Il diritto all’oblio europeo e i limiti al suo esercizio

Il diritto all’oblio europeo e i limiti al suo esercizio

Grazie al riconoscimento in ambito europeo del diritto all’oblio ogni persona ha il diritto di rettificare i dati personali che la riguardano e può cancellare i dati personali se la conservazione degli stessi non è conforme al Regolamento Privacy europeo del 2016.

Il diritto all’oblio, inizialmente riconosciuto a livello giurisprudenziale europeo, con l’entrata in vigore del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali ha ricevuto una regolamentazione espressa.

In tale testo si sancisce che ogni interessato ha diritto di ottenere la cancellazione di dati personali senza ingiustificato ritardo. Questo diritto non ha carattere assoluto, ma deve essere contemperato con altri interessi pure meritevoli di tutela, come il diritto di cronaca.

Il diritto all’oblio è il diritto alla cancellazione di precedenti pregiudizievoli; ogni persona ha il “diritto alla cancellazione e all’oblio ” di dati personali che non sono più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti.

I mezzi di informazione in rete sono una forma di rimembranza di episodi personali, a volte comportamenti sbagliati o fatti illeciti. Il problema quindi è non solo quello della rete internet, è pure quello della memoria del sito internet che a distanza di tempo conserva ancora episodi personali senza la giustificazione di interessi meritevoli di tutela, come il diritto di cronaca.

Giova ricordare che il diritto all’oblio trova le sue origini nella Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo del 1950 che, all’art. 8, sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che appartiene ai Diritti della persona in forza dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 Cedu , dell’art. 7 e 8 della Carta di Nizza.

A livello giurisprudenziale europeo la Corte di Giustizia UE e la Cedu più volte hanno tracciato linee di bilanciamento tra due diritti fondamentali, il diritto di cronaca e il diritto all’oblio. In particolare l’art. 17 del GDPR è direttamente applicabile dai giudici nazionali, invece l’articolo 85 del GDPR demanda ai giudici un margine di manovra ampio nel bilanciamento tra i due.

Non è legittimo diffondere pubblicamente dati pregiudizievoli, salvo casi ricollegabili a fatti di cronaca, in quanto ogni individuo ha diritto a non essere più ricordato per fatti personali che furono oggetto di divulgazione. L’interesse alla conoscenza di un fatto personale serve a informare la collettività, ma tale interesse scompare con il tempo, l’episodio personale cessa di essere cronaca e diventa nuovamente un fatto personale e privato. Il diritto all’oblio si colloca tra i diritti della personalità e si distingue dal diritto all’identità personale, che prevede invece l’interesse di ogni soggetto a non vedere alterato pubblicamente il patrimonio sociale, politico, religioso, professionale attraverso notizie false mediante manipolazione informativa. Grazie al diritto all’oblio si impedisce che un episodio personale venga divulgato a distanza di tempo, si protegge dunque il riserbo ritrovato.

Si pensi ai mezzi di informazione, ai motori di ricerca. In rete ciascuno di noi lascia frammenti che possono ricostruire il nostro passato, grazie agli algoritmi di Internet ogni navigatore può ricostruire i dettagli personali della vita altrui, queste tracce possono essere aggregate fra loro e possono ricostruire il passato, va protetto il diritto di cancellare tali tracce.

Un rapporto dell’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione del 2012 evidenziava che in un sistema globale come Internet qualunque soggetto può avere accesso a dati personali e farne copie, per poi immettere quei dati e diffonderli, pertanto non è possibile cancellare tali informazioni, si può però chiedere ai motori di ricerca di renderne più difficile il recupero. L’interessato può quindi fare opposizione nei confronti del motore di ricerca o del sito fonte per cancellare tali dati, in caso di negligenza del responsabile l’Autorità Garante nazionale grazie a poteri investigativi e di intervento può ordinare la cancellazione dei dati così come vietare il trattamento.

Le pronunce giurisprudenziali italiane in materia hanno in molti casi tutelato persone protagoniste di fatti di cronaca; tale diritto veniva collegato puramente al decorso del tempo, si pensi ad esempio alle sentenze della Corte di Cassazione Civile 22 giugno 1985 n. 3769, 25 giugno 2004 n. 11864, 5 aprile 2012 n. 5525, 26 giugno 2013 n. 16111, 24 giugno 2016 n. 13161.

A conclusioni diverse è arrivata invece la Cassazione Civile con la Ordinanza 20 marzo 2018 n. 6919, che ha riconosciuto il diritto all’oblio a un personaggio famoso, il cantautore Antonello Venditti.

La Corte affrontava per la prima volta il contrasto tra il diritto all’oblio tra esercizio del diritto all’oblio e esercizio del diritto di satira in fatti di cronaca. Nel 2000 Venditti si era rifiutato di concedere un’intervista a un inviato di una trasmissione; l’inviato, nel 2005, inserì il cantautore nella “classifica dei personaggi più anticipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo” con alcuni commenti offensivi contro il cantautore. La richiesta di risarcimento del cantante venne rigettata in primo grado e in appello. La Cassazione, elencando alcune rilevanti pronunce in materia, concluse che il diritto all’oblio non prevale sul diritto alla notizia in ciascuno di questi casi, quando l’informazione è divenuta non più di interesse apprezzabile, quando non serve a informare la collettività se la notizia non è continente e veritiera, quando non concerne ragioni di giustizia, di polizia, scopi scientifici, didattici e culturali, ancora quando la notizia non attiene a un soggetto notorio se non gli viene concesso il diritto di replica prima della diffusione della notizia.

La Suprema Corte concluse che non ricorreva neanche una delle ipotesi analiticamente elencate nel caso in esame, affermando che il video con l’intervista di Venditti era stato illegittimamente trasmesso dalla Rai e che l’intervista costituiva una illecita compressione del diritto all’oblio del cantautore; concluse che il video era stato trasmesso unicamente a fini di audience.

Secondo la Ordinanza n. 6919 da parte della Rai non poteva essere invocato il diritto alla satira in relazione a vicende di interesse generale perché la satira, secondo i giudici, non può ridursi ad una ingiustificata e gratuita lesione della reputazione al di fuori dall’ambito della notizia di denuncia sociale o politica.

Secondo i giudici il diritto di cronaca prevale sul diritto all’oblio se la notizia che attiene a un personaggio noto ha un interesse pubblico oggettivo, se è notizia priva di commenti personali, se l’informazione è comunicata all’interessato prima della sua divulgazione. La Corte precisava che il diritto di satira esercitato dalla trasmissione televisiva non era legittimo in quanto la intervista del 2005 non era più idonea ad aprire un dibattito pubblico rispondente a ragioni di giustizia, o di sicurezza pubblica, o di interesse scientifico o didattico, tali da giustificare pertanto una trasmissione televisiva. La Corte accolse, dunque, il ricorso del cantautore.

Altra pronuncia particolarmente rilevante della Cassazione, ispirata dalle ipotesi elencate dall’Ordinanza del 20 marzo 2018, ha enumerato cinque condizioni necessarie perché si possa comprimere il diritto all’oblio. Il bilanciamento tra riserbo e la libertà di espressione secondo l’articolo 85 del GDPR deve essere stabilito dalla giurisprudenza perché i giudici nazionali hanno in materia un ampio margine di manovra e in questo contesto si inserisce la sentenza n. 28084 del 5 novembre 2018, che ha rimesso la questione del bilanciamento alle Sezioni Unite.

La Corte riconosceva che “Il bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio incide sul modo di intendere la democrazia nella nostra attuale società civile” e non può prescindere dalla tutela della personalità nelle sue diverse espressioni. La sentenza prese atto che era indifferibile l’individuazione di presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, non resti esposta a una nuova divulgazione. Meritavano dunque gli atti la preventiva rimessione al Primo Presidente della Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, nel rispetto del quadro normativo giurisprudenziale negli ordinamenti italiano e sovranazionale.

La sentenza n. 19681 pubblicata il 22 luglio del 2019 ripercorre la giurisprudenza europea, le Sezioni Unite precisano il confine fra diritto di cronaca e attività storiografica intesa come rievocazione di eventi collettivi. Il principio affermato dalle Sezioni unite è che in caso di rievocazione di eventi collettivi la menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria, perché la storia non è equiparabile alla cronaca.

Chi intende esercitare il diritto all’oblio può chiedere al gestore del motore di ricerca di rimuovere dai risultati di ricerca le parole chiave URL che rinviano alle informazioni per lui pregiudizievoli, in caso di silenzio o di risposta negativa il rimedio è il reclamo al Garante Privacy o in alternativa il ricorso al giudice, occorre considerare il tempo trascorso e altri criteri individuati dal Gruppo Articolo 29, il gruppo dei Garanti europei, le Linee Guida sui criteri per l’esercizio del diritto all’oblio. Contro la decisione del Garante è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria.


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