Recidiva semplice e aggravanti: la Corte Costituzionale dice basta agli automatismi

Recidiva semplice e aggravanti: la Corte Costituzionale dice basta agli automatismi

Sommario: 1. Il fatto in sintesi: il concorso tra aggravante autonoma ex art. 612, secondo comma, c.p. e la recidiva semplice nel caso di specie – 2. La decisione della Consulta: fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente – 3. Brevi riflessioni conclusive: la facoltatività dell’applicazione della recidiva semplice quale espressione di coerenza sistematica e proporzione. L’adesione al “diritto penale del fatto”

 

Abstract. Il contributo ha ad oggetto una recentissima statuizione della Corte costituzionale, datata 27 maggio 2025, con la quale viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 63, terzo comma, c.p., nella parte in cui non prevede che “Quando concorrono una circostanza per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o una circostanza ad effetto speciale e la recidiva di cui all’art. 99, primo comma, cod. pen., si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla”.

La disposizione censurata sarebbe in contrasto con i principi di eguaglianza, ragionevolezza, proporzionalità e finalità rieducativa della pena espressi dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., ciò che ne impone necessariamente una lettura costituzionalmente orientata.

The contribution concerns a very recent ruling of the Constitutional Court, dated 27 May 2025, which declares the unconstitutionality of art. 63, third paragraph, of the Italian Criminal Code, in the part in which it does not provide that “When a circumstance for which the law publishes a penalty of a different type from the ordinary one of the crime or a circumstance with special effect and the recidivism referred to in art. 99, first paragraph, of the Italian Criminal Code concur, only the penalty established for the more serious circumstance applies, but the judge may increase it”.

The contested provision would not respect the principles of equality, reasonableness, proportionality and re-educational purpose of the penalty expressed in art. 3 and 27, third paragraph of the Constitution. A constitutionally oriented reading of the contested provision is necessary.

Massima. “L’ampia discrezionalità del legislatore nella definizione della propria politica criminale, e in particolare nella determinazione delle pene applicabili a chi abbia commesso reati, così come nella stessa selezione delle condotte costitutive di reato […] non equivale ad arbitrio. Le disposizioni che costituiscono espressione di tale discrezionalità, e segnatamente quelle che determinano il trattamento sanzionatorio, in quanto destinate a incidere sulla libertà personale dei loro destinatari, devono quindi ritenersi suscettibili di controllo da parte di questa Corte per gli eventuali vizi di manifesta irragionevolezza o di violazione del principio di proporzionalità. Ora, l’applicazione sulla pena stabilita per l’aggravante a effetto speciale dell’aumento di un terzo della pena previsto per la recidiva semplice, a fronte dell’aumento facoltativo applicabile ove con la prima concorra una ipotesi di recidiva aggravata, dà luogo a una evidente irragionevolezza della disciplina applicabile, con violazione dell’art. 3 Cost. Invero, contrasta con il canone di ragionevolezza che al minor grado di rimproverabilità soggettiva corrisponda una pena superiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto. […] Il differente trattamento sanzionatorio del concorso tra circostanze aggravanti a effetto speciale e recidiva qualificata o semplice, in ragione della disciplina di applicazione dei rispettivi aumenti di pena, può essere causa, come visto, dell’irrogazione di una sanzione sproporzionata e non “individualizzata” proprio rispetto al disvalore oggettivo dei fatti. […] Il censurato criterio di determinazione della pena in caso di concorso tra una circostanza aggravante autonoma o a effetto speciale e una circostanza aggravante comune risulta anche lesivo dell’art. 27, terzo comma, Cost. Invero, una pena determinata sulla base di un criterio irragionevole non può essere percepita dal suo destinatario come una pena giusta, e non può quindi assolvere alla funzione rieducativa”.

1. Il fatto in sintesi: il concorso tra aggravante autonoma ex art. 612, secondo comma, c.p. e la recidiva semplice nel caso di specie

Con ordinanza del 13 maggio 2024 la Prima Sezione penale del Tribunale ordinario di Firenze sollevava, con riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 63, terzo comma, c.p. “nella parte in cui non prevede che – quando la recidiva di cui all’art. 99 co. 1 c.p. concorre con una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o con una circostanza aggravante ad effetto speciale – si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla”.

Il giudice a quo si ritrovava a procedere nei confronti di un soggetto imputato dei delitti di cui all’art. 612, secondo comma, c.p., in relazione all’art. 339 c.p. (minaccia commessa con l’uso di armi), e all’art. 4 della legge n. 110/1975 (“Porto di armi od oggetti atti ad offendere”), avendo il soggetto medesimo minacciato la vittima utilizzando un coltello ed altro strumento atto a offendere, portati fuori della propria abitazione senza giustificato motivo.

Lo stesso giudice ordinario precisava, nell’ordinanza di rimessione, che le indagini conducevano all’accertamento del primo reato e della circostanza aggravante di cui all’art. 612, secondo comma, c.p., sussistendo pure la recidiva semplice contestata dal pubblico ministero in ragione del fatto che l’imputato avesse subito una condanna per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) nel 2015 e un’altra per ricettazione (art. 648 c.p.) nel 2017.

Non essendo inoltre l’imputato incensurato e non avendo lo stesso proceduto al risarcimento del danno o mostrato segni di ravvedimento, non si riteneva possibile l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p.

Stando alla formulazione dell’art. 63, terzo comma, c.p. e tenuto conto delle peculiarità del caso di specie, si sarebbe in primis dovuta applicare l’aggravante autonoma di cui al secondo comma dell’art. 612 c.p. ed in secundis procedere all’aumento della pena di un terzo per la recidiva semplice ex art. 99, primo comma, c.p.

Il rimettente dubitava tuttavia della legittimità costituzionale dello stesso terzo comma dell’art. 63 c.p., vista l’impossibilità, in caso di concorso di un’aggravante autonoma (o anche ad effetto speciale) con un’aggravante ad effetto comune come la recidiva semplice, di applicare il quarto comma – in ragione del quale se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate al terzo comma (tra le quali non potrebbe rientrare la recidiva semplice, la quale è aggravante ad effetto comune), trova applicazione la sola pena prevista per la circostanza più grave, potendo però quest’ultima essere aumentata dal giudice (in tal caso l’aumento sarebbe non di un terzo, ma fino ad un terzo).

La disposizione codicistica censurata si porrebbe così in aperto contrasto con i principi di eguaglianza, ragionevolezza, proporzionalità e finalità rieducativa della sanzione penale espressi dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.: il giudice rimettente sarebbe sostanzialmente tenuto all’applicazione dell’aumento di pena nella misura di un terzo stabilito per la recidiva semplice, ciò che invece non si verificherebbe nell’ipotesi in cui a concorrere con l’aggravante autonoma ex art. 612, secondo comma, c.p., sia una delle forme qualificate di recidiva di cui ai successivi commi dell’art. 99 c.p. (aggravata, pluriaggravata o reiterata), le quali peraltro presuppongono una pericolosità criminale e un grado di colpevolezza ben più gravi rispetto a quelli posti a base della recidiva di cui al primo comma.

Ne deriverebbe un cortocircuito ordinamentale che condurrebbe conseguentemente all’irrogazione di una pena non percepibile come giusta da parte del condannato e, dunque, per nulla idonea alla rieducazione.

2. La decisione della Consulta: fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal rimettente

Prima della disamina delle questioni sollevate dal giudice a quo, il Giudice delle leggi ha ritenuto opportuno dar conto delle modifiche legislative intervenute sulle disposizioni codicistiche venute in rilievo, ossia gli artt. 63 e 99 c.p.

L’art. 63 c.p., così come modificato dall’art. 5 della legge n. 400/1984 (“Nuove norme sulla competenza penale e sull’appello contro le sentenze del pretore”), al secondo comma dispone che “Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente”, mentre al terzo comma che: “Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo”.

Sempre per effetto della medesima modifica normativa, la disposizione al quarto comma stabilisce che “Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla”.

L’art. 99, primo comma, c.p. è invece stato modificato dall’art. 4 della legge n. 251/2005 (“Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione”).

Prima dell’intervento del legislatore del 2005, la disposizione prevedeva che chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commettesse un altro, soggiacesse ad un aumento fino ad un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato.

L’intervento modificativo – in virtù del quale il primo comma oggi recita che “Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo” – ha “reso fissa, anziché variabile, e ha innalzato ad un terzo, la misura frazionaria dell’aumento di pena per la recidiva semplice”[1].

La Consulta ha successivamente messo in evidenza la peculiarità della recidiva semplice – la quale, “pur essendo, ai sensi dell’art. 63, terzo comma, cod. pen., una circostanza aggravante comune, in quanto non comporta un aumento superiore a un terzo, tuttavia impone al giudice, una volta che ritenga di doverne fare applicazione, di aumentare la pena base nella misura di un terzo, senza alcuna possibilità di modulazione”[2] – ed ha poi proceduto ad un richiamo della sua costante giurisprudenza in materia, stando alla quale l’applicazione della recidiva non si connota affatto per obbligatorietà, potendosi giustificare unicamente nell’ipotesi in cui il nuovo delitto, commesso da un soggetto già condannato per precedenti delitti non colposi, rappresenti la concreta estrinsecazione tanto di una maggiore pericolosità criminale quanto di un maggior grado di colpevolezza, quest’ultimo legato alla più elevata rimproverabilità della scelta di violare i precetti penali nonostante l’ammonimento derivante dalle precedenti condanne.

La maggiore rimproverabilità non può tuttavia concepirsi come dato presumibile sic et simpliciter dalle precedenti condanne, dovendo sicuramente escludersi allorquando il nuovo delitto abbia caratteristiche differenti o sia stato commesso a distanza di molto tempo dal precedente[3].
Nel 2015 la stessa Corte costituzionale – come da essa precisato nella recentissima statuizione all’esame – non solo ha evidenziato la facoltatività delle ipotesi di recidiva di cui ai primi quattro commi, consentendo così al giudice di applicare gli aumenti di pena solo in presenza dei presupposti poc’anzi indicati (maggiore pericolosità criminale e maggior grado di colpevolezza risultanti dal nuovo delitto commesso), ma ha pure proceduto a dichiarare costituzionalmente illegittimo il quinto comma dell’art. 99 c.p., così come sostituito dall’art. 4 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevedeva l’obbligatorietà dell’aumento di pena per l’ipotesi di commissione dei delitti di cui all’art. 407, secondo comma, lett. a), c.p.p.[4]

Operate queste precisazioni, il Giudice delle leggi ha dichiarato la fondatezza delle questioni sollevate dal giudice rimettente, precisando ancora una volta che per quanto le scelte di politica criminale vadano effettuate nelle sedi parlamentari, il legislatore non possa in ogni caso procedere arbitrariamente alla definizione del trattamento sanzionatorio.

Incidendo fortemente la pena sulla libertà personale – connotata da inviolabilità ex art. 13 Cost. – la Corte costituzionale è pertanto deputata ad esercitare un doveroso sindacato di proporzionalità e ragionevolezza sulle disposizioni legislative concernenti la determinazione della sanzione penale.

L’applicazione sulla pena stabilita per la circostanza aggravante ad effetto speciale – o per quella autonoma, come nel caso di specie – dell’aumento di un terzo previsto per la recidiva semplice risulta irragionevole, e dunque violativa dell’art. 3 Cost., in considerazione del fatto che l’aumento sia invece facoltativo in presenza di un concorso tra la prima aggravante e un’ipotesi di recidiva aggravata.

L’attuale disciplina conduce infatti alla non accettabile soluzione per cui al minor grado di rimproverabilità soggettiva viene a corrispondere una pena superiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto.

Se si tiene conto del fatto che ex art. 63, quarto comma, c.p., le ipotesi di recidiva qualificabili come circostanze a effetto speciale beneficino, in caso di concorso con altre autonome o comunque ad effetto speciale, del doppio favor della sola applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave e della facoltà dell’aumento affidata al giudice, nonché dell’ulteriore fatto rappresentato dalla minore gravità insita nella recidiva semplice rispetto alle altre ipotesi di recidiva, ben si comprende come non sia conforme a ragionevolezza l’automatica ed obbligatoria applicazione dell’aumento di un terzo (e non fino ad un terzo) in caso di concorso della recidiva semplice con una circostanza autonoma o a effetto speciale, una volta che il giudice abbia reputato i precedenti penali indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo.

La disciplina risultante dalla disposizione codicistica censurata conduce conseguentemente all’irrogazione di una sanzione penale sproporzionata, non “individualizzata”, non corrispondente al disvalore oggettivo del fatto e chiaramente non percepibile come giusta dal suo destinatario.

Viene così meno la finalità rieducativa della pena, con violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost.

Si rivela allora necessaria, per ragioni di coerenza sistematica, l’operatività del meccanismo di cui al quarto comma dell’art. 63 c.p. anche nell’ipotesi di concorso di recidiva semplice ex art. 99, primo comma, c.p., e circostanza aggravante autonoma o ad effetto speciale, con conseguente applicazione della pena prevista per la circostanza più grave e facoltatività dell’aumento (fino ad un terzo) della medesima.

3. Brevi riflessioni conclusive: la facoltatività dell’applicazione della recidiva semplice quale espressione di coerenza sistematica e proporzione. L’adesione al “diritto penale del fatto”

Conseguenza della sentenza di accoglimento additiva n. 74/2025 della Corte costituzionale all’esame è dunque rappresentata dalla possibilità per l’organo giudicante, nell’ipotesi in cui la recidiva semplice concorra con una circostanza aggravante autonoma o ad effetto speciale, di procedere secondo il meccanismo di cui al quarto comma dell’art. 63 c.p. – ciò che sostanzialmente si verifica allorquando a concorrere con una circostanza autonoma o ad effetto speciale sia un’ipotesi di recidiva “qualificata” (aggravata, pluriaggravata o reiterata).

In sostanza, il giudice non è più tenuto automaticamente all’aumento di un terzo della pena prevista per la circostanza aggravante autonoma o ad effetto speciale concorrente, ma applica la sanzione penale stabilita per l’ipotesi circostanziale più grave, potendo poi discrezionalmente stabilire se l’aumento di pena (fino ad un terzo) sia necessario o meno con riferimento al caso di specie.

La Consulta ha pertanto riconosciuto un ulteriore margine di discrezionalità in capo all’organo giudicante, che tuttavia non lede affatto il principio di legalità in materia penale.

Se è vero infatti che il legislatore, in virtù della riserva di legge in materia penale ex art. 25, secondo comma, Cost., è dominus delle scelte di politica criminale, rispondendo la necessaria tipizzazione delle fattispecie incriminatrici e la determinazione del trattamento sanzionatorio nelle aule parlamentari ad esigenze prettamente garantistiche, è altresì vero che chi legifera non può mai spingersi sino al punto da superare il canone della ragionevolezza ricavabile dall’art. 3 Cost.

Quest’ultimo canone impone essenzialmente che ogni scelta di politica legislativa sia dotata di coerenza sistematica, ciò che comporta un’inevitabile bilanciamento tra l’esigenza statale di doverosa ed opportuna repressione dei comportamenti penalmente illeciti e l’inviolabilità della libertà personale ex art. 13, primo comma, Cost.

La declaratoria di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 63, terzo comma, c.p., è indubbiamente imposta da esigenze di coerenza sistemica.

Laddove le questioni sollevate dal giudice rimettente fossero state ritenute infondate, la disciplina codicistica avrebbe determinato l’applicazione di una pena sproporzionata rispetto al fatto concreto, senza la possibilità di modulare l’entità della medesima in considerazione di una serie di fattori (tra cui spiccano la diversità delle caratteristiche del nuovo delitto non colposo e l’arco temporale intercorso tra precedente e nuovo delitto). Nell’ipotesi in cui il giudice avesse pertanto ritenuto i precedenti penali concreti indici di maggior pericolosità criminale e colpevolezza, si sarebbe trovato in presenza di un vero e proprio automatismo sanzionatorio rappresentato dal necessario aumento di un terzo della pena (e non fino ad un terzo).

In presenza di un concorso tra recidiva aggravata, pluriaggravata o reiterata e circostanza aggravante autonoma o ad effetto speciale avrebbe invece trovato applicazione il quarto comma dell’art. 63 c.p., con irrogazione della sola pena prevista per la circostanza più grave e facoltatività dell’aumento della stessa. Il confronto di questa ipotesi con quella in cui a concorrere con una circostanza autonoma o ad effetto speciale sia la recidiva semplice delinea l’assenza di coerenza sistematica, considerata l’obbligatorietà dell’applicazione di questa forma di recidiva e la probabile irrogazione di una pena che non terrebbe conto del minore disvalore del fatto rispetto alle forme di recidiva di cui ai commi dell’art. 99 c.p. successivi al primo e che, di fatto, risulterebbe maggiormente privativa della libertà personale in un’ipotesi in cui invece essa potrebbe (e dovrebbe) non esserlo.

Allorquando un consociato viene eccessivamente e irragionevolmente privato della propria libertà personale[5] non può che percepire la pena come meramente afflittiva e non rieducativa.

Come autorevole dottrina attenziona, “che la rieducazione vada concepita in collegamento col disvalore espresso dal fatto di reato è […] conseguenza di un’interpretazione dell’art. 27, comma 3°, Cost., […] come norma […] posta in relazione all’art. 25, comma 2°, Cost. […] Da un lato, all’interno di un’ottica di prevenzione generale, oggi si concorda nell’osservare che la minaccia di una pena eccessivamente severa, o comunque sproporzionata, può suscitare sentimenti di insofferenza nel potenziale trasgressore e alterare nei consociati la percezione di quella corretta scala di valori che dovrebbe riflettersi nel rapporto tra i singoli reati e le sanzioni corrispondenti.

Dall’ulteriore (e complementare) lato della prevenzione speciale ispirata al modello della rieducazione […], è necessario sottolineare che un trattamento rieducativo correttamente inteso presuppone che il destinatario […] avverta come giusta e proporzionata la sanzione che gli viene inflitta. Da questo punto di vista, la <<proporzionatezza>> tra fatto e sanzione, avvertita come tale dal reo, costituisce una premessa ineliminabile dell’accettazione psicologica di un trattamento diretto a favorire nel condannato il recupero della capacità di apprezzare i valori tutelati dall’ordinamento”[6].

In un’ottica prettamente special-preventiva e rieducativa, è fondamentale che il giudice possa, in caso di concorso tra aggravante autonoma o ad effetto speciale e recidiva semplice, vedersi riconosciuto quel margine di discrezionalità che gli consenta di conformare pienamente la sua opzione sanzionatoria alla complessiva valutazione del caso di specie da lui stesso effettuata.

Laddove da una considerazione congiunta delle precedenti condanne e del nuovo delitto non colposo non possa effettivamente evincersi una maggiore pericolosità e colpevolezza del reo è indubbiamente più opportuno procedere, nel rispetto del principio di proporzionalità tra sanzione e fatto, all’irrogazione della sola pena stabilita per la circostanza più grave, con esclusione dell’aumento che deriverebbe dall’applicazione della recidiva ex art. 99, primo comma, c.p.

In caso contrario – ossia laddove dal complessivo esame dei fatti il grado di colpevolezza e di pericolosità risulti concretamente maggiore – il giudice procederà invece a quell’aumento, sempre e comunque in ossequio alla proporzione tra pena e fatto, la quale è certamente finalizzata a garantire l’efficienza della funzione rieducativa della pena.

La sentenza n. 74/2025 va letta dunque, ad avviso di chi scrive, nel senso della negazione delle svariate forme in cui si estrinsecano gli automatismi sanzionatori (tra le quali chiaramente rientrerebbe pure l’obbligatorio aumento di un terzo della pena in presenza di recidiva semplice e aggravanti di cui al terzo comma dell’art. 63 c.p.) e nell’adeguamento del meccanismo di determinazione della pena, nell’ipotesi del concorso della recidiva ex art. 99, primo comma, c.p. con un’aggravante autonoma o ad effetto speciale, al “diritto penale del fatto”, ossia ad un diritto penale che non si abbandona ad astrazioni e presunzioni e che opera nell’ineludibile relazione con il fatto concretamente posto in essere dal soggetto attivo e con il suo disvalore effettivo.

 

 

 

 

 

 

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Bibliografia
DOLCINI E., “La commisurazione della pena”, CEDAM, Padova
FIANDACA G., MUSCO E., “Diritto penale. Parte generale”, VIII Edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2019
PADOVANI T., “L’utopia punitiva. Il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica”, Giuffrè, Milano, 1981

Corte cost., 14 giugno 2007, n. 192
Corte cost., 10 giugno 2011, n. 183
Corte cost., 23 luglio 2015, n. 185
Corte cost., 24 aprile 2020, n. 73
Corte cost., 31 marzo 2021, n. 55
Corte cost., 27 maggio 2025, n. 74
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[1] Cit. testualmente da Corte cost., 27 maggio 2025, n. 74.
[2] Idem.
[3] Cfr. Corte cost., 14 giugno 2007, n. 192; Corte cost., 10 giugno 2011, n. 183; Corte cost., 23 luglio 2015, n. 185; Corte cost., 24 aprile 2020, n. 73; Corte cost., 31 marzo 2021, n. 55.
[4] Si fa qui riferimento a Corte cost., 23 luglio 2015, n. 185.
[5] Ciò che accadrebbe anche nell’ipotesi in cui il diritto penale non si conformasse ad un principio di frammentarietà, che sempre deve orientare il legislatore nel raffronto tra condotta e grado di offensività della stessa e, di conseguenza, nella complessa operazione di selezione dei comportamenti punibili in quanto idonei a ledere o mettere in pericolo i beni giuridici ai quali s’intende apprestare tutela in sede penale.
[6] Cit. testualmente da FIANDACA G., MUSCO E., “Diritto penale. Parte generale”, VIII Edizione, Zanichelli Editore, Bologna, 2019, pagg. 746-747. Si vedano anche PADOVANI T., “L’utopia punitiva. Il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica”, Giuffrè, Milano, 1981, pag. 262, nonché DOLCINI E., “La commisurazione della pena”, CEDAM, Padova, 1979, pagg. 18 e ss.

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Davide Cerrato

Dottore in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Salerno con votazione pari a 110 e lode con menzione speciale alla carriera e con tesi di laurea sperimentale in Diritto del lavoro dal titolo "Qualificazione giuridica dello «smaining» e costruzione di un reticolo (o mosaico) di tutela «ultra-reiterazione»". Già autore presso la rivista scientifico-giuridica online "Il diritto amministrativo" (www.ildirittoamministrativo.it).

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