Magazzinieri al banco della farmacia: profili normativi e rimedi legali

Magazzinieri al banco della farmacia: profili normativi e rimedi legali

Sommario: Introduzione – 1. La normativa di settore: la dispensazione del farmaco come atto riservato al farmacista – 1.1 Il quadro legislativo – 1.2 L’aspetto sanitario e la tutela della salute pubblica – 2. L’inquadramento giuslavoristico: le mansioni del personale ausiliario nelle farmacie – 2.1 Il CCNL delle farmacie private e la qualificazione del personale – 2.2 L’adibizione a mansioni superiori: la giurisprudenza – 3. I profili di responsabilità penale e amministrativa del titolare della farmacia – 3.1 L’esercizio abusivo della professione – 3.2 Le sanzioni amministrative e disciplinari – 4. I rimedi legali a disposizione del lavoratore – 4.1 Gli strumenti di autotutela e la diffida – 4.2 L’azione giudiziaria in sede civile – 4.3 La segnalazione agli organi di vigilanza – 5. Le responsabilità e i rischi legali del magazziniere coinvolto nella dispensazione illegittima – 6. Considerazioni conclusive: un fenomeno da contrastare anche per la tutela della professione – 7. Conclusione

Introduzione

Il settore farmaceutico costituisce uno dei comparti economici e professionali più rigidamente disciplinati dall’ordinamento italiano. Tale rigidità normativa risponde a precise esigenze di tutela della salute pubblica, valore costituzionalmente protetto dall’art. 32 della Costituzione.

La commercializzazione del farmaco, infatti, non si esaurisce in un’attività di compravendita di beni, bensì implica un servizio pubblico essenziale, in cui il farmacista assume un ruolo di presidio sanitario territoriale, di mediatore tra la prescrizione medica e il corretto uso del farmaco da parte del cittadino, nonché di garante della sicurezza della filiera farmaceutica.

La funzione sociale del farmacista — e, per estensione, della farmacia — si concretizza nel rapporto fiduciario instaurato con l’utenza. Il cliente, entrando in farmacia, confida non solo nella disponibilità di prodotti sanitari, ma soprattutto nella presenza di un professionista abilitato, in grado di offrire consulenza competente, valutazioni professionali e di svolgere controlli preventivi su eventuali criticità nella somministrazione dei farmaci. Ne discende che la farmacia non può essere considerata una semplice attività commerciale: essa svolge una funzione sanitaria integrata nel Servizio Sanitario Nazionale, come riconosciuto anche dalla normativa europea.

Nonostante questa impostazione normativa e deontologica rigorosa, l’esperienza concreta registra fenomeni distorsivi che si pongono in aperta violazione di legge. Tra le prassi più preoccupanti vi è l’utilizzo sistematico di personale ausiliario o di magazzinieri, formalmente assunti con mansioni di supporto logistico o amministrativo, per lo svolgimento di attività di dispensazione diretta al pubblico di farmaci.

Tale condotta è tutt’altro che episodica o marginale. Si tratta di una prassi che sembra essersi consolidata in alcune realtà aziendali, alimentata da finalità meramente economiche — come la riduzione del costo del personale qualificato — e da un approccio imprenditoriale che tende a marginalizzare le garanzie imposte dalla legge. Si tratta di una distorsione che non solo viola le norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei cittadini, ma lede i diritti dei lavoratori coinvolti e mette a rischio la stessa sostenibilità deontologica e giuridica della professione farmaceutica.

L’impiego di personale non abilitato nella dispensazione al pubblico dei farmaci solleva, infatti, questioni giuridiche di natura plurima:

  • Sotto il profilo del diritto del lavoro, per l’illegittima adibizione del lavoratore a mansioni superiori non corrispondenti alla qualifica attribuita, in violazione dell’art. 2103 c.c. e della disciplina collettiva di settore;

  • Sotto il profilo del diritto sanitario e penale, per la violazione delle norme che riservano la vendita e la consulenza sui farmaci ai soggetti abilitati, con possibili profili di esercizio abusivo della professione e messa in pericolo della salute pubblica;

  • Sotto il profilo amministrativo, per le possibili sanzioni che possono colpire la farmacia e il titolare, fino alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio;

  • Sotto il profilo deontologico, per la violazione dei doveri professionali da parte dei farmacisti titolari o direttori responsabili che tollerano o favoriscono tali pratiche.

Scopo del presente contributo è offrire un’analisi articolata di queste problematiche, prendendo in esame la normativa vigente, la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità, nonché le possibili vie di tutela a disposizione dei lavoratori e degli operatori del settore.

1. La normativa di settore: la dispensazione del farmaco come atto riservato al farmacista

1.1 Il quadro legislativo 

Il quadro normativo italiano in materia di esercizio della professione farmaceutica è da sempre improntato a una rigorosa regolamentazione, diretta non solo a tutelare gli interessi economici del settore, ma soprattutto a garantire la salute pubblica, bene primario riconosciuto e tutelato dalla Costituzione.

La disciplina vigente si fonda su un insieme di disposizioni di rango primario che, nel loro combinato disposto, delineano in maniera netta i limiti e le condizioni entro cui si può legittimamente esercitare l’attività di dispensazione dei farmaci al pubblico.

Il primo pilastro normativo è rappresentato dal Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo Unico delle Leggi Sanitarie), tuttora vigente per quanto non abrogato da normative successive. In particolare, l’art. 122 stabilisce che l’esercizio della professione di farmacista è subordinato al possesso di specifici requisiti: il conseguimento della laurea in farmacia o in chimica e tecnologia farmaceutiche e l’abilitazione mediante esame di Stato, cui segue l’iscrizione all’Albo professionale. Solo il professionista in possesso di tali requisiti può esercitare la professione, che comprende — come previsto dallo stesso articolo — la preparazione, il controllo, la conservazione e la distribuzione dei medicinali.

A questa disciplina si affianca la Legge 8 novembre 1991, n. 362, che, nel ridisegnare l’assetto del servizio farmaceutico nazionale, ha riaffermato la funzione pubblica svolta dalla farmacia e la riserva della dispensazione al farmacista iscritto all’albo. In particolare, l’art. 1 della legge qualifica il servizio farmaceutico come parte integrante del Servizio Sanitario Nazionale e sottolinea che l’attività svolta dalle farmacie deve garantire, in ogni momento, la presenza di un farmacista responsabile dell’erogazione del servizio.

Altro riferimento fondamentale è rappresentato dal Decreto Legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (attuativo della direttiva 2001/83/CE), che disciplina in modo dettagliato l’immissione in commercio, la distribuzione e la vendita dei medicinali per uso umano. L’art. 122 del decreto ribadisce che la dispensazione dei medicinali soggetti a prescrizione medica deve avvenire esclusivamente ad opera di un farmacista in possesso dei requisiti di legge.

Il quadro normativo, così come delineato, non lascia spazio a interpretazioni estensive o a deroghe di fatto: la dispensazione del farmaco non può essere considerata un’attività materiale o ausiliaria, né tantomeno una mera operazione di cassa o consegna di merce. Essa costituisce un atto professionale riservato, che si colloca all’interno di un rapporto giuridico-funzionale tra il farmacista, il cliente e il sistema sanitario.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire in più occasioni il carattere esclusivo dell’attività di dispensazione. In una significativa sentenza della Sezione VI penale (Cass. Pen., Sez. VI, 20 novembre 1997, n. 13232), la Suprema Corte ha affermato che “la dispensazione dei farmaci al pubblico costituisce atto proprio della professione di farmacista” e che “l’esercizio di tale attività da parte di soggetti privi di abilitazione professionale integra gli estremi del reato di esercizio abusivo della professione di cui all’art. 348 c.p.”.

Questa pronuncia ha il merito di chiarire un aspetto fondamentale: la dispensazione, anche se ridotta al solo atto materiale della consegna del farmaco al cliente, rappresenta una manifestazione tipica dell’attività professionale del farmacista e non può essere delegata o attribuita a personale privo di abilitazione, pena la configurazione di un reato.

Tale orientamento giurisprudenziale si è consolidato negli anni, trovando conferme costanti, anche alla luce della normativa europea che, nell’ottica di garantire la sicurezza dei pazienti, impone standard rigorosi per la professione farmaceutica.

1.2 L’aspetto sanitario e la tutela della salute pubblica

Se il quadro normativo si mostra già di per sé chiaro ed esaustivo, è nell’ottica della tutela della salute pubblica che si coglie appieno la ratio della riserva legale della dispensazione al farmacista.

La farmacia, infatti, non è semplicemente un punto vendita, né il farmacista può essere considerato alla stregua di un esercente commerciale. La vendita dei farmaci rientra tra le attività di rilevanza sanitaria, così come definito dal legislatore e confermato dalla prassi amministrativa e giudiziaria.

Il farmacista, al momento della dispensazione, non si limita a porgere un prodotto al cliente, ma è investito di una serie di obblighi professionali che si traducono in precisi doveri di controllo e di consulenza. Tra questi:

  • La verifica della regolarità formale e sostanziale della prescrizione medica, ove prevista;

  • Il controllo delle eventuali incompatibilità tra farmaci, anche alla luce delle informazioni rese dal paziente;

  • La consulenza sull’uso corretto del medicinale, le modalità di assunzione, le controindicazioni e gli effetti collaterali;

  • L’informazione al cliente su possibili interazioni con altri farmaci o alimenti;

  • Il supporto nella gestione di eventuali reazioni avverse o problematiche emergenti.

Tutte queste attività rappresentano un momento cruciale per la tutela della salute del cittadino. In molte situazioni, è proprio grazie all’intervento del farmacista che si evitano errori terapeutici, somministrazioni scorrette o usi impropri dei medicinali.

L’impiego di personale privo di adeguata formazione professionale in questa fase del rapporto con il pubblico comporta, pertanto, un grave vulnus al sistema di garanzie predisposto dall’ordinamento. Si tratta di una violazione che non incide solo sui diritti del lavoratore impropriamente impiegato, ma che mina alla radice la sicurezza del servizio farmaceutico e, di conseguenza, la tutela della salute pubblica.

La giurisprudenza ha più volte sottolineato la stretta connessione tra la dispensazione del farmaco e la realizzazione del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione. In particolare, la Corte di Cassazione ha osservato che la funzione del farmacista non si esaurisce nella semplice attività di vendita, ma integra un vero e proprio ruolo di presidio sanitario territoriale, tanto che la sua presenza in farmacia non è un optional, ma un obbligo di legge che risponde a precise esigenze di interesse pubblico.

Sul piano penale, l’esercizio abusivo della professione da parte di soggetti non abilitati non è configurabile soltanto come una violazione di norme corporative, ma rappresenta un concreto pericolo per la salute dei cittadini. Per questo la giurisprudenza ha sempre interpretato in senso rigoroso l’art. 348 c.p., ritenendo penalmente rilevante anche la sola attività materiale di consegna di farmaci al pubblico da parte di soggetti non abilitati.

Anche la giurisprudenza amministrativa ha sottolineato che il servizio farmaceutico, essendo parte del sistema di tutela della salute pubblica, deve svolgersi nel pieno rispetto delle norme di settore, senza possibilità di deroghe basate su prassi o consuetudini locali.

Pertanto, qualsiasi deviazione dal modello legale di dispensazione, come l’uso improprio di magazzinieri o personale ausiliario nel contatto diretto con il pubblico, si configura non solo come una violazione delle norme lavoristiche o professionali, ma come una lesione dell’interesse generale alla sicurezza sanitaria della collettività.

2. L’inquadramento giuslavoristico: le mansioni del personale ausiliario nelle farmacie 

2.1 Il CCNL delle farmacie private e la qualificazione del personale

La contrattazione collettiva rappresenta, nell’ordinamento giuslavoristico italiano, la principale fonte di regolamentazione dei rapporti di lavoro, costituendo il punto di riferimento per la definizione delle mansioni, delle qualifiche e dei livelli retributivi applicabili ai lavoratori dipendenti.

Nel settore delle farmacie private, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per i dipendenti delle farmacie private fornisce un quadro preciso delle figure professionali previste e delle rispettive competenze. Tale articolazione mira a rispecchiare fedelmente la distribuzione dei compiti all’interno della farmacia, in coerenza con le normative di legge e con la funzione sanitaria dell’attività esercitata.

Il CCNL distingue le figure professionali principali in due grandi categorie:

  • I farmacisti collaboratori, professionisti in possesso del titolo di laurea, dell’abilitazione professionale e regolarmente iscritti all’Albo dei farmacisti, ai quali compete la responsabilità diretta della dispensazione dei farmaci e delle altre attività sanitarie previste dalla legge. La loro funzione è eminentemente sanitaria, sebbene svolta all’interno di un contesto imprenditoriale privato.

  • Il personale tecnico e ausiliario, che comprende figure quali magazzinieri, addetti alla logistica, al rifornimento degli scaffali, alla movimentazione delle merci, nonché addetti alle pulizie e alla manutenzione degli ambienti di lavoro. Le mansioni attribuite a questa categoria sono di natura meramente materiale e gestionale, senza alcuna possibilità — secondo una clausola pattizia di esclusione tassativa — di svolgere attività di dispensazione o di contatto diretto con il pubblico in relazione alla vendita o alla consulenza sui farmaci.

Questa rigida distinzione, codificata nel CCNL, non è il risultato di una scelta casuale o meramente sindacale, ma risponde alla necessità di mantenere intatta la riserva legale delle attività sanitarie in capo ai soli farmacisti, evitando qualsiasi forma di commistione tra funzioni sanitarie e mansioni ausiliarie.

La violazione di questa distinzione da parte del datore di lavoro non rappresenta soltanto un illecito contrattuale, ma può configurare anche una violazione delle norme imperative di legge, specie laddove il personale ausiliario venga di fatto utilizzato per attività riservate, come la dispensazione di medicinali, la consulenza al pubblico o la verifica di prescrizioni.

Il principio generale che governa l’assegnazione delle mansioni nel rapporto di lavoro subordinato è quello sancito dall’art. 2103 c.c., così come modificato dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (Jobs Act). Tale norma stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto e che corrispondono al livello di inquadramento attribuito, salvo i casi di assegnazione a mansioni equivalenti o superiori.

Il Jobs Act ha innovato la disciplina tradizionale, ammettendo una maggiore flessibilità in merito al concetto di equivalenza delle mansioni. Tuttavia, permane il divieto di adibire il lavoratore a mansioni totalmente estranee o superiori senza le dovute conseguenze giuridiche e retributive. L’assegnazione a mansioni superiori, infatti, comporta — anche senza formale attribuzione — il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione corrispondente alla mansione effettivamente svolta e, in taluni casi, al riconoscimento della qualifica superiore.

2.2 L’adibizione a mansioni superiori: la giurisprudenza

Il tema dell’adibizione a mansioni superiori e dei relativi effetti sul piano retributivo e professionale è stato a lungo oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.

La Suprema Corte di Cassazione ha più volte affermato un principio ormai consolidato: quando il lavoratore sia adibito, in modo continuativo e sistematico, a mansioni superiori rispetto a quelle proprie dell’inquadramento contrattuale, ha diritto a percepire la retribuzione corrispondente alla qualifica superiore, anche in assenza di un formale atto di attribuzione di tali mansioni da parte del datore di lavoro.

Tra le pronunce più significative si segnala la sentenza Cass. civ., Sez. Lav., 26 settembre 2017, n. 22314, secondo la quale: “Qualora il lavoratore abbia svolto, anche di fatto e in assenza di formale attribuzione, mansioni proprie di una qualifica superiore, ha diritto a percepire il relativo trattamento retributivo. Né rileva, a tal fine, la natura occasionale delle prime adibizioni, se la protrazione nel tempo delle medesime ha assunto carattere di stabilità e sistematicità”.

In altri termini, l’utilizzo “improprio” del lavoratore in mansioni superiori — che nel caso in esame si concretizza nell’impiego del magazziniere al banco per la dispensazione di farmaci — legittima il lavoratore stesso a rivendicare non solo le differenze retributive per il periodo in cui ha svolto tali mansioni, ma anche, ricorrendone i presupposti, l’inquadramento nella qualifica superiore.

Ciò che la giurisprudenza valorizza è la natura sostanziale del rapporto di lavoro, guardando alla realtà effettiva del contenuto delle prestazioni svolte, piuttosto che alla qualificazione formale attribuita dal datore di lavoro o dalle pattuizioni contrattuali.

Nel contesto specifico delle farmacie, la questione assume particolare rilievo per due motivi:

  1. La dispensazione del farmaco costituisce una mansione non solo superiore, ma anche riservata per legge a una specifica categoria professionale (il farmacista abilitato), con tutto ciò che ne consegue in termini di violazione delle norme di ordine pubblico;

  2. L’utilizzo sistematico di personale ausiliario per attività di dispensazione determina un duplice profilo di responsabilità per il datore di lavoro: da un lato, per la violazione delle norme giuslavoristiche in materia di mansioni e retribuzione; dall’altro, per la violazione delle norme sanitarie e penali sopra esaminate.

La violazione dell’art. 2103 c.c., pertanto, si somma alla responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro e del CCNL applicabile. Il lavoratore ha diritto a promuovere le azioni giudiziarie previste dall’ordinamento per il riconoscimento delle differenze retributive maturate e per l’eventuale declaratoria di attribuzione della qualifica superiore.

Va poi osservato che l’adibizione a mansioni superiori non può essere giustificata da esigenze aziendali o organizzative, quando ciò comporti la violazione di norme imperative o l’assegnazione a mansioni riservate per legge a determinate figure professionali. In tal senso, la giurisprudenza ha stabilito che il datore di lavoro non può invocare la propria organizzazione interna per legittimare condotte contra legem.

Infine, occorre sottolineare che l’adibizione illegittima a mansioni superiori può integrare, nei casi più gravi, gli estremi di un comportamento datoriale vessatorio o comunque lesivo della dignità del lavoratore, aprendo la strada a possibili azioni risarcitorie anche per danno non patrimoniale, specie se la condotta si protrae nel tempo o avviene in un contesto di sistematica violazione delle norme di legge.

3. I profili di responsabilità penale e amministrativa del titolare della farmacia

3.1 L’esercizio abusivo della professione

Il tema della responsabilità penale connessa all’illecito impiego di personale ausiliario nella dispensazione di farmaci al pubblico si collega direttamente all’art. 348 c.p., il quale stabilisce che: «Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000».

Il bene giuridico tutelato dalla norma è l’interesse pubblico alla corretta e legale esecuzione di determinate attività professionali, in particolare quelle che, per la loro rilevanza sociale, sanitaria o economica, richiedono una specifica abilitazione rilasciata dallo Stato o dagli enti preposti.

Nel caso del settore farmaceutico, la dispensazione al pubblico di medicinali è considerata, a tutti gli effetti, un atto proprio della professione di farmacista. Ciò implica che chiunque svolga tale attività senza essere in possesso del titolo abilitativo, ovvero della laurea in farmacia o in chimica e tecnologia farmaceutiche, dell’abilitazione professionale e dell’iscrizione all’Albo, commette il reato di esercizio abusivo della professione.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito in più occasioni che la responsabilità penale non si limita alla figura dell’autore materiale dell’illecito, ma si estende a chiunque, pur non svolgendo direttamente l’attività vietata, ne consenta o ne agevoli l’esercizio, concorrendo così nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p.

In particolare, nella sentenza Cass. Pen., Sez. VI, 9 gennaio 2019, n. 414, la Corte ha ribadito che: «Risponde del reato di esercizio abusivo della professione sanitaria il titolare della farmacia che consenta, tolleri o non impedisca consapevolmente che personale privo dei requisiti di legge — come magazzinieri o commessi — esegua attività riservate al farmacista, quali la dispensazione dei farmaci al pubblico, l’assistenza diretta alla clientela o la consulenza su farmaci prescritti o da banco».

La responsabilità penale del titolare della farmacia, quindi, si configura sia nei casi di dolo diretto, quando cioè il farmacista imprenditore autorizza o ordina l’adibizione del personale ausiliario al banco, sia nei casi di dolo eventuale o colpa cosciente, qualora il titolare, pur consapevole della prassi, non adotti misure idonee a impedirla o vi consenta tacitamente.

L’illecito non si estingue nemmeno in presenza di una supposta delega di funzioni, in quanto la conduzione della farmacia implica un vincolo personale di responsabilità professionale che non può essere derogato o trasferito.

Il titolare, dunque, risponde non solo in proprio, ma anche per il fatto altrui, laddove si provi la sua consapevolezza o tolleranza della condotta illecita.

La gravità della violazione è tale da comportare, in caso di condanna, pene detentive significative, accompagnate da sanzioni pecuniarie particolarmente elevate, soprattutto dopo l’inasprimento introdotto con la legge 3/2018 (cd. “Legge Lorenzin”) che ha modificato l’art. 348 c.p. proprio al fine di rafforzare la tutela penale delle professioni sanitarie.

La pronuncia della Cassazione ha altresì sottolineato che non assumono rilevanza scriminante le motivazioni di carattere organizzativo o gestionale addotte dal titolare (esigenze di copertura dei turni, assenze improvvise di personale, necessità aziendali), poiché il rispetto delle norme imperative sulla riserva professionale non può essere derogato da ragioni imprenditoriali.

3.2 Le sanzioni amministrative e disciplinari

Accanto alla responsabilità penale, il titolare della farmacia incorre in ulteriori profili di responsabilità di natura amministrativa e disciplinare, in quanto soggetto operante in un settore rigidamente regolato sia sotto il profilo autorizzatorio che deontologico.

Sul piano amministrativo, l’illecita adibizione di personale non abilitato alla dispensazione dei farmaci può determinare l’irrogazione di sanzioni da parte delle Autorità sanitarie competenti, in particolare dalle ASL (Aziende Sanitarie Locali), che esercitano funzioni di vigilanza sulle farmacie del territorio.

Tra le sanzioni previste rientrano:

  • La diffida ad adempiere alle normative vigenti;

  • La sospensione temporanea dell’attività di vendita al banco;

  • La sanzione amministrativa pecuniaria, che può variare a seconda della gravità dell’infrazione;

  • Nei casi più gravi o di recidiva, la proposta di revoca dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia, ai sensi dell’art. 122 del T.U. leggi sanitarie e delle leggi regionali in materia.

L’Autorità sanitaria, oltre alle sanzioni pecuniarie, può disporre ispezioni straordinarie e controlli ripetuti, al fine di verificare la cessazione delle condotte illecite. La segnalazione da parte di lavoratori, clienti o concorrenti può costituire titolo per l’avvio di procedimenti sanzionatori.

Sul piano deontologico e professionale, il titolare della farmacia è soggetto alla vigilanza dell’Ordine provinciale dei Farmacisti, organismo dotato di poteri disciplinari, ai sensi del D.Lgs. C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 e successive modificazioni.

Tra le sanzioni disciplinari che possono essere comminate dall’Ordine vi sono:

  • L’ammonizione;

  • La censura;

  • La sospensione temporanea dall’esercizio della professione;

  • La radiazione dall’Albo professionale nei casi più gravi.

La giurisprudenza amministrativa e disciplinare ha sottolineato che la violazione delle norme sulla riserva della professione, specie in materia sanitaria, costituisce infrazione particolarmente grave, in quanto idonea a ledere il decoro e la dignità della professione e a compromettere la fiducia del pubblico nell’esercizio delle attività sanitarie.

Inoltre, il provvedimento disciplinare può coesistere con quello penale e amministrativo, trattandosi di sanzioni aventi natura e finalità differenti (Cass. Civ., SS.UU., 2009, n. 15144).

La revoca dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia, benché misura eccezionale, può essere disposta dall’autorità sanitaria locale o regionale qualora si accerti la reiterazione delle violazioni o la sussistenza di comportamenti gravemente pregiudizievoli per la salute pubblica.

Conclusivamente, il titolare della farmacia che consenta o non impedisca la dispensazione dei farmaci da parte di personale ausiliario si espone a un ventaglio di responsabilità che si estende sul piano penale, amministrativo e deontologico, con conseguenze che possono compromettere in modo irreparabile la propria attività professionale e imprenditoriale.

4. I rimedi legali a disposizione del lavoratore

Il lavoratore che si trovi ad essere adibito a mansioni superiori o comunque diverse da quelle previste dal proprio inquadramento contrattuale, in violazione dell’art. 2103 c.c. e delle disposizioni collettive, dispone di diversi strumenti di tutela, sia in ambito stragiudiziale che giudiziale. L’abusiva adibizione al banco di personale ausiliario nelle farmacie non solo costituisce una violazione delle regole contrattuali e normative, ma può anche comportare un pregiudizio per la dignità professionale del lavoratore stesso, oltre che esporlo al rischio di responsabilità personali in caso di contestazioni da parte di terzi.

4.1 Gli strumenti di autotutela e la diffida

Il primo passo che il lavoratore può compiere è la predisposizione di una diffida formale al datore di lavoro, nella quale si richiede l’immediata cessazione dell’adibizione a mansioni non conformi al profilo contrattuale, con la riserva di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

La diffida, che può essere inviata in proprio o, preferibilmente, con l’assistenza di un avvocato o di un rappresentante sindacale, ha una funzione sia di interruzione di eventuali comportamenti illeciti, sia di messa in mora del datore di lavoro, con conseguente efficacia interruttiva dei termini di prescrizione delle eventuali azioni risarcitorie o di rivendicazione economica.

Nel contenuto della diffida è opportuno:

  • specificare le mansioni effettivamente svolte e il periodo di adibizione a tali compiti;

  • richiamare il contratto collettivo applicato e le norme violate, in particolare l’art. 2103 c.c.;

  • richiedere la cessazione immediata della condotta illegittima e il ripristino delle mansioni contrattuali;

  • riservarsi il diritto di agire giudizialmente per il riconoscimento della qualifica superiore, per il pagamento delle differenze retributive e per il risarcimento del danno.

La diffida può svolgere anche un’importante funzione di deterrenza, inducendo il datore di lavoro a regolarizzare la posizione del dipendente per evitare un contenzioso giudiziario o ispettivo.

4.2 L’azione giudiziaria in sede civile

Qualora la diffida non sortisca effetto, il lavoratore ha il diritto di ricorrere al giudice del lavoro per ottenere la tutela dei propri diritti, ai sensi degli artt. 414 e ss. c.p.c.

Le principali domande che il lavoratore può proporre in giudizio sono:

  • L’accertamento del diritto alla qualifica superiore, sulla base delle mansioni effettivamente svolte e della loro corrispondenza alle declaratorie contrattuali previste dal CCNL delle farmacie private;

  • La condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione alla superiore qualifica rivendicata, con decorrenza dal momento dell’effettivo svolgimento delle mansioni superiori.

Il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento contrattuale, danno che può riguardare:

  • Il pregiudizio economico subito a causa della minore retribuzione percepita;

  • Il danno alla professionalità, derivante dalla indebita esposizione a responsabilità professionali o alla frustrazione delle legittime aspettative di crescita;

  • Il danno all’immagine e alla dignità personale e professionale.

In merito al danno alla professionalità e all’immagine, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto del lavoratore a un risarcimento specifico ogni qualvolta la condotta del datore di lavoro abbia determinato un pregiudizio alla dignità del lavoratore o alla percezione del suo ruolo da parte di colleghi, clienti o terzi.

Particolarmente significativa, in questo senso, è la sentenza della Cassazione civile, Sez. Lavoro, 23 gennaio 2018, n. 1554, la quale ha statuito che: «La lesione della dignità professionale e della personalità morale del lavoratore, quale conseguenza della sistematica adibizione a mansioni inferiori o comunque non corrispondenti al proprio inquadramento contrattuale, può integrare un’autonoma voce di danno non patrimoniale risarcibile, da valutarsi in via equitativa dal giudice».

Nel caso di adibizione a mansioni superiori — e non inferiori — la violazione si configura principalmente sotto il profilo del diritto al corretto inquadramento e alla piena valorizzazione del lavoro prestato, con conseguente diritto al risarcimento per il mancato riconoscimento economico e professionale.

4.3 La segnalazione agli organi di vigilanza

Oltre alla tutela individuale in sede civile, il lavoratore può attivare gli strumenti di vigilanza e controllo previsti dall’ordinamento. In particolare, può procedere a segnalare la condotta del datore di lavoro agli enti competenti affinché siano avviati gli opportuni accertamenti e, se del caso, applicate le sanzioni previste dalla legge.

Gli organi di vigilanza ai quali il lavoratore può rivolgersi sono:

  • L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), competente per le violazioni della normativa lavoristica e contrattuale, comprese le ipotesi di adibizione a mansioni non conformi al contratto collettivo o alla legge. L’INL può procedere con ispezioni sul luogo di lavoro, emettere prescrizioni, diffide accertative e, in caso di inadempimento, irrogare sanzioni amministrative;

  • L’Azienda Sanitaria Locale (ASL) del territorio, alla quale compete la vigilanza sul rispetto delle norme sanitarie e sull’esercizio delle professioni sanitarie. La ASL può disporre ispezioni, sospensioni dell’attività e comminare sanzioni amministrative;

  • L’Ordine dei Farmacisti della provincia, al quale spetta il controllo deontologico sugli iscritti. La segnalazione può dar luogo a procedimenti disciplinari nei confronti del titolare della farmacia.

La segnalazione può essere presentata anche in forma riservata, nel rispetto delle disposizioni sul whistleblowing previste dal D.Lgs. 24/2023, che ha recepito la Direttiva (UE) 2019/1937 sulla protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione.

La possibilità di attivare più canali di controllo consente al lavoratore non solo di tutelare i propri diritti individuali, ma anche di concorrere alla salvaguardia della legalità nel settore, evitando il consolidarsi di prassi scorrette e potenzialmente pericolose per la salute pubblica.

Inoltre, la combinazione di azione giudiziaria e segnalazione agli enti di vigilanza può rafforzare la posizione del lavoratore, dimostrando la gravità e la sistematicità delle violazioni subite, nonché la buona fede e la diligenza nell’attivarsi per la tutela dei propri diritti.

5. Le responsabilità e i rischi legali del magazziniere coinvolto nella dispensazione illegittima

Seppure il ruolo principale e la responsabilità primaria ricadano sul titolare della farmacia, che consente o impone al magazziniere di svolgere attività riservate per legge ai farmacisti, è importante analizzare anche la posizione del lavoratore ausiliario coinvolto in tale condotta.

Dal punto di vista penale, l’art. 348 c.p. sancisce la punibilità di chiunque eserciti abusivamente una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione, ivi compresi i casi in cui il soggetto materialmente compia l’attività senza possedere i requisiti di legge. La giurisprudenza ha infatti precisato che la violazione si configura non solo in capo a chi organizza o agevola l’attività abusiva, ma anche a chi vi partecipa materialmente, purché consapevole dell’illiceità del proprio agire (Cass. pen., Sez. VI, 9 gennaio 2019, n. 414).

Questo implica che il magazziniere che effettui la dispensazione di farmaci, consapevole che tale attività richiede una specifica abilitazione professionale, potrebbe teoricamente incorrere in responsabilità penali per esercizio abusivo della professione sanitaria. Tale rischio, tuttavia, va valutato con attenzione in relazione alla volontarietà e alla consapevolezza dell’illecito, nonché al contesto di possibili pressioni o subordinazione lavorativa.

Sul piano civile, la partecipazione del magazziniere a mansioni non previste dal contratto può determinare sanzioni disciplinari interne, fino alla risoluzione del rapporto per giusta causa, in quanto la condotta può essere considerata una grave inadempienza contrattuale o una violazione delle norme aziendali. È pertanto fondamentale che il lavoratore sia correttamente informato sulle proprie mansioni e che rifiuti di svolgere attività che possano configurare illecito.

Dal punto di vista della tutela del lavoro, la giurisprudenza riconosce al lavoratore il diritto a essere adibito esclusivamente alle mansioni per cui è stato assunto o a mansioni equivalenti, escludendo qualsiasi forma di sfruttamento che comporti un aggravio di responsabilità o rischi personali non compensati da una corretta qualificazione e retribuzione (Cass. civ., Sez. Lav., 26 settembre 2017, n. 22314).

Infine, va ricordato che, in caso di danni causati a terzi (ad esempio, un errore nella dispensazione che cagioni un danno al paziente), il magazziniere potrebbe essere coinvolto in responsabilità civile e, in casi estremi, penale, qualora sia dimostrata una sua colpa grave o dolo.

Per questi motivi, il magazziniere dovrebbe sempre rivolgersi a un legale di fiducia per valutare la propria posizione e, se necessario, attivare tempestivamente gli strumenti di tutela previsti, quali la diffida o la segnalazione agli organi competenti, per interrompere una condotta illecita che potrebbe esporlo a conseguenze legali e professionali anche rilevanti.

6. Considerazioni conclusive: un fenomeno da contrastare anche per la tutela della professione

Il fenomeno — ormai tutt’altro che sporadico — dell’impiego di personale ausiliario o di magazzinieri nelle attività di dispensazione al pubblico dei medicinali nelle farmacie private si colloca in un’area grigia di diffusa illegalità che minaccia contemporaneamente tre pilastri dell’ordinamento giuridico italiano: la tutela del lavoro, la salvaguardia della salute pubblica e la protezione della professionalità.

Sotto il primo profilo, si registra una sistematica violazione del diritto del lavoro: il personale assunto con mansioni ausiliarie viene non solo utilizzato al di fuori delle previsioni contrattuali, ma spesso sottoposto a pressioni psicologiche per accettare ruoli che non gli competono, in palese violazione dell’art. 2103 c.c. e delle norme collettive. Si tratta di una forma di sfruttamento che lede la dignità del lavoratore e altera le dinamiche concorrenziali del mercato del lavoro, consentendo ai titolari di farmacia di ottenere prestazioni qualificate a costi inferiori a quelli previsti per il personale farmacista.

Dal punto di vista sanitario, la gravità del fenomeno è forse ancor più allarmante. La dispensazione del farmaco, come la normativa nazionale e comunitaria chiaramente indica, non si esaurisce in un atto materiale di consegna di un prodotto, ma implica un controllo qualificato e una consulenza competente. Ogni volta che un medicinale viene consegnato da personale privo di formazione, si espone il paziente al rischio di errori di terapia, di uso scorretto del farmaco, di mancate informazioni sulle interazioni o sugli effetti collaterali. Non è un caso che la Corte di Cassazione abbia più volte sottolineato la stretta correlazione tra la dispensazione dei farmaci e la realizzazione del diritto costituzionale alla salute ex art. 32 Cost. (Cass. pen., Sez. VI, 9 gennaio 2019, n. 414).

Infine, la prassi dequalificante di impiegare magazzinieri al banco svilisce la professione farmaceutica, riducendo l’immagine sociale del farmacista a quella di un mero venditore di prodotti. Si tratta di una deriva che contrasta con la missione originaria della farmacia come presidio sanitario sul territorio, un luogo in cui il cittadino dovrebbe poter contare su competenza, professionalità e sicurezza.

Gli avvocati che si trovano a tutelare i lavoratori del settore — ma anche i professionisti che curano gli interessi delle imprese farmaceutiche corrette — hanno il dovere etico e giuridico di considerare attentamente tutte le implicazioni che questo fenomeno comporta. È necessario orientare i lavoratori verso percorsi di tutela efficaci e, se del caso, incoraggiarli ad attivare tutti gli strumenti di autotutela previsti dall’ordinamento, inclusi quelli di segnalazione alle autorità di vigilanza.

La responsabilizzazione dei titolari delle farmacie e un controllo rigoroso da parte delle autorità ispettive rappresentano, al tempo stesso, una garanzia per i lavoratori, una tutela per i consumatori e un presidio fondamentale per il rispetto della legalità nel settore farmaceutico.

7. Conclusione

La normativa di settore — tanto nazionale quanto europea — è inequivoca nel riservare l’attività di dispensazione dei medicinali esclusivamente ai farmacisti abilitati e regolarmente iscritti all’albo professionale. La prassi, sempre più diffusa in alcune realtà territoriali, di impiegare magazzinieri o personale ausiliario per il servizio al banco, oltre a rappresentare una chiara violazione della legge, costituisce un pericolo per la salute pubblica e per la tenuta del sistema di controlli previsto dall’ordinamento.

L’illegittimità di tale comportamento non si esaurisce nel rapporto interno tra datore di lavoro e lavoratore, ma assume rilevanza penale, amministrativa e deontologica. I titolari delle farmacie, laddove consentano o tollerino l’esercizio abusivo della professione, si espongono a conseguenze gravi e personali, che vanno dalle sanzioni penali fino alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio.

Il lavoratore, dal canto suo, sebbene possa essere vittima di pressioni o costrizioni, deve essere consapevole dei rischi a cui si espone, non solo sotto il profilo della lesione dei propri diritti contrattuali, ma anche in relazione ad eventuali profili di responsabilità personale. Anche per questo, il ruolo dell’avvocato — soprattutto di chi opera nel diritto del lavoro e nel diritto sanitario — è fondamentale per orientare il lavoratore verso una corretta gestione della propria posizione, prevenendo contenziosi e tutelando i propri diritti.

In definitiva, la cultura della legalità nel settore farmaceutico non può prescindere dalla piena applicazione delle norme vigenti e dal coinvolgimento responsabile di tutti gli attori del sistema: titolari di farmacia, lavoratori, avvocati, autorità di vigilanza e associazioni di categoria.

L’avvocato ha, in questo ambito, un duplice compito: da un lato, garantire la tutela del singolo lavoratore, guidandolo nell’utilizzo degli strumenti legali a sua disposizione; dall’altro, contribuire, attraverso l’informazione e la sensibilizzazione, alla diffusione di una cultura della legalità e del rispetto delle regole, quale fondamento indispensabile per la protezione della salute pubblica e della dignità della professione farmaceutica.


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Avv. Federico Cicillini Avvocato iscritto all’Ordine di Velletri, esercita la professione forense con un focus particolare sul diritto penale e sulla difesa dei diritti della persona e della personalità, con esperienza in pratiche di rettifica del genere anagrafico, tutela della privacy e dignità individuale.

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