Contratto preliminare di preliminare e risarcimento del danno per inadempimento

Contratto preliminare di preliminare e risarcimento del danno per inadempimento

Sommario: 1. Definizione e diffusione del contratto preliminare di preliminare – 2. La validità del preliminare di preliminare e la posizione della Cassazione: sentenza n. 8038/2009 – 3. La sentenza delle SS. UU. n. 4628/2015 – 4. Il preliminare di preliminare “incompleto”: il risarcimento del danno a seguito di inadempimento

 

1. Definizione e diffusione del contratto preliminare di preliminare

Il contratto preliminare di preliminare è un particolare genere di contratto preliminare detto anche di secondo grado, diffuso in particolar modo nella compravendita immobiliare. Come il nome suggerisce, non vincola – come il contratto preliminare “semplice” – le parti al perfezionamento del contratto definitivo, bensì le obbliga ad una complessa trattativa, finalizzata alla stesura di un ulteriore contratto preliminare, il quale – a sua volta – sarà prodromico ad un contratto definitivo.

Generalmente il preliminare di preliminare viene in rilievo come forma di negozio giuridico allorché le parti decidano di acquistare un immobile nella cui compravendita sia coinvolto un agente immobiliare (meglio definito come mediatore). Quest’ultimo, infatti, mette a disposizione delle parti che intendono procedere alla compravendita un modulo contenente una proposta irrevocabile, sottoscritta dal promittente acquirente e poi dal promittente venditore, in cui gli stessi si impegnano a stipulare un secondo contratto preliminare, che contiene, a sua volta, l’impegno a concludere il contratto di vendita dell’immobile.

Il modulo che il mediatore mette a disposizione delle parti per questa prima fase dell’incontro delle loro volontà non è univoco: vi è un formulario generale, elaborato dalla Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali (FIAP) ma il mediatore non è vincolato ad utilizzarlo, essendo possibile che egli ne stipuli uno per ciascuna mediazione da eseguire, in base alle necessità delle parti.

All’uopo si precisa che la discrezionalità nella predisposizione di tali moduli è così ampia che in alcuni casi si è previsto che la trasformazione del deposito cauzionale in caparra confirmatoria avvenga già al momento dell’accettazione della proposta e non all’atto di stipulazione del preliminare, mentre un modulo, denominato “Promessa d’acquisto con prosieguo di promessa di compravendita”, conferisce all’accettazione della proposta il potere di trasformare tale scrittura in un vero e proprio contratto preliminare, senza che sia necessario stipularne uno successivo.

In merito alla figura del contratto preliminare di preliminare si è parlato di varie tipologie di contratto: vi è chi lo ha definito un preliminare “aperto” laddove è stata operata la distinzione con il preliminare “chiuso”. Nel primo caso, infatti, vi sarebbe un’attesa di negoziazione successiva, e dunque una preparazione ad un contratto che sarà più avanti stipulato nei dettagli. Di conseguenza, l’inadempimento di tale contratto causerebbe soltanto il risarcimento del danno. Per contro, il preliminare “chiuso” è quello in cui i particolari sono già definiti ed è stato pattuito un pagamento.

2. La validità del preliminare di preliminare e la posizione della Cassazione: sentenza n. 8038/2009

Riguardo alla validità del preliminare, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, si è assistito ad un lungo e vivace dibattito, che non si è certi si possa dire sopito e che ha condotto all’odierna generale accettazione del preliminare “di secondo grado” come pienamente valido ed efficace ai fini cui è preposto.

L’annosa questione del preliminare de quo è stata oggetto di numerosi interventi delle Sezioni Unite della Cassazione dai cui provvedimenti scaturisce l’assunto secondo il quale l’accordo pre-prenegoziale rappresenta già, di per sé, un contatto preliminare valido dal punto di vista degli effetti giuridici confermando così anche l’orientamento del 2015 che prevedeva la non mera duplicazione dei due atti preparatori bensì la scissione e diversificazione degli stessi.

Una delle pronunce più significative della Suprema Corte in tema di contratto preliminare di preliminare è la n. 8038/2009 (Cass., II Sez. civ., 2 aprile 2009, n. 8038), con cui il Giudice delle Leggi è stato investito della questione ed ha fornito una prima risposta ai dubbi interpretativi che si susseguivano da tempo in dottrina ed in giurisprudenza.

Nel caso di specie, la Corte veniva chiamata a conoscere un caso in cui, come di frequente avviene nella contrattazione immobiliare, era stato pattuito un prezzo con relativo obbligo dell’acquirente di versamento di una caparra, con rinvio ad un ulteriore preliminare che sarebbe stato stipulato entro trenta giorni, onde stabilire le modalità del pagamento del corrispettivo. Senonché l’acquirente, in sede di preliminare, aveva deciso di non adempiere a quanto stabilito nel preliminare precedente, nonostante avesse ricevuto notizia dell’avvenuta accettazione della proposta da parte del venditore.

L’acquirente inadempiente veniva così chiamato in giudizio sia dal venditore che dal mediatore, dal primo per ottenere la risoluzione del contratto nonché il pagamento della somma convenuta a titolo di caparra, dal secondo per ottenere il saldo delle provvigioni e delle spese.

In primo grado il giudice, in una posizione piuttosto prudente, accoglieva la domanda del venditore, rendendo ragione a quest’ultimo delle sue pretese, ma respingeva la domanda dell’intermediario, sostanzialmente in forza dei dubbi, di cui si è parlato poc’anzi, riguardo alla stessa esistenza di un diritto alla provvigione da parte del mediatore nel caso del preliminare di preliminare.

In sede di appello la decisione veniva però rivista completamente: la Corte riteneva meritevoli le ragioni della parte acquirente inadempiente, sulla base del rilievo per cui dal negozio giuridico in discorso, il contratto preliminare di preliminare, non scaturirebbe alcuna obbligazione. Adita la Suprema Corte, essa cassava con rinvio la sentenza di secondo grado, rilevando che la Corte non solo si fosse astenuta dall’esame dell’intero contenuto della scrittura, interpretandola secondo i criteri legali di ermeneutica negoziale ed attribuendole la qualificazione giuridica che le competeva, ma non aveva neppure correttamente e logicamente motivato le ragioni a sostegno della sua declaratoria di improduttività degli effetti giuridici.

Il giudice di secondo grado, nella sentenza di rinvio (Corte d’Appello di Milano, sent. 14 marzo 2003, n. 861), affermava che la fattispecie in esame doveva certamente essere inquadrata in quelle figure di preliminare “di secondo grado” strutturalmente nulle per difetto di causa; inoltre, si rilevava che non si trattasse di un accordo vincolante ma di semplice “puntazione” improduttiva di effetti vincolanti; ed infine, che la clausola che imponeva il pagamento di una caparra non doveva essere considerata clausola penale, generalmente incompatibile con la fase precontrattuale, essendo in ogni caso evidente che le parti avessero dato alla clausola in questione una natura reale: pertanto, non potesse considerarsi perfezionata in mancanza della dazione di denaro. In conclusione, nulla competeva al mediatore, non essendo stato l’affare concluso.

La Cassazione, nuovamente adita, esaminava con la pronuncia in esame la sentenza di rinvio della Corte d’Appello e, censurati tutti gli altri motivi di doglianza dei ricorrenti, passava dunque all’analisi della tematica del preliminare di preliminare, per sua ammissione non ancora affrontato dalla giurisprudenza di legittimità.

L’argomentazione della Corte prendeva le mosse dalla considerazione che l’art. 2392 c.c. instaurerebbe un collegamento diretto e necessario tra il contratto preliminare ed il definitivo, destinato a realizzare il risultato finale che le parti perseguono. In tal senso, riconoscere come “diretto” o come “necessario” anche l’impegno di obbligarsi ad obbligarsi darebbe luogo ad una

«inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico»,

poiché l’impegno può essere assunto immediatamente se esiste un interesse delle parti, non avendo senso pratico

«il promettere ora di promettere in seguito qualcosa, anziché prometterlo subito».

Dunque, la Corte di legittimità si è orientata nel senso di ritenere, come la giurisprudenza di merito aveva già osservato, immeritevole di tutela la forzatura per cui un soggetto si obblighi ad obbligarsi in seguito per il medesimo negozio giuridico, ravvisando l’assenza di una causa concreta in tale comportamento.

3. La sentenza delle SS. UU. n. 4628/2015

Nel tentativo di ricerca di chiarezza rispetto all’uso del preliminare di preliminare, la Suprema Corte è intervenuta con un’altra pronuncia, a qualche anno di distanza dalla prima, la n. 4628/2015 (Cass., Sez. Un. civ., 6 marzo 2015, n. 4628).

Nella pronuncia in esame, la Corte veniva investita della questione riguardante due coniugi, intenzionati all’acquisto di una porzione di immobile, che avevano stipulato un accordo preparatorio, denominato “dichiarazione preliminare d’obbligo” con i comproprietari dell’immobile medesimo. Con tale accordo le parti avevano riconosciuto e convenuto: – che tra esse fosse in corso la trattativa per la compravendita dell’immobile; – che sul fabbricato fosse iscritta ipoteca a favore di un istituto di credito;- il loro impegno a stipulare un suc cessivo preliminare di compravendita, con oggetto la parte dell’immobile che si intendeva trasferire qualora l’istituto di credito liberasse l’immobile da ipoteca entro un determinato termine; – che a seguito della liberazione dall’ipoteca sarebbe stato concluso il contratto definitivo di compravendita, fissando sin d’ora le modalità di pagamento del prezzo.

Sebbene l’istituto di credito avesse proceduto a liberare l’immobile dall’iscrizione ipotecaria entro il termine concordato, i coniugi aspiranti compratori avevano però ritrattato la loro intenzione alla compravendita, rifiutando di conseguenza di stipulare il preliminare di vendita. I promittenti alienanti, pertanto, procedevano ad agire in giudizio chiedendo l’emanazione di una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2392 c.c., produttiva degli effetti del contratto non concluso a causa del rifiuto dei promittenti acquirenti. Questi ultimi, convenuti in giudizio, descrivendo la natura della “dichiarazione preliminare d’obbligo” come semplice puntuazione non vincolante.

In primo ed in secondo grado di merito, nonostante il riconoscimento della validità del contratto come contratto perfetto e non come mera puntuazione, i ricorrenti soccombevano, seguendo, le Corti, gli orientamenti della giurisprudenza prevalente in tema di invalidità del contratto pre-preliminare per difetto originario di causa. La natura del contratto stipulato dalle parti come “obbligo ad obbligarsi” rendeva tale accordo, in base all’insegnamento della Suprema Corte, improduttivo di effetti.

In particolare la Corte d’Appello di Napoli, con sent. 1696/2007, rilevava che il preliminare di preliminare sarebbe stato giuridicamente apprezzabile solo se fosse stato idoneo a produrre effetti diversi da quelli del contratto preparatorio, condizione che non si ravvisava nel caso di specie.

Ad ogni buon conto, le Sezioni Unite concludono in ordine a questo importante tema: «In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex art. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.
La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale».

In sostanza la novità prodotta dalla Corte risiederebbe soltanto nel riconoscimento di una conformità all’ordinamento di tale tipo di contratto, che lo rende idoneo a produrre un’obbligazione, superando in tal modo lo stigma di “atto inutile”, ma pronuncia appare comunque molto – forse anche troppo – prudente rispetto al nodo da sciogliere.

4. Il preliminare di preliminare “incompleto”: il risarcimento del danno a seguito di inadempimento

Giova premettere che l’inadempimento di cui si parla è quello colpevole, e non sorge, invece, dall’esito negativo delle verifiche che rappresentano condizione della stipulazione del preliminare.

Quale rimedio, dunque, per il preliminare inadempiuto? È necessario ricondursi alla lettura della sent. 4628/2015 della Cassazione, la quale, nelle ultimissime righe della motivazione, ha elaborato il principio di diritto in base al quale si deve ritenere produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare, con il quale i contraenti si siano impegnati alla stipula di un secondo preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità di un interesse da parte dei contraenti ad una formazione progressiva del contratto, basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali.

La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà, secondo la Corte, dar luogo a responsabilità per mancata conclusione del contratto stipulando; la responsabilità in discorso dovrà configurarsi come responsabilità contrattuale, per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale.

La Corte, con questa operazione, ha contrattualizzato l’obbligo di cui all’art. 1337 c.c., facendo rilevare i principi di buona fede e correttezza nelle trattative non più come clausole generali ma come obblighi derivanti da contratto, in un’operazione densa di conseguenze in tema di onere probatorio, prescrizione e danno risarcibile. In questo senso, assume rilevanza anche l’interesse positivo della parte adempiente, e non soltanto quello negativo: pertanto è possibile domandare l’esecuzione del contratto.


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Elena Napolitano

Ho conseguito la Laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Camerino, nel Giugno 2021. Svolgo, tutt'oggi, la pratica forense presso lo studio legale (specializzato in molteplici rami del diritto civile) nel quale, per tre anni, ho collaborato in qualità di stagista. Dal Luglio 2021 sono iscritta all'Albo dei Praticanti Avvocati di Nola.

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