Il diritto di reazione. La questione israeliana nel diritto internazionale

Il diritto di reazione. La questione israeliana nel diritto internazionale

Amnesty International ha dichiarato oggi che la chiusura dell’unica centrale elettrica di Gaza acuisce una già disperata crisi umanitaria per oltre due milioni di persone intrappolate nel mezzo di una massiccia campagna di bombardamenti da parte di Israele.

Gli attacchi aerei sono iniziati in risposta alla minaccia perpetrata dal gruppo di Hamas e altri gruppi armati palestinesi di Gaza, che hanno sparato razzi in maniera indiscriminata e inviato miliziani nel sud di Israele, causando la morte di un numero elevato di civili.

Le autorità israeliane devono immediatamente ripristinare l’approvvigionamento elettrico a Gaza e sospendere tutte le restrizioni introdotte su ordine del ministro della Difesa il 9 ottobre nonché revocare il blocco illegale, che dura da 16 anni, contro la Striscia di Gaza. La punizione collettiva inflitta alla popolazione civile di Gaza costituisce un crimine di guerra ed è crudele e disumana. Come potenza occupante, Israele ha un chiaro obbligo, secondo il diritto internazionale, ovvero di garantire che siano soddisfatte le necessità basilari della popolazione civile di Gaza”, queste le parole di Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

Il blackout nella Striscia di Gaza finisce per amplificare la già disastrosa situazione umanitaria in atto. Rendendo ancora più difficili le comunicazioni e l’accesso a Internet, la mancanza di corrente elettrica sta avendo un impatto devastante sui servizi essenziali e sull’approvvigionamento di acqua potabile, finendo per scatenare una vera e propria emergenza sanitaria, lasciando gli ospedali, già in gravi difficoltà, privi di attrezzature mediche fondamentali in un momento in cui il personale medico è impegnato al massimo per curare migliaia di feriti gravi a seguito degli attacchi israeliani. Questa situazione mette a serio rischio la vita dei pazienti ospedalieri, compresi coloro con patologie croniche e quelli in terapia intensiva, tra cui anche i neonati in incubatrice.

Amnesty International è altresì preoccupata per i ripetuti attacchi contro il valico di Rafah e chiede a Israele di agevolare l’istituzione di corridoi umanitari per la distribuzione di aiuti a Gaza e di consentire un passaggio sicuro alle persone ferite e ai civili che vogliono fuggire. L’organizzazione per i diritti umani esorta la comunità internazionale a lavorare per raggiungere un accordo in merito ai corridoi umanitari.

Le autorità israeliane devono astenersi dal compiere attacchi che provocano morti e feriti tra i civili e distruggono le case e le infrastrutture non strettamente militari, seppur tracciare il confine non pare così semplice. Le autorità israeliane devono limitare l’incitamento alla violenza contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est, e garantire la sicurezza di tutti i civili che vivono sotto il loro controllo. Tutti i gruppi armati palestinesi a Gaza devono liberare incondizionatamente e immediatamente tutti i civili presi in ostaggio.

Amnesty International ha già sollecitato Israele e i gruppi armati palestinesi ad adottare tutte le precauzioni necessarie per evitare il coinvolgimento di civili nei combattimenti, in linea con i loro obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale.

Ora. È lecito domandarsi cosa vuol dire rispettare il diritto internazionale umanitario? Ma soprattutto, come si declina il diritto di difesa di un Paese aggredito massicciamente da un’organizzazione terroristica?

La questione è delicata e complessa al tempo stesso, ma c’è un pilastro da cui si può partire: “Bisogna immaginare il diritto di reazione come la legittima difesa. Quest’ultima deve essere, almeno concettualmente, proporzionata all’offesa. In questa materia è impossibile stabilire regole precise, ma anche nella risposta a un’aggressione servono misura ed equilibrio. Altrimenti, c’è il rischio di compiere un crimine contro l’umanità“. A parlare a HuffPost è Cuno Tarfusser, dal 2009, e per un decennio, giudice della Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi), della quale è stato vicepresidente dal 2012: “Tagliare i viveri, l’acqua e altri generi indispensabili all’intera popolazione civile, al punto da rendere ai civili la vita impossibile, è qualcosa che va molto vicino a un crimine contro l’umanità”, prosegue il magistrato, oggi sostituto procuratore generale a Milano, precisando che la cautela in queste ore è d’obbligo: “C’è un piano politico, che ha tempi molto veloci – spiega – E poi c’è un eventuale piano giuridico, che entra in campo dopo. A mente fredda“.

L’accesso a una eventuale Corte internazionale non sarebbe così immediato poiché la Palestina – pur non potendo sottoscrivere lo statuto di Roma – ha potuto accettare la giurisdizione della Corte dell’Aja. Cosa che, invece, non ha fatto Israele. Ne consegue che potrebbero essere giudicati dalla Cpi i crimini messi in atto su suolo palestinese dai palestinesi, e quindi anche da Hamas, ma anche dagli israeliani. Ammesso che, tra qualche anno, la vicenda arrivi fino all’Aja.

In un quadro così frastagliato, ciò che resta inoppugnabile è la normativa internazionale: gli articoli 7 e 8 dello Statuto di Roma, che ha dato vita alla corte, descrivono i crimini di guerra e contro l’umanità. Tra questi ultimi ci sono i crimini diretti contro la popolazione civile, tra cui “altri atti inumani […] diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale“. Verosimilmente, tra questi rientra anche l’interruzione dei mezzi di sostentamento per un’intera popolazione. Estremamente ampia, a leggere la normativa, è la lista dei crimini che invece potrebbero essere imputati ad Hamas, dopo gli attentati che – è doveroso citarlo – hanno provocato la morte di centinaia di persone. E la presa di molti ostaggi.

Gli appelli affinché Israele attui una contromisura che non impatti in maniera massiccia sui civili di Gaza si moltiplicano. Bisognerà capire se il governo di Netanyahu – piegato da una violenta aggressione e mosso anche dall’urgenza di salvare gli ostaggi – ne terrà conto. O se, come al momento pare, deciderà di continuare per la sua strada.


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