La parola della Cassazione sulla petulanza

La parola della Cassazione sulla petulanza

Il presente contributo si propone di affrontare una delle ultime questioni poste all’attenzione della Cassazione inerenti il significato di condotta petulante ai fini della punibilità di un reato.

In particolare la vicenda realizzatasi in concreto vedeva presentare una denuncia da parte di un’ex moglie nei confronti dell’ex marito in cui la stessa lamentava di aver ricevuto in tre mesi ventuno messaggi che le avrebbero recato disturbo e molestia.

Veniva denunciata quindi la “petulanza” delle condotte poste in essere dall’uomo.

Il reato per il quale la donna chiedeva doversi procedere  era quello  previsto e punito dall’art. 660 c.p.

In particolare, dal punto di vista dell’analisi della struttura del reato, si tratta di un reato comune realizzabile attraverso l’utilizzo del telefono o in luoghi pubblici o aperti al pubblico attraverso condotte petulanti o di biasimevole motivo che devono essere rivolte non avverso la collettività ma verso soggetti specifici. Si tratta di un reato monoffensivo e a forma vincolata, il cui elemento soggettivo è il dolo specifico.

Recentemente, la Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022) ha introdotto un nuovo comma alla norma prevedendo la procedibilità d’ Ufficio del reato qualora lo stesso sia commesso nei confronti di soggetti incapaci.

Nella fattispecie in esame, la denunciante riteneva sussistente la condotta petulante disposta dall’ex marito nei suoi confronti e la sua domanda veniva accolta dal Tribunale di primo grado che condannava l’imputato, il quale attraverso il proprio difensore presentava appello. Anche i giudici di secondo grado però ne confermavano la punibilità per petulanza delle condotte.

La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto doveroso chiarire che i giudici di primo e secondo grado hanno errato nel condannare l’imputato, in quanto nelle condotte dallo stesso poste in essere mancava totalmente la petulanza, in quanto, i messaggi inviati dallo stesso ripetutamente all’ex moglie avevano ad oggetto solo la richiesta di  informazioni inerenti il figlio, visto che lo stesso, a seguito di separazione era stato affidamento alla madre.

La Cassazione, quindi ha accolto il ricorso presentato dal legale precisando cosa debba intendersi per petulanza ai fini della punibilità.

Per petulanza secondo i giudici supremi «si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, tenuto con la consapevolezza di arrecare disturbo, senza che rilevi l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole o di esercitare un proprio diritto».

In tale prospettiva, per il caso di specie, secondo i giudici supremi non sussistono i presupposti per la punibilità posto che non si è tenuto conto del contenuto dei messaggi totalmente inoffensivo.


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Avvocato Antonella Fiorillo

Laureata in giurisprudenza. Avvocato.

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