Condotte offensive e ingiurie durante la mediazione familiare: cosa si rischia?
Sommario: Introduzione – 1. I principi e le regole di condotta alla base della mediazione familiare – 2. Le conseguenze giuridiche dell’uso di parolacce e insulti nel corso degli incontri
Introduzione
La mediazione familiare è uno strumento finalizzato a facilitare il dialogo tra le parti in conflitto in un contesto extragiudiziale improntato sui principi di collaborazione, neutralità e rispetto reciproco.
Non di rado, tuttavia, può accadere che durante gli incontri emergano comportamenti aggressivi, insulti o si utilizzi un linguaggio offensivo e denigratorio.
Sentimenti di rabbia, frustrazione e rancore per la fine della relazione possono condurre uno dei mediandi ad aggressioni verbali nei confronti dell’altro, anche in presenza del mediatore.
Tali situazioni si verificano con una certa frequenza, soprattutto nei casi in cui la coppia presenti un livello elevato di conflittualità relazionale. Dunque, anche laddove sussistano i presupposti minimi per avviare il percorso, tale conflittualità può palesarsi, rendendo il lavoro del mediatore familiare particolarmente complesso.
In questo articolo si procederà ad analizzare le conseguenze giuridiche delle condotte ingiuriose nel contesto della mediazione familiare, evidenziando come – pur trattandosi di uno strumento alternativo alla giurisdizione – vi siano precisi doveri comportamentali, la cui violazione può avere ricadute processuali e sostanziali rilevanti.
1. I principi e le regole di condotta alla base della mediazione familiare
La mediazione familiare si fonda su principi fondamentali sanciti tanto a livello normativo quanto deontologico, tra cui il rispetto reciproco tra le parti, la buona fede e lealtà nella partecipazione e la riservatezza delle dichiarazioni rese durante gli incontri. Detti principi sono richiamati anche nelle Linee guida europee sulla mediazione familiare, nonché nei codici deontologici delle associazioni di categoria[1].
E’, dunque, ben vero che la mediazione non si svolge in sede giudiziaria e che nasce per ovviare al formalismo e rigorismo delle mura del tribunale, ma rimane pur sempre un luogo protetto e neutrale con delle precise regole.
L’uso di un linguaggio volgare o aggressivo può minare l’intero percorso, compromettere la serenità degli incontri, determinando uno squilibrio tra le parti, ledendo il principio di parità nonché impedendo il raggiungimento degli obiettivi della mediazione familiare.
Chi, dunque, scelga, accetti o sia indirizzato dal giudice a questo strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie deve essere conscio che gli verrà fatto firmare all’inizio del percorso un documento, id est un accordo di partecipazione alla mediazione o un “contratto di mediazione”, in cui verranno chiaramente stabiliti diritti, doveri e regole comportamentali.
La violazione di tali regole, come si analizzerà di seguito, può condurre all’interruzione della mediazione stessa e, nei casi più gravi, anche alla responsabilità giuridica della parte.
2. Le conseguenze giuridiche dell’uso di parolacce e insulti nel corso degli incontri
Innanzitutto, l’utilizzo reiterato di espressioni ingiuriose o aggressive può condurre, come prima conseguenza, all’interruzione della mediazione, a seguito di richiami e valutazioni discrezionali del mediatore.
Occorre, tuttavia, sottolineare che si parla di reiterazione della condotta e di sussistenza di precedenti richiami, poiché la situazione di crisi della coppia può indubbiamente portare ad alcune, per così dire, “défaillance”, che – se corrette – non minano il percorso di mediazione.
Il mediatore familiare ha, pertanto, la facoltà di sospendere o interrompere la mediazione. L’art. 5 del Codice deontologico A.I.Me.F. stabilisce, infatti, che: “Il mediatore familiare ha il diritto e il dovere di interrompere la mediazione qualora uno o entrambi i genitori adottino comportamenti verbalmente o fisicamente aggressivi”.
La mediazione, del resto, come sopra evidenziato, si fonda sull’autodeterminazione e sul rispetto reciproco e richiede un ambiente non intimidatorio e orientato alla cooperazione: l’uso di un linguaggio ingiurioso mina tale presupposto e, dunque, giustifica l’interruzione del percorso.
Insomma, l’uso di linguaggio offensivo e ingiurioso durante gli incontri di mediazione familiare compromette il principio di rispetto che ne è alla base ed è per questo che condotte ingiuriose, seppur commesse in un contesto riservato, possono determinare l’interruzione del percorso e avere anche riflessi sul procedimento giudiziario, portando in alcuni casi a responsabilità giuridiche.
Ove non opti per l’interruzione immediata del percorso, il mediatore familiare può decidere di procedere all’annotazione del comportamento nel verbale finale.
Sebbene il contenuto della mediazione sia coperto da riservatezza, è possibile che il verbale conclusivo riporti che il percorso sia stato interrotto per condotta non collaborativa o anche per comportamento inadeguato di una delle parti e questo può produrre effetti negativi nel successivo procedimento giudiziario, specialmente nelle decisioni riguardanti la responsabilità genitoriale.
Vieppiù: ove gli insulti o le espressioni offensive travalichino la soglia della tollerabilità, si possono configurare profili di responsabilità civile o penale.
Dopo l’abrogazione del reato di ingiuria[2], l’offesa verbale ha rilevanza solo in sede civile per l’ottenimento del risarcimento danno da lesione all’onore o alla reputazione ex art. 2043 c.c.; ma se l’offesa si consuma in presenza di terzi o viene verbalizzata, può anche degenerare in diffamazione, con possibilità di querela da parte della persona offesa.
Ovviamente, in casi gravi o reiterati, soprattutto se coinvolgono minorenni o comportano minacce, il mediatore familiare può decidere di segnalare l’accaduto all’autorità giudiziaria, in quanto il comportamento potrebbe ledere indirettamente l’interesse dei figli.
A tal proposito, è bene evidenziare che il comportamento tenuto durante la mediazione, seppure riservato, può, dunque, essere valutato dal giudice nel successivo procedimento giudiziale. E questo è uno degli aspetti di cui deve tenere conto chi voglia aderire a una procedura stragiudiziale come la mediazione familiare, considerato altresì che l’art. 473-bis.23 c.p.c. consente specificatamente al giudice di tener conto “del comportamento assunto dalle parti nel corso del procedimento, anche nella fase preliminare o nei procedimenti alternativi alla giurisdizione, ai fini dell’adozione dei provvedimenti relativi ai minori, all’affidamento, al mantenimento e alle spese processuali”.
In particolare, la Corte di Cassazione[3] ha di recente riconosciuto che: “La condotta genitoriale disfunzionale, anche se tenuta fuori dal procedimento, può influenzare negativamente l’interesse del minore e legittimare misure restrittive nell’affidamento”; ne consegue che se un genitore assume atteggiamenti aggressivi, prevaricanti o denigratori durante la mediazione familiare, il giudice può ritenere che tali comportamenti non siano nell’interesse del minore, incidendo così negativamente sulla sua posizione genitoriale.
Del resto, se il giudice può valorizzare il comportamento collaborativo, rispettoso e responsabile di una delle parti nella fase di mediazione, anche se non ha prodotto un accordo, come indice di capacità genitoriale e di disponibilità al confronto, può egualmente tenere in considerazione le condotte negative poste in essere durante l’A.D.R.
E’, dunque, lo stesso codice a non rendere neutro ciò che avviene in sede di mediazione, imponendo anzi alle parti di rispettare regole di correttezza, cooperazione e responsabilità anche in ambito extragiudiziale.
Per questo, il mediatore familiare ha il compito di mantenere il controllo dell’ambiente comunicativo e di intervenire prontamente in caso di escalation verbale, decidendo, se necessario, di procedere con incontri separati o di interrompere definitivamente il percorso, se non sussistono più i presupposti minimi di rispetto e sicurezza.
In conclusione, la mediazione familiare, pur non essendo un procedimento giudiziario, impone regole comportamentali stringenti che tutelano il rispetto reciproco e l’integrità del percorso di dialogo. Condotte offensive, ingiurie o atteggiamenti intimidatori non solo compromettono la possibilità di risoluzione collaborativa, ma possono produrre conseguenze giuridiche rilevanti, sia nell’immediato che nel lungo periodo. Pertanto, chi si avvicina alla mediazione familiare deve comprendere che si tratta di un contesto regolato da norme etiche e giuridiche precise, in cui il rispetto e la correttezza non sono semplici formalità, ma presupposti indispensabili per la sua efficacia. La consapevolezza di questi limiti e doveri è essenziale per evitare che un’opportunità di ricomposizione si trasformi in un fattore aggravante nel contenzioso giudiziario.
[1] Per esempio, l’Associazione Italiana Mediatori Familiari (A.I.Me.F.) o l’AIMS (Associazione Italiana Mediatori Sistemici) hanno, come previsto dalla Legge 4/2013 e dalla norma tecnica UNI 11644:2016, un proprio codice deontologico in cui sono richiamati i principi indicati all’inizio del paragrafo.
[2] Il reato di ingiuria, un tempo previsto dall’art. 594 del codice penale, è stato abrogato con il D.lgs. del 15/01.2016, n. 7, costituendo ora un illecito civile. La tutela oggi si colloca sul piano civilistico o, se ne ricorrono i presupposti e nei casi più gravi, nel reato di diffamazione (art. 595 c.p.), qualora l’offesa sia rivolta a una persona assente e comunicata a più persone (ad esempio in un verbale, in presenza del mediatore o via social).
[3] Corte di Cassazione, sentenza n. 31962/2023.
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