Tetto del salario per lavoro flessibile negli EE.LL.: ricostruzione possibile

Tetto del salario per lavoro flessibile negli EE.LL.: ricostruzione possibile

Sommario: 1. Lavoro flessibile per la PA: eccezione alla regola – 2. Il limite (“tetto”) del salario per lavoro flessibile – 3. Ricostruzione del limite finanziario del lavoro flessibile: possibile secondo la Giurisprudenza contabile

 

La possibilità, per le Amministrazioni locali, di ricostruire – motivando – tale limite in assenza di un corrispondente valore di riferimento nell’anno 2009 o nel triennio 2007-2009.

1. Lavoro flessibile per la PA: eccezione alla regola.

In tema di fabbisogno ordinario di personale per le pubbliche amministrazioni la regola aurea è delineata dall’art. 36, c. 1, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Testo Unico in materia di Pubblico Impiego – T.U.P.I.) a mente del quale la forma ordinaria di assunzione presso i pubblici uffici è il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato secondo le procedure esplicitate dall’art. 35 del medesimo decreto.

Tuttavia, con il lungo processo di privatizzazione del pubblico impiego, il comma 2 del medesimo articolo ammette, per le pubbliche amministrazioni, il ricorso a forme di lavoro flessibile (contratti a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro, contratti di somministrazione…) solo per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale rispetto alle ordinarie modalità di contrattualizzazione del personale dipendente.

La recente stagione di implementazione delle politiche connesse al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), unita all’elevato turn-over del personale in transito verso altri comparti del pubblico impiego per via della recente e massiccia stagione di concorsi pubblici, ha determinato l’aumento, specie per gli Enti locali, del ricorso a tali forme di lavoro flessibile che, come evidenziato chiaramente nel TUPI, dovevano costituire un’eccezione alla regola, almeno nelle intenzioni del legislatore del 2001. Infatti la norma prevede oneri informativi (art. 36, c. 3, T.U.P.I.)da parte degli Enti che utilizzano tali forme di lavoro, consistenti in informative obbligatorie alle organizzazioni sindacali tramite l’Osservatorio paritetico presso l’Aran, ai nuclei di valutazione e al Dipartimento della funzione pubblica.

Gli oneri sostenuti dalle singole amministrazioni per tale forma di lavoro, c.d. flessibile, sono anche evidenziate nel Conto annuale (tabella n. 14) riguardante la consistenza del personale e le relative spese sostenute dalle Amministrazioni pubbliche, curato dalla Ragioneria generale dello Stato e alimentato dalle singole amministrazioni.

2. Il limite (“tetto”) del salario per lavoro flessibile

Successivamente al T.U.P.I., che nell’attribuire al lavoro flessibile in ambito pubblico una funzione sussidiaria non ha tuttavia esplicitato limiti contabili e finanziari all’utilizzo di tale istituto, è intervenuto il D.L. 31.05.2010, n. 78 («Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»), convertito, con modificazioni, dalla L. 30.07.2010, n. 122, che all’art. 9, c. 28, ha previsto alcuni limiti finanziari al fine di coordinamento della finanza pubblica.

Infatti, la disposizione normativa citata, esplicita come dall’anno 2011 i soggetti pubblici, tra cui a pieno titolo gli Enti locali, debbano destinare a tale tipologia di contratti al massimo il 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009. Sono esclusi da tale computo i lavori socialmente utili, i lavori di pubblica utilità e i cantieri di lavoro, nel caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione europea; nell’ipotesi di  cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota finanziata da altri soggetti.

Il legislatore del 2010 ha però contestualmente previsto due deroghe al limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009:

– Gli enti in regola con l’obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell’art. 1 della l. 27.12.2006, n. 296, possono spingersi ad una spesa complessiva per lavoro flessibile pari al 100% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009;

– Le limitazioni alla spesa non si applicano per le assunzioni a tempo determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

In chiusura di comma il legislatore fornisce un “piano B” per quegli Enti sprovvisti di un parametro di riferimento nell’anno 2009, stabilendo che il limite finanziario per il ricorso a forme di lavoro flessibile è computato con riferimento alla media sostenuta per le stesse finalità nel triennio 2007-2009.

Va osservato che l’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010 ha superato indenne il sindacato di costituzionalità. Il giudice delle leggi con due distinte pronunce (sentenze n. 18 del 2013 e n. 173 del 2012) ha dichiarato che la normativa è stata legittimamente emanata dallo Stato nell’esercizio della sua competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica». La norma impugnata pone infatti un obiettivo generale di contenimento della spesa relativa ad un vasto settore del personale, ma al contempo lascia alle singole amministrazioni la scelta circa le misure da adottare con riferimento ad ognuna delle categorie di rapporti di lavoro da esso previsti.

3. Ricostruzione del limite finanziario del lavoro flessibile: possibile secondo la giurisprudenza contabile

I limiti della norma sono emersi in luce meridiana soprattutto di recente quando il ricorso a forme di lavoro flessibile ha assunto, specie per gli Enti locali, un ruolo dirimente connesso alla necessità di garantire la continuità dell’azione amministrativa. Come fare, allora, nel qual caso l’Ente – a maggior ragione se di piccole dimensioni – non possiede valori di riferimento dell’anno 2009 o del triennio 2007-2009? Sul tema è intervenuta la Giurisprudenza contabile (ex multis Deliberazioni nn. 1/2017/QMIG e 15/2018/QMIG, ulteriormente richiamate nella recente deliberazione n. 112/2024/PAR) enunciano un importante principio di diritto per cui l’ente locale che non abbia fatto ricorso alle tipologie contrattuali di cui in parola né nel 2009, né nel triennio 2007-2009, può, con motivato provvedimento, individuare un nuovo parametro di riferimento, costituito dalla spesa strettamente necessaria per far fronte ad un servizio essenziale per l’ente.

Non solo: la ricostruzione del limite è ammessa anche quando invece vi siano valori di riferimento di spesa storica, ma siano talmente irrisori da rendere di fatto impossibile il soddisfacimento delle esigenze essenziali dell’ente. Configurandosi come limite minimo, la creazione di una “nuova” base di spesa, valida per il futuro, non incide, né fa venir meno la tassatività e specificità delle ipotesi di esclusione della disciplina vincolistica in materia di spese del personale previste dal d.l. n. 90/2014 né si pone in contrasto con la linea ermeneutica di stretta interpretazione che, a diversi fini, è stata sintetizzata dalla giurisprudenza contabile – n.112/2024/PAR- nell’adagio “ubi lex voluit dixit” (deliberazioni n. 21/2014 e n. 2/2015).

Infine, va considerato che tale scelta di ricostruzione del limite deve accompagnarsi ad un solido apparato motivazionale, rispettoso dell’art. 97 della Costituzione: come chiarito dalla citata deliberazione n. 15/2018/QMIG, «Resta l’obbligo dell’Ente di fornire una adeguata motivazione in ordine alla effettiva necessità di garantire servizi essenziali e alla ragionevolezza delle scelte assunzionali da adottare, in termini di economicità ed efficacia».


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Mattia Robasto

Segretario comunale
Segretario comunale. Master in Direzione e Management degli Enti Locali.

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