Trattamento fiscale del cashback

Trattamento fiscale del cashback

Accade ormai molto spesso che imprese operanti nei più diversi settori della distribuzione commerciale mettano in atto delle innovative politiche di marketing basate sullo strumento del cashback, il quale nel suo schema ricorrente prevede l’assegnazione di un premio in denaro che potrebbe ritenersi economicamente equivalente ad una restituzione a posteriori di una parte del prezzo pagato dai clienti per l’acquisto dei beni e servizi.

Si tratta più in particolare di una forma di scontistica effettuata con modalità indirette, non già attraverso una diretta riduzione del prezzo di vendita al pubblico bensì mediante la corresponsione al cliente, a posteriori, di un premio in denaro conseguente al raggiungimento di determinati target di acquisto da parte del cliente stesso.

Il cashback si configura perciò come uno strumento promozionale economicamente equivalente a uno sconto sui prezzi di vendita nominalmente applicati dell’impresa.

Si tratta a questo punto di verificare quali siano le conseguenze fiscali, in capo alla clientela che aderisce a queste operazioni promozionali, dell’incasso conseguente al c.d. cashback. In particolare, ci si deve chiedere se il cashback costituisca, per il cliente he lo riceve, un reddito tassabile.

A tale domanda si deve in linea di massima rispondere negativamente. Nel nostro ordinamento tributario, infatti, è tassabile non già qualsivoglia somma o utilità sia in grado di incrementare il patrimonio di un soggetto (come avverrebbe se fosse stata accolta una nozione fiscale di reddito nota come “reddito entrata”), bensì soltanto quelle somme e utilità che rappresentano la remunerazione e il “frutto” di una fonte produttiva. L’Irpef appare cioè ispirata al concetto di reddito noto come “reddito prodotto”. Anche se si tratta di un principio tendenziale che può essere talvolta derogato, occorre pur sempre individuare – per poter affermare la tassabilità di quanto si riceve da qualcuno – una categoria reddituale e una norma in cui collocare quanto ricevuto.

Orbene, con riguardo al premio in denaro ricevuto dal cliente di un’operazione promozionale, come conseguenza degli acquisti da egli effettuati presso una certa impresa o piattaforma commerciale, non sembra possibile individuare una norma di tal genere. Escluse per evidenti ragioni le categorie dei redditi “da attività” (lavoro dipendente, lavoro autonomo o impresa), come pure i redditi da fonte immobiliare o derivanti dal capitale finanziario, va parimenti escluso che ricorra una qualche ipotesi tra quelle elencate dalla norma sui redditi diversi, nemmeno quella residuale degli “obblighi di fare, non fare o permettere”. I clienti, nelle normali operazioni che prevedono un cashback, non assumono infatti alcun obbligo nei confronti dell’impresa, e quella del cliente che decide di acquistare dei beni o servizi non è una prestazione di “fare”, ma semmai una prestazione di “dare”.

Le conclusioni fin qui illustrate sembrano trovare supporto in una recente risposta a interpello (Risposta n. 338/2021), relativa a un’istanza presentata da una società operante nel settore del commercio elettronico che, avendo lanciato un’operazione di cashback (“sconto indiretto”) per invogliare i clienti ad effettuare determinati acquisti sulla piattaforma della società istante, aveva chiesto all’Agenzia delle Entrate di conoscere il corretto trattamento tributario, ai fini delle imposte sui redditi, degli importi corrisposti a titolo di cashback, con particolare riferimento agli eventuali obblighi di sostituzione tributaria sussistenti in capo alla società a seguito dell’erogazione.

Secondo la società che aveva presentato l’istanza il cashback sarebbe inquadrabile nel novero degli sconti commerciali, in quanto l’importo rimborsato al cliente a seguito degli acquisti effettuati ha la mera funzione di incentivare l’acquisto, riducendo indirettamente il prezzo lordo pagato, con la conseguenza che le somme corrisposte a titolo di cashback rappresentano un mero sconto assimilabile a quello praticato contestualmente all’acquisto.

Orbene, nella propria risposta all’interpello l’Agenzia delle Entrate ha dapprima affermato che l’operazione si sostanzia nella restituzione all’acquirente di una parte delle spese effettuate online sul portale della società, a nulla rilevando la circostanza che lo sconto sia erogato successivamente e da un soggetto diverso dal fornitore del bene o servizio acquistato, e quindi ha concluso per l’intassabilità, per i clienti, delle somme erogate dalla società (“Ne consegue che, nel caso di specie, il Cashback corrisposto non rientrando in nessuna delle categorie reddituali previste dall’articolo 6 del Testo unico delle imposte sui redditi non risulta assoggettabile ad imposizione”).

In effetti, per il cliente che riceve il cashback questo corrisponde, nella sostanza e dal punto di vista economico, a un risparmio di spesa e uno sconto sulla merce acquistata, più che ad un introito autonomamente rilevante (fermo restando che in ogni caso, per affermarne la tassabilità, occorrerebbe incasellarlo in una ben specifica ipotesi reddituale, che però non è possibile individuare nella legislazione vigente).

Diversa è invece la conclusione cui giunge l’Agenzia delle Entrate con riguardo all’ipotesi in cui, invece, venisse riconosciuto dall’impresa al cliente una somma per la segnalazione di altri clienti (ad esempio, con la formula “porta un amico”), sia in misura fissa che in misura percentuale, in base agli acquisti dagli stessi effettuati. In tale ipotesi, infatti, secondo l’Agenzia le somme corrisposte costituirebbero un reddito diverso rientrante tra quelli di cui all’articolo 67, comma 1, lettera l), del Tuir (redditi derivanti da obblighi di fare, non fare o permettere). In questi casi, in effetti, il soggetto che si obbliga a segnalare all’impresa dei nuovi clienti per riceverne un premio, compie quella pur minima attività che consente di inquadrare il suo “compenso” (che non può più essere visto come un mero risparmio di spesa né certo gli viene erogato per spirito di liberalità dell’impresa) tra i redditi diversi.


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Michela Casarsa

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