
Oneri ed onori: il licenziamento per giusta causa del dirigente
Il rapporto di lavoro si basa, come tutte le relazioni tra esseri umani, sul concetto di fiducia tra le parti.
In tutte le fasi caratterizzanti i rapporti di lavoro, il concetto di fiducia è stato sempre argomento di analisi e di studio da parte della dottrina oltre ad essere stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali da parte dei giudici di ogni grado.
La centralità che il legislatore ha riposto nel concetto di fiducia sia durante lo svolgimento del rapporto stesso sia quale elemento caratterizzante la chiusura del rapporto di lavoro.
Storicamente si intraprende il concetto analizzato nel presente articolo sempre con la sua eccezione negativa: il venir meno del rapporto di fiducia. In realtà, a mio avviso bisognerebbe enfatizzare la fiducia nel rapporto stesso di lavoro e poi analizzare la sua mancanza per intraprendere un iter disciplinare.
Nella contrattualistica giuslavoristica parliamo di fiducia quando entrambe le parti contrattuali pongono in essere atti e fatti tali da non minare gli interessi che ambedue le parti hanno lo scopo di raggiungere con l’instaurazione del contratto individuale stipulato.
Da tale assunto derivano numerosi corollari, a titolo esemplificativo il divieto di non concorrenza, principio di lealtà e il dovere di diligenza.
La difficoltà sottesa ad enucleare inequivocabilmente tale principio risiede storicamente dalle infinite declinazioni proprie del rapporto di lavoro.
Le fattispecie che entrambe le parti contrattuali possono incontrare durante lo svolgimento dello stesso sono soggette anche a valutazioni diverse in relazione all’inquadramento, la mansione e il contesto in cui queste si manifestano.
Per tale ragione ogni valutazione dovrà essere sempre valutata singolarmente analizzando tutte le variabili in gioco.
Dopo tutto quanto sopra premesso, discende la necessità di individuare gli elementi necessari per valutare la corretta instaurazione del procedimento disciplinare al fine di evitare impugnazioni e contenziosi.
In primis, dall’analisi normativa in esame si evince che il legislatore ha previsto una gradualità della fiducia, oggetto del presente scritto, prevedendo all’art. 7 della legge 300/70 diverse sanzioni disciplinari sulla base della condotta del lavoratore.
Sul punto l’articolo sopra citato, oltre ad indicare le fasi necessarie per comminare una sanzione disciplinare, precisa anche che “non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione”.
Il legislatore quindi ci trasmette un parametro oggettivo per valutare la fiducia ancorandola ad un valore temporale; tale disposizione normativa ci permette quindi di considerare una sanatoria nell’ipotesi in cui siano decorsi due anni dalla contestazione considerando una riammissione della fiducia nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro dovuto al fatto che sono trascorsi almeno due anni senza che la medesima condotta sia stata reiterata.
Sulla base dei diversi gradi di intensità del concetto giuridico di fiducia discendono le due diverse tipologie di licenziamento disciplinare: licenziamento per motivi soggettivi e per giusta causa.
La differenza sostanziale tra le due tipologie di cessazione del rapporto di lavoro sopra indicate risiede nella condotta delle parti capace di minare la fiducia instaurata.
Nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo, infatti, la perdita della fiducia avviene gradualmente nel tempo; il lavoratore pone in essere diverse condotte atte a influenzare il rapporto, ogni condotta è oggetto di contestazione disciplinare e, solo dopo l’irrogazione della sanzione e la chiusura del procedimento ex art. 7 legge 300/70, il datore di lavoro decide la gravità della condotta con l’ausilio dell’orientamento enucleato nei contratto collettivo applicato dal datore di lavoro.
Ogni fatto quindi è oggetto di interpretazione, non potendo il CCNL racchiudere tutte le casistiche con le relative sanzioni, pertanto fondamentale risulta l’interpretazione analogica la quale valuta numerosi elementi e variabili che caratterizzano una singola fattispecie: a titolo esemplificativo modalità con cui il lavoratore ha cercato di rimediare, danno arrecato, comportamento negli anni del lavoratore.
Il datore di lavoro, infatti, non è obbligato a contestare un lavoratore la cui condotta collima con le fattispecie indicate dal CCNL; la discrezionalità è una caratteristica intrinseca del rapporto di lavoro la cui genesi risiede nel riuscire ad adattare la fattispecie concreta da quella astratta valutando tutti gli elementi e le esigenze delle parti.
L’applicazione pedissequa del potere disciplinare comporterebbe solamente un abuso di esso non raggiungendo il suo fine ultimo: la regolamentazione dei rapporti sia tra persone fisiche che giuridiche bilanciando e soddisfacendo gli interessi tra le parti.
Il licenziamento per giusta causa, invece, si traduce in una unica e singola condotta capace di inclinare fin da subito il rapporto fiduciario fra le parti; in tale ipotesi la rottura pertanto è immediata e insanabile non trovando applicazione l’istituto della recidiva.
Il legislatore in ogni caso prevede che il datore di lavoro debba procedere all’instaurazione del procedimento disciplinare ex art. 7 legge 300/70; nelle more della conclusione del procedimento, se presente il fumus boni iuris ed il periculum in mora, può essere applicato l’istituto della sospensione cautelare.
La valutazione della fiducia, quale elemento costitutivo del rapporto di lavoro, vive variazioni applicative in relazione anche alla qualifica attribuita al lavoratore.
Nello specifico il ruolo del dirigente presenta delle proprie peculiarità anche in relazione a tale contesto.
Recentemente, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26609 depositata il 02 ottobre 2025 ha sottolineato tale orientamento affermando che “ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, infatti, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente. In tema di licenziamento disciplinare del dirigente, rilevando la giustificatezza del recesso che non si identifica con la giusta causa, a differenza di quanto avviene relativamente ai rapporti con la generalità del lavoratori, il licenziamento non deve necessariamente costituire una extrema ratio, da attuarsi solo in presenza di situazioni così gravi da non consentire la prosecizione neppure temporanea del rapporto, e allorquando ogni altra misura si rivelerebbe inefficace, ma può conseguire ad ogni infrazione che incrini l’affidabilità e la fiducia che il datore di lavoro deve riporre sul dirigente”.
Analizzando la pronuncia della Corte di Cassazione sopra richiamata, quindi, la valutazione tra fiducia del dirigente con il datore di lavoro si slega dal fatto concreto in sé ma viene ancorato principalmente in una valutazione complessiva, generale e globale.
Pertanto anche una condotta in sé non sufficiente, ad esempio per un impiegato, di comminare la sanzione del licenziamento per giusta causa, potrebbe comportare, invece, la chiusura del rapporto di lavoro per un lavoratore inquadrato con la qualifica di dirigente.
Il ruolo di alter ego dell’imprenditore, quindi, si manifesta in tutta la sua complessità nell’interpretazione del grado della fiducia.
Il dirigente e l’imprenditore ricoprono due ruoli nell’organigramma aziendale la cui caratteristica principale risiede nell’interscambiabilità di essi, una minima inclinazione sulla comunione di obiettivi e di intenti, oltre che di aspettative può comportare la chiusura del rapporto di lavoro giustificata anche dalla giusta causa quale extrema ratio di un rapporto di lavoro.
Sul punto, si ritiene utilizzare le parole dei giudici della Corte di Cassazione, sempre nell’ordinanza n. 26609 del 02 ottobre 2025 in cui gli stessi affermano che “occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che si quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604/1966, e di giusta causa ex art. 2119 c.c., trovando la sua ragione d’essere, in particolare, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate – suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili ex ante o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro”.
In conclusione la giurisprudenza, analizzando il ruolo del dirigente, enfatizza l’affievolimento della subordinazione a favore dell’autonomia imprenditoriale creando sempre più una figura ibrida tra diritti, doveri, responsabilità ed appunto oneri ed onori.
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Antonio Emanuele D'Isa
Consulente del Lavoro
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