Mediazione familiare: una separazione o un divorzio “senza figli” ma non senza legami

Mediazione familiare: una separazione o un divorzio “senza figli” ma non senza legami

Sommario: 1. Il fatto – 2. Una fotografia statistica: sempre più coppie, sempre più crisi anche senza figli – 3. Mediazione familiare e terapia di coppia: la confusione degli istituti, delle funzioni e degli obiettivi – 4. Perché la mediazione è utile anche alle coppie sposate senza figli? Non sarebbe meglio preferire direttamente un giudizio ordinario? – 5. Perché la mediazione serve anche alle coppie di fatto senza figli? – 6. Il cambio di prospettiva dal “per i genitori” al “per la coppia”

 

1. Il fatto

Immaginiamo i nostri fantomatici Giulia e Lorenzo. Entrambi hanno poco più di quarant’anni, sposati da dodici, senza alcun figlio.

La nostra coppia vive a Milano in un appartamento, che è stato acquistato insieme. Hanno anche un piccolo studio professionale, in cui lei è socia al 49%, nonché una fitta e consolidata rete di amicizie. Le famiglie d’origine sono molto presenti e particolarmente importanti per entrambi. Lui è diventato il figlio “acquisito” dei genitori di lei e viceversa. I due un anno dopo il matrimonio hanno anche deciso di adottare un mastino napoletano al quale tengono molto e che vedono come un vero e indispensabile membro della famiglia.

La crisi tra di loro, come spesso accade, non esplode all’improvviso. È un batterio che si diffonde lentamente sulle foglie di un albero un tempo rigoglioso. Cresce a colpi di silenzi, battute pungenti, di “poi ne parliamo” mai mantenuti e diventa metastasi.

Quando la parola separazione viene pronunciata – non importa da chi dei due – la prima idea è duplice e speculare: per Lorenzo occorre andare subito dagli avvocati, poiché, in assenza della grande “bega” dei figli, è solo una questione di soldi e casa; per Giulia sarebbe bene fare un passaggio intermedio, quello della terapia di coppia, per comprendere se il rapporto sia davvero giunto alla sua conclusione.

Lorenzo acconsente e la terapia di coppia dura qualche mese. Al suo termine, entrambi addivengono alla considerazione che il matrimonio, che li ha uniti per tanti anni, non può più essere salvato.

A questo punto, però, non si tratta più di capire se restare insieme, ma del come lasciarsi. Numerosi iniziano ad essere gli interrogativi che i due si pongono: chi resterà nella casa coniugale? Come gestire la quota di Giulia nello studio? Come comunicare alle rispettive famiglie una decisione che senza figli rischia di essere banalizzata o, semplicemente, come dirlo agli amici che potrebbero sentirsi nella posizione morale di scegliere da che “parte” stare?

Lorenzo e Giulia decidono così di andare da un avvocato, consigliato proprio da amici in comune, che prendendoli a cuore, non propone loro subito un ricorso, ma pronuncia una frase in Italia quasi sconosciuta: “perché non provate a fare alcuni incontri di mediazione familiare?

Giulia e Lorenzo accettano di incontrare un mediatore, quantomeno per capire di cosa si tratti, mossi dalle poche parole proferite dal legale, che aveva loro sottolineato la maggiore celerità e i minori costi di quel percorso rispetto a quello giudiziario. Giulia e Lorenzo, così, non volendo aggiungere al danno della separazione la beffa del depauperamento delle loro tasche e fiduciosi che questa triste storia si avvii ad una veloce conclusione, intraprendono il percorso di mediazione. All’inizio sono, però, convinti che sia una cosa da genitori in guerra per i figli e che non sia utile fino in fondo alla loro specifica situazione perché la terapia di coppia era stata già infruttuosamente sperimentata e non serviva replicare con un “doppione”.

Scopriranno, invece, che proprio non avendo figli hanno bisogno di uno spazio terzo per chiudere bene la relazione, senza trasformare casa, soldi e quote societarie in armi improprie, strumenti di vendetta e ricatto.

Questa storia – che di vero ha l’esempio che fa nascere tutte le storie di vita reale – nella sostanza appare simile a molte che arrivano oggi agli sportelli di mediazione familiare e viene in questa sede brevemente e per grandi linee riportata per tenere insieme dati, norme e prassi con la concretezza delle scelte quotidiane.

Del resto, il diritto, di cui la mediazione familiare, in quanto ADR (alternative dispute resolution) è ramo, nasce per risolvere, chiarire ed interpretare la realtà di tutti i giorni. Eppure, spesso lo si dimentica…

2. Una fotografia statistica: sempre più coppie, sempre più crisi anche senza figli

Intanto, è bene partire dai dati. I numeri dimostrano che Giulia e Lorenzo non sono affatto un’eccezione. Anzi, secondo l’ultima rilevazione ISTAT su matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi – anno 2023, in Italia si registrano 82.392 separazioni e 79.875 divorzi in un solo anno.

Vieppiù, sul versante demografico, le famiglie italiane stanno cambiando radicalmente la loro struttura, dal momento che i nuclei con figli diminuiscono, mentre le coppie senza figli sono destinate a crescere da 5,3 a 5,9 milioni in circa vent’anni, passando dal 20,3% al 21,8% del totale delle famiglie.

Insomma, senza figli e con più animali domestici: è questa la realtà con cui fare i conti.

Questo significa che una quota crescente di crisi di coppia riguarda legami senza figli conviventi in un contesto giuridico attuale in cui il sistema di tutele è comunque ancora – o almeno in grande parte – pensato, soprattutto per le coppie con prole.

Indubbiamente, il diritto si sta evolvendo insieme al tessuto sociale in veloce cambiamento, ma la legge tende sempre ad inseguire la realtà e non ad anticipare i tempi.

Sul fronte mediazione, il quadro tracciato dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA) nel documento “La mediazione familiare in Italia. Documento di studio e di proposta” – giugno 2025 è eloquente su quanto la mediazione familiare sia conosciuta da pochi, utilizzata da pochissimi e percepita quasi esclusivamente come strumento per i genitori che rompono il loro legami di affetto e rimangono con i figli da “spartirsi”.

Ecco, Giulia e Lorenzo, quando entrano la prima volta nella stanza di mediazione, sono esattamente inclusi nelle statistiche: sia quelle della realtà sociale che muta sia di coloro che sono male o scarsamente informati sulle ADR. Non hanno figli, ma hanno un patrimonio, legami familiari, amicizie forti e comuni e progetti professionali spezzati.

Rappresentano la regola; eppure, non gli viene prospettata fin da subito la soluzione che al loro caso confà.

3. Mediazione familiare e terapia di coppia: la confusione degli istituti, delle funzioni e degli obiettivi

Ripartendo da uno dei loro pregiudizi nonché interrogativi iniziali: a cosa serve la mediazione familiare, se si è già fatta la terapia di coppia[1]?

La confusione è comprensibile, data la scarsa informazione su questi temi, ma sul piano tecnico la distinzione è netta, poiché mentre la terapia di coppia è un intervento clinico che lavora sulla storia affettiva, sui pattern relazionali e sui vissuti emotivi, la mediazione familiare, non punta a curare il legame e a “rimettere insieme il puzzle” dei partner, comprendendo come è cambiato e come si può trasformare il rapporto, ma si limita ad aiutarli a definire accordi concreti di tipo economico e organizzativo in una chiave relazionale costruttiva e rispettosa nel passaggio dalla vita insieme alla vita separata.

Il focus della mediazione familiare si colloca nella volontà di rielaborare il conflitto e costruire accordi duraturi, non nella diagnosi o nella cura di disturbi psichici. È un istituto che si integra con il sistema legale: infatti, gli accordi stesi in mediazione possono poi essere tradotti in negoziazione assistita o in ricorsi congiunti. Possono perfino essere omologati dal tribunale e divenire titolo esecutivo, ma non si confondono con le sentenze né la mediazione è paragonabile ad un giudizio in tribunale.

Nel caso di Giulia e Lorenzo la terapia di coppia può essere stata certamente loro utile per arrivare alla consapevolezza che il matrimonio era arrivato alla fine; ma, una volta maturata questa consapevolezza, l’obiettivo non era più “curare il legame”, bensì decidere come separarsi, in quali tempi e con quali patti.

Qui la mediazione familiare diventa lo strumento più adeguato allo scopo.

4. Perché la mediazione è utile anche alle coppie sposate senza figli? Non sarebbe meglio preferire direttamente un giudizio ordinario?

Molti coniugi in assenza di figli pensano che la mediazione familiare serva a poco, riconducendo le questioni da risolvere a meri rapporti economici e dimenticando che il legame, che li ha uniti a lungo, è costituito da molte altre componenti.

Anche senza figli, intanto, un matrimonio o anche una convivenza può condurre all’acquisto di una casa in comproprietà o a una locazione anche non a breve termine. Ci possono essere risparmi, debiti, garanzie prestate insieme, nonché – come nel caso di Lorenzo e Giulia – eventuali attività lavorative comuni e quindi legami professionali oltre che affettivi.

E questi sono solo alcuni profili patrimoniali. Si devono, poi, considerare gli intrecci con le famiglie d’origine – anche qui con potenziali riflessi patrimoniali: aiuti economici, donazioni, prestiti -, con una serie di questioni relazionali e affettive di difficile gestione. Talvolta ci possono essere anche degli animali domestici adottati o acquistati insieme e che costituiscono insieme alla coppia senza figli la “famiglia”, a cui nessuno dei due può essere pronto a separarsi per sempre[2].

Ci sono le amicizie di lunga data, ormai in comune. Anche i beni materiali più semplici, dall’auto ad un oggetto di irrisorio valore economico ma dall’alto valore affettivo, possono diventare pretesto e motore di un conflitto di difficile gestione.

Pertanto, il contenzioso patrimoniale, che è spesso l’unico al quale le coppie subito pensano quando decidono di rompere la relazione di affetti, è invero il contenitore di ferite emotive di ancor più complicata gestione: la casa diventa, non un oggetto da dividere, ma il luogo in cui si è vissuto insieme, la quota di uno studio rappresenta la fatica della realizzazione di un progetto, il rimborso di un prestito familiare diventa il simbolo di riconoscimento o strumento di rivalsa.

La mediazione familiare, a differenza del giudizio, consente di nominare apertamente questi significati e trasformarli in accordi chiari e concreti che riducano il rischio che la causa si immobilizzi per anni su un tavolo intarsiato, un garage o una banale liquidazione.

Nel percorso degli ormai un po’ anche nostri Giulia e Lorenzo, ad esempio, l’appartamento coniugale smette, a un certo punto, di essere “il simbolo di chi vince” e diventa un bene da gestire in modo equo: lui resta, lei ottiene un conguaglio – o viceversa -.

Un oggetto insignificante, come un set di posate, smette di essere la ripicca dell’uno sull’altro e viene lasciato a chi davvero lo desideri o a cui di più importi.

Occorre, infatti, a tutti ricordare che molto spesso sono proprio gli argomenti che agli occhi di chi non è coinvolto sono privi di rilevanza, che per chi vive una crisi di coppia sono ostacoli insormontabili. Proprio queste questioni, fors’anche oggettivamente “spicciole” ma soggettivamente indispensabili, in giudizio non possono essere compiutamente trattate e rimangono pendenti.

Per una coppia sposata senza figli, quindi, la mediazione familiare rappresenta una concreta possibilità di lavorare con il supporto imparziale di un mediatore su tutti questi aspetti, compresi i rapporti con le famiglie di origine – che nella stragrande maggioranza dei casi rappresentano uno dei principali motivi delle acrimonie tra partners – per arrivare in un momento successivo e solo eventualmente dagli avvocati con un progetto di separazione già costruito insieme, da tradurre in negoziazione assistita o in un’omologazione del tribunale.

Nel caso di Giulia e Lorenzo si può sostituire, per esempio, il doppio contenzioso patrimoniale sulla casa e sulla quota societaria con un accordo redatto al termine degli incontri di mediazione che, una volta formalizzato dagli avvocati, venga omologato senza sorprese e in tempi non infiniti.

Passando all’aspetto più emotivo, una separazione senza figli viene spesso banalizzata nell’apodittica frase “tanto siete solo in due”, quando, in realtà, proprio l’assenza di un ruolo genitoriale da mantenere può portare a tagli netti e improvvisi, che lasciano insoluti debiti e spesso e volentieri aspri rancori. Ci si dimentica di considerare i lunghi strascichi di messaggi, le reciproche accuse e, banalmente, anche le richieste informali su qualche azione da compiere o oggetto da consegnare.

La mediazione, a differenza del giudizio, offre proprio alle coppie senza figli un adeguato spazio ben strutturato e riservato per riconoscere e definire la fine del matrimonio con parole chiare, davanti ad un soggetto terzo e imparziale che si pone quale facilitatore della comunicazione, laddove si sono chiusi da tempo i canali comunicativi, per ridisegnare i confini con le famiglie d’origine e decidere come comunicare la volontà di separarsi. Al termine degli incontri, costruito un clima di ascolto, rispetto e fiducia può persino giungersi a decidere se e come mantenere un contatto minimo: molto utile se esistono legami economici o, soprattutto, professionali.

Sempre al fine di calare nel caso pratico un diritto e un istituto nient’affatto astratto, Giulia e Lorenzo usciranno dalla mediazione con un documento che non è solo un “piano economico”, ma una sorta di mappa di transizione: chi lascia casa e quando, come gestire le ultime vacanze già prenotate, come comunicare in modo coerente a parenti e amici la loro decisione.

5. Perché la mediazione serve anche alle coppie di fatto senza figli?

Finora si è guardato al matrimonio. Tuttavia, le ultime rilevazioni ISTAT mostrano come le convivenze di fatto e le unioni non matrimoniali siano in forte aumento e rappresentino ormai una componente strutturale del panorama familiare italiano.

La legge n. 76/2016 – anche nota come Legge Cirinnà – ha introdotto un quadro di tutele per le convivenze e i contratti di convivenza, ma non copre tutte le sfumature delle rotture affettive. Qui la mediazione può svolgere una funzione preziosa, non solo nei casi in cui la coppia abbia figli e si debba, dunque, discutere soprattutto dell’affidamento e della gestione della prole, ma anche nei casi in cui questi manchino e vi siano le stesse questioni economiche e relazionali che si presentano nelle coppie sposate.

A titolo esemplificativo, molte coppie di fatto, anche quando si tratti di convivenze di lustri o decenni, non hanno mai stipulato un contratto di convivenza, ma vivono in case intestate a uno solo che sono però pagate “a metà” oppure hanno attività lavorative appoggiate sull’uno, ma sostenute anche dall’altro. E ancora: alcune coppie si sono aiutate economicamente per anni, anche con ingenti somme, senza traccia della natura di quei trasferimenti – erano prestiti? Regali? – e come ci si comporta quando il rapporto affettivo-relazionale si chiude?

Quando l’affetto muta e il rapporto si rompe, lo scontato diviene problematico e l’ovvio motivo di conflitto. Si sa.

La mediazione familiare, anche in questi casi, dunque, consente di ricostruire la storia sia economica che affettiva della convivenza, senza i formalismi del processo, facendo comprendere e valorizzare anche i contributi “invisibili” dell’uno sull’altro: dalla cura della casa, al supporto alla carriera dell’altro anche attraverso trasferimenti. Inoltre, si tratta di uno strumento nient’affatto rigido che, proprio per questo, permette alle parti direttamente di elaborare soluzioni creative.

Si pensi all’accordo su un pagamento rateale o sulla permanenza temporanea nella casa comune o alla gestione congiunta di un animale domestico.

Proprio quest’ultima questione è di un’attualità disarmante, considerata l’alta percentuale di coppie non sposate che hanno deciso di comprare un cane o un gatto insieme. Ebbene: tutti questi aspetti, che difficilmente troverebbero spazio in una sentenza e che, ancor prima verrebbero attenzionati dal giudice nel corso del giudizio, trovano attenzione e spazio spesso solo nel corso della mediazione familiare.

Dunque, come può agevolmente constatarsi, se i nostri Giulia e Lorenzo non fossero stati mai sposati ma avessero solo convissuto per dodici anni, i nodi concreti sarebbero stati quasi identici. La differenza sarebbe stata l’assenza di una cornice formale del matrimonio e, dunque, il rischio di sentirsi “non legittimati” a chiedere aiuto o a pretendere accordi chiari. La mediazione familiare, in questo senso, abbassa la soglia di accesso alla tutela.

Del resto, per molte coppie di fatto, soprattutto se giovani, l’idea di fare causa all’altro è molto lontana, anche per il timore di sostenere costi che magari sono stati la ragione di un mancato matrimonio. Tuttavia, non per questo, il conflitto che nasce dalla rottura deve considerarsi meno duro o meno importante.

Certamente, servizi pubblici e privati di mediazione familiare ricordano che il percorso è aperto a tutte le coppie, sposate o conviventi, con o senza figli, purché vi sia volontà di intraprendere un percorso ad oggi ancora a base volontaria – salvo, eventualmente, il primo incontro informativo disposto dal giudice[3] – e non vi sia alcuna forma di violenza tra le parti nonché le altre cause ostative tassativamente indicate dalla stessa Riforma Cartabia[4].

In questo modo è possibile anche per gli ex conviventi intervenire prima che il conflitto degeneri in comportamenti aggressivi o in fughe improvvise, dando riconoscimento formale a legami che l’ordinamento a volte fatica ancora a leggere nella loro pienezza ed evitando – o quantomeno provandoci! – che modelli altamente conflittuali vengano “trasferiti” in successive relazioni o, se ci sono figli, nella successiva co-genitorialità.

6. Il cambio di prospettiva dal “per i genitori” al “per la coppia”

La riforma Cartabia ha compiuto un passo importante, collocando la mediazione familiare dentro il procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie e valorizzando gli accordi raggiunti all’esito dei percorsi mediativi.

Il caso di Giulia e Lorenzo invita a seguire e a fare seguire questo nuovo paradigma gli operatori del diritto al fine di fare loro proporre la mediazione non solo quando ci sono minori, ma ogni volta che la coppia deve riorganizzare beni, ruoli e confini. Invita, altresì, i servizi di mediazione, che hanno il compito di esplicitare che lo strumento è aperto a coppie sposate e conviventi, con e senza figli, in tutte le fasi della crisi, senza aspettare la rottura completa e irrimediabile del rapporto, della fiducia e del dialogo;

Infine, ovviamente, sono le coppie stesse a dover smettere di pensare alla mediazione familiare come a un “optional psicologico” e iniziare a vederla come un modo concreto per restare protagoniste delle decisioni che riguardano casa, soldi, tempi e parole della separazione: protagoniste di decisioni che altrimenti verrebbero imposte e calate dall’alto da un giudice che non conosce – né del resto è questo il suo ruolo- la loro storia personale, i difficili vissuti e gli stati emotivi delle parti.

In fondo, la domanda che Giulia e Lorenzo si sono posti è la stessa che attende ogni coppia in crisi, con o senza figli: vogliamo che siano altri – un giudice e due legali in guerra per la vittoria – a decidere come chiudiamo la nostra storia, oppure vogliamo tentare, con l’aiuto di un terzo imparziale e neutro, di scrivere noi stessi l’ultimo capitolo di questo libro?

Un aspetto è evidente: la mediazione familiare, anche per le coppie senza figli e per le coppie di fatto, è uno spazio in cui la fine di una relazione non diventa una sconfitta da subire, ma un passaggio da governare responsabilmente, sul piano umano e giuridico, prima di iniziare – eventualmente – una nuova pagina di vita.

 

 

 

 

 

[1] Per un ulteriore approfondimento dei due istituti si veda: “Mediazione familiare e terapia di coppia: istituti diversi e non interscambiabili”, in Salvis Juribus, di Elisa Cofano, 20.03.2025.
[2] Vedasi anche: “Mediazione familiare e animali domestici nella separazione”, in Salvis Juribus, di Elisa Cofano, 04.06.2025.
[3] Vedasi anche: “Mediazione familiare: cosa fare se la dispone il giudice”, in Salvis Juribus, di Elisa Cofano, 25.04.2025.
[4] Vedasi anche: “Quando la mediazione familiare è vietata, impossibile o sconsigliata”, in Salvis Juribus, di Elisa Cofano, 03.02.2025.

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