Evoluzione dell´autonomia privata nel diritto di famiglia e degli accordi sulla crisi coniugale
Sommario: 1. Premessa: evoluzione del concetto di famiglia – 2. Ampliamento dell’autonomia negoziale dei coniugi – 3. Dal negozio giuridico al contratto come espressione dell’autonomia dei coniugi – 4. Gli accordi nel diritto di famiglia – 5. Gli accordi non omologati relativi alle condizioni di separazione e divorzio – 6. Gli accordi preventivi conclusi in vista dell’eventuale declaratoria di invalidità del matrimonio – 7. Conclusioni
1. Premessa: evoluzione del concetto di famiglia
Prima dell’introduzione del codice civile del 1942, la famiglia era fondata sull’indissolubilità del matrimonio, rigidamente organizzata sotto la patria potestà riconosciuta all’uomo, capofamiglia, e la potestà maritale.
Il concetto di famiglia era a quel tempo strutturato in maniera chiusa e gerarchica, per cui il matrimonio era l’unico atto in grado di accordare legittimità e dignità all’unione stessa e alla prole[1].
Ciò era dato da una concezione istituzionale della famiglia, la quale rifletteva l’organizzazione statuale e la relativa visione autoritaria dello Stato, il cui governo era esclusivamente attribuito al capo famiglia, sulla scia dell’affermazione dell’ideologia fascista. Pertanto, al pari dello Stato, la famiglia perseguiva meramente interessi superindividuali.
A sostegno di questa visione si è infatti affermato che «il regolamento giuridico del rapporto è dettato coattivamente dalla legge, gli sposi non hanno da far altro che aderirvi»[2].
La conseguenza logica di questa concezione era l’assoluta indisponibilità delle situazioni giuridiche che hanno origine dalla famiglia, poiché comprendeva interessi inidonei ad essere conformati alla lex privata[3].
Con l’avvento della Costituzione della Repubblica, entrata in vigore nel 1948, si assiste all’abbandono definitivo dell’idea della famiglia avente struttura piramidale, per lasciare il posto, gradualmente, ad un’immagine sicuramente più appropriata, quella di una società naturale all’interno della quale sorgono rapporti dati da una solidarietà reciproca, intrinsecamente collegata allo sviluppo della personalità dei suoi membri.
L’affermazione dei principi di uguaglianza e pari dignità dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost) vanno quindi a segnare un primo e significativo cambiamento, la costruzione della famiglia in chiave egualitaria e solidale, tramite la valorizzazione del fattore affettivo.
Risultato di questa, ai tempi, innovativa concezione è che il centro d’interesse superiore non è più la famiglia in quanto tale, ma ogni singolo individuo che ne fa parte, le redini non sono più nelle sole mani del pater familias, ma in quelle di entrambi i coniugi in maniera eguale[4].
Sicuramente il processo per adattare i principi costituzionali qui enunciati sul piano pratico non fu rapido e senza opposizioni.
Da un lato, la società non si dimostra del tutto pronta ad accettare una nuova struttura della famiglia, dall’altro, dottrina e giurisprudenza maggioritaria contestano questa visione quasi utopistica, sostenendo la tesi per cui l’articolo 29 Cost. non fosse immediatamente e giuridicamente vincolante, ma anzi costituisse norma programmatica, perlopiù compatibile con la legge ordinaria precedente, come se si stesse facendo riferimento a quelle norme del codice del 1942 sull’autorità del marito[5].
Anche sul piano transnazionale la necessità di una presa di coscienza si fa sentire. Nel 1950 viene firmata a Roma la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale dedica alla famiglia l’art. 8 e l’art 12., che rispettivamente dichiarano la tutela della vita privata e familiare e il diritto di ogni uomo o donna di contrarre matrimonio e di formare una famiglia, disponendo altresì che ciò avviene in base alla legge nazionale che regola tale diritto.
È evidente come questi principi siano incentrati sulla protezione dei suoi componenti della famiglia, più che della cellula familiare in quanto tale, in linea con la Costituzione.
Inoltre, per porre fine all’ errata interpretazione che alcuni esponenti della dottrina e giurisprudenza promuovevano, la Corte Costituzionale ribadisce che «La Costituzione direttamente impone la disciplina giuridica del matrimonio – con il solo limite dell’unità della famiglia, contemplando obblighi e diritti eguali per il marito e per la moglie»[6].
Oltre che per ragioni di unità familiare, deroghe all’uguaglianza dei coniugi possono essere riscontrate nell’art. 143 bis del c.c. nella misura in cui vi è la prevalenza del cognome del marito, e nel precedente art. 316 (oggetto di riforma della L. 219/2012) che disciplinava la possibilità di un potere paterno di urgenza in caso di pregiudizio imminente e grave del figlio[7].
Sempre la Corte Costituzionale, con sentenza 133/1970, dichiara l’illegittimità dell’art. 145 del c.c. per contrasto con l’art 29 Cost. nella parte in cui stabiliva che il marito fosse obbligato a mantenere la moglie, a prescindere dalle condizioni economiche di quest’ultima. Ciò perché la norma non andava altro che ad esprimere quella autorità maritale che ormai rappresentava una visione superata di “famiglia” e cozzava inesorabilmente con quanto enunciato nella Costituzione[8].
Si introdussero quindi nuovi presupposti per il mantenimento, come lo stato di bisogno di uno dei due coniugi.
Queste pronunce della giurisprudenza Costituzionale precedono una vera e propria riforma del diritto di famiglia, che si sarebbe realizzata non molto tempo dopo.
Infatti, uno dei più importanti ed essenziali interventi normativi viene conseguito con la legge 898/1970 sul divorzio, sollecitata sia dalla Consulta che dalle fonti internazionali.
L’approvazione di tale normativa non fu certamente cosa facile, poiché alcuni partiti erano estremamente antidivorzisti e il peso della Chiesa si percepiva notevolmente all’interno delle aule parlamentari[9].
Nel 1974 gli italiani sono chiamati a votare, attraverso un Referendum, sulla proposta di abrogazione della medesima legge.
Il 59,3% degli 87,7% degli aventi diritto che partecipano alla questione referendaria si espresse negativamente per l’abrogazione dell’istituto.
La legge Baslini – Fortuna, che introduce l’istituto del divorzio, ha il fine di perseguire un bilanciamento di valori: da un lato preservare la libertà personale di un qualsiasi soggetto che non è più costretto, dopo la contrazione del matrimonio, a rimanere bloccato in un vincolo divenuto intollerabile, dall’altro stabilisce che il rapporto matrimoniale non può sciogliersi se non nei casi tassativamente indicati dalla legge[10].
Si desume, quindi, che i principi ispiratori che permisero l’introduzione del divorzio, sono, anche qui, la valorizzazione dell’individuo e della sua libertà.
Ulteriore trasformazione degli anni 70 che interessò su ampia scala il diritto di famiglia, fu la riforma del 1975, attuata con la legge 19 maggio n. 151.
Attraverso di essa ha preso forma quella costituzionalizzazione del diritto civile e, di riflesso, della famiglia.
Tale progresso è tangibile soprattutto in merito alla tutela della libertà matrimoniale, per cui il nucleo familiare si forma ora sul consenso di entrambi i coniugi, sull’instaurazione di un rapporto paritario tra i coniugi, sia in relazione ai rapporti personali, che patrimoniali e con la prole. Infatti, il legislatore va a riformulare l’art. 143 c.c. affermando che «il marito e la moglie acquistano i medesimi diritti e doveri» ed «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
La riforma del diritto di famiglia apportò anche l’introduzione del regime della comunione legale dei beni e il riconoscimento dei figli adulterini, i quali ottenevano gli stessi diritti e doveri dei figli legittimi.
2. Ampliamento dell’autonomia negoziale dei coniugi
Prima dell’avvento della Costituzione, era esclusa in maniera assoluta la rilevanza dell’autonomia contrattuale nel diritto di famiglia, proprio per la finalità pubblicistica che assumeva il rapporto familiare.
In quegli anni si è pertanto affermato che «la volontà non può regolare in diverso modo da quel che è il regolamento legale»[11].
La mancanza di eguaglianza caratterizzava all’epoca il matrimonio e ciò coincideva con l’assenza dell’autodeterminazione, che a sua volta dava luogo all’inattuabilità di esplicare la libertà contrattuale.
Il merito del passaggio dalla concezione istituzionale a quella costituzionale della famiglia, come insieme di personalità, dotate tutte di pari dignità, che all’interno di essa si sviluppano e realizzano, è da riconoscere anche ad un articolo di Santoro Passarelli, primo fautore della rilevanza del negozio giuridico familiare come forma di autonomia privata.
Per la prima volta non si respinge l’idea che i privati, qui intesi anche come i singoli componenti della famiglia, beneficino di libertà contrattuale, seppur vincolata da specifici adattamenti rispetto alla teoria generale del negozio giuridico[12].
Si trattava di un negozio patrimoniale «personalissimo, formale, nominato e legittimo»[13].
Secondo Passarelli, infatti, la formazione stessa dei più importanti rapporti familiari, oltre all’attribuzione dei relativi status, è lasciata all’iniziativa discrezionale del singolo, che si esplica attraverso il negozio giuridico. I conseguenti effetti giuridici si producono nella misura in cui sussiste l’ “intento” del soggetto e tali effetti siano conformi rispetto ad esso.
Naturalmente, il significato giuridico è attribuito dall’ordinamento, ed in particolare con riferimento al matrimonio, deve sussistere un ulteriore elemento costitutivo e di efficacia della fattispecie: l’atto di controllo del potere statuale[14].
Con l’affermazione costituzionale del principio di uguaglianza si abbatte il muro di limiti tradizionalmente imposti all’autonomia privata.
Ulteriore ampliamento avviene con la dichiarazione d’incostituzionalità del divieto di donazione tra coniugi, che il legislatore del 1942 aveva inserito nel codice civile[15]; ancora, le riforme del 1970 e 1975 costituiscono secondo la dottrina prevalente, l’espressione prima del riconoscimento del valore alla negozialità dei coniugi.
Infatti, con l’ultima delle due riforme , il rapporto familiare assume una struttura ancor più associativa-paritaria che permette ai coniugi di stabilire ai sensi dell’art. 144 c.c. l’indirizzo della vita in comune tramite un accordo. Giova considerare che è la principale norma che sia stata capace di estendere la negozialità a zone un tempo caratterizzate da potere autoritario e sottomissione.
Si noti poi che nell’articolo successivo è previsto una funzione meramente sussidiaria del giudice, ossia rileva solo in caso di disaccordo dei coniugi. Il controllo dell’organo giudiziario è pertanto marginale e azionabile tramite la volontà degli stessi coniugi e ciò permette di evitare il pericolo di inopportune ingerenze.
Lo sviluppo della negozialità tra gli sposi non si è arrestato, bensì si è perfezionato ancor di più con l’introduzione nel nostro ordinamento del divorzio su domanda congiunta (art. 8 della legge n.74 del 1987) e, passando per altri interventi legislativi allo stesso modo importanti, tramite la legge n. 219 del 2012, intitolata “Riforma della filiazione”, con la quale il fulcro della famiglia si è decisamente spostato dal matrimonio alla filiazione.
Da citare è poi il riconoscimento della Corte di Cassazione degli accordi non omologati modificativi di precedenti intese (ovvero delle condizioni dettate dal giudice), in forza del principio sancito dall’art. 1322 c.c., ritenuto senza riserve applicabile al caso di specie, addirittura anche per quanto concerne le pattuizioni concernenti la prole di minore età.
Si delinea quindi un assodato potere di disposizione nei rapporti familiari, per cui la famiglia si distacca sempre più dall’immagine di «isola che il mare del diritto può solo lambire ma non penetrare»[16].
La Cassazione e la dottrina più influente hanno ampiamente identificato l’accordo come lo strumento privilegiato per la disciplina dei rapporti familiari tanto che si è parlato di “privatizzazione del diritto di famiglia”[17].
Sul punto si deve però chiarire che, accanto alla disponibilità della disciplina che si ravvisa oggi nel diritto di famiglia, è altrettanto riscontrabile una base normativa inderogabile[18].
Se gli articoli 161 e 210 del codice civile attribuiscono rispettivamente ai coniugi la facoltà di regolamentare i loro rapporti economici in maniera parzialmente difforme ai tipi legalmente previsti e di modificare il regime della comunione legale dei beni mediante una convenzione, l’art. 160 c.c. pone un limite, disponendo che non possono derogare, attraverso intese, né ai diritti personali né a quelli patrimoniali reciproci che scaturiscono dal matrimonio. (Artt. 143 e ss. c.c.). Questo in quanto i regimi patrimoniali sono tipici, si possono scegliere, ma entro un numero chiuso.
3. Dal negozio giuridico al contratto come espressione dell’autonomia dei coniugi
Il codice civile del 1942 opta per un lessico che compie una netta distinzione tra “contratto” e “altri negozi giuridici bilaterali”, nel senso che quest’ultimi si intendono non qualificati come atti necessariamente di natura patrimoniale[19].
Da ciò si comprende il motivo per cui il legislatore non usa il termine “contratto” per delineare gli atti di autonomia privata consentiti nel ménage coniugale, se non nell’art. 162 che fa riferimento alla data del contratto in merito alle convenzioni matrimoniali e nell’art. 166, spiegando quando le donazioni, fatte nel “contratto di matrimonio” dall’inabilitato o da colui contro il quale è stato promosso giudizio di inabilitazione possono ritenersi valide.
Tendenzialmente si registra che l’espressione ricorrente solitamente per descrivere gli atti di autonomia, volti a incidere sulla sfera patrimoniale, è “convenzione”, mentre “accordo” è quella che opera per gli atti riguardanti i rapporti personali[20].
È opportuno considerare, per dirimere la questione, gli artt. 1321 e 1324 c.c., secondo i quali un contratto è ogni atto inter vivos, non unilaterale, avente contenuto patrimoniale.
Perciò, nell’ipotesi in cui la convenzione tra gli sposi ricalchi l’accezione appena descritta, esso, anche se diversamente denominato, è equiparabile ad un contratto vero e proprio.
Anche la Cassazione concorda in tal senso, dichiarando il principio della libertà contrattuale in merito alla validità degli accordi preventivi tra coniugi rispetto alle conseguenze patrimoniali dell’annullamento del matrimonio[21].
In un’ ulteriore sentenza il Collegio ha altresì confermato che «l’ accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio […] ha natura sicuramente negoziale e talora dà vita ad un vero e proprio contratto» e ha poi indicato che, anche qualora ciò non dovesse accadere, all’accordo concluso sono a prescindere applicabili i principi generali dell’ordinamento quali la nullità dell’atto, la capacità delle parti e i vizi della volontà, quest’ultimi «del resto richiamati da varie norme codicistiche in materia familiare» (dalla celebrazione del matrimonio al riconoscimento dei figli nati al di fuori di esso)[22].
Altri principi, propri del potere contrattuale, di cui la Corte di Cassazione conferma l’applicazione agli accordi e convenzioni familiari, sono la formazione del consenso[23] e quella in materia di interpretazione del contratto[24].
L’analisi dell’evoluzione sociale e giuridica dimostra, pertanto, come il legislatore abbia accettato le istanze della prassi, fino al punto di affermare che l’orientamento è verso un’aperta contrattualità della materia[25].
Si può quindi, per concludere, affermare che la sempre più ampia contrattualizzazione del diritto di famiglia ha reso possibile la qualificazione come giuridiche di situazioni che il legislatore prima non valutava come tali ed ha consentito la riorganizzazione della ricchezza grazie a strumenti attuati per tutelare gli interessi dei coniugi in concreto, i quali precedentemente erano oltremodo compressi dal concetto di status[26].
4. Gli accordi nel diritto di famiglia
Al fine di comprendere a pieno la questione che si vuole trattare, bisognerà optare per un breve excursus delle modifiche normative intervenute nel corso degli anni che dimostrano l’intenzione del legislatore di lasciare ai coniugi una certa autonomia nel regolare i loro rapporti tanto personali quanto economici.
Innanzitutto, l’abolizione del divieto di donazione fra i coniugi rende automaticamente legittima ogni attività negoziale fra gli stessi e ciò è dipeso fortemente dalla funzionalizzazione dei rapporti patrimoniali nella famiglia, catalizzatori di eguaglianza sostanziale tra i coniugi e tutela della persona[27].
L’accordo dei coniugi di vivere separati, nel quale la volontà, in assenza di figli minori, costituisce il requisito minimo essenziale e non può essere messa in discussione dal Tribunale che emette sentenza di omologa, è poi il punto focale del procedimento di separazione consensuale[28].
In presenza dei figli, invece, l’accordo sottoposto al vaglio del collegio è più complesso perché il contenuto minimo essenziale deve anche riguardare la tutela degli interessi dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti.
Qualora il Tribunale ritenga che l’accordo concluso tra i coniugi non soddisfi gli interessi dei figli potrà convocare le parti invitando le stesse a modificare la richiesta. Nel caso in cui non si raggiunga una soluzione idonea, il Tribunale può rigettare il ricorso, ma non modificarlo di sua sponte.
È evidente come in questo caso l’autonomia privata delle parti prevalga rispetto all’intervento del Tribunale, che ha solo funzione di controllo, peraltro poco invasiva[29].
Ancora, gli accordi modificativi dell’accordo di separazione e divorzio, che regolano aspetti tanto economici quanto personali, possono essere conclusi antecedentemente o contemporaneamente alla sentenza di omologa senza che ivi vengano trasfusi, o anche successivamente, solamente se rispetto ad esso non interferiscano o si pongano in posizione di conclamata e incontestabile maggiore o uguale rispondenza all’interesse protetto del minore o del coniuge debole[30].
Tale impostazione fa sì che i coniugi, purché di comune accordo, possano riformare anche quanto statuito dal collegio di giudici[31].
Proseguendo, le convenzioni matrimoniali sono quei negozi di diritto familiare relativi al regime patrimoniale all’interno del matrimonio che derogano all’automatica instaurazione della comunione legale.
All’interno di questa categoria troviamo la separazione dei beni, il ritorno alla comunione legale, la comunione convenzionale e il fondo patrimoniale. Rientrano nel novero delle convenzioni matrimoniali, anche il mutamento o la modificazione delle precedenti convenzioni[32].
Si rilevano dei limiti posti dalla legge quali l’inderogabilità delle norme in merito all’amministrazione dei beni della comunione, all’uguaglianza delle quote e all’impossibilità di immettere nella comunione convenzionale determinati beni descritti dall’ art. 179 c.c. lettere c), d) ed e).
Come già accennato, i coniugi possono altresì concordare l’indirizzo della vita familiare come l’organizzazione domestica, la gestione dei figli e la ripartizione delle spese familiari[33].
Ciò è ben possibile tenendo sempre a mente la norma di cui all’ art. 160 c.c. che sancisce il divieto di derogare ai diritti e doveri derivanti dal matrimonio e quelli nei confronti dei figli in base alla responsabilità genitoriale ex artt. 143 e 147 c.c.
L’art. 8 della legge n. 74 del 1987 è andato a riformare in melius l’art 4 della legge sul divorzio, ora abrogato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia), inserendo l’opportunità per i coniugi di proporre una domanda congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio[34].
Con questa innovazione, il legislatore non voleva introdurre nel nostro ordinamento il divorzio consensuale, in quanto la dinamica della procedura resta pressoché immutata, «spettando solo al tribunale la verifica dei suoi presupposti di legge, nonché della rispondenza all’interesse della prole delle condizioni concordate dagli istanti»[35].
Ciò non toglie che, valorizzando il consenso tra i coniugi anche nel divorzio, si realizza la possibilità di accelerare la procedura.
Sempre al divorzio congiunto, non si applica l’art. 5, comma 7, della legge n. 898 del 1970, per cui l’assegno divorzile può essere fissato tramite la libera determinazione dei coniugi dello stesso, senza che ciò sia discutibile.
Peraltro, oltre all’autonomia nella quantificazione dell’assegno divorzile, le parti possono altresì decidere la modalità di corresponsione dello stesso: infatti hanno la facoltà di scegliere che l’assegno sia versato in un’unica soluzione.
Sono presenti nello spazio di autonomia negoziale lasciata agli sposi, gli accordi, anche di natura economica, in vista dell’annullamento del matrimonio: questi sono ritenuti validi poiché fondati sulla premessa che il matrimonio non cessa per volontà concorde delle parti, bensì per un vizio precedente alla conclusione dello stesso.
Tali accordi non hanno la capacità di incidere e disporre di uno status, per cui mancano le cause di ordine pubblico idonee a giustificare la preclusione degli stessi[36].
La legge n. 162 del 2014 ha poi introdotto una procedura semplificata per lo scioglimento del vincolo matrimoniale o dell’unione civile, utilizzabile dai coniugi qualora non abbiamo figli minori o maggiori incapaci o portatori di handicap. Se sussistono tali condizioni, gli uniti possono stipulare una convenzione di negoziazione assistita con l’assistenza obbligatoria di almeno un avvocato per parte per raggiungere una soluzione consensuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio o scioglimento dello stesso[37].
Il Pubblico Ministero è tenuto poi a verificare se all’interno dell’accordo concluso vi siano irregolarità: svolge quindi un controllo di mera legittimità e non di merito.
Allo stesso modo, è previsto dall’art. 12 del decreto legge n. 132 del 2014 la possibilità per i coniugi che non abbiano figli minori o maggiorenni incapaci, portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, di usufruire di un procedimento snello e veloce davanti al Sindaco per la separazione consensuale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio tramite richiesta congiunta e la modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Qui, l’assistenza degli avvocati è peraltro facoltativa.
I progressi appena descritti mostrano come il legislatore, ancora una volta, abbia qualificato l’interesse delle parti allo scioglimento del vincolo familiare come disponibile alle stesse[38].
Con la recente legge n. 76 del 2016, infine, l’orientamento normativo fa un ulteriore passo in avanti, annunciando l’istituzione delle unioni civili e le convivenze di fatto oggetto di registrazione, espressione del superamento del principio dell’interesse superiore della famiglia fondata sul matrimonio[39].
La stessa novella prevede altresì la facoltà per i conviventi di stipulare un contratto di convivenza all’interno del quale la coppia può definire alcune regole della propria convivenza attraverso la regolamentazione dei rapporti patrimoniali della stessa ed alcuni limitati aspetti dei rapporti personali.
Avendo analizzato succintamente l’ampio respiro che il legislatore ha voluto negli anni assicurare alla libertà dei coniugi e della coppia di fatto in alcune circostanze, certo non si può dire lo stesso in merito alla questione della validità dei contratti in vista di separazione e divorzio.
I patti prematrimoniali sono, infatti, un istituto molto diffuso in Europa e nel resto del mondo, con essi i futuri coniugi o coloro che sono già uniti in matrimonio, possono sancire anticipatamente obblighi e doveri sia patrimoniali che personali in caso di un’eventuale e futura crisi matrimoniale. La finalità è quella di evitare che tali negoziazioni avvengano nella fase patologica del rapporto, in presenza di recriminazioni e rivendicazioni, per cui è sicuramente più difficile addivenire ad un’intesa.
Nonostante in molti ordinamenti degli altri Paesi i patti prematrimoniali abbiano acquisito piena validità e siano, anzi, nella prassi ampiamente sviluppati ed utilizzati, il legislatore italiano non ha messo in atto lo stesso spirito innovativo e moderno di cui si è avvalso nelle precedenti riforme.
La normativa italiana, invero, non prevede l’opzione per marito e moglie di regolare ex ante ciò che accadrà qualora, un giorno, malauguratamente, vi sia una crisi del rapporto affettivo.
Più volte si è dichiarata l’invalidità di tali patti deducendone la causa a principi di ordine pubblico positivo.
5. Gli accordi non omologati relativi alle condizioni di separazione e divorzio
I cosiddetti accordi a latere, ovvero conclusi in sede, in prospettiva di una separazione o di un divorzio o anche a posteriori e non consacrati dall’avallo giudiziale del tribunale sono stati oggetto di dibattito da parte della dottrina.
Inizialmente si guardava con ostilità a detti accordi, proprio perché compiuti senza passare al vaglio del giudice; si riteneva che la «mancanza dell’intervento statale rende privo di ogni efficacia giuridica un accordo interconiugale di separazione. La legge non lo vieta; cioè lo tollera di fatto, sino a che uno dei coniugi vi si opponga. […] Una preventiva disciplina contrattuale tra coniugati o magari nello stesso contratto di matrimonio, di una possibile futura separazione sarebbe nulla, perché immorale. Nullo sarebbe un accordo di separazione immediatamente seguito dalla sua esecuzione: rimarrebbero vivi tutti gli effetti del matrimonio»[40].
Con l’evoluzione culturale e normativa degli anni che seguirono l’avvento della Costituzione, si nota una sempre più netta apertura da parte della giurisprudenza che, però, differisce a seconda che si tratti di accordi recepiti nel verbale di omologazione di separazione consensuale o nella pronuncia presidenziale di cui all’art. 708 c.p.c., che con il nuovo rito introdotto dalla Riforma Cartabia è stato abrogato, e di quelli che, invece, non sono sottoposti all’avallo del Tribunale.
In quest’ultimo caso, partendo dall’assunto dettato dagli artt. 158 c.c e dell’ora in vigore art. 473 bis 51 c.p.c., tali intese erano considerate improduttive di effetti e non rilevanti ex se poiché, i patti relativi alla separazione, acquistano efficacia giuridica solo successivamente alla sentenza di omologa, con la quale il Tribunale procede alla verifica e al controllo sulla legalità e l’idoneità dei termini di separazione definite dalle parti. Le motivazioni sono principalmente due: l’illiceità della causa, dal momento che si tratta di convenzioni che possono vincolare il comportamento processuale delle parti, potendo anche influenzare la scelta stessa di arrivare a separarsi e l’indisponibilità della materia che avrebbero ad oggetto, sempre strettamente legata ad uno status familiare.
Secondo l’impostazione ora rilevata, non era necessario, al fine di stabilire la validità di tali accordi, una distinzione in base a criteri temporali, poiché in tutte le ipotesi, siano accordi preventivi alla separazione, contestuali o successivi, ricorreva a priori il limite dell’art. 160 c.c. ed era quindi essenziale ed imprescindibile un controllo giudiziale sullo status personale dei coniugi nelle forme di cui all’ art. 710 c.p., ora traslato nel nuovo art. 473 bis.29 c.p.c[41].
Negli ultimi anni si è favorita un’altra prospettiva, per cui si sono distinti, nella gamma degli interessi in comune dei coniugi, due profili: il primo, inerente all’esigenza di tutelare alcuni componenti della famiglia, per il quale entrano in gioco, ad esempio, l’obbligo del mantenimento del coniuge e dei figli, ed un secondo, che attiene al ventaglio di interessi individuali dei coniugi, come la divisione dei beni in comune o la facoltà di operare trasferimenti immobiliari.
Orbene, tale discrimen individuava solo gli accordi che rientravano nel primo profilo come da sottoporre al controllo giudiziale tramite il verbale di omologazione del Tribunale, configurato come condicio iuris affinché fossero ritenuti pienamente efficaci, mentre quelli facenti parte del secondo potevano liberamente essere pattuiti dai coniugi ed essere immediatamente vincolanti.
Ad oggi la giurisprudenza ha ulteriormente accettato l’autonomia negoziale dei coniugi in merito ad ogni fattispecie di accordi precedenti, coevi o successivi alla separazione personale o di fatto[42].
La validità delle convenzioni precedenti o contemporanee alla separazione, non incluse poi nella successiva sentenza di omologa, è accertata se sono rispettate due condizioni: non vadano a derogare il disposto dell’art. 160 c.c., per cui gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio e determinino una situazione di maggiore rispondenza all’interesse tutelato o almeno di non interferenza rispetto alle intese omologate dal giudice.
Ciò è certamente comprensibile in funzione del compito che l’avallo giudiziale assolve: garantire il rispetto degli interessi fondamentali ed indisponibili coinvolti nella crisi familiare. Perciò, è conseguenza logica che non possa essere disconosciuta l’efficacia di quelle intese che, seppur non omologate, precisano, senza stravolgere, il contenuto della separazione o ne migliorano la situazione dei soggetti deboli della vicenda[43].
Per maggiore chiarezza la Corte di Cassazione ha peraltro indicato quali pattuizioni siano considerate conformi all’orientamento giurisprudenziale, con particolare riferimento alle clausole concernenti l’aspetto dei rapporti coniugo-parentali non prese in considerazione nell’accordo omologato, purché compatibili con esso e non modificativi della sua sostanza e dei suoi equilibri, le clausole soltanto specificative dell’accordo stesso e quelle che prevedano un assegno di mantenimento superiore a quello sottoposto all’omologazione.
Gli accordi successivi all’omologa sono di solito diretti a modificare in via convenzionale quanto stabilito nel provvedimento giudiziale, e poiché i cambiamenti nella situazione di fatto autorizzano i coniugi ad adeguarsi alle circostanze sopravvenute attraverso un accordo che tenga conto delle nuove e reciproche esigenze, trovano pieno fondamento nell’art. 1322 c.c.. Devono essere ritenuti validi ed efficaci “in quanto meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, indipendentemente dal procedimento di omologazione, salvo gli invalicabili limiti contenuti nell’art. 160 c.c.
La facoltà dei coniugi di stipulare, posteriormente alla sentenza di omologa, pattuizioni quando le condizioni di fatto lo richiedono per effetto di intercorsi mutamenti, risponde alla regola rebus sic stantibus, che, appunto, permette ai coniugi separati la possibilità di revisione delle statuizioni a seguito di circostanze sopravvenute ai sensi dell’art. 155, comma 8[44].
Inoltre, l’ampliamento dell’autonomia dei coniugi in tal senso ha inciso anche sul tradizionale contenuto dell’accordo, prima circoscritto al mantenimento del partner e della prole ed all’assegnazione della casa familiare.
Paradigmatica per quanto ciò attiene, una sentenza della Suprema Corte che ha stabilito che l’accordo sottoposto all’avallo giudiziale ben può includere accordi patrimoniali anche non “immediatamente riferibili, né collegati in relazione causale al regime di separazione o ai diritti ed obblighi derivanti dal matrimonio”[45].
Nessuna diatriba ha invece riguardato quelle pattuizioni, concluse in occasione della separazione, che non hanno ad oggetto questioni economiche o personali derivanti dal matrimonio, ma di altra natura, rimaste in sospeso. Sono ritenuti pienamente efficaci poiché non coinvolgono diritti indisponibili né vincolano in alcun modo il comportamento processuale delle parti durante il procedimento di separazione.
Valutazioni identiche a quelle sopra enunciate per gli accordi non omologati di separazione valgono, mutatis mutandis, con riguardo ad eventuali accordi a latere rispetto alla pronunzia di divorzio o che ne vadano a modificare le condizioni[46].
6. Gli accordi preventivi conclusi in vista dell’eventuale declaratoria di invalidità del matrimonio
In precedenza la giurisprudenza reputava i patti stipulati in vista dell’annullamento del matrimonio che andavano a prevedere gli effetti patrimoniali conseguenti alla dichiarazione di nullità come contrari ai principi generali dell’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1343 c.c.
Nello specifico si possono discernere due tipologie di patti: quelli in cui uno o entrambi i coniugi si impegnano a compiere determinate attività processuali così da ottenere più agevolmente la dichiarazione di nullità del vincolo coniugale e quelli con cui, nel libero esercizio della loro autonomia privata, regolamentano l’assetto economico che si determinerà successivamente alla suddetta dichiarazione[47]. In entrambi i casi si potrebbe prospettare la violazione di disposizione dello status di coniuge e del diritto di difesa sancito dall’art 24 Cost[48].
Infatti l’unica ratio che, secondo i giudici di merito, risiedeva in queste stipulazioni dei partners, era influenzare l’esito del giudizio che andava a dichiarare la nullità del matrimonio incidendo così sui loro stessi status.
Quest’ottica si diffuse a partire da una pronuncia del Tribunale di Genova, nella quale si è ritenuto contrario ai principi dell’ordinamento giuridico per causa illecita il patto con cui, uno dei due sposi, si obbligava a tenere un certo comportamento processuale a fronte della promessa di un corrispettivo; ciò, infatti, per il carattere pubblicistico del processo non è consentito[49].
Ad invertire tale tendenza è stata un’innovativa sentenza della Corte di Cassazione che pochi anni dopo ha stabilito la non illiceità della causa delle pattuizioni in vista dell’annullamento del matrimonio.
La vicenda fu la seguente: due coniugi separati consensualmente ottennero l’omologazione dei nuovi accordi intercorsi fra loro. In uno di questi il marito si obbligava a corrispondere alla moglie un assegno mensile di mantenimento, avente carattere risarcitorio e di predeterminazione dell’indennità prevista ai sensi dell’art 129 bis c.c., pattuendo altresì che tale obbligo sarebbe rimasto inalterato anche qualora fosse intervenuto il divorzio o la pronuncia di una sentenza di nullità del matrimonio.
Nonostante l’accordo raggiunto e omologato, una volta conseguito l’annullamento per il difetto del “boni sacramenti”, l’uomo instaurò una causa contro l’ex moglie per accertare che nessun assegno le era più dovuto. Il giudice di merito confermò il diritto al mantenimento della donna, motivo per cui il soccombente ricorse in Cassazione adducendo tra i motivi di impugnazione la nullità delle convenzioni concluse, per indisponibilità dei diritti che in esse erano fatti valere.
La Corte di legittimità respinse il ricorso e attribuendo piena validità all’ «accordo intervenuto fra i coniugi, in costanza di matrimonio, con il quale uno si impegna a corrispondere all’altro una determinata somma mensile per il mantenimento di quest’ultimo in ipotesi di dichiarata nullità del matrimonio concordatario fra gli stessi intervenuto, perché l’accordo è correlato ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare una causa d’invalidità del matrimonio, fuori da ogni potere negoziale di disposizione dello status»[50].
Ciò sta a significare che, essendo riconosciuti al giudice ecclesiastico ampi poteri processuali rispetto alle parti, sull’andamento del processo non potranno incidere volontà e atteggiamento delle stesse e perciò non vi è alcuna inosservanza dei principi di ordine pubblico che giustifichino la limitazione del principio di autonomia contrattuale.
Difatti i tribunali ecclesiastici hanno frequentemente confermato il carattere giuridico e vincolante degli accordi prematrimoniali in sede di procedimento di annullamento, riconoscendo in essi l’esistenza di una “ riserva mentale” all’epoca della celebrazione del matrimonio, su cui fondare la pronuncia di nullità di quest’ultimo[51].
I patti in esame sono pertanto considerati nel panorama giurisprudenziale come patti idonei ed utili per sottrarsi a qualsiasi tipo di conflittualità fra persone il cui matrimonio è stato dichiarato invalido.
La circostanza su cui ci si basa per affermarlo è chiara, difatti non è ipotizzabile nessuna influenza di tali patti sulla libera determinazione dei coniugi in ordine al vincolo, perché non c’è fondamentalmente libera determinazione: esistente la causa di nullità, il tribunale la dichiarerà, indipendentemente dall’accordo e dalla collaborazione dei coniugi[52].
I giudici di legittimità hanno altresì precisato in quella sede che la prova che sia effettivamente così, risieda nella natura dichiarativa della sentenza che pronuncia la nullità.
Si evidenzia altresì che questo è stato il criterio interpretativo adottato dalla Suprema Corte per attuare una distinzione tra gli accordi preventivi del divorzio, considerati tutt’oggi nulli, e quelli in vista dell’annullamento del matrimonio, a tutti gli effetti vincolanti.
La dottrina è divisa in merito alla scelta di questa distinzione, visto che, se il motivo per cui non viene sancita la nullità di questi accordi consiste nella circostanza che non si riscontra alcuna influenza di tali patti sulla libera determinazione delle parti in ordine allo scioglimento del vincolo, allora ogniqualvolta che tale certezza può essere verificata, a prescindere dal fatto che si tratti di sentenza di divorzio o di nullità, i patti ora per allora dovrebbero essere allo stesso modo considerati validi e impegnativi per le parti[53].
Inoltre, sia nella dichiarazione di nullità del matrimonio che nel divorzio, la pianificazione preventiva dei rapporti patrimoniali che verranno ad esistere una volta sciolto il vincolo coniugale accorda le medesime esigenze di soddisfazione al momento della cessazione del rapporto.
Quest’ultima è infatti, in tutti e due i casi, il prodotto di procedimenti nei quali lo stato personale di coniuge subisce variazioni solo per mano del giudice; ciò che è rinviato alla disponibilità delle parti è predisporre quali effetti produrrà la modifica giudiziale dello status. Ancora, gli effetti delineati dalle parti nelle due ipotesi possono essere in qualsiasi tempo e allo stesso modo oggetto dell’accertamento del Tribunale, laddove la pretesa fosse azionata da una delle parti e si appurassero elementi idonei a provare la violazione delle regole di ordine pubblico[54].
7. Conclusioni
È evidente che, grazie all’evoluzione del pensiero e della società, siano stati compiuti grandi passi avanti rispetto al grado di autonomia assegnata dall’ordinamento alla coppia coniugata. D’altronde, una sempre maggior apertura si rinviene anche dalla diretta conseguenza che deriva dall’introduzione dell’art. 473-bis.49 c.p.c ad opera della Riforma Cartabia con il d.lgs. n. 149 del 2022.
Infatti, l’articolo de quo sancisce la possibilità di cumulare nel ricorso introduttivo, in unica sede processuale, la domanda giudiziale di separazione e quella di divorzio giudiziale, ciò mirando a concentrare e ridurre l’attività processuale e a definire in un’unica occasione la controversia coniugale.
Ci si è successivamente interrogati se tale dettato potesse avere efficacia estensiva anche nel caso di accordo congiunto, ossia se si potesse declinare, anche se non espressamente riferibile, nel contesto dell’accordo di separazione consensuale e, dunque, ivi disciplinare le condizioni, economiche e non, valelvoli pure per il futuro divorzio.
La risposta dei Giudici di Piazza Cavour è stata affermativa, e con l’ordinanza n. 28727 del 16 ottobre 2023 hanno sostenuto che il cumulo di domanda congiunta di separazione e divorzio realizza anch’ esso quel “risparmio di energie processuali” alla base della previsione del cumulo. A fronte dell’ irreversibilità della crisi matrimoniale, permette ai separandi di trovare in un’unica sede un accordo complessivo sulle condizioni di separazione e sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi, regolando una volta per tutte i rapporti economici e patrimoniali tra i coniugi e quelli tra loro e i figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti.
Ancora, hanno confermato che tale previsione non derogherebbe al principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale ex art. 160 c.c., trattandosi di domande proposte in funzione di una pronuncia di divorzio per la quale non è ancora decorso il termine di legge e, trattandosi di un accordo unitario dei coniugi sull’intero assetto delle condizioni, sempre sottoposto all’attenta valutazione del Tribunale.
Alla luce di quest’ultimo tassello che si inserisce in un costante processo di privatizzazione del regime matrimoniale, possiamo affermare di star assistendo, in maniera significativa, alla “caduta” del dogma dell’indisponibilità degli status, da sempre proclamato in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
Infine, si auspica che quest’ultima ordinanza della Cassazione possa aprire la strada anche alla legittimazione dei patti prematrimoniali, da sempre osteggiati dalla stessa Corte, e che tuttavia rappresentano un valido baluardo per derimere a monte e con facilità la crisi coniugale.
[1] R. Picaro, “Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto”, Torino, 2013, pp. 28 ss.
[2] A. Cicu, il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, p. 216.
[3] F. Cerri, gli accordi prematrimoniali, Milano, 2011,p. 49.
[4] U. Majello, Dalla tutela dell’interesse superiore a quella della persona: evoluzione dell’esperienza giuridica in materia di rapporti familiari, in La civilistica italiana dagli anni ’50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative, (Venezia 23-26 giugno 1988), Padova, 1991, p. 107 ss.
[5] G. Oberto, gli aspetti della separazione e del divorzio nella famiglia, Padova, 2012, p. 35.
[6] Corte Cost., 16 dicembre 1968, n. 126, in Foro it., 1969, I.
[7] G. Oberto, op. ult. cit., p.37.
[8] R. Picaro, op. cit., p. 31.
[9] G. Scirè, “Il Divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum (1965-1974)”, Milano, 2009, p. 176
[10] R. Giovagnoli, “Separazione e Divorzio. Percorsi Giurisprudenziali”, Milano, 2009, pag. 226.
[11] A. Cicu, op. cit., p. 216
[12] V. Santoro Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. e giur., 1945, p. 4, raccolto poi nei Saggi di diritto civile, cit., pp. 381 ss.
[13] G. Giacobbe- P. Virgadamo, Le persone e la famiglia, Torino, 2011, p. 98.
[14] S. Passarelli, op. cit., p. 4.
[15] Corte Cost., 27 giugno 1973, n. 91, in Giust. civ., 1973, I, p. 2211.
[16] C. Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università Catania, III (1948- 1949), Napoli, 1949, p. 38.
[17] E. Russo, Le idee della riforma del diritto di famiglia, in Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983.
[18] F. Bocchini, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali familiari, in Riv. Dir. Civ., 2001, p. 432.
[19] G. Oberto, Gli accordi patrimoniali tra coniugi in sede di separazione o divorzio tra contratto e giurisdizione: il caso delle intese traslative, Relazione del 2011.
[20] F. Cerri, op. cit., p. 55.
[21] Cass. 13 gennaio 1993 n.348, in Corr. giur., 1993, 822.
[22] Cass. 20 agosto 2014, n. 18066, in Foro it., 2015, I, 567 ss.
[23] Cass. 29 aprile 1983, n.2948, in Giur. it., 1983, I, 1.
[24] Cass. 8 novembre 2006, n. 23801, in Foro it., 2007, I, c. 1189 con riferimento ad una pattuizione a latere rispetto all’accordo di separazione omologato.
[25] Sul punto vi è una diffusa adesione, v. G. Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Riv. dir. Civ., I, 1996; M. Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, V, pp. 117 ss.; G. Cian, Autonomia privata e diritto di famiglia, in Belvedere- Granelli (a cura di), in Confini attuali dell’autonomia privata, Padova, 2001
[26] D. De Crescenzo, Gli accordi prematrimoniali e la nuova stagione delle convenzioni matrimoniali, in La Gazzetta Notarile, Rivista per il notariato di Italia, n. 10/12 Ottobre-Dicembre, 2013.
[27] G. Doria, Autonomia privata e «causa» familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, p. 182.
[28] S. Memmo, L’autonomia negoziale dei coniugi nella crisi matrimoniale, in Il nuovo diritto di famiglia, Cagnozzo- Preite- Tagliaferri (a cura di), Milano, 2015, 547 ss.
[29] V. Tagliaferri, Negozi familiari in vista di separazione e divorzio, in Landini – Palazzo (a cura di), Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, Milano, 2018, p. 194.
[30] G. Oberto, Gli accordi a latere nella separazione e nel divorzio, in Fam. e dir., 2006, p.150
[31] G. Alpa- G.Ferrando, se siano efficaci- in assenza di omologazione- gli accordi tra i coniugi con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, in AA.VV., Questioni di diritto patrimoniale della famiglia, discusse da vari giuristi e dedicate ad A. Trabucchi, 505 ss.
[32] Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2007, n. 9863, in Giust. civ., 2008, pp. 1017 ss.
[33] V. De Vellis- V. Tagliaferri, I patti prematrimoniali, Milano, 2015, p. 45.
[34] G. Autorino Stanzione, L’autonomia privata nel divorzio, in Autorino Stanzione – Musio, Il divorzio, Disciplina, procedura e profili comparatistici, Milano, 2002, p. 207.
[35] Cass., 21 Marzo 2011, n. 6365, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 991 ss. e sul punto G. Oberto, Volontà dei coniugi e intervento del giudice nelle procedure di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, in Dir. fam., 2000, 771.
[36] C. Moretti, Gli accordi “ora per allora” e nullità del matrimonio, commento a Cass. 13 gennaio 1993, n. 348, in Contratti, 1993, p. 234.
[37] M. Sesta, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. e dir., 2015, p. 296 ss.
[38] F. Danovi, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, in Fam. e dir., 2014.
[39] V. Tagliaferri, op. cit., p. 193 ss.
[40] L. Barassi, La famiglia legittima nel nuovo codice civile, Milano, 1941, p.153.
[41] G. Alpa- G. Ferrando, Quaestio, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia, Padova, Cedam, 1989, pp. 505 ss.
[42] G. Oberto, La natura dell’accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. e dir., 2000, pp. 86 ss.
[43] Così sono stati ritenuti validi ed efficaci gli atti integrativi dell’accordo di separazione omologato, laddove non andassero a ledere il diritto al mantenimento o agli alimenti. I giudici hanno riconosciuto ai coniugi, comproprietari della casa familiare e in assenza di prole, la facoltà di pattuire, anche tacitamente, l’assegnazione esclusiva della casa coniugale alla parte avente diritto al mantenimento come “componente di questo”. Cass., 12 gennaio, 2000, n. 266, in Mass. Giust. Civ., 2000, c. 46.
[44] Cass., 24 febbraio 1993, n. 2270, in Dir. fam. e pers., 1994, p. 554; Cass., 22 gennaio 1994, n. 657, in Foro it., 1995, I, c. 2984.
[45] Cass., sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, c. 1787.
[46] G. Oberto, Gli accordi a latere nella separazione e nel divorzio, in Fam. e dir., 2006, nota a Cass., 20 ottobre 2005, n. 20290
[47] F. Angeloni, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, pp. 478 ss.
[48] M. Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione , di divorzio, e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995.
[49] Trib. Genova 17 settembre 1984, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, pp. 64 ss.
[50] Cass., 13 gennaio 1993, n. 348, in Giur. it., 1993, I, 1, p. 1672.
[51] E. Smaniotto, Contratti prematrimoniali e tutela di interessi meritevoli e non contrari all’ordine pubblico e al buon costume, in I contratti, 2013: quando mediante il procedimento di delibazione, richiesto ai sensi dell’art. 8 n. 2 dell’Accordo di Modifica del Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984 e del relativo Protocollo Addizionale, la pronuncia del Tribunale ecclesiastico diviene efficace anche nello Stato Italiano, i coniugi possono chiedere l’esecuzione dei patti contenuti negli accordi prematrimoniali.
[52] V. De Vellis- V. Tagliaferri, I patti prematrimoniali., cit., p. 37.
[53] M. Moretti, cit., p. 140.
[54] V. De Gregorio, Programmazione dei rapporti familiari e libertà di contrarre, Milano, 2003, p. 72.
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Costanza Bora
Esercito la libera professione di avvocato, concentrandomi sul diritto penale e diritto di famiglia. Ho svolto altresì il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Macerata.