Il Girotondo di Fabrizio De André: chi salverà i bambini di oggi?

Il Girotondo di Fabrizio De André: chi salverà i bambini di oggi?

Fabrizio De André ha dedicato molte sue composizioni alla follia bellica, ma ve n’è una che, più di altre, continua a colpirci per quella miscela di delicatezza infantile e crudele lucidità: Girotondo. Il brano, costruito sulle rime della celebre filastrocca “Oh che bel castello Marcondiro”, compare nel 1968 in Tutti morimmo a stento e ci consegna l’immagine di un girotondo che si svolge – letteralmente – sotto le bombe.

La premessa è disarmante nella sua semplicità: “se verrà la guerra”. Una condizione ipotetica che, a ben vedere, ha smesso di essere un’ipotesi già da un pezzo. De André ci ricorda che quella che verrà non sarà né la prima, né l’ultima, e che a pagarne il prezzo saranno sempre loro: gli innocenti. Bambini che, stretti in un cerchio, confondono il gioco con l’orrore, e che tentano di dare risposte ingenue a domande drammaticamente adulte: “chi ci salverà?”

Nessuno, sembra dire l’autore con un’amara fermezza. Non il soldato, non l’aviatore, non un “buon Dio” la cui assenza – come spesso accade nei tempi difficili – è più rumorosa delle bombe stesse. De André osserva come la guerra germogli anche dall’indifferenza: tutti a discutere, nessuno a fermarla davvero. Intanto il conflitto è lì, davanti agli occhi dei bambini che lo reinterpretano nel loro quotidiano, come se la normalità potesse includere, senza scomporsi, il boato di un ordigno.

Il girotondo diventa così la metafora perfetta dell’eterna ripetizione della guerra: un ciclo che ritorna, si avvita su sé stesso e, in un paradosso quasi tragico, viene interiorizzato dagli stessi innocenti, trasformati in specchio dell’assurdità adulta. “Andate un po’ più in là, dove la guerra non ci sarà”, cantano i bambini. Un monito che sembra rivolto a un mondo ostinatamente distratto, quando non complice.

Eppure, in questa atmosfera cupa, De André lascia filtrare un frammento di speranza. Come se, nonostante tutto, il futuro avesse ancora la testardaggine dei germogli che crescono tra le macerie. “Ci penseranno gli uomini, le bestie, i fiori, i boschi e le stagioni con i mille colori.” È un ritorno alla natura, ma anche all’umanità più semplice e concreta: quella che rinasce non perché ignora la distruzione, ma perché vi sopravvive.

De André sembra suggerirci che proprio quei bambini – testimoni e vittime – saranno i costruttori del domani. Non nati per la guerra, ma per un mondo nuovo che avrà imparato, si spera, ad ascoltare le loro domande e non a ignorarle. Dal letame nascono i fiori: e nella visione del cantautore, quei fiori sono i figli della tragedia, più resistenti di ciò che li circonda.

Una riflessione che, oggi più che mai, ci invita a guardare avanti senza smettere di interrogare il presente. Perché se la guerra torna sempre, la responsabilità di spezzare il cerchio è tutta nostra.

Se verrà la guerra, Marcondiro’ndera
se verrà la guerra, Marcondiro’ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro’ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?

Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.

La guerra è già scoppiata, Marcondiro’ndera
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.
Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro’ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.

Buon Dio è già scappato, dove non si saBuon Dio se n’è andato, chissà quando ritornerà.

L’aeroplano vola, Marcondiro’ndera
l’aeroplano vola, Marcondiro’ndà.
Se getterà la bomba, Marcondiro’ndera
se getterà la bomba chi ci salverà?

Ci salva l’aviatore che non lo farà
ci salva l’aviatore che la bomba non getterà.

La bomba è già caduta, Marcondiro’ndera
la bomba è già caduta, chi la prenderà?
La prenderanno tutti, Marcondiro’ndera
sian belli o siano brutti, Marcondiro’ndà

Sian grandi o sian piccini li distruggerà
sian furbi o sian cretini li fulminerà.

Ci sono troppe buche, Marcondiro’ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?
Non potremo più giocare al Marcondiro’ndera
non potremo più giocare al Marcondiro’ndà.

E voi a divertirvi andate un po’ più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.

La guerra è dappertutto, Marcondiro’ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.

Di gente, bestie e fiori no, non ce n’è più
viventi siam rimasti noi e nulla più


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti

Emma Hamilton, simbolo della peccaminosa e della sonnolenta Napoli borbonica di fine 700

Emma Hamilton, simbolo della peccaminosa e della sonnolenta Napoli borbonica di fine 700

Chi era davvero Emma, nata Emy Lyon, destinata a diventare la donna più chiacchierata – e, a suo modo, più influente – della Napoli di fine...

Come nasce una dittatura: l’inganno del consenso

Come nasce una dittatura: l’inganno del consenso

L’Olocausto non è nato con le camere a gas, ma con il silenzio del pensiero. Talvolta, le domande più disarmanti provengono dai bambini. “Se...

Eliogabalo: un princeps tra damnatio memoriae e rilettura queer

Eliogabalo: un princeps tra damnatio memoriae e rilettura queer

Abstract. Il regno di Vario Avito Bassiano, noto come Eliogabalo (218-222 d.C.), rappresenta una delle parentesi più controverse dell’Impero...