Adozioni internazionali e single: svolta della Consulta

Adozioni internazionali e single: svolta della Consulta

Sommario: 1. Il caso – 2. L’ordinanza di remissione e l’intervento del Presidente del Consiglio – 3. La pronuncia della Corte Costituzionale – 4. Osservazioni – 5. Le implicazioni normative – 6. Le adozioni delle coppie same sex nello scenario attuale – 7. Il riconoscimento delle adozioni internazionali estere – 8. Quale lo scenario futuro?

 

1. Il caso

Lo scorso marzo la Corte Costituzionale[1] è intervenuta con una decisione di particolare rilievo in materia di diritto di famiglia, dichiarando l’illegittimità costituzionale del divieto per le persone non coniugate di accedere ai percorsi di adozione internazionale. La pronuncia segna un punto di svolta nel riconoscimento della genitorialità al di fuori del paradigma matrimoniale, ponendosi in linea con l’evoluzione del concetto di famiglia nell’ordinamento costituzionale e sovranazionale.

La questione trae origine dalla dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale presentata da una cittadina, R.B., al Tribunale per i minorenni di Firenze. Pur essendo in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge, la ricorrente sarebbe dovuta essere esclusa dalla procedura per il solo fatto di non essere coniugata. Secondo il Tribunale per i minorenni di Firenze tale preclusione si pone in contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU e art. 2 Cost., nella misura in cui comprimono in modo irragionevole il diritto alla autodeterminazione e alla vita privata.

Viene, dunque, sollevata una questione di legittimità costituzionale, nello specifico, relativa all’art. 29bis, comma 1, nonché al successivo art. 30, comma 1, della Legge n. 184 del 1983, nella parte in cui non consentono alla persona non coniugata residente in Italia di intraprendere un percorso di adozione internazionale e al giudice di dichiararne l’idoneità, sebbene siano state positivamente accertate le attitudini genitoriali.

2. L’ordinanza di rimessione e l’intervento del Presidente del Consiglio

Nell’ordinanza di rimessione si pone in luce come il divieto per le persone non coniugate si fondi sull’auspicio di garantire solo teoricamente la più ampia tutela al minore. In realtà, dice il Tribunale, tale previsione non risponde né ai principi di ragionevolezza e proporzionalità né realizza effettivamente benefici superiori ai sacrifici che, di contro, vengono imposti al diritto di autodeterminazione e al diritto alla vita privata e familiare.

Si è costituito, di contro, il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo l’inammissibilità della questione per erronea indicazione dell’oggetto ed in quanto eventuale principio di “un’inaccettabile discrasia sistematica” tra la disciplina dell’adozione internazionale e quella interna. Secondo l’Avvocatura dello Stato, non solo è necessario considerare lo squilibrio che si creerebbe rispetto alla preclusione per i single di accedere ai percorsi adottivi interni ma si dovrebbe anche considerare che sarebbe più opportuno apprezzare la denunciata distonia tra il mutato contesto sociale e il tessuto normativo attuale nelle sedi politiche.

3. La pronuncia della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, pertanto, ha esaminato preliminarmente le due eccezioni di inammissibilità, ritenendole entrambe infondate. Ha poi delimitato l’oggetto della questione al solo art. 29bis, in quanto laddove accogliesse la questione ne conseguirebbe l’impossibilità per il Tribunale di emettere un decreto di insussistenza dei requisiti (ex art. 30) solo sulla base dello stato libero del richiedente.

Entrando dunque nel merito della questione, la Corte ha ricostruito come il legislatore italiano nel 1983 abbia riformato la disciplina delle adozioni internazionali inserendo all’art. 6, comma 1, della L. n.184/1983 il requisito del coniugo per intraprendere il percorso adottivo, allontanandosi dalla tradizione di matrice romanistica.  Nella stessa legge, dall’altro canto, si riconosce in ben 3 ipotesi l’astratta idoneità della persona singola a garantire un ambiente stabile e armonioso al minore adottato. Per di più, si tratta di ipotesi particolari, tutt’altro che prive di criticità sul piano esistenziale (artt. 25 co. 4-5 e 44).

Ciò premesso, la Corte ritiene che le ingerenze al diritto alla vita debbano essere adeguate e appropriate rispetto allo scopo legittimo perseguito, tali da assicurare un equilibrio tra i diversi interessi rilevanti in gioco. Sebbene sia riconosciuto alle autorità nazionali un margine di discrezionalità, quest’ultimo deve essere calibrato alle condizioni del presente e dipende anche dal grado di consenso tra gli Stati contraenti in ordine al riconoscimento di un determinato diritto o facoltà[2].

La scelta di inserire il requisito del coniugo, se poteva trovare giustificazione nel 1983 in quanto finalizzata a garantire al minore lo status di “figlio legittimo” e una tutela giuridica più ampia, ad oggi non risulta più ragionevole. Ormai dal 2013, infatti, sono venute meno le differenziazioni in materia ed è previsto un unico status filiationis (art. 315 c.c.).

La preferenza per la bigenitorialità non può fondarsi neppure sulla garanzia per il minore di venire accolto in un “ambiente stabile e armonioso” avendo lo stesso legislatore, ed anche stessa la giurisprudenza della Corte Costituzionale, già riconosciuto l’idoneità della persona singola a rispondere al principio del foyer stable et harmoniuex. Il sistema peraltro prevede che tale idoneità sia valutata in concreto dal relativo Tribunale per i minorenni adito, il quale terrà conto anche del contesto familiare di riferimento e dovrà accertare che l’adottante persona singola soddisfi i requisiti di età e dimostri idoneità affettiva, nonché capacità di educare, istruire e mantenere i minori che intenda adottare.

Per le ragioni sinora esposte, la Corte riconosce, dunque, che il divieto per i single risulta contrario ai dettami della CEDU e della nostra Costituzione ed accoglie la questione di legittimità sollevata.

4. Osservazioni

La decisione della Corte ha indubbiamente una portata storica significativa e costituisce un primo importante passo per l’allineamento dell’Italia agli standard internazionali in materia di adozione.

A livello europeo, infatti, si registra ormai un ampio consenso rispetto all’idoneità delle persone non coniugate all’adozione di minori. Nello specifico, i single possono accedere ai percorsi di adozione internazionale in Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Albania, Bielorussia, Bulgaria, Kosovo, Lettonia, Moldova, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Ucraina[3]. Allargando l’orizzonte, l’idoneità del singolo è riconosciuta anche in Messico, Perù, Costa Rica, Ecuador, Vietnam, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Kenya, Benin, Capo Verde, Ciad, Mali, Nigeria, Repubblica del Congo, Senegal, Sierra Leone, Tanzania, Togo ed ancora altri[4].

Se da una parte la difesa dello Stato richiama il valore della famiglia unita dal matrimonio ai sensi dell’art. 29 Cost., dall’altra si preferisce in questa sede ricordare come l’art. 2 Cost., norma aperta e programmatica, riconosca e garantisca i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richieda l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il principio personalista, così delineato, si realizza pienamente solo quando l’organizzazione sociale assume come fine ultimo lo sviluppo integrale di ogni persona umana, riconoscendo che non è la persona a essere al servizio dello Stato, ma lo Stato a dover essere al servizio della persona.

Se la funzione del controllo della Consulta è di accertare la congruità delle scelte legislative con l’insieme dei principi della Costituzione, pertanto, a modesto parere di chi scrive, la decisione non poteva non riflettere la realtà socio-politica odierna e le sue formazioni sociali.

La Corte Costituzionale dal 2010 in poi ha precisato in più occasioni come nell’alveo delle formazioni sociali di cui all’articolo 2 della Costituzione debbano ricomprendersi senza dubbio le coppie omossessuali unite civilmente[5]. La legge n. 76 del 2016 che regolamenta le unioni civili, non a caso, riporta espressamente tale considerazione all’articolo 1. L’evoluzione del comune sentire ha trovato esplicito riferimento anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale è giunta ad esprimersi sulla non influenza dell’orientamento sessuale in merito all’affidamento di minori[6].

Oltre alla ragionevolezza del divieto e alla discriminazione nei confronti dei possibili adottanti, ancor più doveroso appare osservare il punto di vista dei minori. Se l’obiettivo della normativa è tutelare e garantire il più possibile l’interesse del minore ad essere adottato, deve tenersi conto anche dell’ampiezza della platea dei possibili adottanti, già di per sé in diminuzione ed in questo modo drasticamente ridotta e limitata.

Basta esaminare i rapporti annuali della Commissione per le Adozioni internazionali (CAI), costituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a seguito della ratifica della Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, per constatare come il numero di persone sposate che richiedono di accedere ai percorsi di adozione internazionale sia in calo da anni.

Se nel 2011 ben 3.154 coppie presentavano la dichiarazione di disponibilità all’adozione, dopo qualche anno, già nel 2016 il numero risultava essere in calo del 51%[7]. Il trend negativo delle domande è continuato anche per gli anni a seguire[8] sino al minimo storico del 2019, in cui il dato è sceso per la prima volta sotto la soglia delle mille unità (969). Complice anche l’avvento del Covid, nell’ultimo rapporto pubblicato nel 2023 si registrano solo 478 coppie.

Questo elenco di dati inizialmente potrebbe non suscitare allarme, almeno fino al momento in cui si adotta un diverso punto di vista e ci si pone finalmente dalla parte dei minori in stato di abbandono, che ogni anno vedono affievolirsi la speranza di essere effettivamente adottati.

In totale nel 2016 i minori per cui effettivamente veniva rilasciata l’autorizzazione all’ingresso in Italia sono stati 1.874. Nel 2017 si registrava una contrazione del 23% rispetto all’anno precedente e del 54% rispetto al 2012. Come evidenziato, il trend negativo non si è arrestato, sino ad arrivare al 2023 con soli 585 minori stranieri adottati.

Ebbene, è necessario ricordare che molti di questi bambini sono destinati a trascorrere lunghi periodi – se non l’intera infanzia – all’interno di strutture residenziali, dove la separazione dalla famiglia d’origine si somma a condizioni che espongono a gravi rischi. Come rilevato da Cornelius Williams, Direttore Associato dell’UNICEF per la protezione dell’infanzia, tali contesti, seppur spesso nati con finalità protettive, possono amplificare la vulnerabilità dei minori, esponendoli a maggiori probabilità di subire abusi, violenze e conseguenze durature sul piano cognitivo, emotivo e sociale.

5. Le implicazioni normative

 Le osservazioni avanzate, sebbene estendibili anche all’adozione nazionale, restano limitate all’adozione internazionale.

La discrasia giuridica che si è venuta a creare con la pronuncia della Consulta era stata legittimamente avanzata e la Corte costituzionale aveva inizialmente ritenuto che la questione riguardasse il merito, riservandosi di valutare eventualmente la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di illegittimità consequenziale che investisse direttamente anche l’adozione interna. Nel corpo della decisione, però, la Corte non ha allargato lo sguardo all’art. 6 della legge n. 184 del 1983 e di fatto l’adozione nazionale resta preclusa alle persone non coniugate.

Si può immaginare, dunque, una prossima questione di legittimità costituzionale che abbia ad oggetto specifico l’art. 6 della stessa legge al fine di eliminare questo squilibrio normativo creatosi. In ogni caso, sarebbe auspicabile una riforma dell’intera disciplina delle adozioni, alla luce anche di tutte le evoluzioni che ha subito di recente il diritto di famiglia.

Non si può, infatti, ignorare la platea di persone legate da un’unione civile (ai sensi della legge n. 76 del 2016) e più in generale la realtà delle coppie same sex, parte integrante dell’odierno substrato sociale, con cui inevitabilmente la Repubblica deve confrontarsi e a cui, soprattutto, deve garantire tutele.

6. Le adozioni delle coppie same sex nello scenario attuale

L’art. 6 della legge n.184 del 1983 impone, infatti, un ulteriore paletto. L’ordinamento italiano nega la possibilità di accesso ai percorsi adottivi a persone same sex anche se unite civilmente, date la differenziazione ad oggi tra quest’ultima e il vincolo coniugale. La sentenza della Corte, però, delinea un nuovo scenario, potendo la persona, a prescindere dal suo orientamento, adottare in quanto individuo singolo. Resterebbe, dunque, la preclusione per l’adozione della coppia same sex in quanto tale.

Nell’attesa di possibili future pronunce costituzionali anche su questo fronte, ci si addentra attualmente in un ambito molto delicato, gestito con una serie di espedienti. Ammessa l’adozione al partner singolarmente considerato, è possibile, infatti, in un secondo momento, avviare un procedimento di “adozione in casi particolari” (tra cui rientrano le ipotesi eccezionali di cui sopra della legge 1983), dimostrando che il minore ha un legame affettivo e un rapporto di tipo genitoriale anche con l’altro partner same sex.

Si parla della cosiddetta stepchild adoption, formula che trae origine da una sentenza della Cassazione[9], la quale ha stabilito che l’art. 44, comma 1, lett. d) della L. 184 del 1983 (adozione in casi particolari) mira a dare riconoscimento giuridico – previa attenta verifica della sua rispondenza all’interesse del minore – a relazioni affettive stabili e durature instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione assimilabili a quelli tipicamente genitoriali.

È bene, però, precisare come questa sia una “forzatura” dell’interpretazione del requisito “dell’impossibilità di affidamento preadottivo” (in questo caso “di diritto” e non “di fatto”). In nome del principio del best interest del minore, infatti, si inserisce l’adozione co-parentale all’interno di una fattispecie formulata secondo una diversa ratio, ovvero il tentativo di garantire maggiormente l’adozione per quei minori rispetto ai quali non sussistono i requisiti necessari ad un’adozione piena, ma per i quali, ad ogni modo, l’adozione è auspicabile e conveniente.

7. Il riconoscimento delle adozioni internazionali estere

La questione si intreccia altresì con il riconoscimento e la trascrizione nei registi dello stato civile italiano delle adozioni internazionali (o meglio “adozioni estere”[10]) avvenute all’estero da parte di persone single o da parte di persone dello stesso sesso. Una pratica altrettanto comune è, infatti, quella di procedere con l’adozione in Stati in cui tale procedura è ammessa anche per le coppie same sex, con la successiva richiesta di trascrizione della stessa nei registri civili dello Stato italiano, ai sensi dell’art. 36, co. 4 della Legge n. 184 del 1983 e dell’art. 41 della Legge n. 218/1995.

Il tema ha registrato un’evoluzione significativa e alcuni progressi sono già stati compiuti grazie ad interventi giurisprudenziali che hanno posto l’accento sulla necessità di tenere conto dello squilibrio che si determina a danno del minore in assenza di un adeguato riconoscimento giuridico della sua situazione.

Difatti, se non si riconoscesse in Italia l’adozione del minore pronunciata all’estero, quest’ultimo avrebbe uno status diverso a seconda dell’ordinamento di riferimento, ovvero risulterebbe essere figlio adottivo “pieno” nel Paese in cui l’adozione ha avuto luogo e figlio adottivo “in casi particolari” in Italia[11].

In un primo momento, la questione è stata affrontata dalla Cassazione nel 2011 con esito, però, negativo[12], essendo rimesso al legislatore nazionale l’ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona. Dal 2017 in poi, con il cambiato sentire comune conseguente all’entrata in vigore della legge sulle unioni civili del 20 maggio 2016, la Corte d’Appello di Milano[13] si concentra sulla migliore tutela dell’interesse del minore ed accoglie l’istanza di trascrizione di un provvedimento di adozione emesso negli Stati Uniti. Nello stesso anno anche il Tribunale per i minorenni di Genova riconosce l’efficacia in Italia dell’adozione piena di un bambino disposta da un provvedimento straniero (precisamente del Benin) da parte di una donna non coniugata[14].

Rilevante è la pronuncia del 2018 con cui la Cassazione[15] dichiara efficace la trascrizione nei registri di stato civile di un sentenza francese di adozione piena di due minori ciascuno da parte della partner della rispettiva madre biologica, dato l’interesse superiore del minore al mantenimento delle positive relazioni affettive ed educative che con loro si sono consolidate, prescindendo dall’orientamento sessuale di quest’ultime, il quale non incide sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale[16].

Inizia a consolidarsi, dunque, l’indirizzo secondo cui non costituirebbe principio di ordine pubblico la scelta del legislatore italiano di riservare l’adozione “piena” alle sole coppie coniugate, posto che molti Stati europei consentono l’adozione piena da parte di singoli e posto il preminente interesse del minore[17].

Negli ultimi anni, la Corte Costituzionale ha più volte chiarito che negare al minore adottato la possibilità di instaurare rapporti familiari con i parenti dell’adottante rappresenta una forma di discriminazione. Questo perché si viola il principio dell’unicità dello status di figlio e si compromette la condizione giuridica del minore, nonché la sua identità, che si definisce proprio attraverso il suo inserimento in una nuova realtà familiare. L’identità del bambino è segnata da questa duplice appartenenza, e negare i rapporti instaurati tramite l’adozione — come se i legami biologici potessero compensarli — significa negare quella stessa identità, in contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione.[18] Si è giunti così alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 55 della Legge n. 184 del 1983 nella parte in cui rinvia all’art. 300, comma 2, del Codice civile.

Da ultimo, si inserisce nell’ambito ivi trattato la recentissima sentenza della Corte di Cassazione dell’8 aprile[19], in riferimento al decreto ministeriale del 31 gennaio 2019 che imponeva la dicitura “madre/padre” nelle carte di identità valida per l’espatrio dei minori. Già la Corte distrettuale di Roma aveva ricordato che secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di legittimità anche l’adozione del minore in casi particolari produceva effetti pieni, con il riconoscimento della relazione di parentela con i familiari dell’adottante.  Pertanto, non era possibile stabilire delle regole in base alle quali sulla carta di identità potessero essere indicati dati personali difformi dalle risultanze dei registri da cui quei dati erano estratti (nel caso di specie il minore era figlio naturale di una delle due donne e figlie adottivo dell’altra).

Merita particolare attenzione quanto affermato dalla Corte di Cassazione, che, nel respingere il ricorso, ha sottolineato come le formulazioni previste dal decreto non rispecchiassero tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari, compromettendo così il diritto del minore ad avere una carta d’identità che riflettesse adeguatamente la sua specifica situazione familiare[20].

8. Quale lo scenario futuro?

Tutto quanto riportato dimostra come gli orientamenti della Corte Costituzionale ma anche della Cassazione si siano evoluti nel tempo e stiano tracciando un solco ben definito, in cui si inserisce pienamente anche la pronuncia della Corte Costituzionale, in cui il “centro di gravità” è il minore e il perseguimento del best interest di quest’ultimo.

Dato il principio costituzionale di non discriminazione, è opportuno differenziare ancora l’unione civile dal vincolo coniugale? Nel contesto storico attuale, in cui si è riconosciuta ampliamente la non contrarietà all’ordine pubblico di pratiche quali la stepchild adoption, le sedi politiche nello stabilire questa ingerenze davvero rispondono al comune sentire dei soggetti che rappresentano?

Il tema è estremamente attuale e pregno di considerazioni politiche e personali. Si pensi anche al riconoscimento del vincolo genitoriale tra un minore nato con la pratica della PMA e il genitore non biologico same sex di quello biologico. Sarebbe necessario, però, aprire un discorso altrettanto ampio e complesso, per cui ci limitiamo a ricordare una recente sentenza della Corte Costituzionale[21] nella quale si pone in luce una differenza definita essenziale tra l’adozione e la procreazione medicalmente assistita (PMA). L’adozione, essendo il minore già in vita, non serve a soddisfare l’aspirazione genitoriale della coppia, ma precipuamente a dare una famiglia al minore che ne è privo, e, dunque, la disciplina muove dall’intento di tutelare il più possibile l’interesse del minore a mantenere relazioni affettive di fatto già instaurate e consolidate con i genitori adottivi. La PMA, invece, è una pratica volta al concepimento di un figlio e al compimento di un progetto di genitorialità, la cui disciplina mira a garantire al minore quelle che, secondo la valutazione del legislatore, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni di partenza.

La stessa Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in materia di PMA a favore di persone dello stesso sesso sia nel 2019 sia nel 2020, ha dichiarato inammissibile in entrambi i casi le questioni sollevate[22], sebbene abbia auspicato un intervento normativo.

Nel mentre la Corte procede con l’individuazione di principi costituzionali da porre a fondamento della normativa, da ultimo con la recentissima sentenza depositata lo scorso maggio[23], con la quale ha dichiarato l’illegittimità del mancato riconoscimento delle genitorialità della c.d. mamma intenzionale rispetto al figlio nato dalla partner same sex ricorsa alla PMA.

Il caso di specie risulta essere particolarmente complesso e delicato. La coppia aveva già ottenuto il riconoscimento di maternità per la prima figlia, mentre l’altro figlio – nell’ipotesi di mancato accoglimento del ricorso – sarebbe risultato figlio solo della madre biologica, con esclusione di ogni legale con la madre intenzionale e, soprattutto, con la sorella. I due bambini, infatti, non sarebbe stati ritenuti provenienti dallo stesso stipite, posto che ognuno vedrebbe riconosciuto lo status di figlio della sola madre biologica (che corrisponde, per ciascuno dei figli, ad una diversa delle due componenti della coppia).

Le eccezioni e le deduzioni delle ricorrenti e dell’Avvocatura dello Stato si sono incentrate proprio sull’adeguatezza dello strumento dell’adozione in casi particolari a rispondere agli interessi costituzionali in gioco e sulla impossibilità per la Consulta di violare la separazione dei poteri[24].

Ciò che preme sottolineare anche in questa sede è che il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari e l’acquisizione dello status di figlio sono subordinati allo svolgimento di un procedimento, con costi, tempi ed alea conseguenti. Inoltre, l’eventuale esito positivo del procedimento spiega effetto solo dal suo perfezionamento, esponendo il minore alle vicende della coppia.

La riforma della materia, ad ogni modo, implica, una svolta che per i suoi contenuti etici ed assiologici attiene necessariamente all’area di intervento del legislatore e al suo ruolo di interprete della volontà della collettività, degli orientamenti e delle istanze maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale.

La Corte Costituzionale ha chiarito a più riprese che l’auspicio sia l’intervento legislativo in materia, con un allineamento della disciplina degli anni Ottanta alla società odierna, con il fine ultime di salvaguardare il preminente interesse del minore.

E di qui anche la volontà di chi scrive di porre all’attenzione del Lettore la complessità della materia e l’auspicio di una riforma della disciplina, lontana da ragionamenti e modelli sociali già ampiamente superati ed elaborati dal comune sentire.

Come insegnano gli autori più illustri della filosofia del diritto, quest’ultimo deve evolvere ed adeguarsi ai mutamenti del substrato sociale in cui si cala, in un costante dialogo con la realtà sociale.

Se il principio cardine resta indiscutibilmente il perseguimento del miglior interesse del minore, dovrebbe tenersi a mente che, guardando gli occhi di questi bambini, l’unico diritto che emerge è quello di essere amati.

[1] Corte Cost. n. 33/2025.
[2] Corte EDU, sentenza 15 novembre 2016, Dubská e Krejzová contro Repubblica Ceca.
[3] Ai sensi, rispettivamente dell’articolo 343-1 del Codice civile francese; Children Act del 1989; Legge n.54/2007; art. 1741 BGB; art. 242 del Codice della Famiglia della Repubblica di Albania; Codice della Repubblica di Bielorussia del matrimonio e della famiglia; Codice della Famiglia della Bulgaria; art. 164 della Legge sulla famiglia della Repubblica del Kosovo; art. 163 del Codice civile lettone; Legge n. 99 del 28 maggio 2010 della Repubblica di Moldova; art. 1697 del Codice Civile portoghese; art. 800 del Codice civile ceco; Legge sull’adozione della Romania; art. 211 del Codice della Famiglia dell’Ucraina.
[4] Per informazioni più dettagliate consulta il sito della Commissione per le Adozioni internazionale, al link https://www.commissioneadozioni.it/per-una-famiglia-adottiva/paesi/.
[5] Corte Cost. sent. n. 138/2010; sent. n. 170/2014; sent. n. 221/2019. In particolare, la sent. n. 138/2010 è la prima sentenza della Corte costituzionale in materia di matrimonio same sex, con la quale si riconosce che nel quadro dell’art. 2 Cost. “è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
[6] Cass. sent. n. 601 del 2013; Cass n. 12692 del 2016. In particolare, con questa sentenza per la prima volta la Cassazione l’adozione co-parentale (c.d. stepchild adoption), ossia l’adozione da parte del genitore sociale all’interno delle famiglie omogenitoriali. In particolare, la Corte sottolinea che il ritenere la relazione tra due persone dello stesso come potenzialmente dannosa e contrastante con l’interesse del minore sarebbe una valutazione aprioristica con natura discriminatoria e senza alcuna evidenza scientifica. Si veda anche Corte di Cassazione, Sez. I civile, n. 601 del 2013.
[7] I dati ivi riportati sono ripresi dai Rapporti annuali sulle adozioni internazionali redatti dalla Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, consultabili al link https://www.commissioneadozioni.it/per-una-famiglia-adottiva/dati-e-statistiche/
[8] In particolare 1.163 coppie nel 2017, 1.130 coppie nel 2018.
[9] Cass. n.12962 del 2016. La sentenza conferma la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 7127 del 2015, la quale confermava a sua volta la sentenza n. 299 del 2014 del Tribunale per i minorenni di Roma, in merito alla richiesta di adozione del partner omosessuale del genitore naturale del minore, ritenendo in concreto insussistente il conflitto di interessi tra quest’ultimo e lo stesso genitore-rappresentante legale dell’adottando.
[10] La giurisprudenza preferisce parlare di adozione estera e non internazionale in quanto la procedura si perfeziona all’interno dello Stato estero e vede coinvolti soggetti (sia l’adottato sia gli adottanti) ivi residenti.
[11] La differenziazione comporta il venir meno dei rapporti giuridici di parentela con la famiglia d’origine nel primo caso e l’impossibilità, di contro, in Italia di riconoscimento del vincolo parentale con il contesto familiare di riferimento, con le conseguenze giuridiche a tali vincoli connesse.
[12] Cassazione, Sez. I, sent. n. 3572 del 2011: “Deve quindi escludersi che in contrasto con tale principio generale, allo stato della legislazione vigente, soggetti singoli possano ottenere, ai sensi dell’art. 36, comma 4 in questione, il riconoscimento in Italia dell’adozione di un minore pronunciata all’estero con gli effetti legittimanti anziché ai sensi e con gli effetti di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44, secondo quanto disposto dalla sentenza impugnata.”
[13] Corte di Appello di Milano, ordinanza del 9 giugno 2017.
[14] Tribunale per i minorenni di Genova dell’8 settembre 2017.
[15] Cass. sent. n. 14007/2018.
[16] Cosi anche Cass. sent. n. 15202/2017; Cass. sent. n. 12962/2016; Cass. civ., Sez. I, n. 32527 del 2023.
[17] V. Trib. min. Firenze 8 marzo 2017; Trib. min. Genova 8 dicembre 2017; Cass. civ. sez. I, 22 febbraio 2018, n. 4382.
[18] Corte Cost. n. 79/2022.
[19] Cass. n. 9216 del 2025.
[20] Nel corpo della decisione si richiamano altresì la sentenza della Corte Costituzionale n.79/2022 e della Cassazione n. 22179/2022; n. 38162/2022; n. 4448/2024.
[21] Corte Cost. n. 221/2019.
[22] Rispettivamente Corte Cost. n. 237/2019; n. 239/2020.
[23] Corte Cost. n. 68/2025.
[24] Si cita a riguardo Corte Cost. n. 32 del 2021.

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