Il diritto di accesso agli atti interni nella P.A.

Il diritto di accesso agli atti interni nella P.A.

L’analisi del diritto di accesso, e in particolar modo del diritto di accesso agli atti interni, comporta la necessità di effettuare in via preliminare una breve analisi storica dell’istituto. La peculiarità del diritto di accesso consiste nell’essere diventato parte di una disciplina di tipo generale solo grazie alla legge del 7 agosto 1990, n. 241; prima di tale data c’erano solo delle normative di settore che prevedevano, appunto, l’esercizio di tale diritto in relazione a determinati tipi di documenti amministrativi. Il diritto di accesso trova cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico da un periodo di tempo relativamente recente, in quanto la pubblica amministrazione è sempre ricorsa all’istituto del segreto amministrativo, al fine di creare fra essa e i cittadini una barriera, che aveva trovato una sua regola consolidata nell’art. 15 del testo unico degli impiegati civili dello Stato, il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Il segreto amministrativo è stato dunque per lungo tempo la regola vigente e, al pari di altre forme di segreto presenti nel nostro ordinamento, aveva un contenuto volutamente indefinito.[1] Questo in quanto non si effettuava una specifica individuazione dell’interesse che si voleva tutelare all’interno delle norme di diritto positivo. Ciò consentiva alla pubblica amministrazione di definire discrezionalmente l’oggetto del segreto, tenendo conto delle necessità del momento e sottraendo di fatto ai cittadini il diritto all’accesso ai documenti amministrativi. Tale potere di definire i contenuti del segreto in maniera del tutto discrezionale rappresentava un serio ostacolo alla circolazione delle informazioni che risultavano pertanto separate dal complesso del patrimonio informativo pubblico. Il segreto d’ufficio trova il suo fondamento attuale nell’art. 326 c.p., rubricato “Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio”, il quale stabilisce “Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Tra le altre forme si ricorda, ad esempio, il segreto statistico che è riconosciuto dal Decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 e successive modificazioni ed integrazioni. L’art. 9, comma 1, in particolare, stabilisce che “I dati raccolti nell’ambito di rilevazioni statistiche comprese nel programma statistico nazionale da parte degli uffici di statistica non possono essere esternati se non in forma aggregata, in modo che non se ne possa trarre alcun riferimento relativamente a persone identificabili, e possono essere utilizzati solo per scopi statistici”.  In linea di principio la regola generale circa la conoscibilità degli atti della pubblica amministrazione era la segretezza, si inseriva all’interno del procedimento amministrativo e riguardava soprattutto alcune fasi quali quelle preparatoria e istruttoria. La prevalenza del principio del segreto, rispetto a quello della trasparenza e dell’accesso, era espressione di antiche ideologie che ritenevano fosse corretto esistesse questa divisione tra chi, possedendo il potere pubblico, risultava in posizione di egemonia e coloro che, invece, erano i semplici destinatari di tale potere e quindi versavano in condizione di soggezione. Da un punto di vista etimologico il termine segreto deriva da secretus ossia secernere che significa appunto “separare”.[2] Da qui l’utilizzo del termine “segreto” per indicare una separazione, per cui il segreto rappresenta essenzialmente qualcosa che viene isolato, ponendo intorno ad esso un ostacolo alla conoscenza altrui qualcosa da occultare, da nascondere appunto e da difendere dagli altri talmente grande è il suo valore.[3] Il motivo dell’adozione del principio del segreto non consisteva solamente nell’attuazione di una visione autoritaria dei rapporti tra la pubblica amministrazione ed il cittadino. Si riteneva infatti che l’amministrazione avrebbe operato con maggior profitto se non fossero stati resi noti certi aspetti dell’azione amministrativa. Difatti, attraverso il segreto amministrativo si tutelava l’interesse sostanziale, di natura pubblica, all’efficienza della pubblica amministrazione, in quanto senza l’intralcio delle richieste dei cittadini, la pubblica amministrazione poteva concentrarsi sull’azione amministrativa e sul perseguimento dell’interesse pubblico. L’apertura verso un sistema fondato sui principi di pubblicità e trasparenza, in luogo del vecchio sistema caratterizzato appunto dal principio di segretezza, che trovava da ultimo fondamento nel già citato articolo 15, del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) avviene solo in epoca recente. Può essere citata, per la sua valenza generale, la. Legge n. 816/1985 che riconosceva il diritto di tutti i cittadini di prendere visione dei provvedimenti emessi da una serie di enti locali, quali province e comuni, e di enti territoriali, quali le comunità montane e le Unità Sanitarie Locali. La legge 7 agosto 1990 n. 241 introduce anche nel nostro ordinamento, in via generale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e che già nella sua rubrica evidenzia l’importanza del diritto di accesso, essendo intitolata “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”.[4] Va aggiunta la Legge n. 142/1990, in materia di accesso agli atti prodotti dagli enti locali la cui trasparenza doveva essere completa anche se due pronunce del Consiglio di Stato[5] hanno disposto che anche in materia di enti locali il diritto di accesso per essere esercitato deve estrinsecarsi attraverso un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

Altra ipotesi di esercizio del diritto di accesso elaborato al di fuori della legge 241/90 è fornito dall’art. 7 del decreto legislativo n. 196/03 in materia di protezione dei dati personali. Anche se in quest’ultimo caso il diritto di accesso verrebbe applicato ai ‘dati personali’ e non ai ‘documenti amministrativi’ ed inoltre avrebbe per oggetto i dati personali relativi all’interessato. La disciplina del diritto di accesso trova collocazione all’interno del capo V della suindicata legge 241/1990. La normativa in questione si inserisce nel quadro delle riforme volte a garantire un miglioramento della pubblica amministrazione dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia dell’agire amministrativo, anche attraverso un nuovo rapporto tra amministrazione e amministrati fondato su principi quali quelli della partecipazione e della trasparenza.[6] Tale legge sul procedimento venne da subito definita come “legge del secolo” o “rivoluzionaria” perché, nelle aspettative dei giuristi e degli studiosi della materia, avrebbe dovuto “garantire il cittadino contro l’azione amministrativa nel suo farsi e non come avviene nel processo amministrativo contro il suo prodotto (atto o provvedimento amministrativo)”.[7] In effetti la legge 241/1990 determina, anche attraverso altri istituti giuridici introdotti dalla stessa, la centralità del procedimento amministrativo rispetto al provvedimento amministrativo. La problematica relativa al riconoscimento di un diritto del cittadino di accedere agli atti ed ai documenti della pubblica amministrazione risale agli inizi dell’esperienza repubblicana, immediatamente a ridosso della caduta del regime fascista. La questione è sempre stata esaminata all’interno di un progetto più complessivo, diretto all’introduzione di una legge generale che regolamentasse in maniera organica i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione e dunque all’introduzione di una disciplina espressa del procedimento amministrativo. Nel testo originario della legge 241/1990 il diritto di accesso era disciplinato dall’art. 22, comma 1, il quale si esprimeva nei termini seguenti “al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge”. Il successivo comma 2 dello stesso art. 22 introduce il concetto di documento amministrativo, essenziale per la ricostruzione che si opererà nella presente trattazione relativa all’accessibilità nei confronti degli atti interni. Per documento amministrativo, si intendeva “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa[8]. A distanza di 15 anni la materia è stata innovata attraverso la legge n. 15/2005 che in tema di esercizio del diritto di accesso ha completamente riscritto il ‘vecchio’ articolo 22 e lo ha fatto recependo una serie di pronunce giurisprudenziali. La materia inerente la disciplina del diritto di accesso è esplicitata, quindi, attraverso l’art. 22, così come riscritto dall’articolo 15 della legge 15/2005, pertanto tale diritto concerne un “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.[9] Il Legislatore ha riscritto completamente gli articoli (22, 24 e 25) disciplinanti il diritto di accesso e ha inserito una serie di definizioni aventi carattere sostanziale. Da premettere che il diritto di accesso disciplinato dall’articolo in esame è quello c.d. conoscitivo o informativo mentre l’accesso di tipo partecipativo è enunciato dall’articolo 10 il cui testo è rimasto invariato. Tra le novità più rimarchevoli rispetto alla precedente normativa citiamo le seguenti: l’accesso è stato definito dall’art. 22. comma 1, della legge 15/05 come “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”.

Va osservato che nella completa riscrittura dell’articolo 22, il Legislatore ha inserito una serie di definizioni – sulla falsariga di quanto accade nella elaborazione dei testi legislativi comunitari – (quali: ’diritto di accesso’, ‘interessato’, ‘controinteressati’, ‘documento amministrativo’ e ‘pubblica amministrazione’), che però non aiutano in maniera esaustiva a fare chiarezza in merito a rilevanti aspetti, quali ad es.: l’ambito di operatività assegnato alle citate definizioni; infatti da una prima lettura dell’articolo sembrerebbe che esse abbiano una valenza limitata al solo Capo V. Da questo punto di vista, il diritto di accesso assurge a principio generale dell’attività della pubblica amministrazione e, di conseguenza, permette anche di valutare se l’operato della stessa sia conforme al requisito della imparzialità. Il Consiglio di Stato si era dovuto esprimere in merito al concetto di documento amministrativo atteso che la l. n. 241/90 era priva di una esplicita elencazione, ma, ciò nonostante, ha ritenuto che sia comunque possibile, ‘combinando’ il testo dell’articolo con la sua collocazione all’interno della legge, stabilire in quale ambito collocare il diritto di accesso. L’art. 22, n. 241/90, infatti, fa riferimento ad ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. La definizione fornita, in uno alla doverosa considerazione della collocazione della disciplina in punto di accesso in seno ad un più ampio articolato normativo riguardante l’attività amministrativa e, nel dettaglio, il procedimento, induce ad escludere che nei confini oggettuali dell’accesso possano rientrare atti aventi carattere squisitamente processuale, quali, per l’appunto, la memoria difensiva o la relazione medica presentate in giudizio dal consulente di parte.”[10] La legge n. 15/2005, all’articolo 22, comma 1, lett.b) definisce “per interessati, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Il vecchio testo non recava alcun riferimento alla qualificazione dell’interesse che però l’art. 2 del DPR 27.6.1992 N. 352 precisava da subito dovesse essere “personale e concreto”.  Ora tali concetti, in parte modificati, sono sussunti nel testo della normativa primaria, sostituendo al concetto di “personale” quello di “diretto” ed aggiungendo il requisito dell’attualità dell’interesse; il quale ultimo potrà comportare qualche problema interpretativo in ordine all’attualità della tutela in sede giurisdizionale, per la quale il documento è richiesto.  In effetti, sovente la giurisprudenza si è chiesta se, alla fine dell’esperibilità dell’accesso, dovesse essere in corso una controversia tra istante e P.A.

A tal riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha infatti sempre escluso la necessità dell’imminenza della lite nell’ambito della quale esibire i documenti richiesti con l’accesso, e né la dimostrazione della possibilità che in un futuro sorga una lite[11].L’interesse a presentare l’istanza deve essere tenuto ben distinto da quello ad agire. inoltre, la legittimazione all’accesso agli atti non deve essere valutata con riguardo alla fondatezza della pretesa sostanziale sottostante, ma costituisce una situazione autonoma. L’interesse all’accesso, infatti deve essere valutato in astratto, prescindendo da qualsiasi valutazione della P.A., circa la fondatezza o meritevolezza in merito all’ammissibilità di un’eventuale domanda giudiziale. Sulla base di tale principio di diritto la giurisprudenza più recente ha chiarito come l’interesse ad accedere agli atti è autonomo e indipendente rispetto alla sorte del processo, e dell’eventuale infondatezza o inammissibilità del ricorso, una volta conosciuti gli atti oggetto dell’istanza. L’attuale disposizione normativa parla di soggetti privati per individuare i legittimati attivi. Pertanto, possono presentare l’istanza di accesso tutti i cittadini privati che vengano in contatto con la P.A., e per tutelare un proprio interesse devono necessariamente prendere visione di determinati documenti in possesso dell’ente. Molto più articolata, e anche interessante, è la precisazione della nuova normativa è quella che riguarda i soggetti portatori di interessi pubblici o diffusi. Invero anche con la precedente formulazione della norma la giurisprudenza aveva pacificamente ammesso la legittimazione attiva di associazioni portatrici di interessi diffusi, cioè di interessi che pertengono ad una pluralità di soggetti, unificata in una collettività e che hanno per oggetto beni non suscettibili di appropriazione e godimento esclusivi.[12] Il limite all’accesso è stato individuato nella mancanza di un collegamento diretto tra atti richiesti e tutela dell’interesse diffuso: la titolarità di interessi diffusi non può mai giustificare un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza della documentazione amministrativa inerente a qualsiasi attività pubblicistica che si riverberi economicamente sui cittadini, ma unicamente a quell’attività in grado di conformare direttamente il contenuto del singolo rapporto di utenza.[13] Ne consegue che la legittimazione all’accesso a siffatte associazioni presuppone che la documentazione sia utile alla tutela non già di interessi proprio dei singoli associati, quanto alla salvaguardia dell’interesse proprio e differenziato della categoria rappresentata, in ossequio alle finalità statuarie di tali associazioni.

A limitare ancor di più l’esercizio del diritto di accesso di suddette associazioni, è intervenuto il Codice del Consumo, il d.lgs. 206 del 2005, il quale ha disposto che alle stesse non è riconosciuto un potere di vigilanza a tutto campo, da esercitare mediante la presa visione di atti e documenti con cui accertare il rispetto delle regole di efficienza e trasparenza, ma secondo quanto sostenuto da un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, a tali associazioni viene riconosciuta la legittimazione ad agire perché vengano vietati e inibiti comportamenti o atti che siano effettivamente lesivi degli interessi dei soggetti rappresentati. Se ne deduce che l’interesse dell’ente associativo a chiedere l’esibizione di documenti afferenti una ben determinata operazione economica, idonei ad asserire la lesione degli interessi dei consumatori[14].Affinché questi soggetti possano esercitare l’accesso agli atti è necessario un duplice requisito: a) Un interesse diretto, concreto e attuale; b) E inoltre che il succitato interesse sia strettamente collegato ad una situazione giuridicamente rilevante e a sua volta legata al documento di cui si chiede l’esibizione. Quanto al presupposto sub a) bisogna chiarire che cosa si intenda per: diretto, concreto e attuale. L’interesse all’accesso si considera diretto quando è personale, ovvero appartiene alla sfera personale dell’interessato; è concreto, invece, quando è collegato alle ragioni esposte a sostengo dell’istanza; infine è attuale quando il documento abbia spiegato o sia idoneo a spiegare effetti diretti ovvero indiretti nei confronti del richiedente [15].

È opportuno sottolineare che la posizione che giustifica l’accesso agli atti non richiede necessariamente la sussistenza di tutti i presupposti stabiliti ex lege per la proposizione del ricorso giurisdizionale innanzi al G.A, avverso un atto lesivo della posizione giuridica vantata. Come autorevolmente sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado, ai fini del diritto di accesso è necessario e sufficiente che l’istante sia titolare di un interesse rilevante giuridicamente e che la richiesta di accesso si fondi su di esso. [16] Inoltre, La situazione giuridica vantata dal privato e collegata al documento non deve assurgere a posizione giuridica tutelata in modo pieno, essendo per contro sufficiente il collegamento con una situazione giuridicamente riconosciuta anche in misura attenuata. Infine, è necessario che il documento di cui si chieda l’esibizione riguardi una “situazione giuridica rilevante”, ai sensi della lett. b) dell’art. 22 l. 241/90, a differenza della norma precedente che parlava di “tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”. Non sembra che la modifica, sotto tale profilo, rechi novità significative: deve cioè trattarsi della titolarità di una posizione giuridica soggettiva, sia di diritto che di interesse, alla quale l’ordinamento riconosce tutela. La nozione di situazione giuridicamente rilevante è nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo; così che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentale oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso, inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto; è stato riconosciuto l’accesso anche in presenza di una situazione divenuta inoppugnabile.[17]

[1] G. ARENA, Il segreto amministrativo.Profili storici e sistematici, Padova,1983.

[2] A. MELONCELLI, L’informazione amministrativa, Rimini, 1983, pag. 267.

[3] V. ITALIA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano,1994, pag. 4.

[4] M.A. SANDULLI, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. Dir., 2000, IV, Agg., pag. 1 ss.

[5] Cons. di Stato, Sez. V, n. 6879/2004 e Sez. V, n. 1969/04.

[6] V. CERULLI IRELLI (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 409 ss.

[7] G. CORSO, Conclusioni, in AA.VV., Atti del convegno su “L’attuazione della legge 241/90. Risultati e prospettive” tenutosi a Macerata il 21-22 giugno 1996, a cura di G. SCIULLO, Milano, 1997, pag. 58.

[8] L. MAZZAROLLI, L’accesso ai documenti della pubblica amministrazione. Profili sostanziali, op. cit., pag. 6 ss.

[9] S. MEZZACAPO, Entrata in vigore solo dopo il regolamento, in Guida al Diritto – Il Sole 24 ore n. 10 del 12 marzo 2005.

[10] Cons. di Stato, sez. VI, sentenza del 30 marzo 2001, n. 1882: “E’ necessario, infatti, tener conto della nozione di documento amministrativo accessibile fornito dal legislatore del ’90 il quale, pur non procedendo…ad un’elencazione tipologica degli atti ostensibili, ha tuttavia fornito una definizione di carattere generale utile a perimetrale sul versante oggettivo ‘ambito di esperibilità del ‘diritto’ di accesso.

[11] Tar Campania Napoli Sez. V 03.05 2007 n. 4702.

[12] C.M. BIANCA in “La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi” a cura di Lucio Lanfranchi, Giappichelli 2003 p. 78 .

[13] Tar Lazio Roma Sez. II 22.062005 n. 10 45

[14] Tar Lazio Roma Sez. III 22.12.2006 NR. 5538, Tar Lazio Roma Sez. I Bis, 28.08.2013 nr. 7991.

[15] Tar Lazio Roma Sez. III Ter 02.05.2012 nr. 3921

[16] Cons. Stato Adu Plen. 24.04.2012 nr. 7

[17] Cons. Stato sez. VI 27.10.2006 n. 6440.


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