Accordi prematrimoniali: reale validità o mera innovazione?
L’accordo prematrimoniale è un contratto stipulato da due soggetti prima del matrimonio, con la volontà di stabilire l’assetto delle proprietà e delle responsabilità economiche di ciascun soggetto in caso di divorzio.
Lo scopo di tale accordo è di prevenire le future e potenziali controversie giudiziarie, cercando di rendere più amichevole un’eventuale separazione e riducendo altresì il rischio di dispute lunghe e costose.
Questi accordi, nonostante siano ampiamente utilizzati in ambito internazionale, sono sempre risultati nulli nel panorama italiano fino all’ordinanza 20415/2025 della Corte di Cassazione. (1)
Con tale ordinanza è infatti divenuta lecita la scrittura privata che preveda obblighi economici da adempiere per le parti, nel caso in cui si verifichi una separazione o un divorzio, purché non contrastino con i principi di legge, di ordine pubblico e di buon costume.
Prima di questo momento, in Italia, gli accordi prematrimoniali venivano ritenuti nulli, in quanto vi era una visione limitata del matrimonio, la quale necessitava di essere svecchiata ed adattarsi al panorama moderno, tutelando realmente i singoli individui. Ciò avveniva per alcune ragioni: – la considerazione del matrimonio come un atto “personalissimo” e non come un contratto; – l’inderogabilità dei diritti e doveri dei coniugi sancita dall’art. 160 c.c., la quale era utilizzata per giustificare la necessità di tutelare la libertà dei coniugi, evitando che uno dei due potesse essere indotto a sottoscrivere accordi di natura vessatoria o per preservare l’intangibilità dei principi cardine del matrimonio e contrastare qualsiasi patto che avesse come “condizione” la fine del matrimonio, condizione che era vista come contraria ai principi dell’ordinamento; – si pensava che questi accordi incentivassero il divorzio; – si aveva una visione di tali accordi come quasi un “commercio” sui diritti indisponibili, i quali sono considerati non negoziabili tra privati.
Tuttavia la seguente interpretazione può considerarsi misoneista, individuabile in un concetto di matrimonio che non tutela nessuna delle due parti, legata ad un’idea antica e obsoleta dell’istituto, il quale non veniva adattato realmente alle necessità, al volere e ai bisogni di soggetti coinvolti.
Un atto così personale, non dovrebbe poter essere mirato a perseguire gli interessi e le volontà di chi decide di porlo in essere, ed assicurare una reale tutela di entrambi i soggetti?
I principi cardine in nome del quale i patti prematrimoniali non venivano riconosciuti come validi, quali l’assistenza morale e materiale reciproca, non finiscono per essere interpretati secondo una logica obsoleta piuttosto che alla luce del diritto vivente?
Il diritto vivente infatti, tiene conto dell’evoluzione del diritto nella pratica, come riflesso dei valori sociali e culturali, che si forma attraverso un dialogo continuo tra la legge e l’effettiva applicazione della stessa nella realtà, in maniera coerente e stabile.
Non svecchiando la concezione del matrimonio, il significato delle norme scritte non viene adattato al contesto sociale, ma risulta privo della concretezza e dinamicità necessaria.
Se quindi vi sia da una parte la tutela dei diritti e doveri dei coniugi, d’altra parte non viene tutelato l’individuo nella sua libertà di contrarre matrimonio e al contempo di poter decidere quali potrebbero essere le conseguenze future in caso di divorzio.
Gli accordi prematrimoniali sono riconosciuti internazionalmente e un esempio ne sono gli Stati Uniti con i c.d. “Prenup” o “Prenuptial agreement”, molto diffusi, allo scopo di evitare l’incertezza e lo stress che spesso derivano dai procedimenti legali, nonché per evitare procedimenti di separazione lunghi e costosi.
Dunque, lo scopo principale dei contratti prematrimoniali è quello di ridurre i potenziali conflitti, delineando chiaramente e anticipatamente i termini del divorzio, secondo il volere di entrambe le parti, liberamente e secondo le proprie necessità, evitando un momento di sofferenza, seguito da un contenzioso, che potrebbe sfociare in un contesto poco amichevole.
L’istituto del matrimonio dunque non sarebbe più limitato da concezioni che non rispecchiano l’evoluzione del contesto sociale, ma diverrebbe un istituto in cui i soggetti possono concretamente adeguare il contesto legale alle proprie esigenze, garantendosi una serenità e tutela a monte, anche laddove di quell’accordo stipulato prima del matrimonio non ce ne sia effettivamente bisogno.
E’ per questo motivo che l’ordinanza 20415/2025 della Corte di Cassazione è innovativa per l’ordinamento italiano.
L’accordo prematrimoniale non è più nullo a priori, ma è riconosciuta una forma negoziale, espressione dell’autonomia privata, nei limiti posti dall’ordinamento.
Dunque tali accordi sono legittimi quando la causa genetica degli stessi non è il “fallimento” del matrimonio, ma viene preso in considerazione il medesimo solo come un evento futuro e incerto.
In considerazione di un divorzio che potrebbe non verificarsi, è quindi lecita una scrittura privata che prevede obblighi economici proporzionati e non lesivi dei diritti indisponibili.
La Cassazione ha definito tali accordi come contratti atipici con condizione sospensiva lecita. (2)
Ai sensi dell’art.1322 c.c., i privati possono stipulare i contratti atipici, purché diretti a realizzare “interessi meritevoli di tutela” che, in questo caso, consisterebbero nel regolare i rapporti patrimoniali per evitare future controversie.
Il riferimento alla condizione sospensiva lecita riguarda invece l’efficacia del contratto, che è sospesa fino a quando non si verifichi eventualmente la separazione o il divorzio, quale evento futuro e incerto.
Il controllo su tali accordi spetta al giudice, che deve verificare che gli stessi non siano lesivi dei diritti fondamentali del coniuge economicamente più debole o dell’interesse dei figli, e di conseguenza modificarlo o invalidarlo.
Orbene, in Italia, non esiste una figura legale di accordo prematrimoniale corrispondente al modello statunitense, ma è possibile stipulare un contratto atipico per regolare gli aspetti patrimoniali in caso di separazione, con lo scopo di riequilibrare il patrimonio tra i coniugi e purché non si configuri come l’elusione dell’assegno di mantenimento. Non deve inoltre violare l’ordine pubblico, il buon costume e i diritti fondamentali e non deve ledere gli interessi dei figli.
Nel caso in cui una delle due parti non rispetti l’accordo, esso ha valore vincolante e in caso di inadempimento la parte potrà farlo valere in giudizio.
E’ possibile quindi stabilire la gestione dei beni, la destinazione dei beni acquistati durante il matrimonio e la restituzione di somme versate durante il matrimonio per specifiche finalità (come acquisto di beni o ristrutturazioni). Non è possibile invece stipulare patti che riguardino i figli, ad esempio per l’affidamento, o che abbiano lo scopo di escludere l’assegno di mantenimento per il coniuge e i figli.
Orbene, la funzione dei patti prematrimoniali è quella di permettere ai coniugi di decidere preventivamente e in maniera vincolante, come verrà diviso il loro patrimonio in caso di divorzio.
Ciò avvicina la visione italiana del matrimonio ad una concezione moderna, basata sulla libertà e sulla responsabilità individuale.
Nonostante l’apertura verso l’accordo prematrimoniale sia stata una svolta storica, vi sono delle criticità che ancora emergono dalla sua attuazione: la mancanza di una normativa specifica che disciplini la materia, accompagnata da un’esiguità di sentenze favorevoli in tal senso; il mancato riconoscimento di una previsione circa l’ipotetico assegno in caso di separazione, non rendendo possibile un ampio margine di decisione circa le modalità di gestione nel caso concreto; la necessità di una struttura tecnica che richiede la non violazione di norme imperative e che rischia di rendere nullo l’accordo a causa di un contratto non redatto adeguatamente o che presenta clausole ambigue; il possibile uso indebito del contratto per eludere gli obblighi di mantenimento o al contrario vincolare indebitamente l’altro coniuge.
E’ vero che, laddove vi sia da parte un’apertura notevole nei confronti degli accordi prematrimoniali, dall’altra, ancora non può parlarsi di un patto che consente liberamente agli individui di regolare tutte le situazioni derivanti dal divorzio.
L’uso di tale patto potrebbe permettere maggiore trasparenza e responsabilità reciproca nella coppia, ma non è ancora utilizzabile con le stesse modalità con cui viene applicato a livello internazionale, che permetterebbero di avere una tutela reale e completa delle volontà personali dei soggetti e che consentirebbero agli individui di decidere in maniera effettiva sulle modalità e conseguenze in caso di divorzio.
Nonostante ciò, l’ordinanza 20415/2025 della Corte di Cassazione resta una svolta storica nel panorama italiano, che si spera porti ad un’apertura sempre maggiore nei confronti dell’istituto, producendo un’internazionalizzazione del nostro ordinamento.
Busani A., La Cassazione apre ai patti prematrimoniali, Il Sole 24 ore, 2025. Disponibile su: https://www.ilsole24ore.com/art/la-cassazione-apre-patti-prematrimoniali-AHgqIy8B?refresh_ce=1
Corte di Cassazione, Ordinanza n. 20415/2025
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Gabriella Barcellona
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