SARS-CoV-2 e vaccinazione obbligatoria: è sempre legittima la sospensione del lavoratore non vaccinato?
Sommario: 1. Introduzione – 2. La normativa recante l’obbligo vaccinale – 3. Le indicazioni del Ministero della Salute – 4. La casistica giurisprudenziale – 4.1.1. La competenza a decidere sul ricorso avverso il provvedimento di sospensione dal lavoro per omesso adempimento all’obbligo vaccinale. La giurisprudenza del Giudice amministrativo – 4.1.2. La giurisprudenza del Giudice ordinario – 4.2.1. Le pronunce nel merito del Giudice amministrativo – 4.2.2. Le pronunce nel merito del Giudice ordinario – 5. Un caso particolare di illegittima sospensione dall’esercizio della professione (anche per causa del lavoratore)
1. Introduzione
Il 31 dicembre 2019, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Città della Provincia di Hubei, Cina), segnalava all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota, poi identificata come evento causato dall’aggravamento della COVID-19, malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2.[1]
A partire da quel momento si sono susseguiti eventi drammatici che hanno messo a dura prova l’intera società globale, costringendo ogni singolo individuo a modificare le proprie abitudini di vita, spazzando via tutte le certezze acquisite.
Al fine di contrastare la pandemia, ogni Stato ha adottato stringenti misure di contenimento dei contagi: il Governo italiano, in particolare – in applicazione del principio di precauzione[2] –, ha dapprima disposto il lock-down, successivamente alla riapertura il coprifuoco, l’imposizione dell’utilizzo delle mascherine e, infine, l’introduzione dell’obbligo vaccinale e della Certificazione verde COVID-19 (c.d. green pass).
2. La normativa recante l’obbligo vaccinale
Il 21 dicembre 2020, la European Medicine Agency (EMA) autorizzava il primo vaccino anti SARS-CoV-2/COVID-19, denominato Comirnaty, sviluppato e prodotto da Pfizer e BioNTech.
Il giorno successivo, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) approvava il suddetto vaccino e, a partire dal 27 dicembre 2020, in Italia prendeva inizio la campagna vaccinale anti-SARS-CoV-2.
Inizialmente, “Considerata la disponibilità iniziale di un numero di dosi limitato”[3], al fine di massimizzare il risultato, le risorse sono state concentrate sulla protezione del personale dedicato a fronteggiare l’emergenza pandemica e sui soggetti più fragili (operatori sanitari e sociosanitari, personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani), per poi procedere – con l’aumento della disponibilità delle risorse – alla vaccinazione delle altre categorie a rischio e, successivamente, della popolazione generale.
La scarsa adesione alla campagna vaccinale dei cittadini – legata ai timori relativi alla pericolosità delle sostanze contenute nel vaccino e all’accrescimento di movimenti cc.dd. no-vax – e l’aumento esponenziale dei contagi ha indotto il Governo ad introdurre l’obbligo vaccinale per la prevenzione dall’infezione da SARS-CoV-2, previsto dal decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, in Legge 28 maggio 2021, n. 76, come modificato dal decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito in Legge 21 gennaio 2022, n. 3 – che fissa la data di inizio dell’obbligo vaccinale al 15 dicembre 2021 – ed ulteriormente modificato dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, convertito in Legge 19 maggio 2022, n. 52 – che fissa la data di decadenza dell’obbligo vaccinale al 31 dicembre 2022 (da ultimo anticipata al 1° novembre 2022 dal decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162).
Preliminarmente, la norma chiarisce che per “obbligo vaccinale” si intende l’obbligo di sottoporsi alla inoculazione di tre dosi di vaccino: le prime in adempimento del ciclo vaccinale primario e la terza (c.d. “dose booster”) in adempimento della vaccinazione di richiamo.
Infatti, l’art. 3-ter dispone che “L’adempimento dell’obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021, la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute”.
Sebbene, di fatto, l’obbligo vaccinale sia stato esteso a tutti i cittadini[4], gli artt. 4 e ss. del decreto-legge n. 44/2021 (testo vigente dal 31 ottobre 2022) prevedono l’obbligo vaccinale:
a) (dal 15 dicembre 2021) Fino al 1° novembre 2022, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della Legge 1° febbraio 2006, n. 43[5] e per gli studenti dei corsi di laurea impegnati nello svolgimento dei tirocini pratico-valutativi finalizzati al conseguimento dell’abilitazione delle professioni sanitarie. Per gli esercenti le professioni sanitarie che si iscrivono per la prima volta agli albi degli Ordini professionali l’adempimento dell’obbligo vaccinale è requisito ai fini dell’iscrizione fino al 1° novembre 2022 (art. 4, commi 1, 1-bis e 6);
b) Dal 10 ottobre 2021 e fino al 1° novembre 2022, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali, socio-sanitarie, hospice e strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative (art. 4-bis);
c) Dal 15 dicembre 2021 e fino al 1° novembre 2022, per il personale delle strutture di cui all’art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.[6] La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative (art. 4-ter);
d) (dal 15 dicembre 2021) Fino al 15 giugno 2022, per il personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi di cui alla Legge 3 agosto 2007, n. 124[7], dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, degli istituti penitenziari, delle università, delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori, nonché dei Corpi forestali delle regioni a statuto speciale. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività didattiche a contatto con gli alunni da parte dei soggetti obbligati (art. 4-ter.1);
e) Dal 15 dicembre 2021 al 15 giugno 2022, per il personale docente ed educativo della scuola (art. 4-ter.2);
f) Dall’8 gennaio 2022 e fino al 15 giugno 2022, per i cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché per gli stranieri di cui agli artt. 34 e 35 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286[8], che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età (art. 4-quater).
Fino alla scadenza del termine finale, quindi, per i soggetti summenzionati la vaccinazione “[…] costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati” e deve “adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87”[9], potendo invece essere omessa o differita “Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore […]” (art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 44/2021 che, per espressa previsione dell’art. 4-ter, comma 2, si applica anche al personale delle strutture di cui all’art. 8-ter del decreto legislativo n. 502/1992 e, in virtù del richiamo operato dall’art. 4-bis, comma 4, ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie)[10].
Sotto il profilo delle conseguenze relative all’omesso adempimento dell’obbligo vaccinale, l’art. 4-sexies del decreto-legge n. 44/2021 prevede che ai soggetti summenzionati si applichi la sanzione amministrativa pecuniaria di 100 euro[11] qualora:
Alla data del 15 giugno 2022 non abbiano iniziato il ciclo vaccinale primario;
A decorrere dal 1° febbraio 2022, dopo avere ricevuto la prima dose del ciclo vaccinale primario bidose, alla data del 15 giugno 2022 non abbiano effettuato la dose di completamento del ciclo vaccinale primario neanche oltre i termini previsti con circolare del Ministero della Salute;
A decorrere dal 1° febbraio 2022, dopo aver concluso il ciclo vaccinale primario, alla data del 15 giugno 2022 non abbiano effettuato la dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario neanche oltre i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 52/2021.
Altresì, fermo restando l’applicazione della suddetta sanzione amministrativa, relativamente ai soggetti sub a), b), c) ed e), il decreto-legge n. 44/2021 prevede ulteriori specifiche sanzioni.
Infatti, con riferimento ai soggetti sub a), l’art. 4, comma 4, del decreto-legge n. 44/2021 dispone che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale[12] “ha natura dichiarativa e non disciplinare, determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale”[13], mentre il successivo comma 5 prevede che “Per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”. Inoltre, lo svolgimento dell’attività lavorativa in violazione dell’obbligo vaccinale è punito con una sanzione amministrativa stabilita nel pagamento di una somma da euro 600 a euro 1.500 (art. 4-ter, comma 5 e 6, ultimo periodo, del decreto-legge n. 44/2021).
Quest’ultima sanzione amministrativa si applica anche ai soggetti sub b) e c). Inoltre, per questi ultimi soggetti è previsto che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale[14] “determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati”[15] (art. 4-ter, comma 3, del decreto-legge n. 44/2021 che, in virtù del richiamo operato dall’art. 4-bis, comma 4, si applica anche ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie).
In relazione ai soggetti sub e), l’art. 4-ter.2, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 44/2021 prevedono che l’atto di accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale[16] impone – dal 1° aprile 2022 fino al termine delle lezioni dell’anno scolastico 2021/2022 – al dirigente scolastico di sostituire il personale docente ed educativo non vaccinato[17] e di “utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica”, applicandosi, per quanto compatibile, il regime stabilito per i docenti dichiarati temporaneamente inidonei alle proprie funzioni.
3. Le indicazioni del Ministero della Salute
Come premesso sopra, il decreto-legge n. 44/2021 dispone che la somministrazione delle dosi di vaccino debba avvenire “nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute” (art. 4, comma 1), prevedendo, altresì, che “L’infezione da SARS-CoV-2 determina il differimento della vaccinazione fino alla prima data utile prevista sulla base delle circolari del Ministero della salute” (art. 4-quater, comma 2).
Tale formulazione, tuttavia, ha ingenerato – in particolare negli operatori del settore sanitario – molteplici dubbi circa l’intervallo di tempo tra la somministrazione di una dose e l’altra, in particolar modo in caso di sopravvenuta infezione da SARS-CoV-2.
Infatti, inizialmente, con riferimento al ciclo vaccinale primario (prima e seconda dose), il Ministero della Salute, con Circolare n. 42164 del 24 dicembre 2020[18], stabiliva – in accordo a quanto previsto dal Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP) – che tra la somministrazione della prima dose e la somministrazione della seconda dose di vaccino a mRNA dovessero intercorrere circa 30 giorni: nello specifico, 21 giorni per il Comirnaty, prodotto da Pfizer e BioNTech[19], e 28 giorni per lo Spikevax (già COVID-19 Vaccine Moderna) prodotto da Moderna.[20]
Successivamente, acquisendo il parere del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) n. 13 del 30 aprile 2021, il Ministero della Salute, con Circolare n. 19784 del 5 maggio 2021, specificava che la somministrazione della seconda dose dovesse avvenire nella sesta settimana dalla prima dose (42 giorni).[21]
Sulla base dei suddetti pareri, alcune Regioni stabilivano intervalli compresi tra i 35 ed i 42 giorni, mentre altre mantenevano fermi i termini inizialmente stabiliti (21 e 28 giorni).[22]
Questi intervalli temporali, tuttavia, erano riferibili soltanto a quei soggetti che anteriormente alla prima dose di vaccino o nell’attesa di ricevere la seconda dose non avevano contratto il virus SARS-CoV-2.
Infatti, per il ricorrere del caso di pregressa o sopravvenuta infezione da SARS-CoV-2, il Ministero della Salute aveva previsto programmi vaccinali ed intervalli temporali differenziati.
In particolare:
Nei soggetti con pregressa infezione (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica) la somministrazione di un’unica dose di vaccino, “purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa”[23] (intervallo successivamente esteso a minimo 6 e massimo 12 mesi)[24]. “Resta inteso che l’eventuale somministrazione di una seconda dose non è comunque controindicata”;[25]
In caso di infezione confermata (definita dalla data del primo test molecolare positivo) entro il 14° giorno dalla somministrazione della prima dose di vaccino, “è indicato il completamento della schedula vaccinale con una seconda dose da effettuare entro 6 mesi (180 giorni) dalla documentata infezione (data del primo test molecolare positivo); trascorso questo arco di tempo, la schedula vaccinale potrà essere comunque completata, il prima possibile, con la sola seconda dose”;[26]
In caso di infezione confermata (definita dalla data del primo test molecolare positivo) oltre il 14° giorno dalla somministrazione della prima dose di vaccino, “la schedula vaccinale è da intendersi completata in quanto l’infezione stessa è da considerarsi equivalente alla somministrazione della seconda dose. Resta inteso che l’eventuale somministrazione di una seconda dose non è comunque controindicata”.[27]
CICLO VACCINALE PRIMARIO | |||
SARS-CoV-2 | Vaccino | SARS-CoV-2 | Vaccino |
— — — | 1a dose | — — — | 2a dosedopo 21/28 giorni |
Infezione | 1a dosedopo 6 giornientro 12 mesi | — — — | (2a dosedopo 21/28 giorni) |
— — — | 1a dose | Infezioneentro 14 giorni | 2a doseentro 180 giorni |
— — — | 1a dose | Infezionedopo 14 giorni | (2a dosedopo 21/28 giorni) |
Il quadro già ingarbugliato si è poi ulteriormente intricato con la previsione della somministrazione della dose di richiamo successiva al completamento del ciclo vaccinale primario (terza dose, c.d. dose “booster”[28]).
Inizialmente, con Circolare n. 41416 del 14 settembre 2021, il Ministero della Salute disponeva che la dose “booster” dovesse essere somministrata “dopo almeno 6 mesi dall’ultima dose”[29], per poi ridurre l’intervallo minimo a 5 mesi (150 giorni) “dal completamento del ciclo primario di vaccinazione, indipendentemente dal vaccino utilizzato”[30], successivamente ulteriormente ridotto a 4 mesi (120 giorni) “decorrenti dal completamento del ciclo primario o dall’ultimo evento (da intendersi come somministrazione dell’unica/ultima dose o diagnosi di avvenuta infezione in caso di soggetti vaccinati prima o dopo un’infezione da SARS-CoV-2, in base alle relative indicazioni)”.[31] Quest’ultimo intervallo temporale era quindi rivolto a tutti i soggetti, a prescindere da una pregressa o sopravvenuta infezione a seguito del completamento del ciclo vaccinale primario.
Con l’avvicinarsi del termine iniziale dell’obbligo vaccinale (15 dicembre 2021), le Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie[32], con Nota congiunta n. 1502/2021 del 1° dicembre 2021[33] chiedevano al Ministero della Salute chiarimenti per l’utilizzo della piattaforma nazionale-DGC[34], ed in particolare i requisiti di validazione dei codici fiscali riferibili ai sanitari obbligati all’adempimento dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4, comma 1, del decreto-legge n. 44/2021.
Il Ministero della Salute, con comunicazione prot. n. 19018 del 3 dicembre 2021 chiariva che “[…] l’obbligo della dose di richiamo sussiste a partire dal momento in cui sono decorsi 5 mesi [rectius, 4 mesi, cfr. Circolare del Ministero della Salute n. 59207 del 24 dicembre 2021, n.d.r.] dal completamento del ciclo primario, secondo i termini indicati dalla circolare DGPREV 22 novembre 2021. In definitiva, sin dal primo giorno successivo ai 5 mesi dal completamento del relativo ciclo vaccinale primario, per i professionisti sanitari e gli operatori di interesse sanitario che non risultino vaccinati con la dose di richiamo, il sistema informativo dovrà restituire il messaggio di “obbligo non rispettato”, in modo da consentire agli Ordini professionali e ai responsabili delle strutture di avviare la fase di accertamento in contraddittorio”.[35]
Con Nota n. 2349 del 27 gennaio 2022, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) esponeva al Ministero della Salute la difficoltà di inquadrare giuridicamente la situazione del professionista sanitario, il quale, risultato inadempiente all’obbligo di effettuare il ciclo vaccinale primario, avesse contratto l’infezione e fosse guarito successivamente al provvedimento di sospensione dall’esercizio dell’attività professionale.
Ancora, con Nota n. 3558 dell’8 febbraio 2022, la medesima Federazione evidenziava al Ministero della salute “criticità relative ai professionisti guariti dal COVID – 19” in merito ai dati dei sanitari vaccinati/non vaccinati rilevati dalla Piattaforma nazionale–DGC. In particolare, la Federazione rappresentava una situazione di disorientamento creatasi a seguito dell’inserimento nella Piattaforma nazionale-DGC dei dati sulle guarigioni dei professionisti, in un primo momento non presenti.[36]
Il Ministero della Salute, con Nota n. 2992 del 17 febbraio 2022, dichiarava la non rilevanza della guarigione del professionista, essendo l’Ordine competente tenuto soltanto ad accertare dello stato di avvenuta vaccinazione. Altresì, con la medesima Nota, il Ministero – con riferimento alla Nota della FNOMCeO n. 2349 del 27 gennaio 2022 – rappresentava che, in base alla normativa vigente (art. 4, comma 5, decreto-legge n. 44/2021), la guarigione non era circostanza idonea a legittimare la revoca della sospensione, conseguendo invece esclusivamente per il professionista temporaneamente sospeso per non aver effettuato il ciclo vaccinale primario, al completamento di quest’ultimo e per il professionista sospeso per non aver effettuato la dose di richiamo, alla somministrazione di tale dose.[37]
Il successivo 26 febbraio 2022, le Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie, con Nota congiunta n. 255/2022, avendo rilevato una “Incertezza sui termini (minimi e massimi, n.d.r.) dai quali decorre l’obbligo di somministrazione della dose di richiamo”, chiedevano al Ministero della Salute di “[…] fornire indicazioni chiare sulla coincidenza del termine da cui è possibile prenotare la vaccinazione ed è obbligatorio sottoporvisi; ciò al fine di contrastare il novero di sospensioni sinora comminate a causa della riscontrata inconsapevolezza in argomento da parte dei soggetti obbligati”.[38]
Altresì, le Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie, rilevando una “Incertezza sui termini dai quali decorre l’obbligo di somministrazione dell’unica dose nei soggetti con pregressa infezione dal SARS-CoV-2”, chiedevano al Ministero della Salute di specificare se, nei confronti di tali soggetti, dovesse ritenersi ancora valida la Circolare ministeriale n. 8284 del 3 marzo 2021 e, in caso di risposta affermativa, se la stessa dovesse trovare applicazione anche per l’ipotesi di infezione entro i 14 giorni dalla prima dose.[39]
Infine, le medesime Federazioni chiedevano al Ministero di specificare quale incidenza potesse avere l’infezione da SARS-CoV-2 sull’assolvimento dell’obbligo vaccinale.[40]
In risposta ai suddetti quesiti, con Nota n. 5505 del 29 marzo 2022, l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute – con riferimento alla rilevata incertezza sui termini dai quali decorre l’obbligo di somministrazione della dose di richiamo – specificava che “i professionisti sanitari risultano inadempienti qualora, allo scadere dei 120 giorni dalla conclusione del ciclo vaccinale primario, non abbiano effettuato la dose di richiamo. […] In aggiunta, va tenuto in debita considerazione l’ulteriore termine di venti giorni dalla ricezione dell’invito da parte degli Ordini, concesso – per l’effettuazione della dose – nell’ambito della verifica in contraddittorio ai sensi dell’articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 44 del 2021”.
Con riferimento alla rilevata incertezza sui termini dai quali decorre l’obbligo di somministrazione dell’unica dose nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2, invece, il Ministero della Salute ha chiariva che “per i soggetti mai vaccinati che hanno contratto l’infezione da SARS-CoV-2 documentata da un test diagnostico positivo, è indicata la vaccinazione, a partire da tre mesi (90 giorni) dalla data del test diagnostico positivo, con possibilità di somministrare un’unica dose di vaccino bidose in caso di soggetti non immunocompromessi, sempre che non siano trascorsi più di 12 mesi dalla guarigione (data di fine isolamento). Oltre i 12 mesi dalla guarigione, è raccomandata la somministrazione di un ciclo completo primario (a due dosi per i vaccini bidose o singola dose di vaccino monodose). In ogni caso è possibile comunque procedere con ciclo bidose; in altri termini, anche in caso di pregressa infezione, chi lo desideri può ricevere due dosi di vaccino bidose come ciclo vaccinale primario (cfr. circolari prot. n. 8284-03/03/2021-DGPRE, prot. n. 32884-21/07/2021-DGPRE e prot. n. 40711-09/09/2021-DGPRE). Nel caso di intervenuta infezione da SARS-CoV-2 entro 14 giorni dalla somministrazione della prima dose di vaccino bidose, per completare il ciclo primario occorre la somministrazione di una seconda dose; la prima data utile è individuata considerando 3 mesi (90 giorni) dalla data del test diagnostico positivo; la somministrazione dovrà comunque avvenire preferibilmente entro 6 mesi (180 giorni) dalla data del test diagnostico positivo (cfr. circolari prot. n. 40711-09/09/2021-DGPRE e prot. n. 8284- 03/03/2021-DGPRE). In questo caso, vale l’indicazione di 3 mesi (90 giorni) come prima data utile per effettuare la vaccinazione, in quanto tali soggetti vengono equiparati a coloro che hanno avuto la sola infezione. Da quanto precede, discende che il professionista sanitario deve essere considerato inadempiente all’obbligo vaccinale qualora non effettui la dose in questione alla prima data utile (90 giorni) indicata nelle circolari menzionate”.
Infine – con riferimento al quesito relativo all’incidenza della sopraggiunta infezione da SARS-CoV-2 nel corso dell’istruttoria di verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale da parte di coloro che non avessero completato il ciclo primario o non avessero effettuato la dose di richiamo, e, una volta dichiarata la sospensione, ai fini di una eventuale revoca, anche temporanea, della misura – il Ministero rappresentava che ““nella fase del “contraddittorio” preventivo, disciplinata dall’articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 44 del 2021, l’Ordine invita il professionista che risulti non vaccinato a presentare, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure l’attestazione relativa all’esenzione ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi entro un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell’invito o la documentazione comprovante l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale. […] Pertanto, l’intervenuta infezione non rientra tra le ipotesi di “insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale” (cfr. art. 4, comma 3, decreto-legge n. 44 del 2021) documentabili in corso di contradditorio, al fine di escludere la necessità di ulteriori dosi e non fa pertanto venire meno la condizione di soggetti inadempimenti in capo a coloro che non hanno assolto all’obbligo nelle tempistiche a tal fine previste. Tanto premesso, per quanto rileva in questa sede, il professionista non ancora vaccinato secondo le tempistiche dettate dalla circolare del Ministero della salute, che risulti, quindi, inadempiente, ha la possibilità – in corso di contraddittorio con l’Ordine competente – di evitare la sospensione fornendo dimostrazione dell’intervenuta richiesta di vaccinazione da effettuare entro 20 giorni dalla data di ricezione dell’invito”. […] Più nel dettaglio, la somministrazione di un vaccino anche al fine dell’adempimento dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario non può ritenersi esigibile: – per 90 giorni a partire dalla data del test diagnostico positivo in caso di infezione da SARS-CoV-2 in soggetti mai vaccinati e in caso di soggetti che hanno contratto l’infezione da SARS-Cov-2 entro 14 giorni dalla somministrazione di una dose di vaccino bidose; – per 120 giorni dalla data del test diagnostico positivo in caso di infezione successiva al completamento di un ciclo primario. Pertanto, l’Ordine competente, verificata nella fase del contraddittorio la sussistenza dei presupposti appena illustrati, non dovrà sospendere coloro che risultino inadempienti all’obbligo vaccinale, qualora questi ultimi comprovino la prenotazione della vaccinazione a ridosso della scadenza del termine minimo di differimento della somministrazione previsto dalle circolari ministeriali (90 giorni o 120 giorni, secondo l’indicazione sopra riportata). In altri termini, il termine legale di 20 giorni dovrà essere differito in relazione alla prima data utile per la somministrazione della dose, nel rispetto della richiamata tempistica e tenuto conto dell’organizzazione dei servizi vaccinali. Resta inteso che, una volta effettuata la vaccinazione, per evitare la sospensione, il professionista dovrà fornire all’Ordine, immediatamente e comunque non oltre 3 giorni, la certificazione attestante l’adempimento dell’obbligo vaccinale”. Diversamente, per coloro che sono già sospesi, in quanto inadempienti, […] Il Legislatore è ora intervenuto sulla fattispecie e, con il decreto legge 24 marzo 2022, n. 24, ha, come anticipato sopra, introdotto una ulteriore ipotesi di cessazione degli effetti del provvedimento di sospensione dall’esercizio della professione. In particolare, l’art. 8, comma 1, lett. b), n. 2), ha disposto, proprio ad integrazione del comma 5 dell’articolo 4 del decreto legge 1° aprile 2021, n. 44, che “In caso di intervenuta guarigione l’Ordine professionale territorialmente competente, su istanza dell’interessato, dispone la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute. La sospensione riprende efficacia automaticamente qualora l’interessato ometta di inviare all’Ordine professionale il certificato di vaccinazione entro e non oltre tre giorni dalla scadenza del predetto termine di differimento”. La specifica previsione prevede dunque un ulteriore subprocedimento del percorso di accertamento dell’assolvimento degli obblighi vaccinali riservato e rimesso alla responsabilità dei singoli Ordini professionali rispetto ai propri iscritti”.[41]
CICLO VACCINALE PRIMARIO | RICHIAMO | ||||
SARS-CoV-2 | Vaccino | SARS-CoV-2 | Vaccino | SARS-CoV-2 | Vaccino |
— — — | 1a dose | — — — | 2a dosedopo 21/28 giorni | — — — | Dose boosterdopo 120 giorni |
Infezione | 1a dosedopo 90 giornientro 12 mesi | — — — | (2a dosedopo 21/28 giorni) | — — — | Dose boosterdopo 120 giorni |
Infezione | 1a dosedopo 12 mesi | — — — | 2a dosedopo 21/28 giorni | — — — | Dose boosterdopo 120 giorni |
— — — | 1a dose | Infezioneentro 14 giorni | 2a doseentro 90 giorni | — — — | Dose boosterdopo 120 giorni |
— — — | 1a dose | Infezionedopo 14 giorni | — — — | — — — | Dose boosterdopo 120 giorni |
— — — | 1a dose | — — — | 2a dosedopo 21/28 giorni | Infezione | Dose boosterdopo 120 giorni |
Il successivo 9 giugno, tuttavia, le Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie trasmettevano all’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute una ulteriore Nota congiunta (n. 9981 del 9 giugno 2022) con la quale – facendo presente che il TAR Lombardia-Milano e il TAR Lombardia-Brescia[42] avevano ritenuto che “[…] per i professionisti sanitari mai vaccinatisi che abbiano contratto l’infezione da SARS-CoV-2 sia applicabile il termine semestrale di differimento della vaccinazione obbligatoria individuato nella circolare ministeriale n. 32884 del 21 luglio 2021 in luogo di quello trimestrale di cui alla circolare ministeriale n. 8284 del 3 marzo 2021”[43] – chiedevano un intervento chiarificatore sotto forma di circolare ex artt. 4, comma 1, del decreto-legge n. 44/2021.
In riscontro alla suddetta ultima Nota, l’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute rappresentava che “[…] il Ministro della salute ha ritenuto opportuno conoscere il parere del Consiglio Superiore di Sanità, interpellato in merito con nota n. 11385 del 1 luglio u.s., al fine di valutare l’evoluzione delle evidenze scientifiche e le conseguenti indicazioni fornite dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria sulle modalità e sulle tempistiche delle somministrazioni dei vaccini anti Covid-19”.[44]
Nelle more del riscontro, le Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie esprimevano l’intenzione di adeguarsi cautelativamente all’indirizzo espresso dal Giudice amministrativo milanese (Ordinanze cautelari TAR Lombardia-Milano, cit.).[45]
Con successiva Nota congiunta n. 1149 del 29 luglio 2022, le Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie, avendo riscontrato – oltre ad una evoluzione giurisprudenziale ampiamente discostatasi dalle indicazioni dell’Ufficio di Gabinetto del Ministero della Salute di cui alla Nota n. 5505 del 29 marzo 2022 (v. Ordinanze cautelari TAR, cit.) – “iniziative interpretative ed applicative arbitrariamente intraprese da vari Enti pubblici”[46], sollecitavano l’intervento chiarificatore del Dicastero mediante l’adozione di circolari, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge n. 44/2021.[47]
Ad oggi, tuttavia, alcun riscontro risulta pervenuto.
4. La casistica giurisprudenziale
Stante la situazione di incertezza, molteplici sono stati i ricorsi azionati dai lavoratori al fine di ottenere una pronuncia di illegittimità dell’atto di accertamento circa l’inosservanza dell’obbligo vaccinale, con conseguente sospensione dal servizio e dalla retribuzione, ai sensi degli artt. 4 e ss. del decreto-legge n. 44/2021.
In questa sezione si intende dunque procedere all’esame delle pronunce giurisprudenziali che, in un caso o nell’altro, hanno rigettato o accolto il ricorso disponendo la sospensione in via cautelare o l’annullamento del provvedimento di sospensione.
Tuttavia, prima di entrare nel merito delle pronunce giurisprudenziali, in via preliminare, si deve necessariamente esaminare il profilo attinente all’individuazione del Giudice competente, avendo, ora il Giudice ordinario ora il Giudice amministrativo di volta in volta aditi, accertato la sussistenza o il difetto di giurisdizione, riconosciuta invece in capo ad un diverso Giudice.
4.1.1. La competenza a decidere sul ricorso avverso il provvedimento di sospensione dal lavoro per omesso adempimento all’obbligo vaccinale. La giurisprudenza del Giudice amministrativo
Come si vedrà subito innanzi, alcuni dei TAR aditi hanno dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione per aver riconosciuto la competenza a decidere sull’impugnazione in capo al Giudice ordinario ovvero in capo ad un Giudice speciale.
La pronuncia di inammissibilità per difetto di giurisdizione si rinviene, tra le altre, nella Sentenza del TAR Lazio-Roma, Sez. III quater, 10 novembre 2021, n. 11570, emessa in decisione del ricorso proposto da un’infermiera al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di sospensione dal servizio dell’Azienda sanitaria, nonché del provvedimento di sospensione immediata dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali disposta dall’Ordine delle professioni infermieristiche di Viterbo, adottati a causa della mancata osservanza dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021.
In tal caso, il TAR capitolino ha dichiarato la propria incompetenza[48] in quanto il ricorso aveva ad oggetto non tanto la contestazione dell’atto di accertamento circa l’inosservanza dell’obbligo vaccinale (per avervi adempiuto ovvero per la non ritenuta eventuale sussistenza di ragioni di esonero dal suddetto obbligo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 44/2021) ma, invero, la contestazione di atti e fatti riconducibili alla gestione in senso stretto del rapporto di lavoro (decurtazione della retribuzione e mancata assegnazione a diverse mansioni, ex art. 4, comma 8, del decreto-legge n. 44/2021), thema decidendum di esclusiva competenza del Giudice ordinario.[49]
Ulteriori ed aggiuntivi rispetto a quelli di cui alla Sentenza appena esaminata, sono i motivi addotti ai fini della dichiarazione di inammissibilità per difetto di giurisdizione nella Sentenza del 26 novembre 2021, n. 1565, pronunciata dal TAR Toscana-Firenze, Sez. II, emessa in decisione del ricorso proposto da una psicologa al fine di ottenere l’annullamento dell’atto con cui l’Ordine degli psicologi competente aveva comunicato il provvedimento di sospensione dall’attività professionale, nonché la comunicazione con cui il medesimo Ordine confermava il precedente provvedimento di sospensione.
In tal caso, infatti, il TAR ha dichiarato la propria incompetenza – riconoscendola, invece, in capo al Giudice ordinario – rilevando che “la questione controversa concerne la tutela di una posizione di diritto soggettivo a fronte della quale non è configurabile alcun esercizio di potere autoritativo o discrezionale da parte dell’ente resistente”.
Ciò in quanto la contestazione aveva ad oggetto soltanto la comunicazione, da parte dell’Ordine, dell’atto di accertamento dell’ASL in merito all’inosservanza dell’obbligo vaccinale (comunicazione che costituisce una mera presa d’atto dell’effetto, derivante dalla legge e dall’accertamento dell’ASL, di cui al comma 6, II cpv., del decreto-legge n. 44/2021[50]).
Altresì, il Giudice rilevava che, in ogni caso, “la L. n. 56 del 1989 “Ordinamento della professione di psicologo”, stabilisce espressamente che: “Le deliberazioni del consiglio dell’ordine nonché i risultati elettorali possono essere impugnati, con ricorso al tribunale competente per territorio, dagli interessati o dal procuratore della Repubblica presso il tribunale stesso”, rimettendo dunque alla cognizione del Tribunale ordinario competente per territorio le impugnazioni avverso le delibere del Consiglio dell’Ordine”.
Analoghi a quelli di cui alle succitate Sentenze sono i motivi esposti dal TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, nella Sentenza del 31 gennaio 2022, n. 284, pronunciata in decisione del ricorso proposto da una operatrice sanitaria fisioterapista esperta in riabilitazione al fine di ottenere l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’atto con cui il Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione della Provincia di Palermo aveva dichiarato la sospensione dall’esercizio della professione, nonché del provvedimento di sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione, adottato dall’ASL.
In tal caso, il TAR Sicilia ha dichiarato la propria incompetenza per difetto di giurisdizione in quanto – con specifico riferimento al provvedimento di sospensione dall’esercizio della professione – la competenza a decidere sulle impugnazioni contro i provvedimenti del Consiglio Direttivo dell’Ordine spetta alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, organo speciale di giurisdizione istituito con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 13 settembre 1946, n. 233 (art. 3, comma 4)[51] ed escluso dal riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con Legge o con regolamento di cui all’art. 2, comma 4, della Legge 4 novembre 2010, n. 183 (art. 15, comma 3-bis, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158).[52] Altresì – con specifico riferimento al provvedimento di sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione, adottato dall’ASL – il Giudice amministrativo ha dichiarato la propria incompetenza per difetto di giurisdizione in quanto il ricorso non era diretto a contestare la sospensione dal servizio ma, invero, questioni riconducibili alla gestione del rapporto di lavoro in senso stretto (retribuzione e mansioni), ossia atti di micro-organizzazione, come tali rientranti nella giurisdizione del Giudice ordinario.[53]
Interessante è la Sentenza, n. 188 del 31 gennaio 2022 del TAR Veneto-Venezia, Sez. III, pronunciata in decisione del ricorso presentato da un’esercente la professione di operatore socio-sanitaria presso il Pronto Soccorso per ottenere l’annullamento, previa sospensione, dell’atto con cui l’ASL aveva accertato l’inosservanza dell’obbligo vaccinale, oltre al risarcimento del danno patito, pari alle mensilità non percepite dalla ricorrente dal giorno della sospensione dall’attività lavorativa alla data della reintegrazione nel posto di lavoro.
In tal caso, con una motivazione assai articolata, il TAR veneziano ha dichiarato la propria incompetenza per difetto di giurisdizione rilevando che l’art. 4 del decreto-legislativo n. 44/2021[54] non attribuisce alle ASL ed agli Ordini professionali alcun potere autoritativo, vincolato o discrezionale, idoneo a disporre della situazione giuridica del privato incidendola unilateralmente, in quanto la sospensione costituisce soltanto l’effetto (obbligatorio ed automatico) predeterminato dal legislatore, conseguente al mancato adempimento all’obbligo vaccinale[55]; ma, invero, attribuisce all’Amministrazione sanitaria solo il compito di verificare che vi sia un certificato del medico di base che riconosca i presupposti per il differimento o l’esonero del vaccino[56], ed agli Ordini professionali un obbligo informativo al sanitario[57] i quali, previa presa d’atto della verifica svolta dall’ASL e senza alcuna valutazione di merito, si limitano a riportare la relativa annotazione all’albo.
Da ciò discende che la situazione giuridica del sanitario non è qualificabile in termini di interesse legittimo ma di diritto soggettivo e, pertanto, deve ritenersi sussistente la competenza giurisdizionale del Giudice ordinario.[58]
Tra le pronunce che, al contrario, ritengono sussistente la giurisdizione del Giudice amministrativo, si rinviene la Sentenza 10 settembre 2021, n. 261, pronunciata dal TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste sul ricorso presentato da una libera professionista, avente ad oggetto la domanda di annullamento, previa sospensione, del provvedimento di accertamento di elusione dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 adottato dall’Azienda sanitaria del Friuli occidentale.
In particolare, il TAR adito ha ritenuto che il giudizio fosse correttamente incardinato presso la giurisdizione amministrativa rilevando che “Nell’iter di cui al D.L. n. 44 del 2021, pur scandito da una successione di attività rigidamente predeterminate, non possono escludersi in astratto taluni profili di discrezionalità tecnica (ad esempio, laddove si prevede il potere dell’amministrazione di valutare la rilevanza delle “specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” ai fini dell’omissione o del differimento della vaccinazione, ai sensi dell’art. 4, comma 2)” e che, in ogni caso, anche a voler ritenere che l’attività dell’Amministrazione sanitaria abbia carattere vincolato, il decreto-legge n. 44/2021 ha la finalità primaria di tutelare in via diretta un interesse pubblico (la tutela della salute collettiva)[59] e, pertanto, l’interesse fatto valere dal privato assume la consistenza di interesse legittimo.[60]
Ancora, ha riconosciuto la propria competenza giurisdizionale il TAR Lazio-Roma, Sentenza 4 gennaio 2022, n. 37, pronunciata sul ricorso presentato da un’operatrice sanitaria iscritta all’Ordine delle professioni infermieristiche al fine di ottenere l’annullamento dell’atto di accertamento dell’omesso adempimento dell’obbligo vaccinale, adottato dall’ASL Roma – Dipartimento di Prevenzione U.O.C. Servizio Igiene e Sanità Pubblica.
In tal caso, il TAR ha rilevato che “il sistema delineato dall’art. 4 del D.L. n. 44 del 2021[61] prevede uno specifico segmento procedimentale propriamente amministrativo e pubblicistico diretto ad accertare, mediante l’esercizio di un potere discrezionale ed autoritativo, se il sanitario abbia ricevuto o meno la somministrazione del vaccino contro il SARS-CoV-2, in conformità all’obbligo sancito dal comma 1, e soprattutto se la documentazione prodotta in caso di omissione dell’obbligo possa ritenersi idonea al fine di essere esonerati da siffatto obbligo”, ed ha altresì precisato che la giurisdizione del Giudice amministrativo si estende automaticamente anche all’atto di sospensione dal servizio, data la sua natura di atto meramente consequenziale e vincolato[62]; ciò in quanto, sebbene la sospensione costituisca un effetto automatico che discende direttamente dalla legge a carico del sanitario, riservare alla giurisdizione del Giudice ordinario la cognizione sulla sola sospensione dal servizio “rischierebbe di consentire ad un altro giudice, appartenente a diverso plesso giurisdizionale, di pronunziarsi nella sostanza sulle stesse questioni di cui all’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ciò in totale spregio al principio fondamentale del ne bis in idem”.[63]
A dichiarare la propria competenza giurisdizionale è stato anche il TAR Lombardia-Milano, Sez. I, con l’Ordinanza 30 marzo 2022, n. 712 (e, successivamente, con l’Ordinanza 26 aprile 2022, n. 468), pronunciata sul ricorso presentato da una psicologa psicoterapeuta libera professionista, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con il quale l’Ordine degli Psicologi della Lombardia aveva sospeso la ricorrente dall’esercizio della professione, senza limitare detta sospensione alle prestazioni od alle mansioni che implicassero contatti interpersonali o comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Il TAR meneghino si è ritenuto competente escludendo, da un lato, la competenza della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie di cui al decreto-legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 13 settembre 1946, n. 233 – in quanto l’art. 4, comma 4, del decreto-legge n. 44/2021[64] esclude la natura disciplinare dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, attribuendo agli Ordini professionali il potere di accertamento di una violazione di un obbligo di natura non deontologica, volto a tutelare in via precauzionale la salute pubblica e la sicurezza nell’accesso alle cure sanitarie[65] – e, dall’altro lato, la competenza del Giudice ordinario – in quanto la natura dichiarativa attribuita dall’art. 4, comma 4, del decreto-legge n. 44/2021 all’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale si esaurisce nella funzione di accertamento di detto inadempimento, il quale presuppone l’esercizio del potere vincolato attribuito agli Ordini professionali, il cui effetto è quello dell’automatica ed immediata sospensione del professionista dall’esercizio dell’attività professionale.[66]
4.1.2. La giurisprudenza del Giudice ordinario
Come premesso, anche il Giudice ordinario ha avuto modo di pronunciarsi sulla competenza giurisdizionale a conoscere delle impugnazioni degli atti di sospensione dal servizio per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale di cui al decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, in alcuni casi dichiarando la propria competenza ed in altri declinandola in favore del Giudice amministrativo.
Tra le pronunce che dichiarano il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, si rinviene l’Ordinanza 26 novembre 2021 pronunciata dal Tribunale di Alessandria sul ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. presentato da un’infermiera al fine di ottenere la revoca del provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione dall’ASL di Alessandria, con conseguente reintegrazione nelle funzioni lavorative e nel posto di lavoro.
Il Giudice alessandrino, richiamando la Sentenza del TAR Friuli Venezia Giulia n. 261/2021, ha dichiarato la propria incompetenza a pronunciare sulla domanda di revoca del provvedimento di sospensione dal lavoro per difetto di giurisdizione (ritenendosi competente, invece, con riferimento alla domanda di revoca del provvedimento di sospensione dalla retribuzione[67]) rilevando che il procedimento di accertamento dell’assolvimento dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 ha carattere squisitamente amministrativo/pubblicistico in quanto l’ASL non agisce nella qualità di (eventuale) datore di lavoro ma quale articolazione territoriale in ambito sanitario e, dunque, come organo amministrativo, il quale accerta soltanto l’inadempimento dell’obbligo vaccinale, atto da cui consegue ex lege la sospensione dal lavoro.[68]
Al contrario, hanno dichiarato la sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella Sentenza 29 settembre 2022, n. 28429, pronunciata al fine di risolvere il conflitto negativo di giurisdizione sorto tra il Giudice ordinario ed il Giudice amministrativo.[69]
Innanzitutto, la Suprema Corte ha escluso la competenza della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie rilevando che “l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, nella sua formulazione originaria (applicabile ratione temporis) – diversamente da quanto previsto dal d.l. n. 172 del 2021 – non rimette all’Ordine professionale (e per esso ai suoi organi competenti per materia) l’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, bensì soltanto la comunicazione all’interessato della “sospensione dal diritto di svolgere prestazioni” professionali implicanti contatti interpersonali o comportanti il rischio di diffusione del contagio da SARS CoV-2; sospensione che, tuttavia, deriva automaticamente, ex lege (secondo quanto previsto dal comma 6 dello stesso art. 4), dall’accertamento, ad opera della ASL, della inosservanza dell’obbligo vaccinale. Non vi è, dunque, alcun “provvedimento” dell’Ordine contro il quale l’interessato possa proporre ricorso, come dispone l’art. 3, comma 4, del d.lgs. c.p.s. n. 233 del 1946. Né, in ogni caso, la misura della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 rientra nelle materie su cui insiste la giurisdizione speciale della Commissione centrale. Come detto, per gli esercenti la professione sanitaria l’essere vaccinati (e, dunque, l’adempimento dell’obbligo vaccinale) è, in base alla legge (art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021), “requisito essenziale per l’esercizio della professione” medesima. Si tratta di una condizione imposta dalla legge a tutela della salute pubblica e della sicurezza delle cure (in attuazione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, con particolare attenzione alle “categorie più fragili” e ai “soggetti più vulnerabili”: cfr. Cons. Stato, Sez. III, 20 ottobre 2021, n. 7045), che, dunque, opera su un piano oggettivo, a prescindere da connotazioni di disvalore della eventuale condotta inadempiente. Inoltre, detto “requisito essenziale” attiene all’esercizio della professione e, dunque, al suo svolgimento già consentito dalla previa iscrizione all’albo professionale – svolgimento che, in caso di inadempimento all’obbligo di vaccinazione, rimane solo temporaneamente inibito –, ma non incide sullo status di professionista iscritto all’albo, che persiste come tale. Non trovano rilievo, pertanto, la materia dell’iscrizione all’albo professionale, né quella disciplinare, là dove, poi, per quest’ultima, la conferma della sua non pertinenza rispetto all’inadempimento dell’obbligo vaccinale si trae anche dallo stesso art. 4, comma 4, del d.l. n. 44 del 2021, come modificato dal d.l. n. 172 del 2021, che ha espressamente qualificato l’atto di accertamento di tale inadempimento come di natura “non disciplinare””.
La medesima Corte ha poi affermato la competenza giurisdizionale del Giudice ordinario in quanto alla luce del petitum sostanziale dell’azione promossa, la situazione di diritto soggettivo rivendicata – ossia il diritto di continuare ad esercitare la professione sanitaria di fisioterapista, nonostante l’inadempimento all’obbligo vaccinale[70] – “non è intermediata dal potere amministrativo, ma soffre di limiti e condizioni previste esaustivamente dalla legge. […] appartiene alla cognizione del giudice ordinario la controversia in cui venga in rilievo un diritto soggettivo nei cui confronti la pubblica amministrazione eserciti un’attività vincolata, dovendo verificare soltanto se sussistano i presupposti predeterminati dalla legge per l’adozione di una determinata misura, e non esercitando, pertanto, alcun potere autoritativo correlato all’esercizio di poteri di natura discrezionale (tra le altre, Cass., S.U., 25 settembre 2017, n. 22254; Cass., S.U., 11 maggio 2018, n. 11576; Cass., S.U., 28 maggio 2020, n. 10089; Cass., S.U., 14 marzo 2022, n. 8188). In particolare, al fine di cogliere la differenza tra le situazioni, entrambe di carattere sostanziale, di diritto soggettivo ed interesse legittimo – che è pur sempre rilevante e necessaria ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in controversie (come quella in esame) in cui non si verte in ipotesi di giurisdizione esclusiva ex art. 133 c.p.a. –, occorre far riferimento al “dato distintivo per il quale in presenza di un potere discrezionale la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è di interesse legittimo” (così Cass., S.U., 27 luglio 2022, n. 23436). L’interesse legittimo – come ancora precisato dalla citata Cass., S.U., n. 23436 del 2022 (cfr. il relativo § 10) – si differenzia dal diritto soggettivo “per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurata in modo immediato dalla norma, che tutela appunto in modo diretto l’interesse pubblico, bensì passa attraverso l’esercizio del potere amministrativo. La norma è attributiva del potere quando conferisce all’autorità amministrativa la potestà di scelta discrezionale in ordine alla disposizione degli interessi e alla fissazione del precetto giuridico. Se invece il diritto sostanziale è stato fissato dalla legge con la preventiva definizione della gerarchia degli interessi, il rapporto giuridico che viene così instaurato attiene a diritti soggettivi e l’autorità amministrativa può all’occorrenza essere preposta alla vigilanza circa l’osservanza del precetto giuridico o a darvi attuazione. La norma attributiva del potere offre, in definitiva, al titolare dell’interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l’esercizio del potere, anziché finale, come accade per il diritto soggettivo. Di fronte al potere discrezionale non vi è possibilità di ascrivere in modo immediato e diretto il vantaggio o bene della vita alla sfera giuridica del soggetto privato, ciò che caratterizza, al contrario, la struttura del diritto soggettivo. Diversa è la situazione, invece, nel caso in cui il potere sia vincolato in tutti i suoi elementi dalla norma giuridica”. Nel caso di specie, nessun potere discrezionale è attribuito alla pubblica amministrazione nella conformazione del diritto all’esercizio della professione sanitaria, il cui svolgimento – e, dunque, il suo pieno dispiegarsi come posizione soggettiva piena e immediatamente tutelabile – viene sospeso temporaneamente in ipotesi di inadempimento dell’obbligo vaccinale in forza delle previsioni dettagliatamente recate dalla fonte legislativa (art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, convertito, con modificazioni, nella legge n. 76 del 2021), le quali stabiliscono una scansione procedimentale alla quale la stessa pubblica amministrazione – anzitutto la ASL e, quindi, residualmente (per la comunicazione all’interessato della misura sospensiva) l’Ordine professionale (quale ente pubblico non economico, che agisce come organo sussidiario dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici connessi all’esercizio professionale: cfr. Corte cost., sent. n. 259 del 2019) – deve soltanto dare mera attuazione. È la legge che, nella specie, ha risolto, di per sé, il conflitto tra gli interessi in gioco, di eminente rilievo costituzionale, dando prevalenza al diritto alla salute (individuale e – soprattutto – collettiva) rispetto a quello al lavoro e, al tempo stesso, dettato termini, modalità ed effetti dell’azione amministrativa, la quale deve esercitarsi, quindi, su un binario che non consente scelte discrezionali espressione del potere pubblico. La ASL è tenuta unicamente ad accertare il compimento di una fattispecie legale specificamente regolata, ossia che – nei termini stabiliti dalle stesse disposizioni di legge – si sia determinato il “fatto” dell’inadempimento all’obbligo vaccinale e darne, quindi, attestazione e comunicazione (“all’interessato, … e all’Ordine professionale”). Da tale atto, di mera verifica dell’essersi determinato il “fatto” dell’inadempimento all’obbligo imposto dalla legge – che l’art. 4, comma 4, novellato dal d.l. n. 172 del 2021 qualifica, in coerenza con la morfologia della fattispecie legale implicata (delineata in modo sovrapponibile a quella originariamente regolata dal d.l. n. 44 del 2021, salvo i profili di competenza innanzi rammentati), come di “natura dichiarativa” – discende, in modo automatico e senza alcun apprezzamento discrezionale di sorta, la sospensione del sanitario dall’esercizio della (libera) professione, che l’Ordine è, a sua volta, tenuto a comunicare al proprio iscritto. Anche là dove la legge consente l’esonero dall’obbligo vaccinale o il suo differimento non trova evidenza l’esercizio del potere autoritativo discrezionale, bensì – come rilevato dal pubblico ministero nelle proprie conclusioni scritte – una “mera discrezionalità tecnica necessaria per riscontrare se sussista o meno l’unica causa codificata di esonero dall’obbligo vaccinale (ide est l’accertato pericolo per la salute)”, la cui certificazione, sollecitata dall’interessato, deve provenire, peraltro, non direttamente dalla medesima amministrazione agente, ma dal medico di medicina generale (e, nella formulazione novellata del comma 2 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, anche dal medico vaccinatore). È, dunque, la stessa legge – all’esito del bilanciamento da essa stessa effettuato tra i diritti fondamentali implicati e, come detto, raggiunto in termini di prevalenza del diritto alla salute su quello al lavoro – ad avere assunto su di sé e regolato ogni aspetto riferibile all’attività provvedimentale e autoritativa della pubblica amministrazione incidente sul diritto risultato compresso, non lasciando ad essa margini di discrezionalità nell’esercizio del potere, affatto vincolato rispetto alla posizione di diritto soggettivo vantata […]”.[71]
4.2.1. Le pronunce nel merito del Giudice amministrativo
In via generale, la domanda di annullamento del provvedimento di sospensione è stata subordinata all’accertamento dell’illegittimità dell’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 per i seguenti motivi: a) perché la vaccinazione imposta avverrebbe sulla base di vaccino ancora in fase sperimentale; b) perché non si conoscerebbero gli effetti avversi anche gravi soprattutto di medio-lungo termine sulle persone vaccinate; c) perché le sostanze disponibili non sarebbero efficaci e non avrebbero l’effetto di prevenire la diffusione dell’infezione, ma solo lo sviluppo della malattia; d) perché il legislatore avrebbe introdotto l’obbligo vaccinale in danno degli operatori sanitari, costretti a sottoporsi ad uno dei quattro vaccini autorizzati in Italia senza avere la certezza della loro efficacia e sicurezza; e) perché l’obbligo vaccinale violerebbe l’integrità psicofisica del cittadino e perché l’imposizione costituirebbe un’illegittima ingerenza del potere pubblico nella sfera privata, in violazione della Carta di Nizza e della CEDU; f) perché il decreto-legge n. 44/2021 obbligherebbe alla vaccinazione anche coloro che hanno già contratto la malattia e, pertanto, hanno acquisito la c.d. immunità naturale; g) perché non vi sarebbe certezza che il soggetto vaccinato non sia in grado di trasmettere il virus; h) perché il legislatore, nel perseguire l’interesse pubblico, avrebbe dovuto prediligere gli strumenti che comportano il minor sacrificio per gli interessi contrastanti; i) perché l’obbligo vaccinale sarebbe discriminatorio, essendo imposto solo per la categoria degli appartenenti alle professioni sanitarie, mentre per le altre categorie professionali il decreto-legge n. 44/2021 prevede solo l’obbligo del green pass, il quale consente la scelta tra il sottoporsi alla vaccinazione ovvero l’effettuazione di un tampone che consente di verificare l’impossibilità di contagiare il prossimo[72]; l) perché l’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 non prevede un indennizzo per il caso in cui dalla somministrazione dovesse derivare un pregiudizio grave e/o permanente per l’integrità fisica del soggetto vaccinato; m) perché l’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 non consente di prediligere terapie alternative in luogo della vaccinazione; n) perché l’inoculazione del farmaco avrebbe luogo senza prescrizione medica adottata previa valutazione del complessivo quadro patologico[73]; o) perché la sospensione dal lavoro prevista dall’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 quale conseguenza del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale confliggerebbe con la tutela del principio lavoristico, sopprimendo di fatto l’esercizio del diritto al lavoro e la percezione della retribuzione.
Dall’analisi delle pronunce nel merito emerge un tendenziale orientamento del Giudice amministrativo nel senso del rigetto delle domande di annullamento dei provvedimenti di sospensione dal lavoro per inadempimento all’obbligo vaccinale.
In particolare, il Giudice fa ricorso alle seguenti considerazioni preliminare – fra tutti condivise[74] – esposte in modo assai esaustivo dal Consiglio di Stato, Sez. III, con la Sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045: “la commercializzazione del vaccino, secondo la vigente normativa dell’Unione europea, passa attraverso una raccomandazione da parte della competente Agenzia europea per i medicinali (EMA), che valuta la sicurezza, l’efficacia e la qualità del vaccino, sulla cui base la Commissione europea può procedere ad autorizzare la commercializzazione nel mercato dell’Unione, dopo avere consultato gli Stati membri che debbono esprimersi favorevolmente a maggioranza qualificata. La normativa dell’Unione – in particolare l’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione – prevede uno strumento normativo specifico per consentire la rapida messa a disposizione di medicinali, da utilizzare in situazioni di emergenza, poiché in tali situazioni la procedura di “immissione in commercio condizionata” (CMA, Conditional marketing authorisation) è specificamente concepita al fine di consentire una autorizzazione il più rapidamente possibile, non appena siano disponibili dati sufficienti, pur fornendo un solido quadro per la sicurezza, le garanzie e i controlli post-autorizzazione. In questa procedura […] si ha una parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione clinica, che nella procedura ordinaria sono sequenziali, che prende il nome di “partial overlap” e che prevede l’avvio della fase successiva a poca distanza dall’avvio della fase precedente. La leggera sfasatura nell’avvio delle fasi di sperimentazione riduce i rischi connessi ad una sovrapposizione delle fasi e accelera i normali tempi di svolgimento delle sperimentazioni, anche se fornisce dati meno completi rispetto alla procedura ordinaria di autorizzazione. E tuttavia, si badi, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata non è una scorciatoia incerta e pericolosa escogitata ad hoc per fronteggiare irrazionalmente una emergenza sanitaria come quella attuale, ma una procedura di carattere generale, idonea ad essere applicata – e concretamente applicata negli anni passati, anche recenti, soprattutto in campo oncologico – anche al di fuori della situazione pandemica, a fronte di necessità contingenti (non a caso la lotta contro i tumori ne è il terreno elettivo), e costituisce una sottocategoria del procedimento inteso ad autorizzare l’immissione in commercio ordinaria perché viene rilasciata sulla base di dati che sono, sì, meno completi rispetto a quelli ordinari – cfr. 4° Considerando del Reg. CE 507/2006 – ma è appunto presidiata da particolari garanzie e condizionata a specifici obblighi in capo al richiedente. Una volta adempiuti gli obblighi prescritti e forniti i dati mancanti, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata viene infatti convertita – ciò che diverse volte si è verificato in passato – in un’autorizzazione non condizionata. Il bilanciamento, rispetto alla maggior completezza dei dati ottenuti nella procedura ordinaria di autorizzazione, è imposto e assicurato, nella previsione dell’art. 4 del Reg. (CE) n. 507/2006, da quattro rigorosi requisiti: a) che il rapporto rischio/beneficio del medicinale risulti positivo; b) che sia probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi; c) che il medicinale risponda a specifiche esigenze mediche insoddisfatte; d) che i benefici per la salute pubblica derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari. Per quanto riguarda i vaccini contro la diffusione del virus Sars-CoV-2, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata segue, a giudizio della Commissione, un quadro solido e controllato e fornisce valide garanzie di un elevato livello di protezione dei cittadini nel corso della campagna vaccinale, costituendo una componente essenziale della strategia dell’Unione in materia di vaccini, garanzie che distinguono nettamente questa ipotesi dalla c.d. “autorizzazione all’uso d’emergenza”, istituto diverso che, in alcuni Paesi (come gli Stati Uniti e l’Inghilterra) non autorizza un vaccino, ma l’uso temporaneo, per ragioni di emergenza, di un vaccino non autorizzato. Tutti gli Stati membri dell’Unione hanno formalmente sottoscritto la strategia sui vaccini proposta dalla Commissione e hanno convenuto sulla necessità di applicare la procedura di autorizzazione all’immissione in commercio condizionata attraverso l’EMA per i vaccini contro il Sars-CoV-2. I quattro prodotti ad oggi utilizzati nella campagna vaccinale sono stati dunque regolarmente autorizzati dalla Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, attraverso la procedura di autorizzazione condizionata (c.d. CMA, Conditional marketing authorisation), di cui si è accennato in sintesi, disciplinata dall’art. 14-bis del Reg. CE 726/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio e dal Reg. CE 507/2006 della Commissione. Si tratta di un’autorizzazione che può essere rilasciata anche in assenza di dati clinici completi, come si è detto, «a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari». Il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sui profili di sicurezza del farmaco (nel sito dell’ISS, che richiama a sua volta quello dell’EMA, si ricorda «una autorizzazione condizionata garantisce che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi criteri Ue di sicurezza, efficacia e qualità, e che sia prodotto e controllato in stabilimenti approvati e certificati in linea con gli standard farmaceutici compatibili con una commercializzazione su larga scala») né comporta che la stessa debba essere considerata un minus dal punto di vista del valore giuridico, ma impone unicamente al titolare di «completare gli studi in corso o a condurre nuovi studi al fine di confermare che il rapporto rischio/beneficio è favorevole». La CMA è, peraltro, uno strumento collaudato e utilizzato già diverse volte prima dell’emergenza pandemica, come attesta il report disponibile sul sito istituzionale dell’EMA, relativo ai primi dieci anni di utilizzo della procedura, se si tiene presente che nel periodo di riferimento analizzato dal report – tra il 2006 e il 2016 – sono state concesse ben 30 autorizzazioni in forma condizionata, specialmente in ambito oncologico, nessuna delle quali successivamente ritirata per motivi di sicurezza, in quanto undici sono state convertite in autorizzazioni ordinarie, due ritirate per ragioni commerciali e le restanti diciassette sono rimaste ancora ad oggi autorizzazioni condizionate, essendo in corso il completamento dei dati. Alla luce di queste necessarie, per quanto essenziali e sintetiche, premesse di carattere regolatorio-tecnico, che non concernono solo la normativa europea ma, per la intrinseca natura tecnica di questa, le stesse procedure di sperimentazione ammesse dalla comunità scientifica in base ai canoni fondamentali della c.d. medicina dell’evidenza (c.d. evidence based), soggette anche esse al controllo del giudice nazionale od europeo, a seconda dell’atto impugnato, nell’esercizio del sindacato sulla c.d. discrezionalità tecnica, si deve recisamente confutare e respingere l’affermazione secondo cui i vaccini contro il Sars-Cov-2 siano “sperimentali” […] come anche quella che mette radicalmente in dubbio la loro efficacia e/o la loro sicurezza, in quanto approvati senza un rigoroso processo di valutazione scientifica e di sperimentazione clinica che ne abbia preceduto l’ammissione. Così non è, per tutte le ragioni di ordine scientifico esposte, perché la CMA è una procedura in cui la maggiore rapidità e la parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione – nel gergo medico: fast track/partial overlap – consentono di acquisire dati sufficientemente attendibili, secondo i parametri proprî della medicina dell’evidenza, in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci, come dimostra proprio l’ampio ricorso a questa stessa procedura – ben 30 volte – nel decennio tra il 2006 e il 2016 con apprezzabili risultati, poi confermati, e l’autorizzazione condizionata si colloca pur sempre a valle delle usuali fasi di sperimentazione clinica che precedono l’ordinaria immissione in commercio di qualsiasi farmaco, senza che per questo ne vengano sminuite la completezza e la qualità dell’iter di ricerca e di sperimentazione. La circostanza che i dati acquisiti nella fase di sperimentazione siano parziali e provvisori, come taluno ha rilevato anche sulla base delle condizioni imposte dal Reg. CE 507/2006 della Commissione, in quanto suscettibili di revisione sulla base delle evidenze empiriche via via raccolte – sicché l’autorizzazione è, appunto, condizionata all’acquisizione di più completi dati acquisiti successivamente all’autorizzazione stessa che, non a caso, ha durata solo annuale – nulla toglie al rigore scientifico e all’attendibilità delle sperimentazioni che hanno preceduto l’autorizzazione, pur naturalmente bisognose, poi, di conferma mediante i cc.dd. «comprehensive data post-authorisation». L’AIFA, nello studio pubblicato sul proprio sito, ha chiarito che «gli studi che hanno portato alla messa a punto dei vaccini COVID-19 non hanno saltato nessuna delle fasi di verifica dell’efficacia e della sicurezza previste per lo sviluppo di un medicinale, anzi, questi studi hanno visto la partecipazione di un numero assai elevato di volontari, circa dieci volte superiore a quello di studi analoghi a quello di studi analoghi per lo sviluppo di altri vaccini». Questi studi si sono avvalsi, peraltro, anche delle ricerche già condotte in passato sulla tecnologia a RNA messaggero (mRNA) e degli studi sui coronavirus umani correlati al Sars-CoV-2, come per esempio quelli che hanno provocato SARS (Severe acute respiratory syndrome) e MERS (Middle East respiratory syndrome)[75]. Sul piano dell’efficacia, per quanto concerne i vaccini contro il Sars-Cov-2, avuto proprio riguardo ai dati aggiornati e più completi successivi alle autorizzazioni condizionate di essi, si deve osservare […] come emergano significative evidenze dall’ultimo bollettino sull’andamento dell’epidemia emesso dall’ISS, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, istituzionalmente investito – tra le altre – delle funzioni di ricerca e controllo in materia di salute pubblica (art. 1 del relativo Statuto, approvato con D.M. del 24 ottobre 2014). Il documento cui si fa riferimento, attraverso l’istruttoria informale eseguita da questo Collegio, è liberamente consultabile online, in quanto pubblico, presso il sito internet dell’ente e considera i dati relativi a tutti i casi di infezione da virus SARS-CoV-2 registrati nel periodo 4 aprile – 31 agosto 2021, confermati tramite positività ai test molecolari e antigenici. Esso conclude riconoscendo che «l’efficacia preventiva è dell’89% nei confronti di una diagnosi di COVID-19 a circa sette mesi dopo la seconda dose» e che «per quanto riguarda i ricoveri in ospedale e i ricoveri in TI successivi a diagnosi di COVID-19 si è osservata una efficacia preventiva del 96% e nei confronti dei decessi del 99% a circa sei mesi dalla seconda dose». Questo Collegio, con gli ovvi limiti del sindacato che spetta al giudice amministrativo sugli atti adottati dalle autorità e dagli enti sanitari nazionali nell’esercizio della loro discrezionalità tecnica (v., sul punto, Cons. St., sez. III, 10 dicembre 2020, ord. n. 7097 nonché, più di recente, Cons. St., sez. III, 9 luglio 2021, n. 5212), deve perciò rilevare che, sulla base non solo degli studi – trials – condotti in fase di sperimentazione, ma anche dell’evidenza dei dati ormai imponenti acquisiti successivamente all’avvio della campagna vaccinale ed oggetto di costante aggiornamento e studio in sede di monitoraggio, che – contrariamente a quanto sostengono gli appellanti – la profilassi vaccinale è efficace nell’evitare non solo la malattia, per lo più totalmente o, comunque, nelle sue forme più gravi, ma anche il contagio. Sempre nei limiti del sindacato qui consentito sull’attendibilità razionale degli studi e dei dati acquisiti si deve solo qui aggiungere, quanto al dubbio sollevato dagli appellanti in ordine alla capacità di evitare i contagi e, quindi, in termine di prevenzione della trasmissibilità della malattia da parte dei soggetti vaccinati, anche nella più recente ed estremamente contagiosa forma della variante “delta”, che la posizione della comunità scientifica internazionale, alla luce delle ricerche più recenti, è nel senso che la fase di eliminazione virale nasofaringea, nel gruppo dei vaccinati, è tanto breve da apparire quasi impercettibile, con sostanziale esclusione di qualsivoglia patogenicità nei vaccinati.[76] In punto di sicurezza, quanto all’inesistenza, per chi è sottoposto al trattamento, di conseguenze negative le quali vadano oltre la normalità e la tollerabilità, si deve muovere anzitutto dal presupposto scientifico di ordine generale secondo cui il vaccino, come tutti i farmaci, non può essere considerato del tutto esente da rischi. Il giudizio in questione deve dunque vertere, propriamente, sui profili di sicurezza dei quattro vaccini contro il Sars-CoV-2 disponibili sul mercato e, correttamente ed esclusivamente, sul favorevole rapporto costi/benefici della loro somministrazione su larga scala. Il monitoraggio costante di questi aspetti compete al sistema di farmacovigilanza, cui è preposta l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), che raccoglie e valuta tutte le segnalazioni di eventi avversi. Quanto, in particolare, alla farmacovigilanza sui vaccini contro il Sars-CoV-2, l’ultimo rapporto ad oggi disponibile (il nono, pubblicato il 12 ottobre 2021 sul sito dell’AIFA, la quale ha preannunciato che l’aggiornamento del monitoraggio, di qui in avanti, sarà trimestrale), espone i dati aggiornati al 26 settembre 2021 e ricavati dalla somministrazione di 84.010.605 dosi di vaccino in Italia. Gli eventi avversi – e, cioè, gli episodi sfavorevoli verificatisi dopo la somministrazione, a prescindere dalla riconducibilità alla stessa dal punto di vista causale – sono stati 101.110, con un tasso di segnalazione – misura del rapporto fra il numero di segnalazioni inserite nel sistema di farmacovigilanza e numero di dosi somministrate – pari a 120 ogni 100.000 dosi. Di queste, solo il 14,4% ha avuto riguardo ad eventi gravi, con la precisazione che ricadono in tale categoria, definita in base a criteri standard, conseguenze talvolta non coincidenti con la reale gravità clinica dell’evento, mentre l’85,4% si riferisce a eventi non gravi, come dolore in sede di iniezione, febbre, astenia/stanchezza, dolori muscolari. Di tutte le segnalazioni gravi (17 ogni 100.000 dosi somministrate) solo il 43% di quelle esaminate finora è risultata correlabile alla vaccinazione. Si tratta di dati comparabili a quelli emersi in esito all’attività di farmacovigilanza condotta sugli altri vaccini esistenti (alcuni dei quali già oggetto di somministrazione obbligatoria ai sensi del d.l. n. 73 del 2017), che sono parimenti consultabili sul sito dell’AIFA, nello specifico rapporto pubblicato. Quanto sin qui si è esposto, in estrema sintesi, conferma che le terapie vaccinali regolarmente approvate, nei termini di cui si è detto, e in uso attualmente in Italia, come in Europa e nel resto del mondo (ove, tra l’altro, alcuni vaccini sono stati approvati in via definitiva: negli Stati Uniti la FDA, la Food and drug administration, istituzione che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici, ad esempio, ha approvato in via definitiva il 23 agosto 2021 il vaccino Comirnaty per le persone di età maggiore a 16), presentano per i soggetti ai quali sono inoculate un rapporto rischio/beneficio favorevole che, allo stato delle conoscenze scientifiche, delle sperimentazioni eseguite, degli studi clinici e dei dati disponibili, non è dissimile da quella dei vaccini tradizionali, alcuni delle quali rese obbligatorie, come noto, dal d.l. n. 73 del 2017, sulla cui legittimità costituzionale, come si dirà tra breve, si è pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018.[77] Le risultanze statistiche evidenziano dunque l’esistenza di un bilanciamento rischi/benefici assolutamente accettabile e i danni conseguenti alla somministrazione del vaccino per il SARS-CoV-2 devono ritenersi, considerata l’estrema rarità del verificarsi di eventi gravi e correlabili, rispondenti ad un criterio di normalità statistica. I dati relativi alla drastica riduzione di contagi, ricoveri e decessi, ad oggi disponibili e resi di pubblico dominio dalle istituzioni e dagli enti sanitari, dimostrano sul piano epidemiologico che la vaccinazione – unitamente alle altre misure di contenimento – si sta dimostrando efficace, su larga scala, nel contenere il contagio e nel ridurre i decessi o i sintomi gravi.[78] Nell’odierna situazione emergenziale, almeno fino al 31 dicembre 2021, le misure per il contenimento del contagio richiedono alle autorità sanitarie un intervento pronto e risoluto, ispirato alla c.d. amministrazione precauzionale, la quale deve necessariamente misurarsi con quello che, in dottrina, è stato definito il c.d. ignoto irriducibile, in quanto ad oggi non si dispone di tutti i dati completi per valutare compiutamente il rapporto rischio/beneficio nel lungo periodo, per ovvi motivi, e questa componente, appunto, di ignoto irriducibile, pur con il massimo – ed encomiabile – sforzo profuso dalla ricerca scientifica, reca con sé l’impossibilità di ricondurre una certa situazione fattuale, interamente, entro una logica di previsione ex ante fondata su elementi di incontrovertibile certezza. Per i tempi necessari alla sperimentazione, di fronte all’esigenza immediata di intervento, la scienza ad oggi non è ovviamente in grado di fornire certezze assolute circa la totale assenza di rischi anche a lungo termine connessa all’assunzione dei vaccini, ma il legislatore, in una situazione pandemica che vede il diffondersi di un virus a trasmissione aerea, altamente contagioso e spesso letale per i soggetti più vulnerabili per via di malattie pregresse – si pensi ai pazienti cardiopatici, diabetici od oncologici – e dell’età avanzata, ha il dovere di promuovere e, se necessario, imporre la somministrazione dell’unica terapia – quella profilattica – in grado di prevenire la malattia o, quantomeno, di scongiurarne i sintomi più gravi e di arrestare o limitarne fortemente il contagio. […] La riserva di scienza, alla quale il decisore pubblico sia livello normativo che amministrativo deve fare necessario riferimento nell’adottare le misure sanitarie atte a fronteggiare l’emergenza epidemiologica, lascia a questo, per l’inevitabile margine di incertezza che contraddistingue anche il sapere scientifico nella costruzione di verità acquisibili solo nel tempo, a costo di severi studi e di rigorose sperimentazioni e sottoposte al criterio di verificazione-falsificazione, un innegabile spazio di discrezionalità nel bilanciamento tra i valori in gioco, la libera autodeterminazione del singolo, da un lato, e la necessità di preservare la salute pubblica e con essa la salute dei soggetti più vulnerabili, dall’altro, una discrezionalità che deve essere senza dubbio usata in modo ragionevole e proporzionato e, in quanto tale, soggetta nel nostro ordinamento a livello normativo al sindacato di legittimità del giudice delle leggi e a livello amministrativo a quello del giudice amministrativo. E tuttavia l’argomento degli appellanti, secondo cui, in assenza di una certezza assoluta offerta dalla scienza circa la sicurezza dei vaccini anche nel lungo periodo il legislatore dovrebbe lasciare sempre e comunque l’individuo libero di scegliere se accettare o meno il trattamento sanitario e, dunque, di ammalarsi e contagiare gli altri, prova troppo ed è errato, già sul piano epistemologico, perché, così ragionando, l’utilizzo obbligato di una nuova terapia, in una fase emergenziale che vede il crescere esponenziale di contagi e morti, dovrebbe attendere irragionevolmente un tempo lunghissimo e, potenzialmente, indefinito per tutte le possibili sperimentazioni cliniche necessarie a scongiurare il rischio, anche remoto (o immaginabile e persino immaginario) di tutti i possibili eventi avversi, tempo nel quale, intanto, la malattia continuerebbe incontrastata a mietere vittime senza alcuna possibilità di una cura che, seppure sulla base di dati non ancora completi, ha mostrato molti più benefici che rischi per la collettività. Sarebbe, tuttavia, questa una conseguenza paradossale che, nel rivendicare la sicurezza ad ogni costo, e con ogni mezzo, della cura imposta dal legislatore a beneficio di tutti, ne negherebbe però in radice ogni possibilità, paralizzando l’intervento benefico, per non dire salvifico, della legge o dell’amministrazione sanitaria contro il contagio di moltissime persone, perché, come ha osservato la Corte costituzionale – in riferimento alla normativa che introduceva la vaccinazione obbligatoria contro l’epatite virale di tipo B, impugnata anche per la omessa previsione di accertamenti preventivi idonei quantomeno a ridurre il rischio, pur percentualmente modesto, di lesioni all’integrità psicofisica per le complicanze del vaccino – «la prescrizione indeterminata e generalizzata di tutti gli accertamenti preventivi possibili, per tutte le complicanze ipotizzabili e nei confronti di tutte le persone da assoggettare a tutte le vaccinazioni oggi obbligatorie» renderebbe «di fatto impossibile o estremamente complicata e difficoltosa la concreta realizzabilità dei corrispondenti trattamenti sanitari» (Corte cost., 23 giugno 1994, n. 258). In fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito – va ribadito – tutte le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco. E ciò non perché, come afferma chi enfatizza e assolutizza l’affermazione di un giusto valore concepito però come astratto bene, la persona receda a mezzo rispetto ad un fine o, peggio, ad oggetto di sperimentazione, in contrasto con il fondamentale principio personalista, a fondamento della nostra Costituzione, che vede nella persona sempre un fine e un valore in sé, quale soggetto e giammai oggetto di cura, ma perché si tutelano in questo modo tutti e ciascuno, anzitutto e soprattutto le più vulnerabili ed esposte al rischio di malattia grave e di morte, da un concreto male, nella sua spaventosa e collettiva dinamica di contagio diffuso e letale, in nome dell’altrettanto fondamentale principio di solidarietà, che pure sta a fondamento della nostra Costituzione (art. 2), la quale riconosce libertà, ma nel contempo richiede responsabilità all’individuo. E in un ordinamento democratico la legge non è mai diritto dei meno vulnerabili o degli invulnerabili, o di quanti si affermino tali e, dunque, intangibili anche in nome delle più alte idealità etiche o di visioni filosofiche e religiose, ma tutela dei più vulnerabili, dovendosi rammentare che la solidarietà è «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dalla Costituzione» (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75). Il margine di incertezza dovuto al c.d. ignoto irriducibile che la legge deve fronteggiare in un’emergenza pandemica tanto grave, per tutte le ragioni esposte, non può dunque giustificare, né sul piano scientifico né sul piano giuridico, il fenomeno della esitazione vaccinale, ben noto anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio nei medici e nel personale sanitario. La vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, secondo il già richiamato principio personalista, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il pure richiamato principio di solidarietà, che anima anch’esso la Costituzione, e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili (per l’esistenza di pregresse morbilità, anche gravi, come i tumori o le cardiopatie, o per l’avanzato stato di età), che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza. La ratio di questa specifica previsione si rinviene non solo nelle premesse del d.l. n. 44 del 2021, laddove si evidenzia «la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette al contenimento dell’epidemia e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, con riferimento soprattutto alle categorie più fragili, anche alla luce dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche acquisite per fronteggiare l’epidemia da COVID-19 e degli impegni assunti, anche in sede internazionale, in termini di profilassi e di copertura vaccinale», ma nello stesso testo normativo dell’art. 4, quando nel comma 4 richiama espressamente il «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» o precisa ancora, nel comma 6, che «l’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». La previsione interseca non solo il più generale e grave problema della sicurezza nei luoghi di lavoro a tutela dei lavoratori, disciplinata dal d. lgs. n. 81 del 2008, ma anche – e ciò rileva particolarmente in questo giudizio – il principio di sicurezza delle cure, enunciato tra l’altro dalla l. n. 24 del 2017 (c.d. legge Gelli-Bianco), laddove, nell’art. 1, comma 1, afferma solennemente il principio secondo cui la sicurezza delle cure è «parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività». La sicurezza delle cure, precisa il comma 2, si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Aggiunge il comma 3 del richiamato art. 1 che le attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Ora proprio in ragione di questo generale principio, che precede l’attuale emergenza epidemiologica ed implica la sicurezza anche di chi cura e del luogo di cura oltre che del come si cura, è lecito attendersi dal paziente bisognoso di cura e assistenza, che si rechi in una struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, ed è doveroso per l’ordinamento pretendere che il personale medico od infermieristico non diventi esso stesso veicolo di contagio, pur sussistendo un rimedio, efficace e sicuro, per prevenire questo rischio connesso all’erogazione della prestazione sanitaria. Sarebbe – e in taluni casi verificatisi in Italia a vaccinazione già avviata, purtroppo, è stato – un macabro paradosso quello per i quali pazienti gravemente malati o anziani, ricoverati in strutture ospedaliere o in quelle residenziali, socio-assistenziali o socio-sanitarie (al cui personale lavorativo anche esterno, opportunamente, il recente art. 2, comma 1, del d.l. n. 122 del 10 settembre 2021 ha infatti esteso l’obbligo vaccinale, inserendo nel d.l. n. 44 del 2021 l’art. 4-bis), contraessero il virus, con effetti letali per essi, proprio nella struttura deputata alla loro cura e per causa del personale deputato alla loro cura, refrattario alla vaccinazione. Una simile evenienza, che il legislatore ha voluto scongiurare introducendo, come si è detto, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, costituirebbe (ed ha costituito) un grave tradimento di quella «relazione di cura e fiducia tra paziente e medico» e, più in generale, tra paziente e gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria, un ripudio dei valori più essenziali che la medicina deve perseguire e l’ordinamento deve difendere, a cominciare dalla solidarietà, concetto, questo, spesso dimenticato, come taluno ha osservato, in una prospettiva esasperatamente protesa solo a rivendicare diritti incomprimibili. Tale relazione di cura e di fiducia, secondo l’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017, è il fulcro della prestazione sanitaria e si fonda sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico, responsabilità non secondaria né trascurabile nella tutela del paziente che viene a contatto con lo stesso medico e il personale sanitario. Nel dovere di cura, che incombe al personale sanitario, rientra anche il dovere di tutelare il paziente, che ha fiducia nella sicurezza non solo della cura, ma anche nella sicurezza – qui da intendersi come non contagiosità o non patogenicità – di chi cura e del luogo in cui si cura, e questo essenziale obbligo di protezione di sé e dell’altro, connesso al dovere di cura e alla relazione di fiducia, non può lasciare il passo, evidentemente, a visioni individualistiche ed egoistiche, non giustificate in nessun modo sul piano scientifico, del singolo medico che, a fronte della minaccia pandemica, rivendichi la propria autonomia decisionale a non curarsi. Questa scelta, che sarebbe in una condizione di normalità sanitaria del tutto legittima perché espressione della libera autodeterminazione e del consenso informato, di cui alla l. n. 219 del 2017, appena richiamato, costituisce nel contesto emergenziale in atto un rischio inaccettabile per l’ordinamento perché mette a repentaglio la salute e la vita stessa di altri – le persone più fragili, anzitutto – che, di fronte all’elevata contagiosità della malattia, potrebbero subirne e ne hanno subito le conseguenze in termini di gravità o addirittura mortalità della malattia. Nel bilanciamento tra i due valori, quello dell’autodeterminazione individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale sanitario, non vi è dunque legittimo spazio né diritto di cittadinanza in questa fase di emergenza contro il virus Sars-CoV-2 per la c.d. esitazione vaccinale. L’obbligatorietà della vaccinazione è una questione più generale che, oltre ad implicare un delicato bilanciamento tra fondamentali valori, quello dell’autodeterminazione e quello della salute quale interesse della collettività anzitutto secondo una declinazione solidaristica, investe lo stesso rapporto tra la scienza e il diritto, come è ovvio che sia, e ancora più al fondo il rapporto tra la conoscenza – e, dunque, l’informazione e il suo contrario, la disinformazione – e la democrazia. In un ordinamento democratico, come ha rilevato anche di recente la Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 sulle vaccinazioni obbligatorie (re)introdotte dal d.l. n. 73 del 2017, rientra nella discrezionalità del legislatore prevedere la raccomandazione dei vaccini o l’obbligatorietà di questi e la scelta tra la tecnica della persuasione e, invece, quella dell’obbligo dipende dal grado di efficacia persuasiva con il quale il legislatore, sulla base delle acquisizioni scientifiche più avanzate ed attendibili, riesce a sensibilizzare i cittadini in ordine alla necessità di vaccinarsi per il bene proprio e, insieme, dell’intera società. La Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza (v., tra tutte, proprio la sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018, ma anche la sentenza n. 258 del 23 giugno 1994, già richiamata, e la sentenza n. 307 del 22 giugno 1990), ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria. Tutte queste condizioni […] sono rispettate dalla vaccinazione obbligatoria ora introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021. I valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono certo molteplici e il contemperamento di questi molteplici principî lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo, al fine di raggiungere, mediante la vaccinazione di massa, l’obiettivo della c.d. immunità di gregge. Questa discrezionalità, ha chiarito peraltro la Corte, deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 14 dicembre 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così la giurisprudenza costante della stessa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002), secondo quel modello, di cui si è detto, dell’amministrazione precauzionale c.d. riflessiva, dal carattere adattivo e flessibile e in base alla riserva di scienza. La storia delle vaccinazioni obbligatorie in Italia mostra come, per ragioni complesse, il pendolo legislativo abbia oscillato tra la raccomandazione e l’obbligo, anche a fronte del crescente fenomeno della c.d. esitazione vaccinale (vaccine hesitancy), fenomeno manifestatosi fin sin dall’introduzione, nel Settecento, delle prime terapie vaccinali contro il vaiolo ed oggetto di studio, ormai da anni, da parte del gruppo di esperti Sage (Strategic Advisory Group of Experts on Immunization) nominato nel 2012 dall’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità. In Italia questo fenomeno, diffuso come nel resto dell’Occidente, ha fatto registrare una forte riduzione delle vaccinazioni obbligatorie e ha aperto così le porte ad estese epidemie di morbillo, facendo precipitare l’Italia nel 2013 ben al di sotto della soglia di sicurezza raccomandata dall’OMS nel 95%, e solo l’intervento del d.l. n. 73 del 2017 ha poi portato ad un aumento della copertura non solo per la vaccinazione anti morbillo-parotite-rosolia, ma anche per i vaccini non obbligatori e per tutti i gruppi di età. La trasparenza delle informazioni scientifiche, le campagne di sensibilizzazione, le “spinte gentili” – c.d. nudge – alla vaccinazione, mediante un sistema di incentivi o disincentivi, come mostra il recente indirizzo dell’economia comportamentale, sono tutti elementi di sicuro impatto, e spesso di forte incidenza anche sulle libertà costituzionalmente garantite, che tuttavia concorrono a favorire il consenso informato nei singoli nelle decisioni sanitarie e, insieme, il formarsi di una coscienza collettiva favorevoli alla necessità di vaccinarsi e di una profilassi generalizzata contro malattie altamente contagiose e non di rado mortali, creando nei cittadini fiducia (c.d. confidence) nella sicurezza e nell’efficacia dei vaccini. La formazione del consenso informato in ciascuno e l’adesione convinta dei più alla vaccinazione, sulla base delle informazioni rese disponibili dalla comunità scientifica e all’esito di un serena valutazione circa il rapporto tra rischi e benefici della vaccinazione all’interno della comunità e delle istituzioni democratiche, costituiscono certo la soluzione migliore e preferibile per combattere la malattia perché esaltano, da un lato, il ruolo di una scienza non richiusa in sé, nell’idolatria di un elitario scientismo, ma aperta al dibattito civile e partecipe al progresso morale e materiale dell’intera società e, dall’altro, valorizzano il fondamentale ruolo dell’autodeterminazione in sintonia, e non già in conflitto, con il principio di solidarietà. Sotto questo profilo «la luce della trasparenza», tanto nelle acquisizioni scientifiche degli esperti quanto nei processi decisionali del legislatore (o dell’amministrazione), «feconda il seme della conoscenza tra i cittadini», come ha ricordato in via generale la recente pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio (Cons. St., Ad. plen., 10 aprile 2020, n. 10), stroncando il diffondersi di pseudoconoscenze o, addirittura, di credenze irrazionali e, perciò, indimostrabili ma al tempo stesso infalsificabili, e contribuisce al rafforzamento, in modo pieno e maturo, dei diritti fondamentali nel loro esercizio ponderato e responsabile. Il consenso informato, che ha un’essenziale funzione di sintesi tra l’autodeterminazione e il diritto alla salute (v., in questo senso, Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 438 e Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n.4460, ma si consideri ora anche la già ricordata, e basilare, previsione dell’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017), è e dovrebbe essere la dimensione fisiologica e privilegiata, l’orizzonte normale e consueto entro il quale dovrebbe iscriversi qualsiasi campagna vaccinale, anche quella in corso contro il Sars-CoV-2, e dovrebbe condurre ad un atteggiamento, consapevole e responsabile, di adesione volontaria alla campagna vaccinale a beneficio di tutti e di ciascuno. L’elevatissima adesione volontaria alle vaccinazioni in Italia, al di là delle motivazioni dei singoli, lascia intravedere che tra i cittadini questo esercizio ponderato e responsabile della loro autonomia decisionale sulla base del consenso informato, mediante lo strumento della persuasione nelle sue più varie forme, non ha costituito un obiettivo irraggiungibile, ma tangibile, e nondimeno rispetto alle vaccinazioni contro la diffusione del Sars-CoV-2, come per le altre vaccinazioni nel più recente passato, si è registrato quel fenomeno tipico delle contemporanee societés de la défiance, le società del sospetto, in cui i cittadini sembrerebbero o si sentirebbero “condannati”, come taluno ha detto, a “fidarsi della scienza”. La c.d. esitazione vaccinale ha un genesi multifattoriale, comprende i più vari atteggiamenti ideologici, culturali, religiosi, filosofici, ma non di rado è il frutto, da un lato, di una irrazionale sfiducia nei confronti della scienza e, più in generale, dei “tecnici”, portatori di un sapere specialistico, avvertiti come titolari di un potere ritenuto inaccessibile e, in quanto tale, elitario ed antidemocratico (“nam et ipsa scientia potestas est”, “sapere è potere”, secondo l’antica massima baconiana), con il rifiuto di un sapere-potere “costituito” e la ricerca di conoscenze altre, alternative, nascoste ai più, e, dall’altro, anche il portato di una visione icasticamente definita “onnivora” dell’autodeterminazione, assoluta e solipstica, insofferente di vincoli ed obblighi che contemplino la visione più vasta dell’intero ordinamento e degli altri individui, secondo, invece, una fondamentale e doverosa declinazione solidaristica. Non è possibile indagare e indugiare sulla complessità di questo fenomeno se non per rimarcare, in questa sede e ai fini che qui rilevano, che il superamento dell’esitazione vaccinale proprio in alcuni operatori sanitari, mediante lo strumento della persuasione, avrebbe richiesto tempi, modi e mezzi, di fronte all’emergenza epidemiologica in atto e all’assenza di terapie sicure ed efficacia al di là dei vaccini, che solo l’introduzione di un obbligo vaccinale poteva fronteggiare nelle strutture sanitarie obbligate ad assicurare anche e anzitutto la sicurezza delle cure, tutelando la salute dello stesso personale sanitario, impegnato in prima linea nella lotta contro la nuova malattia, e quella dei pazienti e delle persone più fragili e, in generale, della collettività dalla rapida diffusione del contagio ed evitando quelle situazioni gravi, paradossali e irreversibili, di cui si è detto, nondimeno verificatesi con numerosi contagi e decessi in diverse strutture sanitarie e residenziali proprio per la resistenza immotivata alla vaccinazione da parte del personale sanitario. Questo Consiglio di Stato, nel quadro dei valori costituzionali, ha sempre rifiutato una concezione autoritaria e impositiva della cura, calata dall’alto e imposta alla singola persona (v., in questo senso, Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460), e ha sempre rimarcato e difeso la sfera inviolabile della persona nell’autodeterminazione terapeutica, poiché il fine, ma anche il limite di ogni trattamento sanitario, anche obbligatorio, è sempre il «rispetto della persona umana», come prevede il secondo periodo del secondo comma dell’art. 32 Cost., con una previsione di chiusura che illumina il senso del complesso, e complessivo, equilibrio sul quale poggia la salute, quale situazione giuridica soggettiva “ancipite”, bifronte, diritto fondamentale del singolo e, insieme, interesse della collettività. Ma dall’altro lato questo Consiglio di Stato ha messo in guardia, nel riconoscere la legittimità, a date condizioni (di cui si è detto), dell’intervento autoritativo nella forma del c.d. biopotere, a tutela della salute pubblica quale interesse della collettività, e con esso le vaccinazioni obbligatorie fra i trattamenti sanitari imposti ai sensi dell’art. 32, comma secondo Cost., da una visione opposta, assolutizzante, unidirezionale e riduttivistica, altrettanto contraria alla Costituzione, del diritto alla salute come appannaggio esclusivo dell’individuo, insensibile al benessere della collettività e al già richiamato principio della solidarietà a tutela dei più fragili (v., in particolare, il parere n. 2065 del 26 settembre 2017 della Commissione speciale di questo Consiglio sulle vaccinazioni introdotte dal d.l. n. 73 del 2017)”.
Con specifico riferimento alla doglianza relativa alla illegittimità della sospensione dal lavoro per violazione del diritto al lavoro e alla retribuzione di cui all’art. 36 Cost., il Giudice amministrativo ha ritenuto che la previsione di cui all’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 “risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, obbligo che, secondo una tesi dottrinaria autorevole, già discenderebbe in questa fase di emergenza – ma il tema è discusso – dall’applicazione combinata della regola generale di cui all’art. 2087 c.c. e dalle disposizioni specifiche del d. lgs. n. 81 del 2008, ma anche, come detto, al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.). Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all’art. 36 Cost., e d’altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni perché, come prevede il comma 8, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. La sospensione dell’attività lavorativa e della retribuzione, peraltro temporanee perché possibili solo fino al 31 dicembre 2021, costituiscono l’extrema ratio ed operano solo quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile sicché, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. Anche in questo caso il bilanciamento non appare irragionevole, avuto riguardo alla comparazione degli opposti valori, e qui merita solo ricordare che il Conseil constitutionnel in Francia, pronunciandosi con la decisione n. 824 del 5 agosto 2021 su una analoga legge la quale prevede che al lavoratore, che non presenta il passe sanitaire e non scelga di utilizzare ferie e congedi retribuiti, venga comunicata il giorno stesso la sospensione dal lavoro, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità perché il legislatore ha perseguito l’obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute, limitando la propagazione dell’epidemia. Analoghe considerazioni non possono che valere a fortiori per il personale sanitario in Italia, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata”.[79]
4.2.2. Le pronunce nel merito del Giudice ordinario
Diversamente dal Giudice amministrativo si muove il Giudice ordinario, il quale di volta in volta ha fornito soluzioni differenti ai diversi casi di impugnazione del provvedimento di sospensione.
Tra le pronunce che confermano la legittimità del provvedimento di sospensione risulta interessante l’Ordinanza 16 giugno 2021, pronunciata dal Tribunale di Verona, Sezione Lavoro, in decisione del ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. presentato da una operatrice socio sanitaria operante presso una RSA di piccole dimensioni, al fine di ottenere la revoca del provvedimento di sospensione adottato dalla datrice di lavoro in via cautelativa “in attesa dell’espletamento dell’iter di verifica imposto dal D.L. n. 44/2021”.
Il Giudice adito ha rigettato il ricorso ritenendo che il provvedimento della datrice di lavoro fosse legittimo e doveroso, in quanto adottato in forza dell’obbligo di cui all’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 e in ossequio ai doveri di sicurezza imposti dal decreto legislativo n. 81/2008 (artt. 17, 18, 41, 42 e 279 in relazione all’art. 4 del decreto-legge n. 125/2020 che, recependo la direttiva UE 739/2020, ha inserito il Covid-19 negli agenti biologici di categoria 3) e dall’art. 2087 c.c., nonché ai doveri di prudenza e diligenza di cui agli artt. 1176 e 2104 c.c.
In particolare, “il rifiuto del vaccino non può considerarsi, sul piano delle conseguenze, un atto neutro e senza effetti sul rapporto di lavoro. Non può essere infatti messo in dubbio che già il dlgs 81/2008 nel capo dedicato alla “sorveglianza sanitaria” per quei lavoratori esposti ad agenti biologici imponga al datore di lavoro su conforme parere del medico competente, di adottare misure protettive “particolari”, misure speciali di protezione, fra cui la messa a disposizione di vaccini efficaci […] e l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’art. 42 (art. 279, comma 2, d.lgs. n. 81/2008). Il medico competente, dunque, valutati i compiti svolti dal dipendente ed il contesto aziendale di riferimento, può esprimere un giudizio di inidoneità rivolto al lavoratore nelle ipotesi in cui questi abbia rifiutato di vaccinarsi, con allontanamento temporaneo dello stesso e adibizione ad altre mansioni, anche inferiori, ove possibile. Le procedure previste dagli artt. 41 e 42 tuttavia, nella attuale e perdurante situazione emergenziale di pandemia mondiale, con particolare riferimento ai casi relativi ai dipendenti delle strutture sanitarie e socio-assistenziali, a fronte della possibilità del moltiplicarsi dei rifiuti alla vaccinazione, possono risultare incompatibili e inefficaci nell’immediatezza, tanto da giustificare un intervento cautelativo del datore di lavoro in attesa dell’esito della procedura stessa, consistente proprio nella sospensione del rapporto di lavoro (o nell’eventuale utilizzazione delle ferie residue del lavoratore), in attesa dell’esito di tali procedure. Il datore di lavoro infatti, nell’esercizio dei suoi poteri, può disporre quanto meno in via provvisoria e in attesa dell’espletamento della visita medica e della connessa verifica di idoneità, una diversa collocazione del proprio dipendente all’interno dell’organizzazione dell’impresa, mutando le mansioni, ove possibile o nel caso di impossibilità, sospendendo appunto il rapporto di lavoro. Il legislatore nazionale è intervenuto da ultimo con l’art. 4 del D.L. 44/2021 […] Tale diposizione legislativa, nel rispetto della riserva di legge sull’obbligo vaccinale, si inserisce nel sopra richiamato sistema già presente nel nostro ordinamento, esplicitando gli effetti, sul piano oggettivo, del rifiuto del vaccino secondo un meccanismo già presente nel nostro ordinamento. […] l’obbligo di vaccinazione in capo al singolo operatore socio sanitario imposto dalla legge […] si aggiunge infatti al già richiamato dovere del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. di garantire la piena sicurezza e protezione dei lavoratori”.[80]
Degna di nota è anche l’Ordinanza 23 luglio 2021, n. 2467, con cui il Tribunale di Modena, Sezione Lavoro, ha respinto il reclamo avverso l’Ordinanza di rigetto del ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. proposto da due fisioterapiste in servizio presso una RSA, al fine di ottenere la revoca del provvedimento di sospensione cautelativa dal servizio e dalla retribuzione adottato dalla datrice di lavoro in virtù del rifiuto espresso dalle lavoratrici di sottoporsi alla vaccinazione anti SARS-CoV-2.[81]
Il Giudice adito ha rigettato il reclamo ritenendo che il provvedimento della datrice di lavoro fosse conforme al dovere di garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti.
Il Tribunale, rilevando che il diritto alla libertà di autodeterminazione, il quale trova copertura costituzionale negli artt. 2 e 32 Cost., deve essere bilanciato con altri diritti di rilevanza costituzionale – quali il diritto alla salute dei pazienti della struttura sanitaria e degli altri dipendenti, nonché con il principio di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. – ha ritenuto “legittima la scelta datoriale che, nel contemperare i suddetti principi, disponga la temporanea sospensione dal lavoro e dalla retribuzione del dipendente, in luogo dell’interruzione del rapporto di lavoro (tutelato dall’art. 4 Cost.), onde preservare l’incolumità degli utenti della struttura sanitaria e del personale dipendente (compresa la salute del lavoratore attinto dal provvedimento di sospensione). Trattasi di misura connotata da una evidente finalità precauzionale, in quanto diretta a prevenire la diffusione del contagio all’interno della RSA. Il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali. L’art. 2087 cod. civ., quale diretta estrinsecazione dell’art. 32 Cost., impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure di prevenzione e protezione che, secondo la migliore scienza ed esperienza, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro. Allo stato, la vaccinazione contro il Covid-19 costituisce la misura più idonea ad evitare, in modo statisticamente apprezzabile, il rischio di trasmissione della malattia e dell’infezione all’interno dell’azienda. La direttiva UE n. 2020/739 del 03.06.2020 (recepita con l’art. 4, D.L. n. 125 del 2020, conv. dalla L. n. 159/2020) ha incluso il Covid-19 tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione anche nell’ambiente di lavoro, estendendo le misure di prevenzione previste dalla direttiva 2000/54/CE, recepita dal D.Lgs. n. 81 del 2008. La disciplina emergenziale ha qualificato come infortunio il contagio da Covid nei luoghi di lavoro (art. 42, comma 2, D.L. n. 18 del 2020), prevedendo una presunzione semplice di origine professionale per gli operatori sanitari, in ragione del rischio biologico specifico e del costante contatto con l’utenza (cfr. Circolare INAIL 13/2020). Anche il Piano vaccinale conferma che gli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali “sono ad alto rischio di malattia grave a causa dell’età avanzata, la presenza di molteplici coomorbilità”, soggetti “considerati ad elevata priorità per la vaccinazione”, insieme agli operatori sanitari e sociosanitari. La mancata vaccinazione, pur non assumendo rilievo disciplinare, comporta conseguenze in ordine alla valutazione oggettiva dell’idoneità alle mansioni. In ragione della tipologia delle mansioni espletate (cura e assistenza a persone anziane e con molteplici patologie) e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza della RSA, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale sanitario. Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa. Tale opzione esegetica è avallata dallo jus superveniens, poiché l’art. 4, comma 1, del D.L. n. 44 del 2021 (conv. L. n. 76 del 2021) stabilisce che “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”. La novella legislativa (obbligo legale di vaccinazione e sospensione dalla retribuzione in caso impossibilità di repechage) corrobora, sul piano meramente interpretativo, la ricostruzione sistematica testé esposta”.[82]
Nello stesso senso si è pronunciato anche il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, con l’Ordinanza n. 79835 del 20 agosto 2021, emessa in decisione del ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. proposto da un operatore socio sanitario al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con cui l’Azienda comunicava, in assenza di mansioni alternative disponibili, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per omessa vaccinazione, adottato sulla base del giudizio di inidoneità alla mansione specifica del medico competente.
Rileva il Tribunale che l’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 ha introdotto “una duplice qualificazione per quanto riguarda la vaccinazione nell’ambito del rapporto di lavoro: non solo in termini di obbligo “al fine di tutelare la salute pubblica”, ma anche di requisito essenziale per lo svolgimento appunto di determinate attività, al fine di “mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza da parte dei suddetti soggetti”. In tal modo, la vaccinazione diventa anche una misura, tipizzata dalla legge, per l’adempimento dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod. civ. Questa duplice finalità – salute pubblica, sicurezza nel luogo di lavoro – ha consentito al legislatore di qualificare la vaccinazione come requisito essenziale per lo svolgimento delle suddette prestazioni, e quindi anche come un onere per i lavoratori. […] per i lavoratori addetti a mansioni ad alto rischio, la sottoposizione ad un vaccino disponibile si configura innanzitutto come un onere. Ciò in quanto l’essere vaccinato, nella situazione di estrema gravità della pandemia da Covid-19, può assumere la rilevanza di un requisito sanitario essenziale per lo svolgimento in sicurezza di determinate prestazioni lavorative e financo incidere sul giudizio medico di inidoneità alle mansioni. Dal punto di vista del contratto, un requisito soggettivo essenziale per lo svolgimento della prestazione si configura infatti come un onere a carico di chi deve possederlo o acquisirlo, come può essere, ad esempio, il porto d’armi per la guardia giurata, una patente speciale per l’autotrasportatore, etc.”.[83]
Tra le pronunce di senso opposto si rinviene la Sentenza 14 dicembre 2021, n. 4236, pronunciata dal Tribunale di Velletri che, confermando il decreto inaudita altera parte precedentemente emesso, ha revocato il provvedimento di sospensione della ricorrente adottato dall’ASL di Roma ritenendolo illegittimo, in quanto la ricorrente poteva – e doveva – essere ricollocata.
In particolare, il Giudice ha ritenuto che “una lettura costituzionalmente orientata (e dunque obbligata) induce a ritenere che non in tutti i casi la prestazione degli operatori di interesse sanitario non vaccinati è vietata, ma solo laddove quest’ultima inciderebbe sulla salute pubblica e su adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, lo dice espressamente la norma. Altrimenti il bilanciamento costituzionalmente rilevante tra la salute pubblica (interesse prevalente) e i diritti della persona (interessi soccombenti) non sussisterebbe, con indebita compromissione dei diritti dei singoli. Dunque, se la prestazione prevista in astratto dal legislatore poi in concreto, per i particolari compiti svolti dall’operatore di interesse sanitario o per le modalità di svolgimento, non si traduce in un effettivo rischio specifico e superiore rispetto a quello che corre qualunque lavoratore di altri settori pubblici o privati, l’obbligo e la conseguente sospensione non si giustificano nell’ottica di un necessario bilanciamento costituzionale degli interessi. Di più, si tradurrebbe in una indebita discriminazione tra operatori di interesse sanitario e operatori di altri settori, se le loro prestazioni in concreto espongono sé stessi o gli altri al medesimo rischio per la salute; palese sarebbe la violazione dell’art. 3 della Costituzione. Peraltro, in astratto lo stesso legislatore ha distinto tra prestazione resa da un operatore di interesse sanitario e altro operatore di diverso settore, imponendo l’obbligo vaccinale per l’uno e non per l’altro; se poi in concreto questa differenza di pericolo non sussiste non può sussistere neanche la differente disciplina. Si pensi a compiti meramente amministrativi e, comunque, senza specifica esposizione nei confronti di soggetti potenzialmente fragili o di coloro che hanno rapporti con questi ultimi. Si pensi ancor di più ad un compito amministrativo reso secondo la modalità del lavoro agile; anzi questa è sicuramente la modalità migliore per assicurare il fine voluto dal legislatore (laddove è evidente che se il vaccino, la guarigione, il tampone negativo, l’uso di mascherine, il distanziamento di uno o due metri, la sanificazione di locali e strumenti riducono il rischio del contagio, il lavoro da casa esclude in radice il contatto e, dunque, il rischio)”.
Altresì, il Giudice, rilevando che il decreto-legge n. 44/2021 riscritto dal decreto-legge n. 172/2021 non contiene più la previsione di cui all’art. 4, comma 8 – secondo cui “il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori […] con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate” – ha ritenuto di dover giustificare l’espunzione della previsione dal testo normativo in quanto “superflua”, essendo nel diritto del lavoro un “principio generale ben conosciuto ed applicabile al di là di una previsione espressa; il legislatore non ha ripetuto una formulazione inutile; peraltro non lo ha espressamente vietato ed anche se lo avesse fatto una interpretazione costituzionalmente orientata l’avrebbe superato laddove ovviamente non venisse in rilievo una prestazione con il rischio specifico dell’operatore di interesse sanitario. Da ultimo conferma tutto quanto detto il comma 7 del nuovo articolo 4 che dice che per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui al comma 2 a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. […] Non si può obiettare che il legislatore lo ha previsto solo per chi sostanzialmente non può vaccinarsi mentre il caso in esame riguarda chi non vuole vaccinarsi. Questa discriminazione è costituzionalmente facilmente superabile dall’interpretazione perché l’interesse che è costituzionalmente prevalente è la salute pubblica, la quale è messa a rischio ugualmente dal soggetto non vaccinato a prescindere dal fatto che non si sia voluto vaccinare o non si sia potuto vaccinare. Pertanto, si deve concludere che sia chi non si è voluto vaccinare sia chi non si sia potuto vaccinare possano prestare la loro opera ovviamente evitando lo specifico rischio per la salute pubblica. Semmai potrebbe residuare una differenza circa l’ambito di ricollocabilità, nel senso che secondo il principio generale del diritto del lavoro un non vaccinato potrebbe anche essere adibito a mansioni inferiori (e dunque percepire una somma inferiore, ovviamente solo in via residuale) mentre nel caso di chi non si sia potuto vaccinare la legge assicura il mantenimento della medesima retribuzione”.[84]
Obbligava l’Azienda datrice di lavoro a riammettere in servizio la ricorrente – operatrice socio-sanitaria – anche il Tribunale di Padova, Sezione Lavoro, con Ordinanza del 28 aprile 2022, rilevando una disparità di trattamento tra gli operatori sanitari e gli operatori impiegati in altri settori, in quanto il decreto-legge n. 44/2021 prevede l’obbligo per il datore di ricollocare il lavoratore volontariamente non vaccinato soltanto con riferimento ai secondi (mentre con riferimento agli operatori sanitari l’obbligo di collocamento sussiste solo se il lavoratore non ha potuto vaccinarsi).
In particolare, “Il comma 7 (dell’art. 4, n.d.r.) prevede che il datore di lavoro sia tenuto ad adibire a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, solo ed esclusivamente i lavoratori di cui al comma 2, vale a dire per i lavoratori esentati dalla vaccinazione. L’art. 4 ter 2, terzo comma, del medesimo decreto-legge n. 44 dell’1.04.2021, n. 44, per il personale docente ed educativo della scuola (introdotto dall’art. 8, comma 4, del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24), prevede che “L’atto di accertamento dell’inadempimento (dell’obbligo vaccinale, per qualsiasi ragione, ndr) impone al dirigente scolastico di utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica”. Ebbene, se la disciplina dell’obbligo vaccinale dei sanitari e del personale docente ed educativo della scuola, è posta al fine di tutelare la salute pubblica, sembra chiaro che il pericolo di diffusione del virus, sia uguale in capo a qualsiasi lavoratore non vaccinato del settore sanitario, indipendentemente dal fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta ad una scelta volontaria oppure ad un accertato pericolo per la salute. A parità di condizione (uguaglianza del pericolo di contagio per gli ospiti ed i pazienti), non si comprende allora per quale motivo il cit. obbligo di repêchage debba sussistere solo a favore dei secondi e non anche a favore dei primi. Né potrebbe sostenersi che, nel settore sanitario, la differenza di trattamento sia giustificata da esigenze aziendali connesse al presumibile minor numero dei lavoratori che non possono vaccinarsi, rispetto al numero di quelli che non vogliono vaccinarsi. La norma, infatti, esclude tout court, il repêchage per i secondi, a prescindere dal numero dei primi, senza invece prevederlo anche a favore dei secondi, almeno “se possibile”, vale a dire tenendo in considerazione le esigenze aziendali. Né si comprende per quale motivo l’obbligo di repêchage sussista sempre per il personale docente ed educativo della scuola, e non anche per il personale sanitario che non voglia vaccinarsi. Il cit. comma 7 sembra allora contrario all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che l’obbligo di repêchage sussista anche per i sanitari che scelgono di non vaccinarsi”.[85]
Interessante è anche la Sentenza del 1° luglio 2022 del Tribunale di Ivrea con la quale ha dichiarato l’illegittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, in quanto le mansioni del lavoratore – operatorio socio sanitario adibito ad attività di tipo esclusivamente amministrativo presso l’Anagrafe Zootecnica e degli animali da affezione – non comportavano contatti con soggetti ricoverati o assistiti.
Il Giudice ha rilevato che l’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021, “al dichiarato fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza ha previsto l’obbligatorietà del vaccino per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario che operino all’interno di strutture ospedaliere, RSA o studi privati, considerando la vaccinazione per il Covid-19 requisito essenziale per l’esecuzione della prestazione lavorativa. Come noto, al momento dell’introduzione della disposizione, non vi erano altre categorie professionali assoggettate all’obbligo vaccinale. È evidente, dunque, che la scelta della categoria cui è stato imposto l’obbligo vaccinale non è stata casuale: si tratta, infatti, di soggetti che operano a stretto contatto con quella categoria di persone che, una volta infettatasi, sconta un’alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave con esiti anche mortali. Il legislatore ha, quindi, scelto di limitare la libertà di autodeterminazione dell’appartenente a dette categorie al fine di salvaguardare il bene salute dei soggetti più fragili che si trovano costretti ad avere contatti con i primi in quanto bisognosi di cure. La sospensione dal servizio, nell’ottica del legislatore, non si configura, dunque, come una misura punitiva; la stesa, invece, risponde all’esigenza di allontanare il lavoratore che, in quanto non vaccinato, viene considerato una fonte di rischio per quei soggetti fragili che con lo stesso devono necessariamente venire a contatto. Così ricostruita la ratio della norma è allora evidente che, al fine di determinare se in capo al lavoratore sussista o meno l’obbligo in oggetto, ciò che rileva non è il suo formale inquadramento, ma le mansioni in concreto esercitate. Infatti, solo qualora nella fattispecie concreta si ravvisi quel rischio specifico che il legislatore ha voluto neutralizzare risulta giustificata la compressione del diritto di autodeterminazione del singolo e può configurarsi l’obbligo vaccinale. Nel caso di specie è pacifico […] che il (ricorrente, n.d.r.) svolge mansioni amministrative. In ragione di ciò non può che concludersi che lo stesso sfugge dal campo di applicazione del disposto di cui all’art. 4 D.L. 44/2021”.[86]
Altresì, il Giudice ha ritenuto infondata l’obiezione dell’Azienda secondo cui il lavoratore – pur svolgendo mansioni di tipo amministrativo – può venire a contatto con altri soggetti (allevatori e proprietari di animali o colleghi i quali potrebbero essere soggetti anziani o portatori di gravi patologie), chiarendo che “Non è, infatti, questo il rischio specifico che ha indotto il legislatore a introdurre l’obbligo vaccinale; i soggetti con cui si relaziona il (ricorrente, n.d.r.) non sono necessariamente anziani e/o uno stato di salute compromesso e non sono esposti necessariamente a contatti stretti e ravvicinati con il lavoratore. Un conto è, infatti, l’impiegato in attività di front office (quale è il ricorrente) che può tenersi a distanza dagli utenti e può anche essere fisicamente separato da questi mediante barriere fisiche di plexiglass; altro è il medico o l’operatore sanitario che visita il paziente, gli somministra la terapia e si occupa della sua igiene personale, con un conseguente contatto prolungato e ravvicinato. Il rischio che si correla all’attività lavorativa del ricorrente non è dunque dissimile – ed anzi appare decisamente inferiore – a quello della cassiera al supermercato, ovvero a quello dell’impiegato delle poste o della banca. Tutti questi lavoratori entrano giornalmente a contatto con una pluralità di clienti, molti dei quali anziani e probabilmente anche con patologie. Eppure il legislatore non ha previsto l’obbligo vaccinale per queste categorie di persone. Non può, dunque, che concludersi nel senso che, mancando il rischio specifico che la norma mira a neutralizzare, è inconfigurabile un obbligo di vaccinarsi a carico del lavoratore e conseguentemente non risulta giustificata la sua sospensione dal servizio”.[87]
Ancora, il Giudice, pronunciandosi sull’obiezione dell’Azienda secondo cui il lavoratore – soggetto ultracinquantenne – dovesse essere comunque sospeso dal lavoro in virtù dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4-quater del decreto-legge n. 44/2021, ha rilevato che “la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell’inadempimento all’obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest’ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino”. In tal caso, infatti, “il vaccino costituiva uno dei presupposti – insieme all’avvenuta guarigione – per ottenere il cd. green pass rafforzato, necessario per accedere sul luogo di lavoro”, dovendosi considerare, in mancanza, assente ingiustificato, senza diritto alla retribuzione.[88]
Singolare è poi il Decreto del 6 luglio 2022 emesso inaudita altera parte dal Tribunale di Firenze sul ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. presentato da una psicologa.
In tal caso, tra gli altri motivi, il Giudice ha sospeso il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della ricorrente, in quanto “la sospensione dall’esercizio della professione rischia di compromettere beni primari dell’individuo quale il diritto al proprio sostentamento[89] e il diritto al lavoro di cui all’art. 4 inteso come espressione della libertà della persona e della sua dignità, garantita appunto dalla libertà dal bisogno; […]rilevato che tale libertà e diritto al lavoro, acquisito per nascita in base all’art. 4 Cost, viene in questo caso inammissibilmente “concesso” dall’Ordine di appartenenza previa sottoposizione ad un trattamento iniettivo contro Sars Cov 2, in base al DL 44/21”.
Infine, si esamina la Sentenza 15 settembre 2021, n. 2135, del Tribunale di Milano che, pur dichiarando l’illegittimità del provvedimento di sospensione (rectius, provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita[90]), rilevava l’impossibilità di riammettere in servizio la ricorrente – ausiliario socio sanitario presso una RSA –, non avendo ella adempiuto all’obbligo vaccinale.
In particolare, il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità del suddetto provvedimento in quanto l’Azienda datrice di lavoro – come nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – non avrebbe verificato la possibilità di ricollocare la dipendente e, comunque, perché non avrebbe rispettato l’iter successivamente introdotto dal decreto-legge n. 44/2021.
In particolare, con riferimento al primo motivo, il Tribunale ha chiarito che “rappresentando la sospensione del lavoratore senza retribuzione l’extrema ratio, vi è un preciso onere del datore di lavoro di verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. L’onere probatorio che grava sul datore di lavoro in caso di sospensione del rapporto per impossibilità temporanea della prestazione è, dunque, analogo a quello previsto per il caso di licenziamento per impossibilità definitiva della prestazione (i.e. impossibilità del c.d. repechage): in ambedue i casi il datore di lavoro è onerato di provare di non poter utilizzare il lavoratore in altra posizione di lavoro o in altre mansioni equivalenti o inferiori. […] I rilevati profili di legittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita della lavoratrice odierna ricorrente del 9/2/2021 non risultano in alcun modo elisi alla luce dell’entrata in vigore del D.L. 1 aprile 2021, n. 44”.[91]
5. Un caso particolare di illegittima sospensione dall’esercizio della professione (anche per causa del lavoratore)
In conclusione, si esamina un particolare caso ove, a determinare il carattere illegittimo del provvedimento di sospensione, ha concorso lo stesso lavoratore.
Il lavoratore – infermiere – si sottoponeva alla prima dose di vaccino anti SARS-CoV-2 in data 9 giugno 2021 e, in data 14 luglio 2021, completava il ciclo primario vaccinale sottoponendosi ad una seconda inoculazione del farmaco.
Successivamente, in data 10 gennaio 2022, il professionista eseguiva un test diagnostico che rilevava la positività al virus SARS-CoV-2, con conseguente differimento dell’obbligo di sottoporsi alla terza dose al 10 maggio 2022 (120 giorni dopo il tampone positivo[92]).
Ritenuto omesso l’adempimento all’obbligo vaccinale, con lettera trasmessa a mezzo Pec, l’Ordine delle Professioni Infermieristiche, ai sensi dell’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 44/2021, invitava il lavoratore a produrre, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del decreto-legge n. 44/2021, entro 5 giorni dalla ricezione della medesima raccomandata, la documentazione giustificativa dell’omesso adempimento all’obbligo vaccinale (in particolare, la documentazione relativa all’avvenuta infezione da SARS-CoV-2), con l’avvertimento “che, qualora non pervenga la documentazione richiesta entro 5 giorni dal ricevimento della presente, l’Ordine procederà […] alla Sua immediata sospensione dall’esercizio professionale”.
Tuttavia, l’infermiere – non avendo preso visione della Pec, non provvedeva a fornire la documentazione richiesta ed in virtù di ciò, l’Ordine adottava il provvedimento di sospensione, avendo accertato l’inadempimento dell’obbligo vaccinale a seguito della verifica sulla piattaforma FNOPI – sezione Green Pass e sulla base della mancata produzione della documentazione attestante il differimento della vaccinazione da parte del lavoratore.
Ebbene, il provvedimento di sospensione adottato dall’Ordine professionale, seppure sostanzialmente infondato (non essendo l’infermiere inadempiente rispetto all’obbligo vaccinale alla data di contestazione) doveva ritenersi formalmente e giuridicamente corretto in quanto adottato a seguito della mancata risposta alla Pec con cui lo stesso Ordine aveva richiesto la documentazione attestante l’avvenuta vaccinazione o l’avvenuta infezione giustificativa del differimento della vaccinazione medesima.
Doveva tuttavia rilevarsi che l’accertamento eseguito dall’Ordine per il tramite della Federazione Nazionale, risultava viziato da errore.
Infatti, secondo quanto riportato dal sito https://www.dgc.gov.it/web/privacy-pn.html la Piattaforma Nazionale DGC, se correttamente funzionante ovvero se correttamente indagata, avrebbe dovuto segnalare l’avvenuta infezione al virus e il conseguente differimento dell’obbligo vaccinale.
[1] I termini “SARS-CoV-2” e “COVID-19” vengono impropriamente usati come sinonimi. Invero, il termine “SARS-CoV-2” (acronimo di “Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2”, già “2019-nCoV”) indica il nome del virus, attribuito dall’International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV); il termine “COVID-19” (acronimo di “Coronavirus Disease 2019”), invece, indica il nome della malattia associata al virus, attribuito dall’OMS. Altresì, si fa presente che il termine “coronavirus” indica una specifica tipologia di virus, così definiti per la particolare forma che ricorda una corona reale o la corona solare. Ancora, la corretta grafia dell’acronimo COVID-19 richiede la forma con tutte le lettere maiuscole, in conformità con quanto prescritto dalla normativa UNI 7413, Acronimi, grafia e impiego, 1975; cfr. Il nuovo coronavirus cambia nome, non più 2019-nCoV ma SARS-CoV-2, in salute.gov.it, 2020 https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4067; Che cos’è il nuovo coronavirus, in salute.gov.it, 2021 https://www.salute.gov.it/portale/malattieInfettive/dettaglioFaqMalattieInfettive.jsp?lingua=italiano&id=228; Dichiarazione del Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS dell’11 febbraio 2020, in osservatoriosullefonti.it https://www.osservatoriosullefonti.it/emergenza-covid-19/organizzazione-mondiale-della-sanita-oms/dichiarazioni-direttore-generale-organizzazione-mondiale-della-sanita-oms/3011-emcov-oms3; COVID-19, la malattia da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), in portale.fnomceo.it, https://portale.fnomceo.it/wp-content/uploads/2020/03/dossier_coronavirus_def_27-02-2020-compresso.pdf; S. Giovine, Il COVID-19 o la COVID-19?, in accademiadellacrusca.it, 2020, https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/il-covid19-o-la-covid19/2787.
[2] Per un approfondimento sul principio di precauzione, A. Persichetti, 5G: Scanzano Jonico dice “No” invocando il principio di precauzione, in Salvis Juribus, 2019, http://www.salvisjuribus.it/5g-scanzano-jonico-dice-no-invocando-il-principio-di-precauzione/.
[3] Circolare del Ministero della Salute n. 42164 del 24 dicembre 2020, https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato2918063.pdf.
[4] Si rammenta, infatti, che – dal 6 agosto 2021 al 30 aprile 2022 – l’avvenuta guarigione da SARS-CoV-2 certificata, l’effettuazione di un tampone con esito negativo e l’adempimento dell’obbligo vaccinale davano diritto all’ottenimento del green pass (a seconda dei casi, “base” o “rafforzato”), certificazione necessaria per accedere ai luoghi pubblici (bar, ristoranti, musei ecc.), per l’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici e per l’accesso ai luoghi di lavoro, sia del settore pubblico che del settore privato (art. 9-bis e ss. del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 giugno 2021, n. 87).
[5] Operatori di interesse sanitario non riconducibili alle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, previste ai sensi della Legge 10 agosto 2000, n. 251, e del decreto del Ministro della sanità 29 marzo 2001, i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione.
[6] Strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti; strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio; strutture sanitarie e sociosanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno; studi odontoiatrici e di altre professioni sanitarie, ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente; le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche, svolte anche a favore di soggetti terzi, e per l’erogazione di cure domiciliari.
[7] Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (CISR); Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS); Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE); Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI).
[8] Stranieri iscritti al Servizio sanitario nazionale e stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale (artt. 34 e 35 del decreto-legge n. 44/2021).
[9] “La certificazione verde COVID-19 rilasciata sulla base della condizione prevista dal comma 2, lettera a), ha una validità di sei mesi a far data dal completamento del ciclo vaccinale primario ed è rilasciata automaticamente all’interessato, in formato cartaceo o digitale, dalla struttura sanitaria ovvero dall’esercente la professione sanitaria che effettua la vaccinazione e contestualmente alla stessa, al termine del predetto ciclo. In caso di somministrazione della dose di richiamo successivo al ciclo vaccinale primario, la certificazione verde COVID-19 ha validità a far data dalla medesima somministrazione senza necessità di ulteriori dosi di richiamo. La certificazione verde COVID-19 di cui al primo periodo è rilasciata anche contestualmente alla somministrazione della prima dose di vaccino e ha validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale, la quale deve essere indicata nella certificazione all’atto del rilascio. La certificazione verde COVID-19 di cui al primo periodo è rilasciata altresì contestualmente all’avvenuta somministrazione di una sola dose di un vaccino dopo una precedente infezione da SARS-CoV-2, nei termini stabiliti con circolare del Ministero della salute, e ha validità dalla medesima somministrazione. Contestualmente al rilascio, la predetta struttura sanitaria, ovvero il predetto esercente la professione sanitaria, anche per il tramite dei sistemi informativi regionali, provvede a rendere disponibile detta certificazione nel fascicolo sanitario elettronico dell’interessato. La certificazione di cui al presente comma cessa di avere validità qualora, nel periodo di vigenza della stessa, l’interessato sia identificato come caso accertato positivo al SARS-CoV-2” (art. 9, comma 3, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 giugno 2021, n. 87).
[10] Per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti giustificatamente non vaccinati a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 (art. 4, comma 7, del decreto-legge n. 44/2021 che, per espressa previsione dell’art. 4-ter, comma 2, si applica anche al personale delle strutture di cui all’art. 8-ter del decreto legislativo n. 502/1992 e, in virtù del richiamo operato dall’art. 4-bis, comma 4, ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie).
[11] L’irrogazione della sanzione è effettuata dal Ministero della salute per il tramite dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, che vi provvede, sulla base degli elenchi dei soggetti inadempienti all’obbligo vaccinale periodicamente predisposti e trasmessi dal medesimo Ministero, anche acquisendo i dati resi disponibili dal Sistema Tessera Sanitaria sui soggetti assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale vaccinati per COVID-19, nonché su quelli per cui non risultano vaccinazioni comunicate dal Ministero della salute al medesimo sistema e, ove disponibili, sui soggetti che risultano esenti dalla vaccinazione. Il Ministero della salute, avvalendosi dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, comunica ai soggetti inadempienti l’avvio del procedimento sanzionatorio e indica ai destinatari il termine perentorio di 10 giorni dalla ricezione, per comunicare all’ASL competente per territorio l’eventuale certificazione relativa al differimento o all’esenzione dell’obbligo vaccinale, ovvero altra ragione di assoluta e oggettiva impossibilità. Entro il medesimo termine, gli stessi destinatari danno notizia all’Agenzia delle entrate-Riscossione dell’avvenuta presentazione di tale comunicazione. L’ASL trasmette all’Agenzia delle entrate-Riscossione, nel termine perentorio di 10 giorni dalla ricezione della comunicazione dei destinatari, previo eventuale contraddittorio con l’interessato, un’attestazione relativa all’insussistenza dell’obbligo vaccinale o all’impossibilità di adempiervi. L’Agenzia della entrate-Riscossione, nel caso in cui l’ASL non confermi l’insussistenza dell’obbligo vaccinale, ovvero l’impossibilità di adempiervi, provvede entro 270 giorni dalla relativa trasmissione, di un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo (art. 4-sexies, commi 3, 4, 5 e 6, del decreto-legge n. 44/2021).
[12] La verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione è effettuata dagli Ordini degli esercenti le professioni sanitarie, per il tramite delle rispettive Federazioni nazionali, che a tal fine operano in qualità di responsabili del trattamento dei dati personali, avvalendosi della Piattaforma nazionale digital green certificate (Piattaforma nazionale-DGC). Qualora dalla piattaforma non risulti l’effettuazione della vaccinazione, anche con riferimento alla dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, l’Ordine professionale territorialmente competente invita l’interessato a produrre, entro 5 giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure l’attestazione relativa all’omissione o al differimento della stessa, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione, da eseguirsi entro un termine non superiore a 20 giorni dalla ricezione dell’invito, ovvero la documentazione comprovante l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale, nonché a specificare l’eventuale datore di lavoro e l’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultimo. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, l’Ordine invita l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre 3 giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento dell’obbligo vaccinale. Decorsi i suddetti termini, qualora l’Ordine professionale accerti il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, anche con riguardo alla dose di richiamo, ne dà comunicazione alla Federazione nazionale competente, all’interessato, all’ASL competente, limitatamente alla professione di farmacista, e, per il personale che abbia un rapporto di lavoro dipendente, anche al datore di lavoro, ove noto. L’atto di accertamento è adottato da parte dell’Ordine professionale territorialmente compente, all’esito delle verifiche (art. 4, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 44/2021).
[13] La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell’interessato all’Ordine professionale territorialmente competente e, per il personale che abbia un rapporto di lavoro dipendente, anche al datore di lavoro, del completamento del ciclo vaccinale primario e, per i professionisti che hanno completato il ciclo vaccinale primario, della somministrazione della dose di richiamo. In caso di intervenuta guarigione l’Ordine professionale territorialmente compente, su istanza dell’interessato, dispone la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute. La sospensione riprende efficacia automaticamente qualora l’interessato ometta di inviare all’Ordine professionale il certificato di vaccinazione entro e non oltre 3 giorni dalla scadenza del predetto termine di differimento (art. 4, comma 5, del decreto-legge n. 44/2021).
[14] La verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale è effettuata dai responsabili delle strutture alle cui dipendenze lavora l’interessato acquisendo le informazioni necessarie. Nei casi in cui non risulti l’effettuazione della vaccinazione o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, i responsabili delle strutture invitano, senza indugio, l’interessato a produrre, entro 5 giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure l’attestazione relativa all’omissione o al differimento della stessa, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a 20 giorni dalla ricezione dell’invito, o comunque l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i responsabili delle strutture invitano l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre 3 giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento dell’obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della suddetta documentazione i responsabili delle strutture accertano l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all’interessato (art. 4-ter, comma 3, del decreto-legge n. 44/2021 che, in virtù del richiamo operato dall’art. 4-bis, comma 4, si applica anche ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie).
[15] La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell’interessato al datore di lavoro dell’avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il 1° novembre 2022. In caso di intervenuta guarigione l’Ordine professionale territorialmente compente, su istanza dell’interessato, dispone la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute. La sospensione riprende efficacia automaticamente qualora l’interessato ometta di inviare all’Ordine professionale il certificato di vaccinazione entro e non oltre 3 giorni dalla scadenza del predetto termine di differimento (art. 4-ter, comma 3, del decreto-legge n. 44/2021 che, in virtù del richiamo operato dall’art. 4-bis, comma 4, si applica anche ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie).
[16] La verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale è effettuata dai dirigenti scolastici ed i responsabili delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l’infanzia, dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore acquisendo le informazioni necessarie. Nei casi in cui non risulti l’effettuazione della vaccinazione o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto, i dirigenti scolastici ed i responsabili delle suddette istituzioni invitano, senza indugio, l’interessato a produrre, entro 5 giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure l’attestazione relativa all’omissione o al differimento della stessa, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a 20 giorni dalla ricezione dell’invito, o comunque l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i dirigenti scolastici ed i responsabili delle suddette istituzioni invitano l’interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre 3 giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l’adempimento dell’obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione i dirigenti scolastici ed i responsabili delle suddette istituzioni accertano l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all’interessato (art. 4-ter.2, comma 3, del decreto-legge n. 44/2021).
[17] La sostituzione avviene mediante l’attribuzione di contratti a tempo determinato che si risolvono di diritto nel momento in cui i soggetti sostituiti, avendo adempiuto all’obbligo vaccinale, riacquistano il diritto di svolgere l’attività didattica (art. 4-ter.2, comma 4, del decreto-legge n. 44/2021).
[18] Circolare del Ministero della Salute n. 42164 del 24 dicembre 2020, https://www.certifico.com/component/attachments/download/20993.
[19] “Posologia. Ciclo primario di vaccinazione. Soggetti di età pari o superiore a 12 anni. […] Si raccomanda di somministrare la seconda dose 3 settimane dopo la prima dose”, RCP Comirnaty, https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_005389_049269_RCP.pdf&sys=m0b1l3.
[20] “Posologia. Soggetti di età pari o superiore a 18 anni. […] Si raccomanda di somministrare la seconda dose 28 giorni dopo la prima”, RCP COVID-19 Vaccine Moderna, https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5452_0_file.pdf.
[21] “In relazione all’evoluzione nella conduzione della campagna vaccinale contro SARS-CoV-2, il CTS rimarca che rimane una quota significativa di soggetti non vaccinati che, in ragione di connotazioni anagrafiche o per patologie concomitanti, sono a elevato rischio di sviluppare forme di COVID-19 marcatamente gravi o addirittura fatali. Sulla scorta di questa considerazione, pur a fronte di studi registrativi che indicano come l’intervallo tra la prima e la seconda dose dei vaccini a RNA (Pfizer-BioNtech e Moderna) sia di 21 e 28 giorni rispettivamente, è raccomandabile un prolungamento nella somministrazione della seconda dose nella sesta settimana dalla prima dose. Questa considerazione trova il suo razionale nelle seguenti osservazioni: la somministrazione della seconda dose entro i 42 giorni dalla prima non inficia l’efficacia della risposta immunitaria; la prima somministrazione di entrambi i vaccini a RNA conferisce già efficace protezione rispetto allo sviluppo di patologia COVID-19 grave in un’elevata percentuale di casi (maggiore dell’80%); in uno scenario in cui vi è ancora necessità nel Paese di coprire un elevato numero di soggetti a rischio di sviluppare forme gravi o addirittura fatali di COVID-19, si configurano condizioni in cui è opportuno dare priorità a strategie di sanità pubblica che consentano di coprire dal rischio il maggior numero possibile di soggetti nel minor tempo possibile” estratto del verbale n. 13 del 30 aprile 2021 del Comitato Tecnico Scientifico di cui all’Ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 751 del 2021, allegato alla Circolare del Ministero della Salute n. 19784 del 5 maggio 2021, https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2021&codLeg=80236&parte=1%20&serie=null. Precedentemente la Commissione Tecnico Scientifica di AIFA aveva stabilito che: “Valutata la richiesta pervenuta dal Commissario Straordinario per l’emergenza COVID-19 in merito alla possibilità di estendere l’intervallo temporale tra la prima e la seconda somministrazione dei vaccini a mRNA, la CTS ribadisce che l’intervallo ottimale tra le dosi è, rispettivamente, di 21 giorni per il vaccino Comirnaty e di 28 giorni per il Vaccino COVID-19 Moderna (come indicato nei rispettivi RCP). Qualora tuttavia si rendesse necessario dilazionare di alcuni giorni la seconda dose, la Commissione precisa che, in accordo con quanto scritto in RCP e con quanto già dichiarato dal WHO, non è possibile superare in ogni caso l’intervallo di 42 giorni per entrambi i vaccini a mRNA. Si ribadisce che per ottenere una protezione ottimale è necessario completare il ciclo di vaccinazione con la seconda dose”, parere del 9 aprile 2021, allegato alla Circolare del Ministero della Salute n. 14837 del 9 aprile 2021, https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2021&codLeg=79656&parte=1%20&serie=null.
[22] Ad esempio, la Regione Toscana ha disposto che: per le persone vaccinate in prima dose con Pfizer o Moderna dopo il 13 maggio 2021, la seconda dovesse essere somministrata al 42° giorno dalla prima; per le persone vaccinate in prima dose con Pfizer o Moderna prima del 10 maggio 2021, invece, ha disposto che la seconda dose dovesse essere somministrata dopo 21 (Pfizer) o 28 giorni (Moderna), https://www.nbst.it/1099-quando-conviene-aspettare-livelli-di-anticorpi-pi%C3%B9-elevati-con-un-intervallo-pi%C3%B9-lungo-tra-le-dosi-di-pfizer-i-risultati-di-una-ricerca-inglese.html.
[23] Inoltre, il Ministero della Salute ha specificato che: “Ciò non è da intendersi applicabile ai soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici. In questi soggetti, non essendo prevedibile la protezione immunologica conferita dall’infezione da SARS-CoV-2 e la durata della stessa, si raccomanda di proseguire con la schedula vaccinale proposta (doppia dose per i tre vaccini a oggi disponibili)”, Circolare del Ministero della Salute n. 8284 del 3 marzo 2021, file:///C:/Users/apersichetti/Downloads/ministero%20della%20salute%20-%20circolare%208284%20del%203.03.2021.pdf.
[24] “Facendo seguito alla circolare prot n° 08284-03/03/2021-DGPRE, visto il parere del Comitato tecnico scientifico di cui all’Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile n. 751 del 2021, acquisito con prot. n° 32719-21/07/2021-DGPRE, si rappresenta che è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-SARSCoV-2/COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione. Per i soggetti con condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, in caso di pregressa infezione da SARS-CoV-2, resta valida la raccomandazione di proseguire con la schedula vaccinale completa prevista”, Circolare del Ministero della Salute n. 32884 del 21 luglio 2021, https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2021&codLeg=81774&parte=1%20&serie=null.
[25] Circolare del Ministero della Salute n. 40711 del 9 settembre 2021, https://www.ic8forlimatatia.edu.it/attachments/article/1795/Nota%20Ministero%20della%20salute%20prot.%2040711%20del%209%20settembre%202021%20-%20Infezione%20da%20Covid-19%20dopo%20prima%20dose%20di%20vaccino.pdf.
[26] Circolare del Ministero della Salute n. 40711 del 9 settembre 2021, ivi.
[27] Circolare del Ministero della Salute n. 40711 del 9 settembre 2021, ivi.
[28] “Per dose “booster”, in questo contesto, si intende una dose di richiamo dopo il completamento del ciclo vaccinale primario, a distanza di un determinato intervallo temporale, somministrata al fine di mantenere nel tempo o ripristinare un adeguato livello di risposta immunitaria, in particolare in popolazioni connotate da un alto rischio, per condizioni di fragilità che si associano allo sviluppo di malattia grave, o addirittura fatale, o per esposizione professionale”, Circolare del Ministero della Salute n. 41416 del 14 settembre 2021, https://www.certifico.com/component/attachments/download/24984.
[29] Circolare del Ministero della Salute n. 41416 del 14 settembre 2021, ivi.
[30] Circolare del Ministero della Salute n. 53312 del 22 novembre 2021, https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2021&codLeg=84033&parte=1%20&serie=null.
[31] Circolare del Ministero della Salute n. 59207 del 24 dicembre 2021, https://www.certifico.com/component/attachments/download/26527.
[32] Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi – CNOP, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Chimici e dei Fisici – FNCF, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri – FNOMCeO, la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche – FNOPI, la Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Ostetrica – FNOPO, la Federazione nazionale Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione – FNO TSRM e PSTRP, la Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani – FNOVI, la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani – FOFI, l’Ordine Nazionale dei Biologi – ONB.
[33] Nota congiunta delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie n. 1502 del 1° dicembre 2021, https://www.fnopi.it/wp-content/uploads/2021/12/26739-Nota-tecnica-alla-DGRUPS-e-alla-DGSI-Ministero-della-Salute-piattaforma-PN-DGC-1.pdf.
[34] “Piattaforma nazionale digital green certificate (Piattaforma nazionale-DGC) per l’emissione e validazione delle certificazioni verdi COVID-19: sistema informativo nazionale per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificazioni COVID-19 interoperabili a livello nazionale ed europeo realizzato, attraverso l’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria, dalla società di cui all’articolo 83, comma 15, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e gestito dalla stessa società per conto del Ministero della salute, titolare del trattamento dei dati raccolti e generati dalla medesima piattaforme”, art. 9, comma 1, lett. e), del decreto-legge n. 52 del 2021, convertito, con modificazioni dalla Legge 17 giugno 2021, n. 87. “La piattaforma nazionale-DGC per l’emissione, il rilascio e la verifica delle certificazioni COVID-19 interoperabili a livello nazionale ed europeo, di cui all’articolo 9, comma 1, lettera e), del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, è realizzata, attraverso l’infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria, dalla Sogei S.p.A., e gestita dalla stessa per conto del Ministero della salute, titolare del trattamento dei dati generati dalla piattaforma medesima”, art. 42 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108.
[35] Nota del Ministero della Salute n. 19018 del 3 dicembre 2021, https://www.tsrm.org/wp-content/uploads/2021/12/Nota-DGSI-MdS-19018-risposta-alle-Federazioni.pdf.
[36] “Sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo, che nel suddetto flusso il dato guarigione, non reso accessibile fino alla settimana scorsa alla Federazione e agli Omceo, sia stato reso disponibile nella Piattaforma determinando la scomparsa dal flusso vaccinati/non vaccinati dei sanitari guariti dal COVID – 19 che, pertanto, appaiono in regola con la vaccinazione creando una situazione di serio disorientamento all’interno degli Omceo. Come noto la guarigione dal Covid-19 rileva ai soli fini della certificazione verde Covid-19 ai sensi dell’art.1 comma 1 lett. b) del dl n.5/2022 che ha sostituito il comma 4 -bis del dl n.52/2021 ma non accerta nulla rispetto alla disciplina speciale dell’obbligo vaccinale prevista per i sanitari”, Nota della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) n. 3558 dell’8 febbraio 2022, https://www.odmeo.re.it/wp-content/uploads/2022/02/all_2-Com-n.38-Decreto-Legge-4-febbraio-2022.pdf.
[37] Nota del Ministero della Salute n. 2992 del 17 febbraio 2022, https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato9713398.pdf.
[38] “A titolo esemplificativo, nella ricostruzione offerta dalla Regione Piemonte avente ad oggetto “Prime indicazioni relative al Decreto Legge 26 novembre 2021, n. 172”, è stato evidenziato che sebbene il termine minimo per effettuare la somministrazione della terza dose decorra a partire dal quinto mese successivo al completamento del ciclo vaccinale, non vi sarebbe alcuna indicazione normativa, o di codeste Direzioni generali, in merito al termine massimo per effettuare la terza dose, così da potersi ritenere che “allo scadere dei cinque mesi dalla seconda dose ed entro il termine di 9 mesi (scadenza del green pass ricevuto a seguito della seconda dose) potrà essere esercitata la professione senza incorrere nella sospensione”. In tutta evidenza, siffatte indicazioni si pongono in contrasto anche con quanto puntualmente indicato dalla Direzione Generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e della statistica alle sole scriventi con comunicazione prot. n. 19018 del 3 dicembre 2021 che poneva l’obbligo della dose di richiamo “a partire dal momento in cui sono decorsi 5 mesi dal completamento del ciclo primario, secondo i termini indicati dalla circolare DGPREV 22 novembre 2021”, termine oggi fissato in 120 giorni”, Nota congiunta delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie n. 255 del 26 febbraio 2022, https://www.ordinechimicibari.it/attachments/article/586/Nota%20n.%20255_al%20Ministero%20della%20Salute%20su%20richiesta%20indicazioni%20assolvimento%20obbligo%20vaccinale%20professionisti%20sanitari.pdf.
[39] “Sono pervenute alle scriventi Federazioni numerosi quesiti sulla decorrenza dell’obbligo vaccinale per
i professionisti con pregressa infezione da SARS-CoV-2. Sul punto si chiede se sia ancora valida la circolare del Ministero della salute della Direzione generale della prevenzione sanitaria n. 8284 del 03 marzo 2021, che chiarisce che nei confronti di tali soggetti è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-SARS-CoV-2/COVID-19, “purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa” e se l’obbligo per i professionisti decorra a partire dall’intervallo minimo e quindi dopo 90 giorni dall’infezione. Nel caso in cui tale circolare fosse ancora valida, si chiede se trovi applicazione anche per l’ipotesi di infezione entro i 14 giorni dalla prima dose. Al riguardo la Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, con circolari nn. 0040711 del 09 settembre 2021 e 0056052 del 06 dicembre 2021, ha fornito indicazioni solo sull’intervallo massimo (180 giorni dalla documentata infezione) e non su quello minimo a decorrere dal quale è possibile effettuare la seconda dose. Anche per tale fattispecie si chiede conferma della decorrenza dell’obbligo della somministrazione della dose di vaccino a partire dall’intervallo minimo”, Nota congiunta delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie n. 255 del 26 febbraio 2022, ivi.
[40] “Nell’apparente silenzio normativo, nella prassi si registrano interpretazioni eterogenee da parte degli Ordini per la gestione delle posizioni dei sospendendi e dei sospesi che abbiano contratto l’infezione da SARS-CoV-2, per i quali non è chiaro se e come il legislatore abbia inteso che la sopraggiunta positività al virus possa avere rilievo, rispettivamente, nel corso dell’istruttoria di verifica dell’adempimento dell’obbligo vaccinale ed una volta sospesi. La questione è di primario rilievo, giacché la mancata considerazione di tale circostanza determinerebbe rilevanti ricadute in tema di sostentamento economico degli interessati e di funzionamento delle strutture sanitarie, anche a causa dell’aumentare dei contagi e della rilevata, diffusa incomprensione dei termini dai quali effettivamente decorre l’obbligo vaccinale della dose di richiamo. Una simile lettura non sembrerebbe nemmeno conferente con quanto rappresentato nelle circolari della Direzione generale della prevenzione sanitaria di codesto Ministero relative al rapporto tra infezione e termini di vaccinazione, né con quanto ritenuto idoneo in altri ambiti per il perseguimento della medesima ratio di tutela della salute o con la natura non sanzionatoria della sospensione per mancato adempimento all’obbligo vaccinale”, Nota congiunta delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie n. 255 del 26 febbraio 2022, ivi.
[41] Nota del Ministero della Salute n. 5505 del 29 marzo 2022, https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1021100.pdf.
[42] TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza, 27 maggio 2022, n. 607; TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza, 27 maggio 2022, n. 608; TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza, 27 maggio 2022, n. 609; TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, Ordinanza 13 maggio 2022, n. 359; nello stesso senso, cfr. TAR Lazio-Roma, Sez. III quater, Sentenza 4 gennaio 2022, n. 37. Altresì, il TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Ordinanza, 16 luglio 2022, n. 87, ha ritenuto che ai professionisti mai vaccinatisi che avessero contratto l’infezione da SARS-CoV-2 dovesse applicarsi il termine di 12 mesi.
[43] Nota congiunta delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie n. 9981 del 9 giugno 2022, https://www.fofi.it/ALLEGATO%201.pdf.
[44] Riscontro del Ministero della Salute a Nota n. 9981 del 9 giugno 2022 delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie, https://www.fofi.it/risposta_interlocutoria_Federazioni-signed.pdf.
[45] “Nelle more del riscontro si suggerisce agli Ordini territoriali di adeguarsi all’indirizzo dei Tar Lombardia sia rispetto ai prossimi provvedimenti da adottare nei confronti dei professionisti sanitari che per quelli già adottati, anche al fine di tutelare tali Enti e garantirne la tenuta e la sostenibilità economica, che potrebbe essere irrimediabilmente compromessa dagli esiti dei giudizi già pendenti. Di conseguenza per gli iscritti che al momento godono della cessazione temporanea della sospensione dall’esercizio della professione il termine finale dovrà essere prorogato dagli attuali 90 giorni fino a 180 giorni con relativa comunicazione all’iscritto. Gli iscritti ai quali è stata revocata la cessazione temporanea della sospensione dall’esercizio della professione perché trascorsi i 90 giorni saranno riammessi al beneficio di cui all’art. 8 della Legge 52/2022 fino al termine di 180 giorni con relativa comunicazione all’iscritto”, Circolare della Federazione Nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) n. 57 del 13 giugno 2022, https://opi.tn.it/wp-content/uploads/2022/06/Circolare-57-2022.pdf?x91148; “[…] si suggerisce agli Ordini che abbiano adottato i provvedimenti in oggetto di procedere attraverso la predisposizione di una deliberazione unica, da pubblicare nella sezione “Amministrazione trasparente” del proprio sito istituzionale, nella quale si stabilisca, in ottemperanza alle Ordinanze del TAR Lombardia, di aumentare, il termine di cessazione temporanea di ulteriori tre mesi, nonché di inviare tempestivamente a ciascun sanitario interessato idonea comunicazione”, Circolare della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) n. 11915 del 21 giugno 2022, https://portale.fnomceo.it/wp-content/uploads/2022/06/COM_N_131.pdf.
[46] A titolo esemplificativo, si veda la Nota n. 144275 del 27.7.2022 dell’ASP Palermo, con la quale il termine di differimento della vaccinazione obbligatoria in caso di pregressa infezione da SARS-CoV-2 è stato ritenuto di 90 giorni, e la Nota n. 23758 del 22.6.2022 della Regione Piemonte, con la quale è stata contestato l’obbligo di somministrazione della c.d. dose booster in caso di infezione successiva al completamento del ciclo vaccinale primario.
[47] Nota congiunta delle Federazioni Nazionali degli Ordini professionali degli esercenti le professioni sanitarie n. 1149 del 29 luglio 2022, https://portale.fnomceo.it/wp-content/uploads/2022/07/COM-N-154.pdf.
[48] La pronuncia del TAR Lazio consegue ai preliminari rilievi circa il sistema delineato dall’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 (prima della sua riscrittura ad opera del decreto-legge n. 172/2021), il quale “prevede un iter bifasico: – un primo segmento (propriamente amministrativo e pubblicistico), disciplinato dai commi 3-7 e 9 dell’art. 4 e attribuito alla competenza dell’Azienda S. di residenza dell’interessato, è volto ad accertare se il sanitario abbia ricevuto la somministrazione del vaccino contro il SARS-CoV-2, in conformità all’obbligo sancito dal comma 1. Qualora l’Azienda S. riscontri l’ingiustificato inadempimento, adotta un atto di accertamento cui consegue, quale effetto automatico ex lege a carico del sanitario, “la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2” – un secondo segmento, disciplinato dai commi 8 e 10 dell’art. 4, prendendo le mosse dall’accertamento di cui sopra e dal suo effetto legalmente impeditivo rispetto allo svolgimento di un’ampia categoria di mansioni, chiama invece in causa i poteri organizzativi del datore di lavoro (e ha quindi, generalmente, natura privatistica, anche laddove si tratti di rapporti di pubblico impiego, cfr. art. 5, comma 2 e 63 del D.lgs. n. 165/ del 2001). Il datore deve infatti valutare la possibilità di assegnare il sanitario “a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio”. Al riscontro dell’impossibilità di un reimpiego, e quindi dell’impossibilità di utilizzare la prestazione lavorativa, consegue la sospensione dalla retribuzione, salvi i casi in cui l’omissione o il differimento della vaccinazione sono giustificati””, così, precedentemente, TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, 13 settembre 2021, n. 276.
[49] Nello stesso senso, cfr. TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 gennaio 2022, n. 7.
[50] La Sentenza fa riferimento al decreto-legge n. 44/2021 nella sua formulazione originaria, prima della riscrittura ad opera del decreto-legge n. 172/2021.
[51] Come modificato dalla Legge 11 gennaio 2018, n. 3.
[52] La Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie “è un organo giurisdizionale speciale, alla cui sopravvivenza, nell’ordinamento post costituzionale, non osta la previsione dell’art. 102 della Carta Fondamentale che vieta l’istituzione di nuove giurisdizioni non solo straordinarie ma anche speciali; e ciò in quanto trattandosi di Organo istituito anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione, la sua persistente operatività è avallata dalla VI disposizione transitoria e finale della stessa Carta costituzionale che ha assoggettato i preesistenti Organi di giurisdizione speciale a revisione, da parte del Legislatore ordinario, nel termine di cinque anni; termine non perentorio ma ordinatorio la cui scadenza non ha determinato l’illegittimità costituzionale degli Organi che avrebbero dovuto essere revisionati”, TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, Sentenza 31 gennaio 2022, n. 284.
[53] Nello stesso senso, cfr. TAR Liguria-Genova, Sez. I, Sentenza 18 novembre 2021, n. 983; TAR Liguria-Genova, Sez. I, Sentenza 18 novembre 2021, n. 984; TAR Liguria-Genova, Sez. I, Sentenza 18 novembre 2021, n. 985; TAR Liguria-Genova, Sez. I, Sentenza 18 novembre 2021, n. 986; TAR Liguria-Genova, Sez. I, Sentenza 18 novembre 2021, n. 987; TAR Liguria-Genova, Sez. I, Sentenza 22 novembre 2021, n. 991; TRGA Friuli Venezia Giulia-Trento, Sentenza 29 novembre 2021, n. 190; TAR Marche-Ancona, Sez. I, Sentenza 18 dicembre 2021, n. 880; TAR Marche-Ancona, Sez. I, Sentenza 18 dicembre 2021, n. 881; TAR Marche-Ancona, Sez. I, Sentenza 18 dicembre 2021, n. 876; TAR Marche-Ancona, Sez. I, Sentenza 18 dicembre 2021, n. 879; TAR Veneto-Venezia, Sez. III, Sentenza 20 dicembre 2021, n. 1548; TAR Valle D’Aosta, Sentenza 20 dicembre 2021, n. 72; TAR Marche-Ancona, Sez. I, Sentenza 17 gennaio 2022, n. 36.
[54] La Sentenza fa riferimento al decreto-legge n. 44/2021 nella sua formulazione originaria, prima della riscrittura ad opera del decreto-legge n. 172/2021.
[55] In particolare, il TAR adito – analizzando attentamente la disposizione di cui all’art. 4 del decreto-legge n. 44/2021 – ha sottolineato che “la sospensione in conseguenza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale non è una sanzione, ma è semplicemente l’inevitabile effetto dell’impossibilità temporanea all’esecuzione della prestazione lavorativa, derivante dal verificarsi di un’ipotesi di inidoneità lavorativa parimenti temporanea. […] Risulta evidente, quindi, l’intento del legislatore di disciplinare un’ipotesi di sospensione obbligatoria preventivamente determinata ex lege: “sottrarre” il potere discrezionale di sospensione al datore di lavoro e agli ordini professionali di riferimento, senza, al contempo attribuire ad alcun altro soggetto, né pubblico, né privato, tale potere, in modo da rendere certa, effettiva e uguale per tutti, l’impossibilità per il sanitario non vaccinato di svolgere l’attività, essendo inidoneo, sia pure temporaneamente, allo svolgimento dell’attività lavorativa. La sospensione non è intermediata da alcun provvedimento irrogativo da parte di soggetto privato o pubblico […], tanto che lo stesso legislatore si è limitato a prevedere in via automatica la cessazione della predetta misura cautelare nel caso di ottemperanza dell’obbligo vaccinale, senza la previsione di un “contrarius actus” anche solo in termini di “revoca”. La sospensione, quindi, non appartiene alla sfera del diritto pubblico, ma assume anch’essa – così come la declinazione dell’obbligo vaccinale in funzione di idoneità della prestazione lavorativa – un rilievo, in via diretta, strettamente privatistico perché incide direttamente sul rapporto di lavoro o sullo svolgimento della prestazione lavorativa autonoma, quale effetto della sopravvenuta impossibilità temporanea per inidoneità a svolgere l’attività sanitaria […]. il legislatore ha conformato “a monte” (con l’obbligo vaccinale) e “a valle” (con la sospensione), la sfera giuridica del sanitario-lavoratore/professionista, al contempo incidendo sulla sfera decisionale tanto dei datori di lavoro (parzialmente) quanto degli ordini professionali: per altro verso, per garantire il necessario raccordo tra gli “ordinari” “strumenti” previsti dall’ordinamento per la verifica delle idoneità lavorative nell’ambito del lavoro subordinato privato e nel pubblico impiego (attraverso i c.d. medici del lavoro) e lo svolgimento del c.d. piano vaccinale, ha inteso, attribuire all’Amministrazione sanitaria (l’A.S. di residenza dei sanitari) il doppio compito, materiale, da un lato, di attuazione dell’obbligo vaccinale, e, dall’altro, quello esclusivamente ricognitivo dell’inadempimento all’obbligo medesimo, e, quindi, dell’inidoneità allo svolgimento dell’attività lavorativa. Il legislatore, sotto il secondo dei due profili appena indicati, ha in sostanza attribuito all’Amministrazione sanitaria quegli stessi compiti normalmente previsti per il medico del lavoro, solo limitati al caso particolare dell’inadempimento vaccinale […]. Quanto all’obbligo vaccinale, il legislatore ha conformato la sfera giuridica del privato ponendo a carico dello stesso una situazione passiva senza per contro attribuire alcun potere conformativo all’Amministrazione sanitaria, che non può modificare o, comunque, incidere sulla titolarità di tale obbligo. Nessun potere è riconoscibile, quindi, in capo alle Aziende sanitarie, perché esse non possono né obbligare il sanitario a vaccinarsi, (essendo obbligato ex lege, “a monte”), né adottano specifici provvedimenti di esonero o differimento (l’operatore sanitario, infatti, non deve richiedere l’intermediazione delle Aziende sanitarie per ottenere l’esonero o il differimento) […]. La sospensione dell’Amministrazione sanitaria, quindi, non ha alcun effetto dispositivo […] la sospensione […] è la conseguenza dell’inadempimento e, quindi, dell’inidoneità temporanea dell’esercizio della prestazione – che preesiste, ma viene – certificata dall’atto di accertamento, così come il medico del lavoro certifica l’inidoneità allo svolgimento della prestazione lavorativa da parte del singolo lavoratore […] le esposte conclusioni, infine, appaiono corroborate (e confermate) dalla recente di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) del D.L. 26 novembre 2021, n. 172, che ha nuovamente imposto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della L. 1 febbraio 2006, n. 43, a decorrere dal 15 dicembre 2021, demandando l’adozione dell’atto di accertamento dell’adempimento dell’obbligo vaccinale all’Ordine territoriale competente, chiarendone la “natura dichiarativa, non disciplinare””; cfr. Nota del Ministero della Salute n. 32479 del 17 giugno 2021: “nella Relazione illustrativa che accompagna il decreto legge di cui trattasi [decreto-legge n. 44/2021 nella sua formulazione originaria, prima della riscrittura ad opera del decreto-legge n. 172/2021, n.d.r.], è espressamente chiarito che l’atto di accertamento della mancata osservanza dell’obbligo vaccinale adottato dall’azienda sanitaria, “discende ex lege la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria e dalla prestazione dell’attività lavorativa da parte degli operatori obbligati che svolgono mansioni che implicano necessariamente un contatto interpersonale con il paziente, l’utente o comunque con il destinatario o che, qualsiasi sia la modalità dello svolgimento, comportano comunque il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”. Da ciò consegue che la previsione della summenzionata sospensione derivante dalla legge è un’ipotesi di sospensione obbligatoria, per la quale la valutazione sulla gravità dei fatti presupposti viene compiuta in via preventiva dal legislatore; analogamente, è lo stesso legislatore a prevedere in via automatica la cessazione della predetta misura cautelare nel caso di ottemperanza dell’obbligo vaccinale”, file:///C:/Users/apersichetti/Downloads/allegato%201%20-%20ministero%20della%20salute%2032479%20del%2017.06.2021.pdf.
[56] “l’attività rimessa all’Amministrazione sanitaria è una mera attività ricognitivo-certificativa, e l’atto dalla stessa assunto è esclusivamente dichiarativo e rigidamente connesso a presupposti di mero fatto (l’avere o no effettuato in concreto il vaccino nella data stabilita) o, al massimo, ad una stretta valutazione medica”, TAR Veneto-Venezia, Sez. III, Sentenza 31 gennaio 2022, n. 188.
[57] “l’attività posta in capo all’Ordine dal citato comma 7 [del decreto-legge n. 44/2021 nella sua formulazione originaria, prima della riscrittura ad opera del decreto-legge n. 172/2021, n.d.r.] consiste in un mero onere informativo, ovverosia la comunicazione all’interessato, previa presa d’atto da parte dell’Ordine medesimo, della sospensione derivante ex lege dall’atto di accertamento dell’ASL”, Nota del Ministero della Salute n. 32479 del 17 giugno 2021, cit.
[58] Il TAR adito, richiamando la Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. lavoro, n. 5825/2021 ha sottolineato che non può “riconoscersi la giurisdizione del Giudice Amministrativo qualora l’Amministrazione non sia chiamata dal legislatore a esercitare poteri discrezionali, ma a verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti normativamente previsti nello svolgimento di un’attività vincolata, di carattere meramente ricognitivo, della cui natura partecipa anche il giudizio tecnico”.
[59] “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”, art. 4, comma 1, decreto-legge n. 44/2021.
[60] “L’individuazione della giurisdizione non potrebbe, in ogni caso, farsi discendere in modo automatico dalla natura vincolata dell’atto, dovendosi guardare anche, e soprattutto, al piano dell’interesse primariamente considerato dalla legge regolatrice del potere. Si richiamano, in proposito, gli insegnamenti di Cons. St., A.P., 24 maggio 2007, n. 8, secondo cui “anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità, valutativa o tecnica, quindi, occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo”. […] la scelta di imporre l’obbligo vaccinale ai sanitari risponde – in modo pressoché esclusivo – al primario interesse pubblico costituito dalla tutela della salute collettiva, a fronte del quale la posizione del privato inevitabilmente recede”, TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, n. 261/2021. Nello stesso senso, cfr. TAR Lombardia-Milano, Ordinanza 16 giugno 2022, n. 1397.
[61] La Sentenza fa riferimento al decreto-legge n. 44/2021 nella sua formulazione originaria, prima della riscrittura ad opera del decreto-legge n. 172/2021.
[62] Nello stesso senso, cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, Ordinanza 22 dicembre 2021, n. 6791; Consiglio di Stato, Sez. III, Ordinanza 22 dicembre 2021, n. 583.
[63] Nello stesso senso, cfr. TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, Sentenza 23 giugno 2022, n. 185.
[64] La Sentenza fa riferimento al decreto-legge n. 44/2021, come modificato dal decreto-legge n. 172/2021.
[65] “Ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, contro i provvedimenti adottati dagli Ordini e dai Collegi delle professioni sanitarie in determinate materie, tra le quali sono ricomprese le sanzioni disciplinari irrogate per le violazioni deontologiche, è ammesso il ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie […]. La natura dichiarativa e non disciplinare del provvedimento impugnato esclude pertanto in radice l’attribuzione della presente fattispecie alla giurisdizione speciale della CCEPS”, TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza 30 marzo 2022, n. 712.
[66] “L’esercizio del potere amministrativo, a fronte del quale si staglia la situazione soggettiva dell’interesse legittimo, è pertanto sufficiente, ai sensi dell’articolo 7, commi 1 e 4, del codice del processo amministrativo, a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”, TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza 30 marzo 2022, n. 712, ivi. Nello stesso senso, cfr. TAR Lombardia-Milano, Ordinanza 16 giugno 2022, n. 1397.
[67] “Al contrario, la sospensione della retribuzione, benché anch’essa effetto automatico predeterminato dalla legge, è conseguenza di una valutazione da parte del datore di lavoro circa l’impossibilità di utile ricollocazione del dipendente in mansioni, anche inferiori, che non implicano rischi di diffusione del contagio, sicché si colloca all’interno dei poteri datoriali volti ad incidere direttamente la posizione, questa sì, di diritto soggettivo del dipendente, di poter svolgere comunque mansioni lavorative e di potersi vedere riconosciuta la retribuzione. Sotto questo profilo sussiste certamente la giurisdizione del giudice ordinario, venendo in rilievo atti datoriali inseriti nel rapporto di lavoro pubblicistico privatizzato, ai sensi del decreto legislativo n. 165/01”, Tribunale di Alessandria, Ordinanza 26 novembre 2021.
[68] “Ai sensi del comma 4, infatti, è la regione o la provincia autonoma che, una volta verificato lo stato vaccinale dei soggetti rientranti negli elenchi trasmessi dagli ordini professionali e dai datori di lavoro, segnala all’azienda sanitaria locale di residenza i nominativi dei soggetti che non risultano vaccinati. È, quindi, previsto (comma 5) che l’azienda sanitaria locale, ricevuta detta segnalazione, è tenuta ad invitare l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione o l’omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2 (accertato pericolo per la salute), ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1. Scaduto il termine, senza che l’interessato abbia trasmesso la documentazione, l’azienda sanitaria locale invita formalmente l’interessato a sottoporsi alla vaccinazione. Laddove, invece, l’interessato abbia prodotto, nel detto termine di cinque giorni, documentazione attestante la avvenuta richiesta di vaccinazione, allora l’azienda sanitaria locale lo invita a trasmettere, immediatamente e comunque entro tre giorni dalla somministrazione del vaccino, la certificazione attestante il rispetto dell’obbligo vaccinale. Decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, l’azienda sanitaria locale accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’ordine professionale di appartenenza. La legge (comma 6 secondo periodo) fa discendere, quale conseguenza immediata e diretta dell’atto di accertamento di cui sopra, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2; sospensione che, ai sensi del comma 9, permane fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, sino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021”, Tribunale di Alessandria, Ordinanza 26 novembre 2021. Nello stesso senso, cfr. Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, Sentenza 16 marzo 2022, n. 684; Tribunale di Milano, Ordinanza 23 settembre 2021.
[69] La vicenda trae origine dal ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. presentato al Tribunale di Ancona da un fisioterapista libero professionista mediante il quale impugnava il provvedimento di sospensione dall’esercizio della professione per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale adottato dall’Ordine dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione di Ancona, Ascoli Piceno, Fermo e Macerata. Il Tribunale di Ancona dichiarava con ordinanza il proprio difetto di giurisdizione, riconoscendola in capo al TAR Marche, il quale, a sua volta, riconoscendosi incompetente, sollevava conflitto negativo di giurisdizione avverso l’ordinanza del Giudice ordinario.
[70] In particolare, il ricorrente aveva chiesto l’annullamento degli atti di sospensione temporanea dall’esercizio della professione sanitaria di fisioterapista prospettando che dall’attività professionale traeva il proprio sostentamento, dovendo, per l’esercizio dell’attività medesima, sostenere spese mensili fisse (locazione dello studio, utenze, ecc.), comportando la sospensione dall’esercizio della professione il rischio di perdere la clientela, con graduale depauperamento dell’avviamento professionale.
[71] Cass., Sez. Un., Sentenza 29 settembre 2022, n. 28429.
[72] Sul punto, in particolare, Cons. Stato, Sez. III, Sentenza 20 dicembre 2021, n. 8454, secondo cui: “il tampone ha una prevalente finalità diagnostica, essendo finalizzato ad accertare l’avvenuta infezione da Sars-CoV-2, mentre il vaccino persegue anche una funzione preventiva, in quanto finalizzato a impedire l’infezione e comunque l’evoluzione patologica della stessa, in particolare nelle forme particolarmente gravi con la quale si manifesterebbe in caso di mancata somministrazione. Ebbene, già tale rilievo pone in evidenza che, dal punto di vista del sindacato di ragionevolezza (nella particolare angolazione relativa alla sussistenza tra le fattispecie esaminate di profili differenziatori atti a giustificate il trattamento normativo non uniforme delle stesse), la diversa efficacia del vaccino rispetto al tampone “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (cfr. art. 4, comma 1, d.l. n. 44/2021): basti osservare che, mentre il tampone da eseguire con cadenza di 48 ore, come dedotto dalla parte appellante, espone comunque al pericolo di contagio (e conseguente diffusione virale) nel pur breve periodo intermedio che intercorre tra l’uno e l’altro, il vaccino garantisce una copertura anti-virale, nel lasso temporale della sua efficacia, ininterrotta, non potendo addursi in senso contrario, e sempre nell’ottica del suindicato sindacato di ragionevolezza (delle scelte legislative in subiecta materia), una generica permanente esposizione all’infezione del soggetto vaccinato né il connesso persistente pericolo di contagio, in mancanza di dati precisi in ordine alla entità del rischio dedotto, anche in termini di intensità del pericolo della trasmissione virale da parte dei soggetti vaccinati. In siffatto contesto, inteso a rimarcare la distinta efficacia preventiva del tampone e del vaccino, non risulta sfornita di giustificazione la diversità dello strumento utilizzato dal legislatore al fine di garantire il contenimento della trasmissione virale, a seconda della tipologia di personale, attesa la maggiore potenziale fragilità dei soggetti che accedono alle prestazioni sanitarie, la quale giustifica l’adozione a fini preventivi di misure ritenute maggiormente efficaci (anche se maggiormente invasive nei confronti delle libertà dell’operatore interessato). Ai rilievi svolti deve aggiungersi quello inteso ad evidenziare che la previsione dell’obbligo vaccinale risponde anche ad una finalità protettiva nei confronti dello stesso operatore sanitario, la quale non può che essere maggiormente avvertita in un contesto lavorativo caratterizzato, a differenza di quello scolastico, da un maggiore grado di esposizione al rischio infettivo, già in ragione della più intensa variabilità dell’utenza (rispetto a quella scolastica)”; nello stesso senso, Corte Appello Torino, Sentenza 3 novembre 2022, secondo cui “È poi del tutto evidente che l’efficacia del vaccino non possa essere apprezzata comparando il vaccino al tampone (o alle altre misure citate dall’appellato), poiché si tratta di misure del tutto diverse per natura e obiettivo, essendo il vaccino un farmaco immunologico ed invece il tampone una mera procedura funzionale alla diagnosi”; contra, Trib. Padova, Sezione Lavoro, Ordinanza 28 aprile 2022, secondo cui, potendo anche il soggetto vaccinato contrarre il virus, l’obbligo vaccinale deve ritenersi irragionevole in quanto inidoneo a raggiungere lo scopo che il decreto-legge n. 44/2021 si prefigge (id. est la tutela della salute pubblica): “il metodo attualmente più sicuro per impedire che un lavoratore contagi le altre persone presenti sul luogo di lavoro, è invece quello di avere la ragionevole certezza che egli non si infetto: ragionevole certezza che, come visto, non può essere data dalla vaccinazione, bensì dalla sottoposizione periodica del lavoratore al “tampone”. […] la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero”. In tal caso il Giudice ha accolto il ricorso cautelare riammettendo la ricorrente (operatrice socio sanitaria) in servizio “a condizione che ella si sottoponga, per la rilevazione di SARS-COV-2, al test molecolare, oppure al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure infine al test antigenico rapido di ultima generazione, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 negli altri due”.
[73] Sul punto, in particolare, TAR Sicilia-Catania, Sez. III, Sentenza 11 marzo 2022, n. 699, secondo cui “L’obbligo vaccinale, in quanto tale, non è soggetto a prescrizione medica, né al consenso dell’interessato, poiché è la legge a imporre la somministrazione del farmaco”, la quale prevede che, in caso di accertato pericolo per la salute (art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 44/2021), “il soggetto può essere esonerato dalla vaccinazione o la vaccinazione può essere differita. […] Per quanto attiene, invece, alle censure di illegittimità costituzionale sollevate dal ricorrente, il Collegio evidenzia che: a) con la menzionata sentenza n. 5/2018 la Corte Costituzionale, come osservato dalla difesa erariale, ha affermato che l’obbligo vaccinale risulta costituzionalmente legittimo perché tutela la salute – sia individuale, sia collettiva – e perché il sacrificio dell’autodeterminazione di ciascuno si giustifica proprio e solo in presenza di rischi per gli altri; b) l’obbligo vaccinale, tra l’altro non costituisce un contemperamento fra il diritto individuale alla salute e altri valori di rilievo costituzionale; c) esso, invero, mira alla tutela del diritto alla salute individuale del soggetto obbligato alla somministrazione del vaccino e alla tutela della salute della collettività, sicché costituisce integrale applicazione dell’art. 32 della Costituzione, sia nella parte in cui la norma si riferisce al “diritto fondamentale dell’individuo”, sia nella parte in cui si riferisce all’“interesse della collettività”; d) in alcun modo, pertanto, risulta compromessa in tal modo la dignità umana, come invece ritenuto dal ricorrente, né l’integrità fisica o psichica dell’individuo (che l’obbligo vaccinale mira esattamente a preservare, tenuto conto delle conseguenze fisiche e psichiche dell’eventuale contagio); e) a fronte di una situazione epidemica emergenziale e di dati ancora non definitivi quanto alle possibili conseguenze nocive dei vaccini, il legislatore ha operato una scelta che può certamente reputarsi opinabile, ma che non può ritenersi obiettivamente irragionevole; e) ovviamente, è proprio la situazione emergenziale che giustifica e rende ragionevole, sebbene opinabile, la decisione del legislatore di ricorrere a farmaci che sono stati soggetti ad una sperimentazione non definitiva; f) la decisione del legislatore potrà essere eventualmente censurata dal corpo elettorale e resta, quindi, esposta ad un’eventuale sanzione di natura politica, secondo il meccanismo proprio delle democrazie parlamentari, ma essa non può essere sostituita dal soggettivo apprezzamento di un giudice – cioè di un funzionario reclutato per concorso e sprovvisto di qualsiasi legittimazione politica – ovvero di un suo ausiliario”; TAR Lazio-Roma, Sez. III quater, Sentenza 23 giugno 2022, n. 8513, secondo cui “nelle ipotesi, quale quella in esame, in cui vi sia un obbligo previsto dalla legge di sottoporsi a vaccinazione, viene meno la necessità di prestare e di richiedere il consenso da parte del vaccinando, posto che è lo stesso obbligo di legge a costituire il fondamento giuridico del trattamento sanitario in questione, con la conseguenza che ciò che viene firmato dal paziente non è un modulo avente a oggetto il cd. consenso informato in senso tecnico ma, invece, un atto attraverso il quale l’amministrazione adempie all’obbligo informativo gravante in capo alla stessa”.
[74] TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 settembre 2021, n. 261; TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 novembre 2021, n. 333; TAR Lazio-Roma, Sez. III quater, Sentenza 4 gennaio 2022, n. 37; TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 gennaio 2022, n. 7; TAR Puglia-Bari, Sez. II, Sentenza 12 maggio 2022, n. 646; TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, Sentenza 23 giugno 2022, n. 185; TAR Lazio-Roma, Sez. III quater, Sentenza 23 giugno 2022, n. 8513; Cons. Stato, Sez. III, Ordinanza 22 dicembre 2021; n. 6791; Cons. Stato, Sez. III, Ordinanza 4 febbraio 2022, n. 583; TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza 30 marzo 2022, n. 712; TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza 26 aprile 2022, n. 468; TAR Lombardia-Milano, Sez. I, Ordinanza 16 giugno 2022, n. 1397.
[75] Cons. Stato, Sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045. Nello stesso senso, cfr. TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 settembre 2021, n. 261; TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, Sentenza 23 giugno 2022, n. 185.
[76] Cons. Stato, Sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045. Nello stesso senso, cfr. TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 settembre 2021, n. 261; TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 novembre 2021, n. 333.
[77] A. Persichetti, Vaccini obbligatori: il decreto Lorenzin lede i diritti dei minori?, in Salvis Juribus, 2019, http://www.salvisjuribus.it/vaccini-obbligatori-il-decreto-lorenzin-lede-i-diritti-dei-minori/.
[78] Cons. Stato, Sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045. Nello stesso senso, cfr. TAR Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez. I, Sentenza 10 settembre 2021, n. 261.
[79] Nello stesso senso, cfr. TAR Puglia-Bari, Sez. I, Sentenza 30 marzo 2022, n. 461, secondo cui “Quanto all’ulteriore profili di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 36 Cost. si osserva che nell’imposizione dell’obbligo il legislatore ha proceduto per gradi, iniziando dai soggetti che sono maggiormente esposti al contagio (medici, esercenti professioni sanitarie, docenti…) tra cui figura anche il ricorrente per i costanti contatti con l’utenza pubblica ed in generale con terze persone, anche infette. Quanto alle misure per rendere effettivo tale obbligo in base alle diverse possibilità (dalla mera formulazione del precetto sino a soluzioni sanzionatorie e a misure di natura costrittoria), il legislatore ha optato per una soluzione intermedia rappresentata dalla sospensione dalla prestazione lavorativa. In tale quadro la sospensione dalla retribuzione costituisce una conseguenza naturale dal mancato servizio prestato, per cui non può ipotizzarsi alcuna violazione dell’art. 36 Cost. In ogni caso poiché la vaccinazione costituisca, alla stregua della richiamata disciplina, un requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative deve ritenersi logico e coerente che l’assenza di questa determini la sospensione del rapporto e della retribuzione. Peraltro proprio la mancata risoluzione del rapporto di servizio conferma che il legislatore ha adottato una soluzione bilanciata che media tra il contenimento della pandemia e la tutela del lavoro. Soluzione in cui la limitazione temporale dell’obbligo (fino al 15 giugno 2022) rappresenta un’ulteriore prova dell’effettivo bilanciamento operato dal legislatore al fine di ridurre al minimo il sacrificio per i lavoratori che hanno deciso di non vaccinarsi (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 11.3.2022, n. 2813). Parimenti infondate appaiono le prospettate violazioni di principi eurounitari sulla non discriminazione e sulla libertà di pensiero, i quali trovano ampio (e pregresso) riconoscimento anche nella nostra Costituzione, alla luce sia delle considerazioni sopra esposte sul bilanciamento dei diritti, sia di un più generale principio di auto-responsabilità e di rispetto reciproco, per cui la volontà di praticare proprie convinzioni ideologiche, etiche o religiose non può affermarsi sino ad invadere il labile confine che tutela diritti fondamentali della collettività e individuali al tempo stesso, come nella specie la salute pubblica e l’istruzione scolastica, quali fini perseguiti dal legislatore nelle forme ritenute più opportune per garantire il rispetto di principi costituzionali quali l’uguaglianza e la solidarietà (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, 13 gennaio 2022, ord. n. 137)”.
[80] Trib. Verona, Sezione Lavoro, Ordinanza 10 giugno 2021.
[81] La vicenda è anteriore all’emanazione del decreto-legge n. 44/2021.
[82] Trib. Modena, Sezione Lavoro, Ordinanza 23 luglio 2021, n. 2467. Nello stesso senso, Trib. Roma, Sezione Lavoro, Ordinanza 28 luglio 2021, n. 18441 e Trib. Modena, Ordinanza 19 maggio 2021 secondo cui “Da una piena lettura della disposizione in esame (art. 20, D.lgs. n. 81/2008, N.d.r.) si evince che il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto (non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche) a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Il prestatore di lavoro è quindi titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni… Si osserva poi che, a opinare diversamente e così ad escludere un obbligo (giuridicamente rilevante) di collaborazione da parte del prestatore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, si depotenzierebbe in misura più che significativa l’obbligo di sicurezza cui il datore di lavoro è sicuramente astretto ai sensi dell’art. 2087 c.c.”.
[83] Trib. Roma, Ordinanza 20 agosto 2021, n. 79835.
[84] Trib. Velletri, Sentenza 14 dicembre 2021, n. 4236; contra, Corte Appello Torino, Sentenza 3 novembre 2022, secondo cui “Solo chi non si sia sottoposto alla vaccinazione per ragioni mediche documentate viene assegnato “a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione […]: chi, invece, non si sottopone alla vaccinazione senza motivazioni sanitarie non può svolgere l’attività lavorativa in nessuna forma. […] Del resto, la situazione di chi subisce l’altrui recesso dal rapporto di lavoro (come nel caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per sopravvenuta inidoneità alla mansione) è evidentemente ben diversa rispetto alla condizione del lavoratore che determina egli stesso la situazione di impossibilità a rendere la prestazione lavorativa per inosservanza di un obbligo di legge. La modifica dell’originario art. 4 comma 8 […] non ha quindi comportato un trattamento discriminatorio tra soggetti che non possono vaccinarsi per ragioni di salute e soggetti che volontariamente si sottraggono all’obbligo vaccinale, trattandosi, appunto, di situazioni tra di loro del tutto diverse”.
[85] Trib. Padova, Sezione Lavoro, Ordinanza 28 aprile 2022.
[86] Nello stesso senso, cfr. Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, Sentenza 20 luglio 2022, n. 1151, secondo cui “Appare, pertanto, del tutto logico e coerente con la stessa finalità dell’obbligo vaccinale introdotto per le professioni sanitarie e poi esteso a tutti i lavoratori che prestano servizio in strutture ove si erogano servizi di cura ed assistenza alle persone, ritenere che i dipendenti amministrativi […] che non operano in tali strutture non sono, di per sé, soggetti all’obbligo vaccinale, atteso che la ratio della normativa […] è quella di prevedere la necessità della vaccinazione solo per i lavoratori che, in concreto ed effettivamente, vengano in contatto con soggetti ricoverati o assistiti in strutture sanitarie ospedaliere, ambulatoriali o residenziali, onde scongiurare il rischio che i lavoratori non vaccinati possano intaccare le prestazioni di cura ed assistenza poste a tutela della salute pubblica. […] mancando il rischio specifico che la norma mira a neutralizzare e tenuto conto che egli non svolge le sue mansioni presso strutture dedicate all’assistenza e al ricovero dei pazienti, è inconfigurabile un obbligo di vaccinarsi a carico del lavoratore ricorrente e conseguentemente non risulta giustificata la sua sospensione dal servizio e dalla retribuzione”; contra, Corte Appello Torino, Sent. 3 novembre 2022 secondo cui “l’obbligo vaccinale vale quindi per tutto il personale dipendente delle “strutture” che esercitano attività sanitarie […] senza quindi distinguere né tra mansioni (sanitarie, amministrative, tecniche) cui il personale sia adibito né tra sedi cui i dipendenti siano fisicamente assegnati. […] Non rileva dunque la collocazione fisica dell’ufficio […] a ci è assegnato l’appellato, ossia il fatto che esso si trovi all’esterno dei luoghi in cui viene erogata l’attività sanitaria. La norma non prevede alcuna distinzione tra sedi prevalentemente adibite ad attività amministrative e quelle adibite ad attività sanitarie […]. La scelta del legislatore di estensione dell’obbligo vaccinale è ragionevole, non essendo possibile, in un ente che eroga servizi sanitari, tenere completamente e costantemente separato il personale a contatto con l’utenza da quello che svolge mansioni “d’ufficio”, così come è impossibile mantenere separate le aree in cui circolare l’utenza e il personale sanitario ad essa dedicato da quelle dove si svolgono le attività più propriamente tecniche o amministrative. L’interpretazione della norma fatta propria dal Tribunale vanifica l’obiettivo che si è posto il legislatore, e, cioè, quello di proteggere, da un lato, il personale, di fatto più esposto al contagio in quanto a contatto con persone potenzialmente contagiose, e dall’altro, l’utenza dei servizi sanitari”.
[87] Nello stesso senso, cfr. Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, Sentenza 20 luglio 2022, n. 1151.
[88] Nello stesso senso, cfr. Tribunale di Torino, Sezione Lavoro, Sentenza 20 luglio 2022, n. 1151, ivi.
[89] Nello stesso senso, cfr. Trib. Siena, Ordinanza 20 agosto 2022, secondo cui “la soppressione di ogni forma di sostegno economico per un periodo di tempo consistente e potenzialmente indeterminato determina effetti pregiudizievoli e irreparabili per la soddisfazione delle essenziali esigenze di vita del/la dipendente – v. art. 36 Cost. – che non abbia adempiuto all’obbligo vaccinale. Tra altro il/la dipendente sospeso/a dal servizio è impossibilitato/a a procurarsi altrimenti il reddito necessario per attendere alle ordinarie esigenze di vita, per via della conservazione dello status di dipendente pubblico e della conservazione del posto di lavoro, previste quali effetti dell’atto di accertamento. La privazione automatica e assoluta di ogni forma di sostegno economico per l’intera durata del periodo di sospensione dal servizio, senza possibilità di prevedere adeguate misure di sostegno economico, è […] irragionevole e sproporzionata anche in riferimento al principio di tutela della dignità dell’individuo, di cui all’articolo 2 della Costituzione”; contra, Corte Appello Torino, Sent. 3 novembre 2022, secondo cui “La temporanea privazione della retribuzione, inoltre, appare un contemperamento bilanciato nel perseguimento dell’obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute della collettività (a sua volta connesso con il principio di solidarietà), senza alcuna lesione degli artt. 4 e 36 Costituzione”. Cfr. anche Trib. Roma, Sezione Lavoro, Ordinanza 20 agosto 2021, n. 79825; Trib. Bergamo, Sezione Lavoro, Ordinanza 21 gennaio 2022, n. 239; Trib. Alessandria, Sezione Lavoro, Ordinanza 19 gennaio 2021.
[90] La vicenda è anteriore all’emanazione del decreto-legge n. 44/2021.
[91] Trib. Milano, Sezione Lavoro, Sentenza, 15 settembre 2021, n. 2135; nello stesso senso, cfr. Trib. Benevento, Sezione Lavoro, Sentenza 31 marzo 2022.
[92] Cfr. Nota del Ministero della Salute n. 5505 del 29 marzo 2022, cit.
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Avv. Andrea Persichetti
Dopo aver conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Camerino con tesi in Diritto Amministrativo ("Il principio di precauzione e la valutazione del rischio: il caso dei vaccini obbligatori"), ha svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino.
Svolge la professione di Avvocato occupandosi di diritto civile e di diritto del lavoro, con particolare riguardo alla materia previdenziale, alle questioni di infortunistica sul lavoro e controversie INAIL.
È abilitato a presentare istanze e ricorsi all'INPS ed è Intermediario abilitato a svolgere attività in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, ai sensi della Legge n. 12/1979.
Collabora con l’Ufficio del Massimario dell’Associazione dei Giovani Avvocati di Torino – AGAT ed è autore di articoli di interesse giuridico.
È iscritto all'Ordine degli Avvocati di Torino (Studio legale in Torino, Via Giannone n. 1 - Tel.: 011 51 11 005 - Mail: andreapersichetti91@gmail.com).