La polizia locale e il porto di pistola dei propri appartenenti

La polizia locale e il porto di pistola dei propri appartenenti

Sommario: 1. Introduzione – 2. Coordinamento normativo e novelle legislative – 3. L’orientamento della giurisprudenza in tema di porto di pistola degli appartenenti alla Polizia Locale – 4. Considerazioni conclusive

1. Introduzione

Gli operatori della Polizia Locale, nel solco dell’evoluzione e del mutato quadro istituzionale ed operativo, sono costretti, di sovente, ad interrogarsi sui limiti del porto di pistola, garantito, invero, in forza di una delibera consiliare, ovvero in esito al conferimento del Decreto di Pubblica Sicurezza da parte del Prefetto, previa richiesta del Sindaco. Il legiferatore del 1986 forse riteneva, nell’allora teatro della sicurezza, ove, verosimilmente, i Corpi e i servizi di Polizia non erano così integrati in quel concetto che oggi osiamo definire, giusta asserzione contenuta nel noto D.L. n. 14/2017, sicurezza integrata, che gli operatori tutti necessitassero del porto dell’arma limitatamente al territorio di competenza. Oggigiorno, pur tuttavia, la normativa in essere, anche in considerazione della sequela di attività di Polizia Giudiziaria effettuata dalle Polizie Locali di tutta Italia, non solo circoscritte a dinamiche di microcriminalità, andrebbe fortemente rivisitata e calibrata secondo assetti rispondenti a fattispecie concrete e non astratte. Per siffatta ragione, nelle laconiche righe che seguono, i lettori saranno messi nelle condizioni di effettuare una corretta esegesi del quadro normativo di riferimento del porto di pistola per gli appartenenti alle Polizie Locali d’Italia.

2. Coordinamento normativo e novelle legislative

Diverse sono le norme che, oggi, investono gli operatori di Polizia Locale; con riferimento al porto di pistola, si evidenziano, nell’ordine, le seguenti:

  • Regio Decreto n. 690/1907 (Art. 18);

  • Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (Art. 38);

  • Regolamento di Esecuzione al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (Art. 73);

  • Legge quadro n. 65/1986;

  • Circolare del Ministero dell’Interno del 23 settembre 1992;

  • L. n. 113/2018;

  • L. n. 48/2025.

L’articolo 18 del Regio Decreto n. 690/1907 recita quanto segue: “ Sono pure agenti di pubblica sicurezza le guardie di finanza e forestali, le guardie carcerarie, nonché le guardie campestri, daziarie, boschive ed altre dei Comuni, costituite in forza di regolamenti, deliberati ed approvati nelle forme di legge, e riconosciute dal prefetto”.

È fuori discussione, pertanto, che gli appartenenti alle Polizie Locali, muniti del Decreto Prefettizio, rivestano la qualità di agenti di Pubblica Sicurezza. La qualifica di P.S., tuttavia, stante il coordinamento normativo da rinvenirsi nel combinato disposto dell’articolo 18 del suindicato Regio decreto e dell’articolo 5 della legge quadro n. 65/1986, ancorché permanente, deve ritenersi circoscritta al territorio di competenza, in virtù dei limiti spaziali imposti dal vigente quadro normativo.[1]

L’articolo 73 del R.D. n. 635/1940, di esecuzione del R.D. n. 773/1931, novellato dal D.L. n. 48/2025, di cui si farà cenno più avanti, appalesa quanto di seguito indicato: “Gli agenti di P. S., contemplati dagli articoli 17 e 18 della legge 31 agosto 1907, n. 690, portano, senza licenza, le armi di cui sono muniti, a termini dei rispettivi regolamenti”.[2]

Nel perimetro della suindicata disposizione, orbene, è doveroso effettuare un ulteriore coordinamento normativo con l’inciso “a termini dei rispettivi regolamenti”, individuando due dettami, rispettivamente enunciati nell’articolo 5 della legge quadro n. 65/1986 e nell’articolo 8 del DM n. 145/1987, di esecuzione della citata legge quadro.

Secondo l’articolo 5 della legge n. 65/1986, gli operatori della Polizia Locale possono portare l’arma assegnata “nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio, purché nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei casi di cui all’articolo 4”.

Gli operatori di Polizia Locale, quindi, possono portare l’arma assegnata, in servizio, nei seguenti casi:

  • nel territorio dell’ente di appartenenza o dell’ente presso cui il personale sia stato comandato;

  • durante le missioni esterne al territorio per soli fini di collegamento[3] e di rappresentanza;

  • durante le operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza;

  • durante le missioni esterne per soccorso in caso di calamità e disastri, o per rinforzare altri Corpi e servizi in particolari occasioni stagionali o eccezionali.

Il DM n. 145/1987, all’articolo 6, prevede che “per le armi assegnate ai sensi del primo comma, lettera a), il porto dell’arma senza licenza è consentito anche fuori dal servizio nel territorio dell’ente di appartenenza e nei casi previsti dalla legge e dal regolamento”. L’articolo 8 asserisce che “agli addetti alla polizia municipale cui l’arma è assegnata in via continuativa è consentito il porto della medesima nei comuni in cui svolgono compiti di collegamento o comunque per raggiungere dal proprio domicilio il luogo di servizio e viceversa”.

Sulla scorta di quanto sopra attestato, è indubbio che gli operatori della Polizia Locale possano disporre del porto dell’arma assegnata in via continuativa,[4] fuori dal servizio, nei seguenti casi:

  • nell’ambito dell’Ente presso il quale prestano servizio;

  • per raggiungere dal proprio domicilio il luogo di servizio e viceversa.

Sul punto, in dispetto di quanto osservato da dottrina della materia, che eleva il precedente periodo ad assioma, chi scrive ritiene che raggiungere il proprio domicilio dal luogo di servizio, e viceversa, non comporti l’effettuazione del normale percorso casa lavoro. In verità, ciò parrebbe applicabile, sic et simpliciter, alla normativa in materia di infortuni sul lavoro in itinere.[5]

Interessante, da ultimo, lo “sforzo” del nostro legislatore, che, in materia di interpretazione autentica all’articolo 5 della legge quadro de quo, all’articolo 19 ter del D.L. n. 113/2018, evidenzia quanto segue: “L’articolo 5, comma 5, primo periodo, della legge 7 marzo 1986, n. 65, si interpreta nel senso che gli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualifica di agente di pubblica sicurezza possono portare, senza licenza, le armi di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, nonché nei casi di operazioni esterne di polizia, d’iniziativa dei singoli durante il servizio, anche al di fuori del territorio dell’ente di appartenenza esclusivamente in caso di necessità dovuto alla flagranza dell’illecito commesso nel territorio di appartenenza”.

Un’esegesi, dunque, null’affatto dirimente rispetto al tenore letterale della Legge sull’ordinamento della Polizia Locale.

Altresì, sembra interessante citare il c.d. Decreto Sicurezza, novella legislativa che muta il summenzionato articolo 73 del Regolamento di Esecuzione del Tulps. Esso, all’articolo 28, statuisce il seguente: “1. Gli agenti di pubblica sicurezza di cui agli articoli 17 e 18 del testo unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 31 agosto 1907, n. 690, sono autorizzati a portare senza licenza le armi previste dall’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, quando non sono in servizio.

Secondo la succitata disposizione, pertanto, gli operatori della Polizia Locale, senza licenza, potranno portare, rectius avere al seguito le armi di cui all’articolo 42 TULPS, pronte all’uso, quando non sono in servizio. Pare opportuno soggiungere, pur tuttavia, che la norma si presta ad una serqua di interpretazioni e, stante la seconda parte della stessa, prima dell’attuazione, si dovrà attendere il relativo regolamento, da adottarsi secondo la legge n. 400/1988.

Infine, per completare la disamina del porto di pistola, è da citare una nota del Ministero dell’interno del 23 settembre 1992, secondo la quale gli operatori della Polizia Locale, ai quali l’arma è assegnata in via continuativa, “possono portare senz’altro l’arma anche nei comuni diversi da quello di appartenenza, quando vi si rechino per ragioni di servizio”.[6]

 3. L’orientamento della giurisprudenza in tema di porto di pistola degli appartenenti alla Polizia Locale[7]

Interessanti devono considerarsi due pronunce della Suprema Corte in tema di porto di pistola degli appartenenti alla Polizia Locale.

Un primo orientamento, ha ritenuto insussistente il reato di porto abusivo d’arma da fuoco ascritto ad un operatore della Polizia Locale, scorto, fuori dal servizio e dal territorio di lavoro d’appartenenza, munito dell’arma da fuoco, giacché la qualifica di P.S. legittima il porto dell’arma sull’intero territorio nazionale.[8]

Ancora. Il giudice di legittimità ha confermato che l’arma assegnata all’agente della Polizia Locale, in quanto legata alla qualifica pubblicistica, non soggiace a limitazioni territoriale.[9]

Altre pronunce di merito, ad onor del vero, propendono per un porto di pistola, fuori dall’orario di servizio, e fuori dall’Ente di appartenenza dell’operatore, senza limitazione territoriale alcuna.[10]

Anche l’articolo 20 della legge n. 110/1975, che impone l’obbligo di custodire l’arma utilizzando ogni diligenza, imporrebbe, a rigor di logica, il porto continuativo, poiché solo il legittimo detentore può concretizzare, in tema di custodia dell’arma, se in possesso in via continuativa di quest’ultima, il concetto di “ogni diligenza”.

Tuttavia, in un’ottica meramente prudenziale dell’interpretazione del quadro normativo, in assenza di una chiara e precisa presa di posizione del tecnico delle leggi, è preferibile rispettare pedissequamente il mero tenore letterale delle sopra menzionate normative in materia di porto di pistola degli appartenenti alla Polizia Locale, sia in servizio, che fuori dall’orario di servizio, tralasciando, quindi, le interpretazioni della magistratura, realizzate nelle infelici occasioni di processi celebrati in danno di agenti della Polizia Locale, e nel pertugio di un oscillante tessuto normativo.  

Sulla falsariga delle pronunce passate in rivista, infine, è opportuno segnalare che il Viminale, anticipando le prime doglianze risolte nelle aule dei Tribunali, con circolare n.  3/87, ha già chiarito che la qualifica di Pubblica Sicurezza, è di natura permanente, poiché entra a far parte dello status dell’operatore, e viene meno solo con la perdita dei requisiti vincolati di cui all’articolo 5 della legge n. 65/1986. Sicché, in caso di passaggio tra Enti, non sarà necessario un nuovo conferimento della qualifica di Pubblica Sicurezza in seno all’operatore trasferito.

 4. Considerazioni conclusive

Per comprendere l’evoluzione, o l’involuzione, secondo i rispettivi punti di vista, della Polizia Locale e dell’annosa questione del porto di pistola, è doveroso effettuare una prolusione di carattere storico sul percorso delle Forze di Polizia ad ordinamento statale e sulla considerazione delle Polizia Locale inserita nel contesto dell’Italia unitaria, dalla sua fondazione all’avvento della Repubblica.

Sin dagli albori della costituzione dello Stato italiano, l’ordine Pubblico era demandato alle Forze di Polizia ad ordinamento statale (Carabinieri reali e Guardi di Città). Ciò è confermato dall’articolo 17 della legge n. 690/1907. Con l’ascesa del Regime Fascista il concetto di ordine pubblico continuava ad essere assegnato, a maggior ragione, allo Stato. Il Regime, infatti, al fine di detenere un controllo assoluto della Nazione, oltre a realizzare una totale forma di accentramento di ogni attività amministrativa, concentrava l’ordine pubblico nelle mani esclusive dello Stato. Conseguentemente, “lo spazio di manovra” dei Corpi di Polizia Locale, sebbene costituti in forza di legge, era fortemente ridotto.[11]

Interessante è l’articolo 1 del TULPS in materia di ordine pubblico, secondo il quale: “L’autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà; cura l’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e speciali dello Stato, delle province e dei comuni, nonché delle ordinanze delle autorità; presta soccorso nel caso di pubblici e privati infortuni.

Per mezzo dei suoi ufficiali, ed a richiesta delle parti, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati.

L’autorità di pubblica sicurezza è provinciale e locale.

Le attribuzioni dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza sono esercitate dal prefetto e dal questore; quelle dell’autorità locale dal capo dell’ufficio di pubblica sicurezza del luogo o, in mancanza, dal Podestà”.

Non è di difficile comprensione arguire che l’Autorità di Pubblica Sicurezza, con particolare riguardo ai Prefetti e ai Podestà, era espressione diretta dell’Esecutivo Nazionale.

Con la caduta del Duce e del suo Regime Fascista, lo Stato democratico e Repubblicano “tenta” di prendere le distanze dai concetti di ordine pubblico eretti dal dianzi richiamato Regime, ponendo in essere un decentramento amministrativo delle funzioni. Interviene, altresì, ponderando lo stile preventivo del Tulps e del Relativo regolamento di esecuzione, prima con l’introduzione della legge n.  121/1981, successivamente con il dl.gs. n. 480/1994, che crea ex novo, nel Tulps e nel relativo regolamento, rispettivamente gli articoli 17 bis e 221 bis, che depenalizzano una pletora di dettami sino al 1994 puniti ancora penalmente.

Pur comprendendo lo sforzo del legislatore repubblicano, che, correttamente, , accostando la parola “sicurezza” al concetto di ordine pubblico, riformando il titolo V della nostra Carta Costituzionale, volta pagina rispetto al periodo fascista, senza se e senza ma, triste, oscuro e tutt’altro che garantista per la storia d’Italia, non v’è dubbio che l’evoluzione del concetto di ordine pubblico, legato ad un decentramento del concetto di polizia di sicurezza da associare alle Polizie Locali, di delega delle funzioni statuali, anche di ordine e sicurezza pubblica, e di doverosa equiparazione delle forze di Polizie Locali a quelle ad ordinamento statale, sia del tutto distante.

Il postulato di chi scrive è confermato dall’aberrante quadro normativo di riferimento sul porto di pistola per gli operatori della Polizia Locale; dai vituperanti limiti spazio – temporali, che non consentono di avere, in un’ottica dell’efficientamento dell’apparato di sicurezza e legalità dello Stato, operatori di Polizia sempre provvisti delle qualifiche di Agenti e Ufficiali di Polizia Giudiziaria e Agenti di Pubblica Sicurezza.

Se , dunque, da un lato, si introducono i concetti di Sicurezza Urbana integrata, di accesso alla banca dati SDI per i Corpi di Polizia costituiti in Città con almeno 100000 abitanti, di dotazione di armi ad impulsi elettrici, dall’altro si limita fortemente la realizzazione di un apparato statale incentrato sui principi di decentramento amministrativo, di valorizzazione degli Enti Locali, anche con la formazione di Corpi di Polizia che possano, sì collaborare con le Forze di Polizia statali, ma autonomamente con qualifiche piene, con totale equiparazione alle Forze di Polizia statali, e con un ruolo di centralità e non di ausiliari in tema di ordine e sicurezza pubblica.

La disquisizione sul porto di pistola, che rappresenta un vulnus dell’attuale assetto giuridico, è uno dei punti dai quali partire per comprendere le reali criticità della Polizia Locale. Segnalo, apprestandomi a concludere l’analisi, che le guardie giurate, che non rivestono alcuna qualifica, annoverati nel più ampio genus degli incaricati di pubblico servizio, come confermato dal Consiglio di Stato e dal Viminale, nell’ottica del favor laboratoris, omaggiano del porto di pistola su tutto il territorio nazionale e senza limiti temporali, fatta eccezione per le specifiche disposizioni in materia. [12]

La Polizia, benché locale, con compiti assai diversi dalle Guardie Giurate, meramente incaricate alla vigilanza del patrimonio di privati, di contro, non può omaggiare della stessa forma di tutela, anche fuori all’orario di servizio, del porto di pistola continuativo sul tutto il territorio nazionale.

Sarà interessate, comunque, comprendere come risolvere il contrasto normativo introdotto con il Decreto Sicurezza che, se da un lato consente agli agenti di P.S. di cui all’articolo 18 del R.D. n. 690/1907 (gli operatori di Polizia Locale) di portare fuori servizio, senza licenza, le armi di cui all’articolo 42 del TULPS, dall’altro impone che gli appartenenti ai Corpi e ai servizi di Polizia Locale, ai quali l’arma è assegnata in via continuativa, non possano avere il porto di pistola, fuori servizio, se non all’interno del territorio dell’Ente di appartenenza.

La via è impervia, gli spazi di manovra angusti, la volontà di migliorare le cose lontana.

 

 

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici
Ursi, La sicurezza pubblica, Bologna, Il Mulino, 2022
Famiglietti F., La polizia amministrativa in senso stretto (o polizia amministrativa tout court), polizia amministrativa locale, (servizio di) polizia locale, in Caringella, Iannuzzi, Levita, Manuale di diritto di pubblica sicurezza, Dike Giuridica Editrice, 2013;
Sitografia
https://www.marcopolomagazine.it/2015/01/13/porto-dellarma-fuori-territorio-da-parte-del-personale-di-polizia-locale/
https://www.facebook.com/AnvuAssociazionePoliziaLocaleDItalia
https://www.earmi.it/varie/portoPM_Vicari.html
https://www.a-pl.it/centro%20studi/armafuoriterritorio.pdf
[1] Legge Quadro n. 65/1986, articolo 5: “1. Il personale che svolge servizio di polizia municipale, nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e nei limiti delle proprie attribuzioni, esercita anche: a) funzioni di polizia giudiziaria, rivestendo a tal fine la qualità di agente di polizia giudiziaria, riferita agli operatori, o di ufficiale di polizia giudiziaria, riferita ai responsabili del servizio o del Corpo e agli addetti al coordinamento e al controllo, ai sensi dell’articolo 221, terzo comma, del codice di procedura penale; b) servizio di polizia stradale, ai sensi dell’articolo 137 del testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393; c) funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 3 della presente legge”.
La giurisprudenza di merito e di legittimità, come si leggere nel prosieguo del presente contributo, non sembra confortare tale tesi.
[2] Non sembra il caso di soffermarci sul disposto dell’articolo 38 TULPS, in quanto è pacifico che gli operatori della Polizia Locale, ai quali l’arma è assegnata in via continuativa, non hanno l’obbligo di denuncia dell’arma. A tal proposito, è già intervenuto il Ministero dell’interno con nota 559/C 237.1298 (10) del 26.03.1992 Ministero dell’Interno
[3] Un caso di collegamento è quello che si verifica quando l’operatore di Polizia, al quale l’arma è assegnata in via continuativa, in servizio di pattuglia automontata, percorre un tratto di strada con due o più competenze territoriali, sul quale non sono ammesse manovre finalizzate ad evitare la percorrenza sul tratto di strada con competenza di altro Ente. A titolo meramente esemplificativo, si pensi ad un ponte, sul quale non è ammessa inversione di marcia, di competenza territoriale di due o più Enti.
[4] Per porto dell’arma deve essere inteso il possesso dell’arma pronta all’uso. È da distinguere, quindi, il concetto di trasporto dell’arma e di mera detenzione della stessa.
[5] Cfr art. articolo 12 Decreto Legislativo n°38, 23 febbraio 2000
[6] Cfr. https://www.earmi.it/varie/portoPM_Vicari.html
[7] Fonte: ANVU
[8] Cass. pen., sez. I, 4 aprile 1997, n. 3049
[9] Cass. pen., sez. VI, 21 gennaio 1998, n. 617
[10] Ex multis: Tribunale di Torre Annunziata R.G. N. 378/94;  Tribunale di Arezzo Udienza n. 5/2005.
[11] Era prevista, peraltro, la possibilità di scioglimento dei Corpi di Polizia Locale, in forza dell’articolo 19 del R.D. n. 690/1907, secondo il quale: “Qualora per gravi motivi d’ordine pubblico il Ministero dell’interno creda di sopprimere o di non permettere l’istituzione di guardie municipali in uno o più Comuni, la polizia municipale sarà pure affidata alle guardie di città, con quelle norme che saranno stabilite in un decreto Reale.
I sindaci, previa deliberazione del Consiglio comunale, potranno chiedere che la polizia municipale sia affidata alle guardie di città. In questo caso sarà provveduto con decreto Reale”.
[12] Cfr. art. 4 legge n. 110/1975; dpr n. 753/1980.

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Domenico Giardino

Il Dott. Domenico Giardino, già Funzionario, Comandante della Polizia Locale, riveste il grado di Commissario Capo. Presso l’Università degli Studi di Milano, ha conseguito la laurea in scienze dei servizi giuridici, con indirizzo in risorse umane e consulenza del lavoro, e la laurea magistrale in Giurisprudenza. Ha perfezionato gli studi post laurea ottenendo, a pieni voti, 2 master universitari di secondo livello, rispettivamente nel campo della gestione delle risorse umane e nel management della Polizia Locale, e un master di primo livello, sempre a pieni voti, in criminologia clinica e scienze forensi. È esperto, ed appassionato, delle tematiche inerenti alla Polizia Giudiziaria. E' autore di numerose pubblicazioni scientifiche di diritto.

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