Il valore del silenzio nel diritto amministrativo: tra prassi e nuove prospettive
Sommario: 1. Introduzione – 2. Le ipotesi di silenzio significativo – 2.1. Il silenzio provvedimentale nei rapporti verticali – 2.2. Il silenzio provvedimentale nei rapporti orizzontali – 3. L’applicazione dell’istituto di semplificazione decisoria ex art. 17-bis l. 241/1990 al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica – 3.1. I rapporti tra l’istituto di semplificazione decisoria ex art. 17-bis l. 241/1990 e la conferenza di servizi decisoria – 4. Rapporti tra silenzio provvedimentale e preavviso di rigetto
Premessa. Il presente contributo si propone di analizzare le tematiche, sempre attuali nel sistema amministrativo, relative alla rilevanza del silenzio provvedimentale, quale istituto vocato ora all’efficientamento della decisione amministrativa (ove s’inserisca nella fase istruttoria del procedimento), ora alla semplificazione della stessa, nelle ipotesi in cui acceda, invece, alle fasi decisorie.
1. Introduzione
L’esercizio dell’attività amministrativa, per sua natura dialogica e finalizzata alla realizzazione del pubblico interesse per il tramite dei rapporti intessuti con i privati e con altre amministrazioni, si sviluppa tramite il provvedimento.
Il provvedimento, nella specie, costituisce lo strumento principale di azione dell’amministrazione e che ha la funzione di attribuire, direttamente ed immediatamente, alla decisione amministrativa, efficacia e cogenza all’esterno e nei confronti del suo destinatario.
Già la risalente dottrina amministrativistica, che si interrogò sulla portata e sull’efficacia del provvedimento, ritenne di poterne ricavare l’essenza per differenza dall’atto amministrativo: Scoca[1], esemplificativamente, affermava, infatti, che mentre l’atto amministrativo si caratterizza per la sua generale idoneità ad esprimere la volontà amministrativa in merito ad un tema di amministrazione attiva per il quale la stessa si propone di agire in un dato modo e nel rispetto di determinate regole e principi, il provvedimento, che ne costituisce la species, si connota per la sua capacità di esprimere l’autoritatività, la cogenza e la vincolatività della decisione amministrativa nei confronti del suo destinatario.
Il provvedimento, infatti, è quella tipologia di atto amministrativo in grado di attribuire immediatamente al privato l’utilità, di negargliela, di assolvere alla co-decisione con altre amministrazioni e di gestire congiuntamente una certa azione amministrativa.
Sin dagli albori del diritto amministrativo, tuttavia, si fece evidente l’esigenza di porre l’accento sulla forma dell’attività provvedimentale: si rilevò, infatti, che l’azione amministrativa conserva impregiudicata la sua forza tanto nel caso in cui si esprima in attraverso un atto provvedimentale formale, quanto nel caso in cui si estrinsechi nel silenzio provvedimentale.
In altri termini, si evidenziava che la decisione amministrativa, talvolta, potesse essere assunta anche tramite l’adozione di un provvedimento non formale senza che ciò ostasse all’efficacia, alla cogenza ed alla vincolatività della decisione.
Di qui, cominciò ad affermarsi l’idea per cui, anche il silenzio dell’Amministrazione può, a certe condizioni, costituire provvedimento.
È giocoforza osservare che l’assenza di una dichiarazione formale di volontà possa comportare, per il privato, le difficoltà di non potersi difendere dalle motivazioni che possono indurre la P.A. ad adottare delle decisioni: il rischio che si paventa, con il silenzio provvedimentale, è chiaramente quello di esporre il privato ad una ineluttabile ed arbitraria soggezione al potere amministrativo, in grado di vincolarlo ad una decisione che, non essendo, data la sua forma, fisiologicamente percepibile all’esterno, potrebbe assoggettarlo a condizioni inique, discriminatorie o, più banalmente, illegittime.
2. Le ipotesi di silenzio significativo
L’ottica garantistica del privato, che permea il sistema del diritto amministrativo, in ragione della natura impari del rapporto che sussiste tra questi e la Pubblica Amministrazione, giustifica gli interventi legislativi con i quali si è declinata, in positivizzazione, la necessità di apprestare al silenzio una disciplina precisa e puntuale, atta ad individuare, una volta per tutte, i casi nei quali è attribuito il potere alla P.A. di vincolare il privato alla sua azione, disciplinando il silenzio provvedimentale, e quello in cui, al contrario, il silenzio dell’amministrazione, lungi dall’assolvere alla funzione di estrinsecare all’esterno la cogenza della decisione amministrativa, funge meramente da inadempimento.
La differenza tra le ipotesi nelle quali al silenzio è attribuito un valore significativo e, nella specie, provvedimentale, e quelle nelle quali lo stesso equivale ad inadempimento, a ben vedere, non è di poco momento atteso che nel primo caso, al pari di quanto accade nel caso di lesione della posizione giuridica soggettiva del privato da parte di un provvedimento formale, il privato ha diritto ad impugnare il silenzio provvedimentale godendo dello stesso livello di tutela che gli è riservato a fronte di un provvedimento lesivo. Il silenzio provvedimentale, in particolare, risulta disciplinato tanto nei rapporti orizzontali, ossia tra due o più amministrazioni, sia nei rapporti verticali, cioè quelli intercorrenti tra il privato e l’amministrazione.
2.1. Il silenzio provvedimentale nei rapporti verticali
Il silenzio provvedimentale all’interno dei rapporti verticali risulta preliminarmente disciplinato dall’art. 20 della legge n. 241 del 1990, la quale norma prescrive espressamente la regola del silenzio assenzo risultando, invece, tendenzialmente eccezionale il meccanismo del silenzio rigetto.
In particolare, in base alla norma in discorso, si introduce una peculiare clausola di equivalenza per la quale, se l’amministrazione, entro i termini di cui all’art. 2, co. 2 e 3 della medesima legge (rectius, 30 giorni dal momento della ricezione dell’istanza del privato), non adotta, con provvedimento formale, la decisione dovuta, il suo silenzio si converte in assenso. A tale istituto, spesso, è stata consegnata una natura polimorfa, in ragione delle diverse rationes che lo fonderebbero.
Una prima ragione giustificativa sarebbe da cogliersi nella sua funzione garantista e, specificamente, nella sua funzionalizzazione a fornire tutela al privato che ha diritto a non rimanere, ad libitum, legato all’attesa dell’adozione di un provvedimento che lo riguardi, cogliendosi, peraltro, in tal senso, un forte collegamento tra il regime del silenzio assenso e quello del rispetto dei termini del procedimento. Da un’altra prospettiva, la norma in questione vorrebbe perseguire lo scopo di semplificare l’azione amministrativa laddove l’adozione di una decisione formale, per la non complessità delle questioni che sottende, ben possa essere sostituita dal silenzio.
Infine, contestualmente, la natura polifunzionale del meccanismo in disamina tenderebbe, indirettamente, a sanzionare, con l’efficacia deterrente della conversione del silenzio in assenso, l’inerzia dell’amministrazione.
Ogni qualvolta, invece, le questioni addotte da privato e la materia nella quale la sua istanza si inserisca risultino, alla luce di un vaglio di valore tra i beni giuridici coinvolti, di particolare complessità, tale da richiedere una decisione formale, il meccanismo del silenzio assenso rimarrà inattivo.
Ed infatti, l’art. 20 ex l. 241/1990 non ha un campo di azione generalizzato ma è circoscritto ai soli procedimenti ad istanza di parte che non abbiano ad oggetto materie che, per la peculiare sensibilità degli interessi sottesi, non possono essere soggetti a tale semplificazione ma richiedono, diversamente, un provvedimento formale dotato di motivazione sostanziale.
L’art. 20, co. 4, infatti, esclude il silenzio assenso nei procedimenti aventi ad oggetto il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, nonché per i casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.
Il silenzio provvedimentale in merito ai rapporti verticali è poi disciplinato dall’art. 25 l. 241/1990 che prevede l’ipotesi nella quale, eccezionalmente, il silenzio dell’amministrazione equivale, invece, a silenzio diniego.
Tale norma accede, in particolare, alla regolamentazione delle conseguenze del silenzio dell’amministrazione in caso di istanza di accesso prevedendo che, all’inutile decorse del termine di trenta giorni dalla richiesta di accesso, questa si intende respinta e che, in tale evenienza, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, il riesame di suddetta determinazione.
Ulteriore ipotesi di silenzio significativo nei rapporti verticali, poi, è prevista in materia di ricorso gerarchico, ossia quello strumento di tutela avverso provvedimenti e atti amministrativi non definitivi, con il quale viene richiesto all’organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emanato l’atto, una rivalutazione, nel merito, della decisione adottata.
L’art. 6 del d.P.R. 1199 del 1971, infatti, prevede che, decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti.
In quest’evenienza, la tutela del privato viene garantita dal diritto dello stesso di esperire, contro il provvedimento impugnato, il ricorso all’autorità giurisdizionale competente o il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
2.2. Il silenzio provvedimentale nei rapporti orizzontali
Il silenzio significativo è poi riscontrabile anche nei rapporti orizzontali tra pubbliche amministrazioni, le quali hanno il potere di adottare decisioni anche tramite silenzio.
Tale meccanismo si inserisce, in particolare, in tutti quei rapporti tra pubbliche amministrazioni nei quali si richiede, ai fini dell’adozione delle decisioni, l’acquisizione di pareri, nullaosta, concerti et similia.
Orbene, la legge prevede, all’art. 16, co. 2 della l. 241/1990, un meccanismo di silenzio devolutivo che si inscrive in una fase istruttoria ed in forza del quale, in caso di richiesta di parere all’organo consultivo, ove decorra il termine previsto dalla legge senza che questi abbia comunicato il parere, l’amministrazione richiedente ha la possibilità di procedere indipendentemente dall’espressione del parere stesso.
Giova ricordare che la disciplina del silenzio nei rapporti orizzontali è stata oggetto di intervento legislativo attraverso il “Decreto semplificazioni” (d.l. n. 76/2020) il quale ha innovato la materia nella misura in cui ha previsto, nei casi di decisione pluristrutturata, come quella adottata all’esito del procedimento ex art. 17-bis della l. 241/1990, l’inefficacia degli atti tardivi.
In particolare, il legislatore ha previsto che in tutte quelle ipotesi nelle quali un’amministrazione, per la natura pluristrutturata della decisione da adottare, è tenuta ad acquisire da un’altra assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici e non riceva, dall’amministrazione destinataria, la risposta entro il termine di legge, rimanendo inerte, l’inerzia stessa equivale ad assenso.
In particolare, Art. 17 bis comma 1: «Nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta, entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativadocumentazione, da parte dell’amministrazione procedente». La norma prosegue prevedendo che: «Esclusi i casi di cui al comma 3 quando per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l’atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta da parte di quest’ultima amministrazione»
Ancora, prosegue al comma 2 prevedendo che «Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. Esclusi i casi di cui al comma 3, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini di cui al comma 1, secondo periodo, l’amministrazione competente può comunque procedere. In tal caso, lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, è trasmesso all’amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta per acquisirne l’assenso ai sensi del presente articolo. In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento».
Dalla lettura dell’art. 17-bis l. 241/1990 è possibile desumere che la regola del silenzio assenso che assiste questo meccanismo decisorio accede a due differenti ipotesi: specificamente, con riguardo alla prima, si profila il caso che vi sia un’amministrazione che, in quanto tenuta all’adozione di un atto co-decisorio, invia ad altra amministrazione uno schema di provvedimento.
L’amministrazione destinataria, dunque, entro i trenta giorni successivi alla ricezione dello schema, deve esprimere il proprio parere ai fini dell’approvazione ovvero della non approvazione dello schema di provvedimento.
Se dovesse, tuttavia, rimanere silente, il suo silenzio si convertirà automaticamente in assenso allo schema di provvedimento inviatole. Dunque, in tal caso si profila l’ipotesi dell’acquisizione dell’assenso da parte dell’amministrazione competente.
È contemplata, poi, l’ipotesi nella quale l’adozione del provvedimento debba essere preceduta dalla previa proposta di un’altra amministrazione: in questo caso, l’amministrazione procedente richiede, all’amministrazione competente, la presentazione della proposta. Ove, però, tale ultima amministrazione non inviasse, entro i trenta giorni successivi, la proposta (avente ad oggetto lo schema di provvedimento) che sarebbe tenuta ad inviare all’amministrazione procedente, la proposta stessa cesserebbe di essere necessaria. Pertanto, l’ amministrazione procedente può inviare a quella competente uno schema di provvedimento che, entro trenta giorni dalla ricezione, deve essere vagliato; in mancanza di una sua risposta, sulla proposta si formerà il silenzio-assenso sulla proposta inviata dall’amministrazione procedente, di conseguenza questa potrà adottare il provvedimento finale.
L’art. 17-bis l. 241/1990 può, inoltre, operare anche con riguardo a materie che intercettino interessi sensibili (paesaggio, ambiente, difesa, sicurezza ecc..) ma ciò solo seguendo il primo dei due moduli procedimentali prima esposti: dunque, se vengono in gioco interessi sensibili, ex art. 17-bis, co. 3 l. 241/1990, si può procedere all’acquisizione del parere tramite silenzio assenso.
Tali interessi, in questo caso, sono tutelati tramite la previsione di un allungamento dei termini ai fini dell’acquisizione dell’assenso, che passano da trenta a novanta giorni).
Invece, l’applicazione dell’art. 17-bis si arresta in relazione al secondo modulo procedimentale: pertanto, allorquando il provvedimento debba essere adottato su proposta di un’amministrazione – in tale evenienza, amministrazione preposta alla cura di uno degli interessi sensibili – quel modulo procedimentale non potrà operare. Sicché, l’amministrazione, in tal caso, deve attendere che l’amministrazione competente effettui la proposta e, ove l’amministrazione preposta alla cura degli interessi sensibili non dovesse effettuarla, l’amministrazione procedente non avrebbe la possibilità di attivare quel modulo procedimentale che le consentirebbe di surrogare la proposta preventiva dell’amministrazione competente con un assenso postumo ricavabile dal silenzio-assenso.
Questa norma fa riferimento ad un rapporto orizzontale tra amministrazioni, ove viene in considerazione la fase decisoria, diversamente agli artt. 16 e 17 che, invece, accedono alla fase istruttoria.
In tale ultima fase, infatti, l’amministrazione non partecipa alla funzione decisoria ma si limita a comunicare le proprie opinioni, a rappresentare il proprio interesse ed a comunicare il parere che, tuttavia, non è vincolante: dunque, l’amministrazione chiamata ad esprimersi ha meramente una funzione consultiva e non decisoria. Sarà, piuttosto, l’amministrazione procedente che, avendo funzione decisoria, potrà anche motivatamente disattenderlo.
Ad ogni modo, l’assenso così ottenuto, per tramite del silenzio, risulta cristallizzato in una misura tale che l’eventualità che l’amministrazione consultata adotti, successivamente alla scadenza del termine previsto, il parere prima richiesto, è sanzionata dall’inefficacia dell’atto tardivo.
In altri termini, è stato normativamente previsto un meccanismo di consumazione del potere di rendere il parere, o di incidere, altrimenti, nella decisione finale, da parte di quell’amministrazione, che, in qualità di ente avente funzione co-decisioria era stata destinataria della richiesta di assenso, concerto o nulla osta, ma che ha, tuttavia, deciso di rimanere inerte, pregiudicandosi, così, ogni possibilità di esprimere le proprie volontà in un momento diverso e successivo a quello nel quale avrebbe dovuto rendere il parere.
L’impossibilità di rimuovere l’assenso reso tramite il silenzio, peraltro, è rafforzata anche nell’ambito dell’autotutela atteso che l’amministrazione inerte non può annullare, né revocare, in autotutela il proprio assenso.
Di tal ché, ai fini della rimozione della decisione pluristrutturata – formatasi col silenzio assenso di un’amministrazione avente funzione co-decisoria – occorrerebbe la decisione pluristrutturata di ricorrere all’autotutela, ed il potere che permane in capo all’amministrazione inerte consiste nella mera possibilità di sollecitare l’esercizio dell’autotutela.
3. L’applicazione dell’istituto di semplificazione decisoria ex art. 17-bis l. 241/1990 al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
L’ambito di applicazione del silenzio-assenso nei rapporti orizzontali di cui all’art. 17-bis l. 242/1990, inoltre, è stato recentemente oggetto di disamina giurisprudenziale specificamente per quanto concerne il tema della sua applicabilità al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Si osservava, in particolare, che ai fini del rilascio del provvedimento autorizzatorio, l’amministrazione procedente avrebbe dovuto richiedere alla Sopraintendenza un parere e, rispetto alla sua eventuale inerzia, ci si chiedeva se l’amministrazione avrebbe dovuto procedere al rilascio, agendo come se avesse, con il silenzio, acquisito l’assenso della Sopraintendenza stessa.
La disciplina della tutela paesaggistica, contenuta nel d. lgs. 42 del 2004, prevede, invero, all’art. 146 che, decorsi inutilmente 60 giorni senza che la Sopraintendenza abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente provvede comunque sulla istanza di autorizzazione.
A rigore, dunque, stando al tenore letterale della norma, l’amministrazione procedente, potendo “procedere comunque” sull’istanza e non essendo, dunque, vincolata all’assenso, conseguente al silenzio della Sopraintendenza, potrebbe decidere di rigettare l’istanza, adottando, quindi, una determinazione unisona.
Un orientamento, infatti, militando in tal senso, ha evidenziato che tale norma reca con sé una disciplina speciale che rende inapplicabile al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica il meccanismo dell’art. art. 17-bis l. 241/1990 e, dunque, il meccanismo del silenzio assenso.
Ha poi evidenziato che l’art. 145 del d. lgs. 42 del 2004 contempla una disciplina che si inscrive in una logica differente rispetto a quella sottesa all’art. 17-bis l. 241/1990: infatti, mentre in tale ultima evenienza il legislatore ha inteso disciplinare quella che è la decisione pluristrutturata, assolvendo, il parere, a strumento atto a consentire l’esercizio di una funzione decisoria, l’acquisizione dell’opinione della sopraintendenza di cui all’art. 145, invece, si inscriverebbe in una fase istruttoria del procedimento amministrativo.
Tale parere, si osservava, in quanto espressivo di una valutazione tecnica, invero accederebbe ad una fase istruttoria, non decisoria e, pertanto, risultava avulso dal campo di applicazione dell’art. 17-bis l. 241/1990.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 maggio 2022, n. 4098, ha, però, avuto modo di evidenziare che la natura del parere della Sopraintendenza non è meramente consultivo, ma ha carattere vincolante e tale da non riservare margine di scostamento: il parere de quo, infatti, non si inserisce in una fase istruttoria ma assolverebbe ad una funzione co-decisoria. In quanto tale, il parere può perfettamente essere sussunto nel meccanismo di cui all’art. 17-bis della l. 241/1990.
A nulla varrebbe sostenere che, essendo l’ambiente interesse primario e sensibile, sfuggirebbe al campo di applicazione dell’art. 17-bis poiché, come si è visto, la norma si applica anche per l’adozione di provvedimenti aventi ad oggetto tali materie, purché si adotti il meccanismo procedimentale del silenzio-assenso semplice e non anche quello volto a surrogare alla mancata proposta, il silenzio-assenso sulla proposta dell’amministrazione richiedente non preposta alla cura dell’interesse sensibile.
Si è, infatti, specificato che il parere della Sopraintendenza, nel caso di specie, si inserisce in un meccanismo decisorio a doppia chiave dove il parere della Sopraintendenza incontra la determinazione dell’Amministrazione procedente: ove la prima rimanga inerte, l’Amministrazione, in ragione dell’assenso così espresso, sarà tenuta a rilasciare l’autorizzazione.
3.1. I rapporti tra l’istituto di semplificazione decisoria ex art. 17-bis l. 241/1990 e la conferenza di servizi decisoria
Sempre in ordine ai rapporti orizzontali, il meccanismo del silenzio-assenso è altresì previsto in materia di conferenza di servizi decisoria, ove la determinazione da adottare è co-decisionale.
Anche in tale materia è esteso il principio dell’inefficacia dell’atto tardivo e, dunque, l’impossibilità, per l’Amministrazione destinataria della richiesta di parere, assenso o nulla osta, di rendere un dissenso postumo.
La logica della consumazione del potere che connota anche tale tipologia di co-decisione conosce, però, qui, una parziale differenza: l’amministrazione che, non avendo partecipato, ovvero che, pur avendo partecipato, ha dato un dissenso non motivato, ed è, dunque, rimasta inerte, non potrà annullare o revocare l’assenso reso tramite silenzio, analogamente a quanto previsto per le decisioni adottate ex art. 17-bis l. 241/1990.
Tuttavia, e diversamente da quanto accade in tale ultima ipotesi, il potere di sollecitare l’autotutela, che nei casi ex art. 17-bis riguarda tanto la revoca quanto l’annullamento d’ufficio, in caso di conferenza di servizi decisoria tale potere si ritrova circoscritto al solo sollecito dell’annullamento d’ufficio della decisione pluristrutturata.
Tale diversità di trattamento è stata, da taluni, ritenuta superflua in ragione della tendenziale omogeneità del risultato raggiungibile con ambedue gli istituti (rectius, la conversione del silenzio in assenso), tanto da postularsi l’applicazione analogica del potere di sollecitare l’autotutela integrale, di cui all’art. 17-bis, anche alla conferenza di servizi decisoria.
Tale opzione ermeneutica, tuttavia, è da escludere: ed infatti, a scapito di quanto ritenuto dall’orientamento di cui sopra, le decisioni assunte all’esito delle conferenze di servizi hanno una struttura e una natura talmente diverse da doversi ritenere che, secondo il brocardo latino ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit, il legislatore ha inteso, con la diversità previsione, operare una precisa scelta.
Ciò viene confortato prevalentemente in ragione della profonda differenza qualitativa sussistente tra le decisioni assunte mediante il procedimento ex art. 17- bis l. 241/1990 e quelle adottate all’esito di conferenza di servizi decisoria.
L’istituto di cui all’art. 17-bis, in particolare, ed a prescindere dal fatto che la decisione pluristrutturata coinvolga solo due o più amministrazioni, a rigore non consente di superare il dissenso espresso da una delle amministrazioni con funzioni co-decisorie: le co-decisioni ex art. 17-bis, infatti, sono possono essere adottate superando, al più, l’inerzia di un’amministrazione, ma non il suo dissenso.
Diversamente, in sede di conferenza di servizi decisoria è, invece, possibile superare il dissenso espresso, adottando, dunque, una decisione finale sulla base – non dell’unanimità ma – dei consensi prevalenti.
La diversità dei due strumenti co-decisionali induce pertanto a ritenere che il legislatore abbia voluto trattarli adeguatamente alle loro peculiarità, consegnando loro diversi poteri di sollecito.
Per le stesse ragioni, infatti, non sarebbe parimenti accoglibile l’orientamento che vorrebbe estendere il potere di sollecito parziale, previsto in sede di conferenza decisoria, alle decisioni adottate con il modulo decisorio semplificato ex art. 17-bis l. 241/1990.
4. Rapporti tra silenzio provvedimentale e preavviso di rigetto
Al tema del silenzio, poi, è correlato l’istituto del preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis l- 241/1990 che prevede che, nei procedimenti ad istanza di parte, il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, è tenuta a comunicare tempestivamente all’istante i motivi che ostano all’accoglimento della domanda.
L’eventuale rigetto, preannunciato dall’amministrazione con l’istituto in commento, tuttavia, viene dedotto non in un provvedimento, bensì in una comunicazione. Essendo, dunque, il preavviso di rigetto nient’altro che una comunicazione, essa è priva di valore provvedimentale e, diversamente dal silenzio significativo, non è autonomamente impugnabile.
Di tal ché, il privato potrà far valere il proprio interesse legittimo all’accoglimento dell’istanza solo nel momento in cui verrà adottato il formale provvedimento di rigetto.
Ferma la diversità ontologica dei due istituti, ci si è tuttavia posto il problema dell’eventuale applicabilità della disciplina del silenzio significativo ove, a seguito dell’invio della formale comunicazione di preavviso di rigetto, l’amministrazione procedente ometta di emanare il provvedimento e, dunque, se sia possibile, in tal caso, interpretare tale inerzia come rigetto ovvero come assenso.
Secondo un’impostazione tradizionale, atteso il potere dell’istante di presentare controdeduzioni scritte alla comunicazione di preavviso di rigetto entro i dieci giorni dal suo ricevimento, ove tale potere non venisse esercitato, il termine del procedimento riprenderebbe nuovamente a decorrere ed al suo spirare si formerebbe un provvedimento tacito di rigetto dell’istanza e, dunque, il silenzio rigetto.
Qualora, invece, il privato abbia formulato le controdeduzioni e qualora le stesse non dovessero essere accolte, l’amministrazione sarà tenuta all’adozione di un espresso provvedimento di rigetto, atteso che, a quel punto, i motivi ostativi all’istanza, a pena di illegittimità del provvedimento finale, devono essere esposti nello stesso.
Di tal ché, l’eventuale comportamento inerte tenuto dall’amministrazione a seguito delle specifiche controdeduzioni del privato, in applicazione dell’articolo 10-bis, potrà essere impugnato tramite ricorso avverso silenzio ex art. 117 c.p.a. per violazione dell’obbligo di provvedere ex art. 2 l. 241/1990.
Quanto, invece, alla possibilità di convertire il silenzio dell’amministrazione, a seguito di emissione di preavviso di rigetto, in accoglimento dell’istanza, un orientamento avverso[2] ne evidenzia l’impraticabilità in ragione del fatto che l’art. 10-bis l. 241/1990 circoscrive, senza lasciare ombra di dubbio, il suo campo d’applicazione ai soli casi nei quali l’amministrazione decida di adottare un provvedimento formale di carattere negativo.
Del resto, si osserva che tale conclusione si rivelerebbe anche scevra da profili di contraddittorietà potendo, al contrario, risultare “non logica la formazione di un provvedimento tacito di assenso quando la stessa amministrazione, sia pure in modo ancora non definitivo, abbia chiaramente indicato, nel preavviso di diniego, le ragioni che ostano all’accoglimento dell’istanza[3]”.
È tuttavia evidente che, aderendo a tale impostazione, come si ritiene, discenderebbe, allora, la considerazione conseguente che dall’attivazione del sistema ex art. 10-bis e, dunque, dall’adozione della comunicazione formale di preavviso di rigetto dovrebbe derivarne, sempre e comunque, l’adozione di un provvedimento negativo, sia esso formale, sia esso adottabile tramite silenzio (nella sola ipotesi, per quanto si è detto, di mancata presentazione di controdeduzioni da parte del privato entro il termine dei dieci giorni legislativamente previsto).
[1] F. G. SCOCA, “La teoria del provvedimento dalla sua proposta alla legge sul procedimento”, in Dir. Amm., 1995, p. 1 ss.
[2] Nella specie, così si è espressa la III Sezione del Consiglio di Stato con sentenza 28 gennaio 2014, n. 418.
[3] Consiglio di Stato, op. ult. Cit.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.