Elementi di base sulla convenzione SAR e sullo status di profugo

Elementi di base sulla convenzione SAR e sullo status di profugo

In occasione dei recenti eventi, si sono poste una serie di questioni che hanno sollevato aspre critiche e polemiche interne ed esterne. L’Italia è stata pubblicamente accusata di aver tenuto una condotta contraria ai parametri di umanità e di aver violato i Trattati internazionali, così come di essere uno dei paesi ad ospitare una media rifugiati-cittadini estremamente bassa (circa 2 ogni 1000, a fronte di Stati quali la Germania che ne presenta circa 9 ogni 1000). In questo articolo non mi propongo di dare risposte, ma di esporre brevemente i principi di base che sono coinvolti in una problematica tanto delicata quanto turbolenta.

L’art. 2 Cost. italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo come individuo e quale membro di formazioni sociali; si tratta di una norma fondamentale che riguarda non solo il cittadino, ma qualunque persona presente sul suolo italiano. Essa costituisce un punto di riferimento imprescindibile nella tutela di diritti quali la vita, la libertà e la dignità, valori che purtroppo sono negati in moltissimi paesi. Per far fronte all’emergenza della schiavitù moderna, fenomeno per definizione negatorio di tali diritti, sono nate diverse organizzazioni non governative, che hanno per obbiettivo di porre un freno ad esempio al fenomeno del turismo sessuale, della prostituzione e della tratta di esseri umani.

Anche gli Stati hanno cercato di disciplinare internamente ed a livello internazionale la questione, stipulando Convenzioni ad hoc; in particolare, per quanto riguarda il fenomeno migratorio per via mare – che negli ultimi anni è considerato alla base dell’alto rischio connesso alla tratta di esseri umani – la Convenzione SAR (Search and Rescue), firmata nel lontano 1979  ad Amburgo,  regola il soccorso in mare.

L’annesso alla Convenzione SAR 1979, come emendata dalle Res. MSC 70(69) e Res. MSC 155(78), prevede una serie di definizioni; per quanto qui ci interessa, nel capitolo 1 troviamo in primo luogo il concetto di  “salvataggio” (Operazione destinata a ripescare le persone in pericolo ed a prodigare loro le prime cure mediche o altre di cui potrebbero aver bisogno ed a trasportarle in un luogo sicuro.), quindi quello di  “fase di allarme” (Situazione nella quale si può temere per la sicurezza di una persona, di una nave o di un altro congegno) e difase di pericolo” (situazione nella quale vi è luogo di pensare che una persona, una nave o altro congegno sono minacciati da un pericolo grave ed imminente e che hanno bisogno di soccorso immediato).

Il capitolo 2 prevede che gli Stati creino dei centri di coordinamento attivi 24 ore su 24 per ricevere gli allarmi di pericolo provenienti dalla loro area di ricerca e  di salvataggio; il capitolo 3 individua poi la finalità ultima della Convenzione in un’ottica di reciproca collaborazione. In caso di pericolo, l’unità di ricerca e di salvataggio prende immediatamente dei provvedimenti se è in grado di fornire assistenza ed in tutti i casi informa senza indugio il centro di coordinamento di salvataggio o il centro secondario della zona dove si è verificato il caso di pericolo. La SAR postula a tal fine delle aree di competenza per ogni Stato aderente; nel caso in cui il pericolo si presenti in un’area di confine, entrambi gli Stati coinvolti dovranno adoperarsi e  coordinarsi per il soccorso.

Tra gli Stati che hanno aderito alla Convenzione vi sono: l’Italia la cui area copre  un quinto del Mediterraneo; Malta con una zona SAR che si estende per circa 250.000 Km2, sovrapponendosi in parte a quella italica; la Libia che purtroppo ad oggi non dispone di adeguati mezzi di coordinamento soccorsi.

Il flusso migratorio nell’ultimo decennio ha acquisito una portata di tali dimensioni da non potersi più considerare una questione relativa ai confini nazionali; urge un intervento che disciplini in modo adeguato i confini esterni dell’U.E., che non releghi ogni incombenza sulle spalle di pochi Stati in virtù della sola posizione geografica. Ad oggi risulta che Malta, ad esempio, abbia respinto un numero elevato di sbarchi, assumendo una condotta di indifferenza rispetto alle richieste di intervento, così come è notizia ben nota che la Francia abbia adottato politiche di difesa armata ai confini, venendo meno agli impegni comunitari assunti di recente sull’accoglienza. Queste sono le realtà che emergono dalla lettura dei quotidiani.

Tornando ad occuparci di diritto, prima ho fatto riferimento alla dignità umana come diritto inviolabile; vi sono pratiche che violano palesemente questo ed altri principi superiori, basti pensare al caporalato, oggetto di recenti interventi normativi anche nel nostro ordinamento, alla tratta di essere umani e alla riduzione in servitù, tutte pratiche in qualche modo connesse al fenomeno migratorio incontrollato. La criminalità organizzata è la sola a trarre vantaggio dalla debolezza europea; ogni qual volta un paese non riesce a controllare i flussi migratori e mantenere l’ordine, essa acquista potere. E’ doveroso soccorrere chi è in stato di pericolo in mare? Assolutamente sì! E’ giusto cooperare attivamente a livello sovranazionale? Ancora sì! E’ corretto lasciare a sé stesse persone che non si è più in grado di accogliere, non garantendo loro un trattamento dignitoso? Quale peso ha la parità nei rapporti interstatali?  Esiste un mercato illegale che purtroppo rischia di conoscere il suo momento d’oro grazie all’arrivo di ignari innocenti, ma quale dignità può esserci nell’essere sbattuto come un oggetto su un barcone, soccorso, per poi essere condannato ad una vita che corrisponde alla morte dell’anima?

Tale considerazione ci conduce ad affrontare la questione successiva: cosa accade ai migranti che approdano sulle nostre coste?

Come anticipavo nell’introduzione, circolano in rete statistiche ufficiali che indicano il numero di “rifugiati” per numero di abitanti, occorre quindi fare chiarezza. Nel linguaggio comune usiamo spesso termini quali profugo, rifugiato, immigrato e clandestino quasi come sinonimi, tuttavia non sono la stessa cosa.

Il concetto di immigrato ha portata generale ed include sia lo status di “rifugiato” che quello di “migrante irregolare”; esso indica chiunque si è trasferito in un altro paese o si è stabilito anche temporaneamente su un territorio diverso da quello di origine.

La condizione di rifugiato è definita all’art. 1 della Convenzione di Ginevra, dove  si fa riferimento a “la persona che temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. La qualità di rifugiato presuppone quindi che la persona sia in grado di dimostrare che sta fuggendo da una guerra o da atti persecutori perpetrati nel proprio paese di origine e, in tal caso, gli sarà riconosciuto il diritto d’asilo; la sua situazione acquisterà quindi regolarità. In virtù del Regolamento di Dublino (la cui attuazione è stata sospesa da diversi paesi europei), la richiesta va proposta allo Stato in cui il profugo ha fatto ingresso nell’Unione Europea; trattasi di procedura naturalmente lunga ed impugnabile in caso di esito negativo.  Qual è dunque la condizione di chi si è visto rigettare giustificatamente  la richiesta di asilo? Costui diventa un migrante irregolare, per cui soggiorna  nel territorio dello Stato senza averne titolo.

Senza prendere posizione sull’interpretazione delle statistiche circolanti in rete, che vedrebbero l’Italia agli ultimi posti per accoglienza, propongo i risultati acquisiti sul sito del Governo da cui emerge chiaramente come dall’inizio del 2018 il numero stimato di “migranti sbarcati” sia pari a 15.445, a fronte di 65.247 nel 2017 e 55.079 nel 2016. Al lettore l’arduo compito di misurare l’umanità dimostrata dal nostro paese, lasciandolo libero di tirare le somme con un minimo di nozioni dotate di giuridico fondamento e ricordando comunque che l’obbiettività non dovrebbe mai portare a rinnegare le proprie origini e il proprio orgoglio nazionale, dopotutto di questo si tratta … aiutare il prossimo a preservare quello che è il suo bagaglio umano con valori e origini.


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