Brevi considerazioni sul delitto di epidemia colposa

Brevi considerazioni sul delitto di epidemia colposa

Il delitto di epidemia colposa disciplinato dall’articolo 438 c.p. nell’ambito dei “delitti contro l’incolumità pubblica” al Titolo VI del libro II del codice penale prevede che “chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone si applica la pena dell’ergastolo” (pena sostituita a quella di morte per effetto del d.lgs. lgt. 10 agosto 1944, n. 224).

Tale incriminazione, collocata nei delitti di comune pericolo mediante frode, venne inserita dal legislatore storico, come evidenziato nei Lavori preparatori al codice penale e al codice di procedura penale, con l’obiettivo di contrastare il sempre più avvertito pericolo derivante dalla possibilità di venire in possesso di germi patogeni, capaci di cagionare un’epidemia e diffonderli.

Il termine epidemia derivante dal greco epi demios che significa diffuso nel popolo è un termine dal significato fortemente pregnante che, al tempo stesso, precisa anche le caratteristiche clinico-patologiche individuate nei “germi patogeni”, vettori della diffusione e capaci di produrre malattie infettive.

La fattispecie incriminatrice in esame, che deve essere qualificata in termini di reato di pericolo concreto, secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalente tutela un bene giuridico di rilievo costituzionale la salute pubblica (art. 32 Cost.), essendo il reato inserito, come già prima anticipato, nell’ambito dei delitti di comune pericolo mediante frode, ove la frode è data dalla insidiosità del mezzo, ovvero, dei germi patogeni.

Di recente il delitto di epidemia colposa è stato oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha visto le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione pronunciarsi a seguito di un’ordinanza rimessa dalla Quarta Sezione penale, in merito alla compatibilità del delitto di epidemia colposa con la forma omissiva.

L’ordinanza di rimessione ha evocato la possibilità di un’interpretazione più ampia, ammissiva della realizzazione del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva, osservando come la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede che il soggetto agente procuri un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire tale diffusione.

Tale ordinanza si pone in contrasto con altre pronunce della giurisprudenza di legittimità che, invece, hanno sempre negato la possibilità che il delitto di epidemia colposa possa essere realizzato in forma omissiva, dal momento che si tratterebbe di un reato a forma vincolata e, quindi, non suscettibile di realizzarsi in forma omissiva in base alla clausola di equivalenza prevista dall’articolo 40 cpv c.p. riferibile alle sole fattispecie a forma libera.

Secondo la Sezione rimettente, invece, il verbo diffondere utilizzato dal legislatore del 1930 ha un significato molto ampio, tale da ricomprendere le forme più disparate, comprensive anche del “lasciare che altri diffonda”.

Il dato letterale, infatti, non osterebbe ad una lettura della norma incriminatrice aperta anche alla forma omissiva e la cui corretta interpretazione dovrebbe essere ispirata ai criteri enunciati dalle Sezioni Unite civili secondo cui “l’attività interpretativa giudiziale è segnata dal limite di tolleranza e ed elasticità dell’enunciato, ossia del significato testuale della disposizione che ha posto il legislatore e dai cui plurimi significati possibili muove la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa”.

I giudici rimettenti, inoltre, sottolineano come il contesto storico e sociale sia mutato rispetto a quello presente al varo della norma, infatti, per il legislatore storico lo spargimento di germi si presentava come una modalità di realizzazione di tipo doloso, senza attribuire alcuna rilevanza a modalità di realizzazione di tipo colpose, assunte soprattutto in seguito alla gestione del rischio sanitario, correlata a condotte inosservanti di carattere per lo più colpose.

Le Sezioni Unite, consapevoli dell’importanza della questione rimessa dalla Quarta Sezione penale,

sono giunte ad una soluzione che rispecchia il mutato contesto storico e sociale.

La norma incriminatrice in esame, come precisano le Sezioni Unite, pone l’accento sull’evento e non sulla condotta, ma soprattutto la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni” è volta a descrivere l’evento, sottolineando la volontà del legislatore di circoscrivere la nozione di epidemia alle sole malattie infettive, che si diffondono mediante germi patogeni.

La diffusione dei germi patogeni, infatti, costituisce una modalità di caratterizzazione dell’evento che ben si evince, tra l’altro, dal mancato impiego da parte del legislatore dell’utilizzo del verbo “diffondere” collegato al “chiunque” autore del fatto.

Il legislatore del 1930 ha preferito utilizzare il sostantivo posposto all’evento “epidemia”, per cui può certamente ritenersi che non è il soggetto agente colui che “diffonde”, ma sono i germi patogeni dell’epidemia che si diffondono realizzando l’evento.

Le Sezioni Unite valorizzano in questa importante pronuncia la immediata correlazione sussistente tra soggetto, verbo ed oggetto prevista nell’articolo 438 c.p.

In conclusione il riferimento alla “diffusione di germi patogeni” posto dopo il termine “epidemia”, deve essere interpretato come specificazione dell’evento e non della condotta; l’epidemia nella voluntas legis, può realizzarsi solo attraverso la propagazione dei germi patogeni e non attraverso le altre forme riscontrabili nel contesto scientifico o naturalistico.


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