Il mandato fiduciario e l’imposta di registro: la Corte di Cassazione fa chiarezza

Il mandato fiduciario e l’imposta di registro: la Corte di Cassazione fa chiarezza

Nota ad ordinanza Cass. Civile, V sezione, n. 21203/2025

Sommario: 1. Introduzione – 2. Fiducia: nozione e ricostruzione dell’istituto – 3. Il mandato fiduciario – 4. Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione

1. La Quinta Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21203 del 2025, ha stabilito che la sentenza con cui si dichiara la risoluzione di un mandato fiduciario germanico e, che al tempo stesso ordina la restituzione di somme, è soggetta all’imposta di registro in misura fissa, e non in misura proporzionale.

Secondo i Giudici di Piazza Cavour, infatti, il mandato fiduciario germanico non comporta una traslazione di ricchezza, ma soltanto un obbligo di tipo restitutorio rivolto al ripristino della precedente situazione patrimoniale.

2. Il negozio fiduciario, che non trova puntuale disciplina nel codice civile e deve la sua ricostruzione per lo più al contributo della dottrina e della giurisprudenza, costituisce un’importante figura negoziale.

Sebbene in passato la sua configurabilità era stata messa in discussione, anche da un’autorevole dottrina, oggi non si dubita più dell’esistenza del negozio fiduciario.

Va evidenziato come nel codice civile e nella stessa legislazione extra-codicistica, il riferimento alla fiducia è del tutto limitato, di qui come conseguenza le inevitabili difficoltà degli studiosi del diritto nella ricostruzione del negozio fiduciario.

Il legislatore del 1942 si è limitato a far menzione della fiducia soltanto rispetto a due istituti giuridici: la fiducia testamentaria di cui all’articolo 627 c.c. e la sostituzione fedecommissaria prevista dall’articolo 692 c.c.

Con riferimento alla normativa extra codicistica, invece, si deve menzionare la legge n. 1966 del 1939 che disciplina le società fiduciarie e la legge n. 112 del 2016 sul “Dopo di Noi”, volta a garantire l’autonomia e l’inclusione di persone affette da grave disabilità, e che menziona la figura del contratto di affidamento fiduciario senza, però, definirlo o disciplinarlo in maniera puntuale.

I riferimenti normativi, tuttavia, per la loro scarsezza e la loro mancanza di organicità non hanno permesso di delineare con chiarezza la figura del negozio fiduciario e la natura giuridica dello stesso.

La tesi oggi prevalente in dottrina e giurisprudenza considera il negozio fiduciario come il negozio giuridico attraverso il quale il fiduciante trasferisce dei beni al fiduciario, il quale si obbliga a ritrasferire tali beni al fiduciante o ad un terzo soggetto indicato dallo stesso fiduciante al termine del rapporto negoziale.

La natura giuridica del negozio fiduciario, nel tempo, ha visto la contrapposizione tra diverse teorie.

L’orientamento da sempre maggioritario è quello che qualifica il negozio fiduciario come il frutto del collegamento negoziale tra un negozio ad effetti reali, con cui si trasferisce il bene dal fiduciante al fiduciario, ed un negozio ad effetti obbligatori che impone al fiduciario l’uso convenuto del bene e, al tempo stesso, limita gli effetti del primo negozio.

Questa tesi, seppur del tutto prevalente, non è immune dalle critiche.

Per definizione il negozio fiduciario che viene ricostruito in termini di collegamento negoziale si caratterizza per una sproporzione tra il mezzo ed il fine, in quanto il mezzo adoperato per il trasferimento della proprietà risulta essere eccessivo rispetto al fine perseguito.

La fiducia, inoltre, non ha rilievo nei rapporti esterni essendo caratterizzata per antonomasia dalla segretezza e prestandosi in tal modo alla possibilità, non rara, di abuso da parte del fiduciario.

Il fiduciante, in virtù del pactum fiduciae che obbliga il fiduciario nei confronti del predetto, potrà ottenere in caso di inadempimento da parte del fiduciario soltanto un risarcimento del danno e, se possibile, una sentenza costitutiva ai sensi dell’articolo 2932 c.c.

Una ricostruzione alternativa, invece, considera il negozio fiduciario come un negozio unitario sorretto chiaramente da una causa unitaria, la cd. causa fiduciae.

Questa tesi, che oggi sembra trovare appiglio normativo nell’articolo 2645 ter c.c. disciplinante i vincoli reali di destinazione, si basa sul modello di fiducia germanica che si pone in alternativa alla fiducia romanistica, tipica del nostro ordinamento giuridico.

La considerazione del negozio fiduciario in termini di negozio unitario, se da un lato evita le problematiche derivanti dalla incompatibilità tra la causa fiduciaria e la causa del negozio di volta in volta utilizzato per perseguirla, tuttavia, pone anch’essa dei problemi.

Il nostro sistema di diritto privato, infatti, si caratterizza per l’operatività del principio di tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, che non ammette forme nuove di tali diritti all’infuori di quelle previste dalla legge.

Questa tesi, però, introduce una forma inedita di proprietà, la cd. proprietà fiduciaria, che è conformata ad uno scopo e fuoriesce dagli schemi tradizionali.

La fiducia, come prima già accennato, si distingue in fiducia romanistica e fiducia germanica.

La fiducia romanistica è quella che viene accolta nel nostro ordinamento e che si basa sul trasferimento pieno della proprietà dal fiduciante al fiduciario, invece, la fiducia germanica non realizza alcuna traslazione del diritto e si caratterizza per la scissione tra proprietà formale e proprietà sostanziale.

Negli ultimi tempi comincia a farsi spazio anche la fiducia germanica, fenomeno prima relegato alla materia dei titoli di credito e all’attività delle società fiduciarie.

Nella fiducia germanica i beni trasferiti fiduciariamente danno vita ad un patrimonio separato, non aggredibile dai creditori personali del fiduciario, a differenza della fiducia romanistica, ove il bene trasferito è garanzia personale dei creditori del fiduciario, seppur con le limitazioni di cui all’articolo 1707 c.c., in tema di mandato.

L’introduzione dell’articolo 2645 ter c.c. nel 2005, secondo un orientamento alquanto consolidato, costituisce un chiaro esempio di emersione della fiducia germanica.

Tale norma, infatti, prevede espressamente la trascrizione del vincolo reale di destinazione, ai fini dell’opponibilità ai terzi.

In tal caso, non si riscontra la dicotomia tra negozio ad effetto reale e negozio ad effetto obbligatorio propria del negozio fiduciario: ivi vi è un effetto unitario e il diritto reale in capo al fiduciario è funzionalizzato in vista dell’obiettivo da conseguire.

La violazione del vincolo legittima il fiduciante o qualsiasi altro interessato, non solo ad agire nei confronti del fiduciario, ma a recuperare il bene nei confronti del terzo acquirente.

3. Il mandato fiduciario costituisce un’importante fattispecie negoziale che rimanda immediatamente all’attività propria delle società fiduciarie.

La funzione del mandato fiduciario, della cui locuzione non risultano riferimenti normativi, consiste nell’attribuzione ad un soggetto della legittimazione all’esercizio delle situazioni giuridiche inerenti a beni o diritti nell’interesse del titolare.

Al fiduciario viene intestata la titolarità di beni o di diritti di cui si intende affidare l’amministrazione; beni e diritti che l’intestatario dovrà amministrare agendo in nome proprio, ma attenendosi alle indicazioni impartite dal fiduciante in base alle pattuizioni intercorse tra le parti.

Si tratta di una figura che, nonostante il sostantivo e l’aggettivo che la definiscono, differisce sia dal mandato codicistico di cui agli articoli 1703 ss c.c. sia dal contratto di affidamento fiduciario, frutto di una recente elaborazione dottrinale.

La struttura del contratto in esame viene delineata dal d.m. 16 gennaio 1995 (“Elementi informativi del procedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività fiduciaria e di revisione e disposizioni di vigilanza”).

Il rapporto contrattuale che si instaura tra il fiduciante e la società fiduciaria è ricondotto al modello codicistico del mandato.

Il contratto deve essere concluso in forma scritta ed indicare in maniera analitica ed inderogabile il regolamento negoziale che vincolerà le parti.

Nonostante il richiamo espresso alle norme disciplinanti il mandato codicistico, vi sono delle diversità che vanno evidenziate.

Mentre il mandato codicistico consiste nel compimento, da parte del mandatario, di atti giuridici nell’interesse- ovvero anche in nome, nel caso di mandato con rappresentanza- del mandante, invece, il mandato fiduciario si realizza attraverso l’esercizio di un’attività di amministrazione di beni nell’interesse altrui.

La dottrina e la giurisprudenza qualificano il rapporto intercorrente tra mandante e mandatario come un’interposizione meramente formale, riconducendolo al paradigma del contratto di mandato senza rappresentanza.

Il mandato fiduciario può operare sia secondo lo schema della fiducia romanistica sia secondo lo schema della fiducia germanica.

Nel solco della tradizione giuridica romanistica, tale modello negoziale si basa su un trasferimento della titolarità sostanziale dei beni o dei diritti dal fiduciante al fiduciario.

Laddove, invece, il mandato fiduciario riproduce lo schema della fiducia germanica non si ha alcun trasferimento della titolarità di beni o di diritti, ma si ha una dissociazione tra titolarità sostanziale dei beni, che resta in capo al fiduciante, e intestazione formale degli stessi beni e diritti alla fiduciaria.

In pratica alla fiduciaria viene attribuito il potere di amministrare beni o diritti per conto dell’effettivo titolare.

Tale figura negoziale rappresenta uno strumento impiegato sovente nelle operazioni di passaggio generazionale e di protezione patrimoniale.

Le caratteristiche proprie del mandato fiduciario consentono di conferire al patrimonio amministrato un assetto gestionale e una destinazione coerenti con il processo di transizione programmato.

4. La vicenda posta all’esame della Suprema Corte di Cassazione scaturisce da un avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di due contribuenti.

L’Agenzia delle Entrate aveva applicato l’imposta di registro in misura proporzionale su una sentenza del Tribunale, con la quale era stata accertata la risoluzione di un contratto di mandato fiduciario per la morte del mandatario e vi era stata la condanna dei suoi eredi a restituire una somma di denaro ai mandanti.

A parere dei contribuenti, tale provvedimento aveva un contenuto di tipo restitutorio, per cui andava applicata un’imposta fissa e non proporzionale.

I contribuenti decidevano di impugnare il provvedimento, le cui ragioni venivano accolte dalla Commissione Tributaria Regionale, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione.

La questione sottoposta ai Giudici di Piazza Cavour riguardava la corretta interpretazione dell’articolo 8 della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. 13/1986.

La disposizione in esame alla lettera b) prevede un’imposta proporzionale del 3% per gli atti giudiziari “recanti condanna al pagamento di somme o valori”, invece, la lettera e) prevede un’imposta fissa per gli atti che dichiarano la nullità o l’annullamento di un atto o la risoluzione di un contratto.

Secondo l’Agenzia delle Entrate la sentenza aveva un contenuto di tipo restitutorio diversamente da quanto sostenuto dai contribuenti.

La Suprema Corte di Cassazione, nell’affrontare la soluzione posta al suo esame, si sofferma sulla natura del mandato fiduciario di tipo germanico.

Tale mandato, a differenza di quello di natura romanistica in cui si realizza un trasferimento della proprietà del bene al fiduciario, si caratterizza per la scissione tra titolarità formale e legittimazione all’esercizio del diritto.

Il fiduciario è titolare di un potere gestorio, mentre il proprietario è solo il fiduciante.

La vicenda posta all’esame dei Giudici di Piazza Cavour non ha mai riguardato un trasferimento di ricchezza in capo al fiduciario.

Alla morte di quest’ultimo, infatti, è venuto meno lo scopo del mandato, per cui vi era stata l’estinzione e la risoluzione dello stesso.

La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, in quanto, nel caso di specie si trattava di un mandato fiduciario germanico.

La declaratoria di estinzione del mandato, secondo i Giudici di Piazza Cavour, aveva comportato la caducazione del titolo che legittimava il fiduciario a detenere e gestire le somme, per cui la condanna alla restituzione aveva una funzione di tipo ripristinatorio, senza creare alcuna forma di ricchezza per il fiduciante che rientrava in possesso dei propri beni.

La fattispecie da applicare, dunque, rientrava nell’articolo 8, lettera e) che prevede l’imposta di registro in misura fissa e non proporzionale.


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