Donazione indiretta di quote sociali

Donazione indiretta di quote sociali

Il titolare di una società in accomandita semplice (S.a.S.), ha donato le sue quote sociali alla moglie e alla figlia A. L’amministratore di sostegno della figlia B ritiene che, nel caso di specie, si sia verificata anche una donazione indiretta, per il tramite delle quote donate. L’amministratore di sostegno sostiene infatti che si debbano ricomprendere nel patrimonio del de cuius, quantomeno per effetto dell’originario titolo pacificamente donativo, la corrispondente quota dell’immobile acquistato con gli utili della società e gli utili distribuiti (anche anteriori, ove esistenti).

Gli aspetti da prendere in esame sono sostanzialmente tre: i requisiti a che si configuri la fattispecie della donazione indiretta; le conseguenze nel caso si tratti di donazione indiretta; l’onere della prova.

Al fine di meglio individuare l’istituto della donazione indiretta, è opportuno richiamare l’art. 809 c.c. che così dispone “Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari. Questa disposizione non si applica alle liberalità previste dal secondo comma dell’art. 770 c.c. (donazione rimuneratoria e a quelle che a norma dell’art. 742 non sono soggette a collazione”.

Alla scarna normativa codicistica soccorre la giurisprudenza della Suprema Corte. È orientamento consolidato e costante (ex multis, Cass. Civ. nn. 18725/2017 e 21449/2015) che per la validità delle donazioni indirette, invece, non è richiesta la forma dell’atto pubblico, essendo sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità, dato che l’art. 809 cod. civ., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 c.c., non richiama l’art. 782 c.c., che prescrive l’atto pubblico per la donazione.

Chiariti brevemente i requisiti per il realizzarsi della liberalità indiretta, con il presente parere si esaminano unitamente i punti 2 e 3 sopra indicati, posto che essi sono intrinsecamente collegati.

L’amministratore di sostegno, per una semplice svista o astutamente, fa discendere dalla donazione delle quote sociali, l’automatica ed ulteriore liberalità indiretta relativa agli utili, con i quali, poi, madre e figlia avrebbero acquistato l’immobile con gli utili della società: utili e immobile che l’Amministratore di sostegno vorrebbe imputare a collazione. A contrario, invece lo stesso articolo dottrinale citato non presenta alcuna fattispecie analoga o quanto meno assimilabile al caso di che trattasi.

Si tenga inoltre in considerazione che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere della prova è in capo a chi vuol far valere un diritto in giudizio oppure a chi eccepisce l’inefficacia di fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

Il ragionamento teleologico sui cui fonda la propria posizione l’amministratore di sostegno è smentito dalla stessa dottrina dallo stesso citata.  Si rinviene, infatti, che “la sequenza emblematica proposta con riferimento al caso dell’assegnazione non proporzionale potrebbe essere riprodotta per tutti i tipi di operazione selezionati per l’astratta idoneità a produrre un vantaggio patrimoniale liberale a favore di un socio”.

Inoltre, viene enunciato che “perché si abbia una liberalità è necessario che l’arricchimento del beneficiario e l’impoverimento del disponente siano giustificati da un interesse non patrimoniale del disponente medesimo”. La questione logico-giuridica che tale tesi pone, porta a due ulteriori riflessioni: se vi sia stata una donazione indiretta degli utili prima della donazione delle quote è circostanza tutta da dimostrare, se invece si considera quanto prima affermato, non si vede come gli utili conseguiti dopo la donazione delle quote possano inquadrarsi come una liberalità indiretta, dal momento che il disponente non ha avuto alcun depauperamento della propria situazione patrimoniale.

Da ultimo e ad ulteriore riprova di quanto sin qui sostenuto, così come evidenziato nelle ultime pagine, le liberalità a cui fa riferimento la dottrina analizzata avvengono in un contesto intra-societario nel quale la liberalità indiretta viene in essere grazie a conferimenti, distribuzione di utili o apporti di valore che il disponente-socio realizza in favore del beneficiario-socio.

Per concludere, dalla donazione delle quote sociali non discendono in automatico la donazione degli utili e l’asserito conseguente acquisto dell’immobile. Pertanto, gli utili societari riferibili sia al periodo antecedente sia al periodo successivo la donazione delle quote non si possono collazionare, così come non imputabile a collazione è l’immobile acquistato dalla moglie e dalla figlia A.


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