 22 ottobre 2010, n. 21713 ha affermato che ” in tema di IVA, le somministrazioni di pasti ai soci, familiari e dipendenti dell’imprenditore, che svolge attività di ristorazione, non hanno per oggetto un facere, bensì la cessione gratuita di beni, e non rientrano quindi nella previsione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 2, n. 4 – alla stregua del quale non costituiscono prestazioni di servizi (e quindi sono sottratte a tassazione) le somministrazioni di alimenti e bevande non effettuate verso corrispettivo -, bensì nella previsione dell’art. 2, comma 2, n. 4, del citato d.P.R., che riconduce nel concetto di cessione di beni anche quella effettuata a titolo gratuito, allorché si tratti di beni la cui produzione o il cui commercio rientri, come nella specie, nell’attività propria dell’impresa”.

La successiva Cass. 29 settembre 2005, n. 19077: “per il secondo comma dell’art. 53 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 “si comprende… tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1” (ovverosia valore normale dei “beni… alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa”) “destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore” mentre per il primo comma dell’art. 62 stesso d.P.R. “le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute… in natura a titolo di liberalità”: a maggior ragione, siffatte “spese” vanno considerate deducibili dal reddito d’impresa se sostenute non a titolo di liberalità ma per obbligo contrattuale. Da tali disposizioni, quindi, si ricava che i “beni… alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa” vanno compresi tra i “ricavi” se destinati “al consumo personale o familiare dell’imprenditore” ed alle “spese” se destinati ai dipendenti, con la precisazione che, nel caso di “consumo personale o familiare dell’imprenditore”, per i beni consumati da queste persone deve essere considerato il loro “valore normale” (diverso da quello costituente “corrispettivo” di quegli stessi “beni” in caso di cessione a terzi). I “beni” attribuiti ai dipendenti, invece, per la loro natura di “costi” non possono essere compresi tra gli elementi positivi del reddito e, quindi, il loro valore non costituisce elemento presuntivo di afferente percezione di reddito”.

Sulla base quindi della puntuale distinzione stabilita da Cass. n. 19077 del 2005 la somministrazione di pasti ai dipendenti non concorre a formare il reddito.

Le conclusioni sul piano dell’IVA sono coerenti a quanto appena rilevato a proposito delle imposte dirette. Ai pasti e bevande consumati da parte dell’imprenditore o dei suoi familiari trova applicazione l’art. 2, comma 2, n. 5), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, riguardante l’autoconsumo dei beni ai fini dell’IVA, secondo il quale i beni destinati all’uso o al consumo personale o familiare dell’imprenditore rappresentano una cessione di beni assoggettabile ad Iva. Tale conclusione va comunque temperata con gli arresti della giurisprudenza euro-unitaria, per la quale deve accertarsi se gli elementi di prestazione di servizi che precedono e accompagnano la fornitura dei cibi siano o meno preponderanti (Corte giust., 10 marzo 2011, causa C-497/09 e altre). Alla stregua di quanto sopra evidenziato, la fruizione dei pasti da parte dei dipendenti non può invece essere considerata autoconsumo di beni. Si comprende così perché a mente dell’art. 3, comma 3, d.P.R. n. 633/1972 le somministrazioni nelle mense aziendali non costituiscano prestazioni di servizi ai fini dell’IVA. Non è inutile evidenziare che alle conclusioni raggiunte è conforme la risposta ad interpello 913-344/2011 dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale del Lazio.

In conclusione, per quanto concerne l’Iva, ai pasti ed alle bevande consumati dall’imprenditore o dai suoi familiari trova applicazione la disciplina relativa all’autoconsumo dei beni, secondo la quale i beni destinati all’utilizzo o al consumo sono imputabili a una cessione di beni assoggettabili ad Iva; la fruizione dei pasti da parte dei dipendenti non può, invece, essere considerata autoconsumo di beni.

Pertanto, la somministrazione dei pasti ai dipendenti da parte del datore di lavoro non costituisce ricavo ai fini delle imposte dirette e non è assoggettabile ad IVA.


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Giusy Pasquariello

Dott.essa Pasquariello Giuseppina, laureata in Giurisprudenza presso Universita' degli studi di Salerno. Praticante avvocato abilitata al patrocinio sostitutivo.

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