I nuovi diritti di coppia: normativa italiana ed europea

I nuovi diritti di coppia: normativa italiana ed europea

CEDU art. 8: vita privata; vita familiare (Schalf Kopf c. Austria, Godwin c. UK) – Costituzione artt. 2 e 29 – Sentenza 138/2010 Corte Costituzionale – Orientamento della Cassazione – Sentenza Oliari c. Italia – Legge 76/2016: Unioni civili; convivenza di fatto

Con l’entrata in vigore nel 2009 del Trattato di Lisbona, si è assistito alla “comunitarizzazione” della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che è entrata a far parte del Diritto dell’Unione Europea acquistando quel primato di diritto interno incompatibile in virtù del quale, come confermato in seguito dalla Corte Costituzionale e come già da questa affermato in pronunce degli anni 80, il giudice comune deve assicurare l’applicazione delle norme comunitarie e, senza necessità di alcun intervento della Corte Costituzionale, disapplicare le disposizioni interne confliggenti.

L’art. 8 CEDU è finalizzato a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri in materia di rispetto della vita privata e della vita familiare, agli Stati viene lasciato un margine di discrezionalità, mitigato dall’obbligo di adottare misure atte a garantirne l’effettivo rispetto.

La nozione di vita privata, elaborata dalla Corte di Strasburgo, è una nozione ampia, non soggetta a un’esaustiva definizione, che comprende l’integrità fisica e morale dell’individuo e quindi gli innumerevoli aspetti caratterizzanti la personalità di un soggetto: in sostanza ciascuno può formare liberamente la propria identità, che involge diversi aspetti e si compone di molteplici elementi.

Nel concetto di vita privata viene fatto rientrare il diritto al nome, all’immagine, alla privacy, il tutto operando un bilanciamento con la libertà di stampa e di espressione di cui all’art. 10 della Convenzione; ancora, si fa rientrare nell’ambito della vita privata l’accertamento dei rapporti di filiazione, inteso come legame con il padre biologico ma anche legame tra minori nati all’estero tramite maternità surrogata e genitori c.d. intenzionali. La Corte EDU ha poi elaborato una nozione piuttosto ampia di vita familiare in relazione ai diversi modelli di famiglia che vanno via via nascendo con l’evolversi della società, includendovi la filiazione naturale, quella adottiva, quella susseguente a una procedura di fecondazione assistita, compresi i legami familiari di fatto. Per le coppie omosessuali innumerevoli e dure sono state le lotte affinchè gli venisse riconosciuto il diritto a che fosse rispettata la loro vita non solo privata ma familiare.

Punto di svolta è stata la redazione della sentenza Schalf Kopf c. Austria del 2010: i ricorrenti chiedevano il riconoscimento del diritto di sposarsi e fondare una famiglia in base all’art. 12 CEDU. La Corte rigetta l’idea che il riferimento testuale a “uomini e donne” possa essere superato con un’interpretazione estensiva ed evolutiva, tuttavia afferma con forza che la nozione di vita familiare di cui all’art. 8 CEDU debba estendersi anche alle coppie omosessuali considerando artificiosa l’esclusione del menage tra persone dello stesso sesso rispetto alle relazione eterosessuali in quanto in entrambi i casi si è di fronte a due conviventi, uniti stabilmente, senza che rilevino gli orientamenti sessuali. In conclusione l’Austria sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 8 e 14 CEDU (divieto di discriminazione) sebbene gli articoli in questione non possano fondare l’obbligo per gli Stati di provvedere nel senso di riconoscere le coppie omosessuali: tale potere è lasciato al margine di discrezionalità dello Stato investendo una materia su cui era, in quegli anni, mancante un consenso tra i membri dell’Unione.

Già prima del 2010 la Corte di Strasburgo aveva affrontato il tema (sentenza Goodwin c. Regno Unito 2002) con riferimento al cambio di genere, riconoscendo la violazione dell’art. 8 ma anche dell’art. 12 CEDU ritenendo che non vi fosse alcuna valida giustificazione per privare i trans del diritto di sposarsi.

In Italia le questioni in materia sono risultate di più difficile composizione data l’ingerenza della cultura cattolica nel concetto di famiglia.

La Corte Costituzionale garantisce all’art. 2 le formazioni sociali in cui la personalità individuale può trovare piena esplicazione. La principale formazione sociale, come si evince anche dalla collocazione sistematica dell’art. 29, è costituita dalla famiglia che è la prima cellula della società naturale, luogo in cui l’essere umano si forma e in cui sviluppa e conserva i suoi diritti inviolabili, tra cui, in tema di famiglia, la libertà di scelta del coniuge e la loro eguaglianza morale e giuridica.

Bisognerebbe individuare il significato di famiglia e matrimonio per verificare l’applicabilità di tale articolo alle coppie omosessuali. Nel 2010 la Corte Costituzionale si è trovata ad affrontare tale problema per rimuovere gli ostacoli impeditivi ad una interpretazione estensiva, in quanto il requisito dell’eterosessualità era richiamato da dottrina e giurisprudenza quale elemento essenziale alla base del matrimonio: la Corte ha ritenuto che l’art. 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e l’art. 9 della Carta di Nizza lascino spazio al legislatore per stabilire le forme e la disciplina giuridica delle unioni escludendo quindi che la mancata estensione del modello matrimoniale alle coppie omosessuali costituisse una lesione di dignità umana ed eguaglianza.

Nel 2014 la giurisprudenza italiana ha mutato opinione a seguito della rivoluzionaria sentenza Schalf e Kopf c. Austria: la Corte di Cassazione si è trovata di fronte alla necessità di chiedere l’intervento del legislatore con riguardo alle coppie omoaffettive in quanto a queste veniva accordata necessità di tutela e di riconoscimento sebbene non fosse possibile applicare de plano la disciplina matrimoniale.

Alla legge sulle unioni civili (L 76/2016) si è arrivati però grazie all’ingerenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, nella sentenza Oliari c. Italia, ha ritenuto la protezione offerta dallo stato carente non solo nei contenuti, non consentendo di rispondere ai core needs di una coppia avente relazione stabile, ma anche dal punto di vista della realtà sociale: i soggetti infatti vivono apertamente le relazioni samesex ma la legge non concente un riconoscimento formale delle stesse sul territorio. Neanche si rinviene l’esistenza di un interesse pubblico che, nel bilanciamento, avrebbe potuto giustificare una restrizione di quello privato: lo Stato quindi, sebbene in generale goda di un ampio margine di apprezzamento, trattandosi di diritti fondamentali, godrebbe di uno spazio di discrezionalità ristretto.

Solo grazie a tale sentenza il legislatore italiano è intervenuto: la scelta operata nell’ambito della Legge del 2016 è stata nel senso di contemplare due modelli distinti che sono le unioni civili per le persone dello stesso sesso e la convivenza di fatto per tutte le coppie a prescindere dall’orientamento sessuale.

L’unione civile viene costituita tra due persone maggiorenni con dichiarazione resa davanti all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni con successiva registrazione dell’atto nell’archivio di stato civile. In materia trova spazio l’applicazione delle norme sul matrimonio con esclusione del riferimento alla comunione dei beni come regime patrimoniale legale e dell’obbligo di fedeltà ex art. 143 c.c., non solo come astensione da relazioni sessuali extraconiugali ma anche quale impegno a non tradire la fiducia reciproca e il rapporto di dedizione fisica e spirituale della coppia.

La Legge dispone che, al fine di assicurare l’effettiva tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi, le disposizioni contenute nel codice, nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, in regolamenti, atti amministrativi e contratti collettivi, riferite al matrimonio o contenenti le parole coniuge o coniugi o equivalenti, trovano applicazione anche per le unioni civili. Da tali disposizioni viene però esclusa la L. 184/1983 in tema di adozioni e affidamento di minori.

Trova spazio anche la disciplina dettata in tema di scioglimento di matrimonio ma, a differenza di questo, non è richiamata la necessità di una pregressa separazione personale: è prevista invece la possibilità di addivenire allo scioglimento in conseguenza della volontà in tal senso manifestata, anche disgiuntamente, davanti all’ufficiale di stato civile con la specificazione che la domanda di scioglimento potrà essere presentata solo dopo tre mesi dalla data in cui si è manifestata la volontà. Particolare importanza è stata poi data alle procedure di modificazione di genere: queste comportano lo scioglimento dell’unione, come previsto dalla L 898/1970 per il matrimonio, con la differenza che in quest’ultimo caso, se i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegne in automatico l’instaurazione dell’unione civile.

Il secondo modello disciplinato è quello della convivenza di fatto che sembra relegata su un piano meramente fattuale: conviventi di fatto sono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio e unione civile. Ciascun convivente può designare l’altro come rappresentante con pieni poteri in caso di incapacità di intendere e di volere e in caso di morte, per la donazione di organi e il trattamento della salma, purché tale rappresentanza sia contenuta in un documento scritto con firma autografa o redatto alla presenza di un testimone. Il convivente poi, al pari del coniuge e del partner civilmente unito, può partecipare all’impresa familiare ai sensi dell’art. 230 bis c.c.

Ciò che dà efficacia alla convivenza di fatto è il contratto di convivenza mediante cui i soggetti possono disciplinare i rapporti patrimoniali. Pur essendo definito contratto o patto e nonostante l’espresso richiamo ai profili patrimoniali, il legislatore indica, come primo oggetto di pattuizione, la scelta di residenza, sottolineando come in realtà si tratti di un accordo attinente al profilo personale e pienamente rientrante nell’art. 8 CEDU e nella nozione di vita privata.

A differenza delle unioni civili, la convivenza di fatto è suggellata con atto pubblico o scrittura privata autenticata e non è previsto lo scioglimento con parziale applicazione della L. 898/1970, ma la risoluzione per accordo delle parti o per recesso unilaterale; qualora si sia previsto il regime patrimoniale della comunione, la risoluzione ne determina lo scioglimento.

In caso di cessazione della convivenza il giudice poi stabilisce il diritto del convivente in stato di bisogno di ricevere dall’altro gli alimenti assegnati in proporzione alla durata della convivenza mentre per le unioni civili c’è piena applicazione delle norme previste per il vincolo matrimoniale.

In conclusione è opportuno aggiungere che la convivenza di fatto non comporta l’ingresso nell’asse ereditario salvo il diritto di continuare ad abitare nella casa familiare per due anni o per un periodo pari alla convivenza, ma in qualsiasi caso non oltre i cinque anni.

Alla luce di tale fondante riforma, l’eterosessualità non appare più elemento imprescindibile per realizzare le finalità e gli interessi tradizionalmente posti a fondamento del matrimonio, delineando quindi un diritto di famiglia irrequieto e in costante evoluzione.


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