Il diritto, l’Unione europea ed… il nuovo millennio?

Il diritto, l’Unione europea ed… il nuovo millennio?

Nuovo millennio? La condizione della figura donna nell’Unione europea.

I decenni che precedono l’avvento del fatidico XXI secolo sono costellati dal susseguirsi di profondi e radicali cambiamenti sociali, politici, culturali; le donne, in primis, intendono rompere il binomio anatomia-ruolo al fine di risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica.

Eventi sociali, inoltre, contribuiscono in tale direzione ed il succedersi di questi, in maniera incalzante e repentina, apportano un contributo tale da capovolgere taluni aspetti della società profondamente radicati in essa.

“[…] il movimento di studenti e operai che esplode alla fine degli anni Sessanta del Novecento nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze, contestando i valori tradizionali e le istituzioni […] prende di mira sia la società occidentale – e dunque il capitalismo – sia quella di tipo sovietico – e dunque il socialismo nella sua realizzazione storica. In effetti, tra i vari movimenti del Sessantotto vi sono anche differenze profonde, nelle motivazioni e negli obiettivi. Il dato comune è soprattutto quello anagrafico, essendo i gruppi che lo promuovono costituiti prevalentemente da giovani. Si tratta, per certi versi, della ribellione di una generazione. Eppure un diffuso malessere sociale, caratterizzato dalla polemica contro il ‘gollismo’ – la politica francese era dominata dal nazionalismo del generale Charles de Gaulle –, sfocia in un movimento di protesta che coinvolge l’università, il mondo del lavoro, le istituzioni pubbliche e il potere politico. Le grandi manifestazioni del ‘maggio francese’, nel 1968, contribuiscono al tramonto politico del presidente de Gaulle. In Italia, invece, la diffusione del movimento giovanile è per molti versi prodotta dal fallimento dei progetti riformistici messi in atto dalla Democrazia cristiana e dal Partito socialista con i governi di centrosinistra. […]”1 Il suddetto dinamicismo sociale, che caratterizza l’avvento del nuovo decennio, sta modificando, dunque, le coordinate culturali, politiche ed economiche della società stessa ma influenza, in misura determinante, anche il sistema del mondo “donna”. Gli anni settanta rappresentano, infatti, l’avvio delle grandi conquiste femminili; le donne acquisiscono una nuova consapevolezza volta a sradicare il secolare concetto che vede le differenze sessuali e biologiche base della discriminazione, a cui sentono di essere sottomesse, come le peculiarità che si traducono nelle differenze sociali e culturali. Con il femminismo, “il movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne; in senso più generale, l’insieme delle teorie che criticano la condizione tradizionale della donna e propongono nuove relazioni tra i generi nella sfera privata e una diversa collocazione sociale in quella pubblica, si auspica una rivoluzione femminista capace non solo di mettere in discussione tutta la cultura occidentale, ma anche di modificare l’organizzazione della natura stessa. Sull’onda della contestazione giovanile del 1968, suddetta, queste idee si diffondono dall’America all’Europa, imponendosi all’attenzione con gesti clamorosi e provocatori. Ovunque sorgono centri femminili che organizzarono programmi di assistenza sociale […] Il dibattito si sposta quindi prevalentemente in ambito istituzionale, ma anche al di fuori di esso, a partire dalla fine degli anni 1980, si affrontano questioni come la violenza sulle donne, il maltrattamento e le molestie sessuali, con la costituzione di gruppi antiviolenza e case per le donne maltrattate […]”2 E’ in corso una nuova “autocoscienza” femminile “per tentare di dare conto della pluralità delle forme, della molteplicità delle voci e dei gesti in cui si è incarnata l’espressione della soggettività femminile, in termini di soggettività politica”, come afferma la studiosa di Storia contemporanea Elda Guerra. In termini giuridici tale emancipazione femminile, innovativa se considerata dalla prospettiva di rivendicare diritti su temi completamente nuovi, come per esempio, il proprio corpo, la propria identità, la propria sessualità, si traduce, in Italia, con una la sentenza n° 27 della Corte Costituzionale, del 18 febbraio del 1975, pubblicata nella G.U. n. 55 del 26 febbraio 1975; la Corte si pronuncia circa l’ “Aborto di donna consenziente”, Libro II, Titolo X, “Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe” del c.p. e, specificatamente: “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre.” La suddetta pronuncia è la premessa alla poco successiva Legge del 22 maggio del 1978, n. 194, circa le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”; a posteriori del prologo secondo cui: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio [e] l’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. […]”, il seguente articolo 4 disciplina come: “Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico […]”. Sottolineando come la legislazione italiana non conceda la totale libertà di avviarsi alla IVG, se non limitatamente ai casi in cui questa comporti un “un serio pericolo”, l’articolo 6 specifica, inoltre, la possibilità dell’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni: “[…] a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.” La legge garantisce, anche, l’anonimato delle generalità della donna mentre: “[…] Se la donna è di età inferiore ai diciotto anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto l’assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi […] Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza.” Confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981, viene meno, anche, la fattispecie dell’interruzione volontaria come reato. L’incidenza di tale legge nell’ambito del circuito giuridico penalistico è di notevole portata; stabilendo, nell’ultimo articolo, che: “Il titolo X del libro II del codice penale è abrogato. […]”, gli art. 545 e seguenti del c.p., in particolare: causare l’aborto di una donna non consenziente o consenziente, ma minore di quattordici anni (punito con la reclusione da sette a dodici anni – art. 545 c.p.), causare l’aborto di una donna consenziente (punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa – art. 546 c.p.), procurarsi l’aborto (punito la reclusione da uno a quattro anni – art. 547 c.p.), istigare all’aborto, o fornire i mezzi per procedere ad esso (punito con la reclusione da sei mesi a due anni – art. 548 c.p.) sono abrogati. Nel panorama europeo e, nello specifico, in Francia, invece, la legge – simbolo della conquista al diritto di per poter accedere all’interruzione di gravidanza è del 17 gennaio del 1975; Simone Veil, Ministro della Salute, riesce a far modificare la legislazione in materia di aborto: il testo, approvato dalla maggioranza dei parlamentari, è votato con 285 a favore,189 contrari e 6 astenuti. La legge n° 75-17, conosciuta semplicemente come, legge Veil dispone, dopo aver specificato nel primo titolo che: “La loi garantit le respect de tout être humain dès le commencement de la vie. Il ne saurait être porté atteinte à ce principe qu’en cas de nécessité et selon les conditions définies par la présente loi.”, promulga che : “La femme enceinte que son état place dans une situation de détresse peut demander à un médecin l’interruption de sa grossesse. Cette interruption ne peut être pratiquée qu’avant la fin de la dixième semaine de grossesse. Specifica, inoltre, nel successivo articolo162-3 che:“Le médecin sollicité par une femme en vue de l’interruption de sa grossesse doit, sous réserve de l’article L. 162-8: 1° Informer celle-ci des risques médicaux qu’elle encourt pour elle-même et pour ses maternités futures; 2° Remettre à l’intéressée un dossier-guide comportant: a)L’énumération des droits, aides et avantages garantis par la loi aux familles, aux mères, célibataires ou non, et à leurs enfants, ainsi que des possibilités offertes par l’adoption d’un enfant à naître; b)La liste et les adresses des organismes visés à l’article 162-4 […]”. È ulteriormente disposta la possibilità che: “L’interruption volontaire d’une grossesse peut, à toute époque, être pratiquée si deux médecins attestent, après examen et discussion, que la poursuite de la grossesse met en péril grave la santé de la femme ou qu’il existe une forte probabilité que l’enfant à naître soit atteint d’une affection d’une particulière gravité reconnue comme incurable au moment du diagnostic.[…]” mentre: “Si la femme est mineure célibataire, le consentement de l’une des personnes qui exerce l’autorité parentale ou le cas échéant, du représentant légal est requis.”, valida, quest’ultima disposizione anche per le donne straniere. In Spagna, invece, il re Juan Carlos I, il 5 luglio 1985, dispone che il Parlamento ha approvato e sottoscritto la modifica dell’articolo n. 417 del codice penale, sostituito dal seguente, secondo cui: “No será punible el aborto practicado por un médico, o bajo su dirección, en centro o establecimiento sanitario, público o privado, acreditado y con consentimiento expreso de la mujer embarazada, cuando concurra alguna de las circunstancias siguientes: 1.ª Que sea necesario para evitar un grave peligro para la vida o la salud física o psíquica de la embarazada y así conste en un dictamen emitido con anterioridad a la intervención por un médico de la especialidad correspondiente, distinto de aquel por quien o bajo cuya dirección se practique el aborto. En caso de urgencia por riesgo vital para la gestante, podrá prescindirse del dictamen y del consentimiento expreso.

2.ª Que el embarazo sea consecuencia de un hecho constitutivo de delito de violación del artículo 429, siempre que el aborto se practique dentro de las doce primeras semanas de gestación y que el mencionado hecho hubiese sido denunciado.

3.ª Que se presuma que el feto habrá de nacer con graves taras físicas o psíquicas, siempre que el aborto se practique dentro de las veintidós primeras semanas de gestación y que el dictamen, expresado con anterioridad a la práctica del aborto, sea emitido por dos especialistas de centro o establecimiento sanitario, público o privado, acreditado al efecto, y distintos de aquel por quien o bajo cuya dirección se practique el aborto. […]”.

L’interruzione di gravidanza è solo una delle prime innovative disposizioni che intaccano la radicale congettura dell’inferiorità della condizione femminile circa la gestione ed espressione della propria della propria personalità, anche sessuale; disposizioni volte, soprattutto, alla “creazione” di una nuova dignità femminile e ad un riconoscimento e rispetto dell’ identità delle donne: la conferma ulteriore è data il 5 agosto 1981, con la legge n. 442 circa l’ “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore”, laddove, precedentemente, “circa l’ omicidio e la lesione personale a causa di onore” era previsto che: “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella [c.p. 540], nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni [c.p. 29, 32]. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona, che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella. Se il colpevole cagiona, nelle stesse circostanze, alle dette persone, una lesione personale, le pene stabilite negli articoli 582 e 583 sono ridotte a un terzo [c.p. 63]; se dalla lesione personale deriva la morte, la pena è della reclusione da due a cinque anni. Non è punibile chi, nelle stesse circostanze, commette contro le dette persone il fatto preveduto dall’articolo581].” Se per gli uomini non vi è un concetto analogo di illegittimità dei rapporti sessuali fuori dal matrimonio, “[…] tutte le cose consentite agli uomini sono proibite alle donne e non viene spiegato il perché misterioso ed incomprensibile […]”3, adesso, finalmente, viene meno anche il disprezzo della soggettività femminile. Un intreccio di trasformazioni giuridiche e culturali che ridefiniscono le traiettorie biografiche, le aspirazioni ed i comportamenti dell’universo femminile; le diverse fasi del ciclo della vita individuale di una donna si ampliano e si aprono a nuovi orizzonti dopo la secolare situazione di totale svantaggio. Le donne non sono più invisibili nel teatro sociale, anzi, nei loro confronti si avvia, addirittura, una progressiva ammissione di “mea culpa”: “[…] Siamo purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in servitù. Ciò le ha impedito di essere fino in fondo se stessa, e ha impoverito l’intera umanità di autentiche ricchezze spirituali. Non sarebbe certamente facile additare precise responsabilità, considerando la forza delle sedimentazioni culturali che, lungo i secoli, hanno plasmato mentalità e istituzioni. Ma se in questo non sono mancate, specie in determinati contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa […] E’ l’ora di guardare con il coraggio della memoria e il franco riconoscimento delle responsabilità alla lunga storia dell’umanità, a cui le donne hanno dato un contributo non inferiore a quello degli uomini, e il più delle volte in condizioni ben più disagiate. […] in particolare, alle donne che hanno amato la cultura e l’arte e vi si sono dedicate partendo da condizioni di svantaggio, escluse spesso da un’educazione paritaria, esposte alla sottovalutazione, al misconoscimento ed anche all’espropriazione del loro apporto intellettuale. […] ammirazione per le donne di buona volontà che si sono dedicate a difendere la dignità della condizione femminile attraverso la conquista di fondamentali diritti sociali, economici e politici, e ne hanno preso coraggiosa iniziativa in tempi in cui questo loro impegno veniva considerato un atto di trasgressione, un segno di mancanza di femminilità, una manifestazione di esibizionismo, e magari un peccato! […] appello accorato, perché da parte di tutti, e in particolare da parte degli Stati e delle istituzioni internazionali, si faccia quanto è necessario per restituire alle donne il pieno rispetto della loro dignità e del loro ruolo. […]4


1. BONGIOVANNI BRUNO, “Sessantotto – La contestazione giovanile” IN “Enciclopedia dei ragazzi”, 2006

2. “Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti”, Treccani – Gentile

3. MARIO ALIGHIERO MANACORDA, “L’emancipazione dell’uomo” IN “E l’uomo educò la donna”, A CURA DI CARMELA COVATO E MARIA CRISTINA LEUZZI, Editori Riuniti, p.10

4. PAPA GIOVANNI PAOLO II, “LETTERA ALLE DONNE”, 29 giugno 1995


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Giulia Genovese

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