Trasmissibilità agli eredi dei debiti tributari del de cuius

Trasmissibilità agli eredi dei debiti tributari del de cuius

La Suprema Corte di Cassazione si è di recente pronunciata su un argomento di strettissima attualità: cosa accade ai debiti aventi natura tributaria contratti da un soggetto, quando questi passa a “miglior vita”?

Prima di analizzare il recente arresto della Suprema Corte, per trovare la risposta al quesito appare opportuno chiarire il quadro normativo applicabile al caso di specie. Al riguardo infatti, l’art. 470 del Codice civile prevede espressamente che L’eredità può essere accettata puramente e semplicemente o col beneficio di inventario. L’accettazione col beneficio di inventario può farsi nonostante qualunque divieto del testatore”.

L’accettazione dell’eredità è un negozio attraverso il quale un soggetto (chiamato erede) acquisisce il diritto all’eredità, con effetto decorrente dal giorno dell’apertura della successione, divenendo così titolare dei beni e dei diritti riferibili al patrimonio del de cuius. L’accettazione può manifestarsi in maniera espressa o tacita e può avvenire in maniera pura e semplice (ovverosia senza alcuna tipologia di riserva da parte dell’accettante), oppure con beneficio di inventario. Tale ultima modalità prevede che l’erede sia chiamato a rispondere di eventuali debiti contratti dal defunto, nel corso della propria vita, soltanto con il patrimonio attivo da questi ereditato.

Per tale ragione dunque, se il soggetto chiamato all’eredità opterà per l’accettazione con beneficio d’inventario, non si verificherà alcuna “fusione” fra il patrimonio dell’erede con quello del de cuius, il quale sarà tenuto al pagamento dei debiti del defunto soltanto entro i limiti dell’attivo della consistenza ereditaria, acquisita per effetto dell’eredità medesima.

E’ bene precisare, infine, che ai sensi dell’art. 480 c.c. il diritto all’accettazione dell’eredità si prescrive nel termine di 10 anni, decorrenti dal giorno dell’apertura della successione. L’avvenuta accettazione, così come la rinuncia, produce effetto retroattivo: il legislatore, infatti, ha voluto prevedere una fictio iuris secondo la quale l’erede si considera tale come se avesse accettato, o rinunciato, sin dal momento del decesso.

Posta questa doverosa premessa, possiamo ora tornare al quesito principale: l’erede risponde dei debiti tributari contratti dal de cuius? Il tema, ampiamente dibattuto in giurisprudenza, è stato oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la quale – con l’ordinanza n. 19030 del 17 luglio 2018 – ha ribadito il proprio orientamento sul punto, già maturato con la pronuncia n. 8053 del 29 marzo 2017.

In particolare, a parere del Supremo Collegio “la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio, oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c.”.

Per tale ragione, prosegue la Corte, l’assunzione della qualità di erede non può in alcun modo “desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede”.

In altri termini, le conseguenze, scaturenti dall’avvenuta accettazione dell’eredità, potranno dispiegare appieno i propri effetti – sia positivi che negativi – nei riguardi del chiamato soltanto a seguito della formale manifestazione di volontà, da parte dello stesso, a voler raccogliere l’eredità.

Un ultimo profilo merita, infine, di essere evidenziato.

Come già argomentato, la formale rinuncia all’eredità – producendo effetto retroattivo, ai sensi dell’art. 521 c.c. impedisce all’Amministrazione finanziaria di rivolgere la propria pretesa impositiva nei riguardi del soggetto rinunciatario: tale limite trova applicazione non soltanto nell’ipotesi in cui l’avviso di accertamento venga notificato in un momento successivo all’apertura della successione, ma anche qualora lo stesso sia divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte del soggetto, erroneamente individuato quale erede.

E’ questo, in sintesi, il principio di diritto statuito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13639 del 30 maggio 2018, prontamente recepito da parte della giurisprudenza di merito, a parer della quale «in tema di accettazione dell’eredità e dei debiti tributari il presupposto perché si possa rispondere dei debiti ereditari del de cuius è l’accettazione dell’eredità; un’eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario» (si veda, ex multis, C.t.r. per la Calabria, Sez. I, sent. n. 2284 del 20 luglio 2018).


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L'Avvocato Alessio Messina opera tra Palermo e Roma ed è specializzato in diritto tributario e diritto civile.

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