Il ruolo del PM nella negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio

Il ruolo del PM nella negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio

Sommario: Premessa – 1. Il Pubblico Ministero nella negoziazione assistita – 2. La negoziazione assistita in assenza di prole: il nulla osta e la condizione di mancanza di “irregolarità” per il rilascio dello stesso – 3. La negoziazione assistita in presenza di figli: l’autorizzazione del pubblico ministero – 3.1. L’handicap grave – 3.2. I figli maggiorenni incapaci e i figli economicamente non autosufficienti – 3.3. L’interesse dei figli; l’ascolto del minore e la problematica relativa ai figli nati fuori dal matrimonio – 4. Il diniego e il mancato nulla osta e il diniego e la mancata autorizzazione del pubblico ministero

 

Premessa

Il decreto legge n.132 del 12 settembre 2014 convertito, con alcune modifiche, in L. n. 162 del 10 novembre 2014, con lo scopo di alleggerire il contenzioso pendente dinnanzi agli uffici giudiziari ordinari e per disincentivare il ricorso alla giurisdizione, ha impiegato, in una rinnovata veste, gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Tra le novità introdotte dalla riforma spicca l’istituto della negoziazione assistita, ispirato e mutuato dalla procédure partecipative prevista dal diritto francese[1]e dal Collaborative Law Partecipation Agreement di matrice statunitense[2].

Tale riforma della giustizia civile ha inciso fortemente nel sistema di tutela della famiglia introducendo due nuovi modelli tra di essi eterogenei ma accomunati dal fatto di costituire la prima vera deroga ad un principio fino a quel momento granitico nelle controversie in materia di famiglia che rendeva di fatto imprescindibile l’intervento dell’autorità giudiziaria per ogni eventuale modifica in materia di status, ascritta nell’ambito della tutela costitutiva necessaria: la separazione e il divorzio mediante convenzione di negoziazione assistita e la separazione e divorzio direttamente dinnanzi all’ufficiale di stato civile. Le nuove modalità di intervento, disciplinate dagli artt. 6 e 12 della l. n. 162/2014 – la prima norma riguardante l’impiego della procedura di negoziazione assistita da avvocati; la seconda relativa alla possibilità di stipulare un accordo dinnanzi all’ufficiale dello stato civile – sono improntate ad un’ottica di degiurisdizionalizzazione delle controversie puramente deflattiva del contenzioso giudiziario.

Le norme in esame, seppur con la discutibile tecnica della decretazione d’urgenza, hanno introdotto un cambiamento quasi epocale nel diritto di famiglia, che si pone nell’ottica della tendenza ordinamentale, già presente negli ultimi anni, della progressiva liberalizzazione e valorizzazione dell’autonomia delle parti.

A tal fine, l’art. 6 della l. 162/2014 riconosce la facoltà dei coniugi di concludere una “convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato di parte” al fine di raggiungere un accordo che tiene luogo del corrispondente provvedimento giudiziale in materia di separazione consensuale, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio su domanda congiunta e la modifica delle condizioni di separazione e divorzio su base concordata. Si evidenzia, con tale previsione  una assoluta novità nella disciplina del diritto di famiglia: viene meno il dogma della dell’assoluta intangibilità dei diritti indisponibili. Fino ad oggi, invero, è sempre prevalso il regime di indisponibilità dei diritti a rilevanza pubblicistica in materia matrimoniale (si vedano gli artt. 29-30 Cost., 160 c.c.), la cui tutela era assicurata dall’imprescindibile pronuncia di un provvedimento giudiziale di natura strettamente costitutiva rivolto alla modifica o cessazione dello status coniugale, a cui si ricollegava il preventivo intervento obbligatorio del pubblico ministero[3].

L’art. 12, invece, riguarda la separazione, il divorzio o la modifica delle relative condizioni davanti al sindaco nella qualità di ufficiale dello stato civile, il quale “riceve da ciascuna delle parti personalmente, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, la dichiarazione che esse vogliono separarsi, ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenere lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate. Allo stesso modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. Il ricorso a tale procedura non è ammesso nel caso in cui vi siano figli comuni della coppia minori di età, o portatori di handicap, o economicamente non autosufficienti, e neanche in quelle ipotesi in cui i coniugi intendano operare dei trasferimenti patrimoniali tra loro[4].

Va tuttavia posto in evidenza come le disposizioni dell’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 che erano entrate in vigore all’epoca della prima approvazione del decreto legge hanno subito una radicale revisione in sede di conversione del decreto stesso in legge: si è ritenuto da parte del Legislatore, a causa della peculiarità e della delicatezza delle materie, che fosse necessario prevedere un momento di controllo giudiziario sul contenuto degli accordi separativi e divorzili, assegnando, pertanto, al Procuratore della Repubblica[5], il compito di intervenire necessariamente con un atto di controllo al cui esito favorevole viene condizionata l’efficacia dell’accordo negoziato. Il controllo preventivo demandato al procuratore della Repubblica si diversifica nelle modalità e nell’ambito di intervento a seconda che l’accordo di separazione e divorzio sia stipulato tra coniugi che non abbiano figli nelle condizioni soggettive richieste dall’art. 6 l. 162/2014 (figli minorenni, incapaci, portatori di handicap grave ai sensi delle disposizioni della n. 104 del 1992, economicamente non autosufficienti), o, al contrario, tra coniugi che abbiano figli che versino in tali condizioni: nel primo caso il procuratore della Repubblica dovrà limitarsi ad accertare la regolarità formale dell’accordo, nel secondo caso, invece, all’ufficio del Pubblico Ministero spetterà verificare se l’accordo concluso risponda all’interesse dei figli. In tale quadro il Pubblico Ministero assume connotazioni del tutto diverse da quelle tradizionalmente rivestite nell’ambito del processo civile; un ruolo definito ai “confini della giurisdizione”[6], considerato che, dal punto di vista dell’organizzazione giudiziaria, il Pubblico Ministero esercita di regola una funzione di controllo e tutela degli interessi “pubblicistici” in veste di parte, sia pure sui generis, senza esprimere valutazioni finali sui diritti in contesa, come invece fa il giudice terzo. Le modifiche introdotte sembrano spostare, pertanto, sugli uffici di procura un’attività che invece spetterebbe ai tribunali.

1. Il Pubblico Ministero nella negoziazione assistita

Il pubblico ministero ha il compito di verificare il contenuto della convenzione in quanto organo a cui è demandata l’esatta applicazione della legge[7] e a cui il legislatore ha attribuito il ruolo di “garante dei garanti”[8]dell’accordo intervenuto tra le parti[9]. Il ruolo assunto dal pubblico ministero in tale ambito  è un ruolo di assoluta centralità in quanto si trova non più a fornire un contributo alla decisione che il giudice deve prendere, secondo la normale dialettica processuale, ma sarà egli stesso a decidere se l’accordo sottopostogli dai privati possa sottrarsi in via definitiva al vaglio giurisdizionale acquistando definitivamente efficacia[10]; egli è, dunque, chiamato dal legislatore a effettuare una verifica caratterizzata dalla tendenziale definitività e la specificità di questo ruolo innovativo si evince con maggiore intensità nelle procedure di negoziazione che vedono la presenza di figli in una delle condizioni previste dall’art.6 del decreto legge poiché, in tali particolari ipotesi, come si dirà di qui a breve il Procuratore della Repubblica dovrà verificare che l’accordo raggiunto corrisponda all’interesse dei figli attraverso un controllo che porterà ad una valutazione sostanziale colma di effetti.

Laddove non vi siano, invece, figli minorenni, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, la legge richiede al Procuratore della Repubblica una verifica sulla regolarità dell’accordo; superato positivamente tale controllo, l’accordo viene munito del nulla osta ai fini dei successivi adempimenti, e può, quindi, essere trasmesso agli uffici di stato civile.

2. La negoziazione assistita in assenza di prole: il nulla osta e la condizione di mancanza di “irregolarità” per il rilascio dello stesso

La scelta di subordinare l’efficacia degli accordi, conseguenti a negoziazione nei quali non siano coinvolti diritti indisponibili dei figli, al necessario filtro del pubblico ministero ha sollevato qualche perplessità da parte dei primi commentatori della riforma. Si è sostenuto[11]che l’immancabile controllo del procuratore della Repubblica contrasta con la stessa idea di fondo posta alla base della negoziazione assistita, per la quale la soluzione della controversia deve essere responsabilmente affidata ai difensori, garanti degli interessi delle parti. Inserire un ulteriore soggetto, «garante dei garanti», o – peggio ancora – «controllore dei garanti», significa non credere nemmeno nell’istituto che si è voluto introdurre con una figura generale e addirittura in via di decretazione d’urgenza. Perplessità, inoltre, si rinvengono con riguardo al fatto che la necessaria presenza del pubblico ministero provoca un inutile appesantimento della procedura nelle ipotesi in cui l’accordo riguardi solo le parti; peraltro, viene snaturata anche la stessa figura dell’organo requirente il quale finisce per essere, nelle separazioni e nei divorzi, un figurante che si limita a esprimere la sua opinione «dietro le quinte», apponendo sui fascicoli una sorta di «visto»[12]e i cui compiti, pertanto, si riducono a funzioni certificative o «notarili»[13].

In tale ipotesi, pertanto, si tratta di un controllo che si limita alla verifica sull’inesistenza di “irregolarità”; è di difficile delimitazione l’estensione di tale concetto, ma sembra che non ci siano dubbi sul fatto che in tali casi il controllo del pubblico ministero debba attenere a profili di pure legalità e regolarità formale, senza poter in alcun modo entrare nel merito della disciplina pattuita dai coniugi relativamente ai reciproci rapporti, personali ed economici, conseguenti alla variazione dello status coniugale[14]. Il pubblico ministero, pertanto, dovrà verificare documentalmente[15]: se i soggetti hanno contratto matrimonio; nel caso di divorzio se sussiste la pregressa separazione per il tempo voluto dalla legge[16]; nel caso di modifica delle condizioni quali sono i precedenti accordi tra i coniugi; se tra le parti è stata conclusa una convenzione di negoziazione che risponde ai requisiti di forma e sostanza delineati dagli artt. 2 e 6 della L. n. 162; se l’accordo è intervenuto nel lasso temporale contemplato dalla lett. a) del citato art. 2[17]; che l’accordo non contenga clausole contrarie a norme imperative o all’ordine pubblico; che alla negoziazione ed all’accordo abbiano collaborato almeno un avvocato per parte; che nell’accordo si dia atto dei moniti richiesti dal terzo comma del citato art. 6[18]; se sussiste la competenza del Tribunale presso cui opera la procura investita del controllo.

Come appena visto, tra le verifiche demandate al pubblico ministero, tanto nei casi in cui sia richiesto il rilascio del nulla osta, quanto nei casi in cui sia richiesta l’autorizzazione, vi è quella relativa al controllo sulla effettiva competenza territoriale della Procura della Repubblica presso la quale l’accordo viene trasmesso dai soggetti interessati; tale verifica pone alcune problematiche inerenti i criteri della competenza territoriale posto che il legislatore, con una indicazione molto scarna, si limita a prevedere che l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita deve essere trasmesso “al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente”. La disposizione va letta in continuità con il comma 1 dell’art.6, l.162/2014, il quale elenca le procedure giurisdizionali in alternativa alle quali le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita: il Tribunale competente, pertanto, sarà quello dinnanzi al quale le parti avrebbero dovuto proporre il relativo ricorso giurisdizionale. Ci si chiede, però, se i criteri ricostruibili in base al primo comma siano da considerarsi tutti alternativamente validi per l’individuazione della Procura competente[19].

Prendendo in esame l’ elencazione delle procedure giurisdizionali in alternativa alle quali le parti posso ricorrere alla negoziazione assistita, il primo comma dell’art.6 richiama, anzitutto la separazione personale dei coniugi, per la quale, l’art. 706 c.p.c. prevede che la domanda di separazione debba essere proposta al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio. L’art. 4 della l. 898/1970, in materia di divorzio[20], prevede quale criterio generale quello della residenza o del domicilio del coniuge convenuto, mentre, con riguardo al criterio per l’individuazione della competenza territoriale nel caso di giudizi aventi ad oggetto la modifica delle condizioni di separazione o divorzio, la Suprema Corte[21] ritiene che agli stessi si debbano applicare le norme generali sulla competenza territoriale previsti dagli artt. 18-20 c.p.c.; ancora, quando il procedimento volto alla modifica delle condizioni di separazione abbia ad oggetto l’esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità di affidamento dei figli, l’art. 709- ter, c.p.c. prevede quale luogo nel quale si radica la competenza del tribunale, il luogo di residenza del minore.

Com’è agevole notare si è dinnanzi ad un quadro per nulla omogeneo nel quale i criteri previsti per ciascun tipo di giudizio non necessariamente coincidono; si ritiene preferibile in tale quadro la soluzione che faccia luogo al criterio più rigoroso vale a dire quello secondo cui l’accordo debba essere trasmesso esclusivamente alla Procura presso il Tribunale cui le parti avrebbero potuto rivolgersi in riferimento alla specifica controversia oggetto di negoziazione[22].

In mancanza di figli a carico, dunque, il procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nulla osta per gli adempimenti ai sensi del comma 3 dell’art. 6 (ovvero la trasmissione dell’accordo all’ufficiale dello stato civile da parte dei legali delle parti). La norma, non indica un termine entro il quale il pubblico ministero, sia tenuto a comunicare se il nulla osta sia stato o meno concesso; il buon senso, peraltro, impone di ritenere applicabile, anche all’ipotesi di negoziazione in assenza di prole, il termine di cinque giorni previsto in caso di accordo “con figli a carico”[23].

L’art. 6 tace, inoltre, con riguardo alle modalità con cui il provvedimento del pubblico ministero vada reso noto agli interessati; la questione rileva in quanto occorre stabilire il momento a partire dal quale decorre, a carico dell’avvocato di parte, i successivo termine di dieci giorni per la trasmissione dell’accordo all’ufficio di stato civile. Si ritiene[24]che tale termine non possa farsi decorrere prima che il provvedimento del pubblico ministero sia stato comunicato e la comunicazione dello stesso, nel silenzio della legge, dovrà avvenire con forme idonee a garantire certezza in merito al raggiungimento del suo scopo e alla data esatta del suo compimento; l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata, ovviamente, soddisferebbe tali condizioni, ma allo stato le procure potrebbero non essere organizzate in modo adeguato. Si ritiene, pertanto, che la comunicazione possa avvenire con modalità diverse ma equipollenti quanto al risultato:a titolo esemplificativo notifica a mani dell’avvocato, biglietto di segreteria.

Il termine “nulla osta” adoperato per il caso di assenza di figli è diverso da quello adoperato dal medesimo articolo in presenza di prole; la norma, in tal caso, infatti, parla di autorizzazione del procuratore e di “accordo autorizzato”. Con la diversa terminologia il Legislatore ha inteso rimarcare la differenza tra le due tipologie di controllo effettuate dal procuratore, poiché la seconda, a differenza della prima, implica una valutazione discrezionale (“… quando ritiene che l’accordo risponda all’interesse dei figli”).

3. La negoziazione assistita in presenza di figli: l’autorizzazione del pubblico ministero 

La disciplina della negoziazione assistita, come già rilevato, muta quando l’accordo di separazione, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione o divorzio avvenga tra coniugi con figli. In tale ambito, il controllo del pubblico ministero sarà un controllo, in primo luogo formale[25], così come avviene nella negoziazione assistita in assenza di prole, che tuttavia si estende anche al merito, inteso come vaglio circa la rispondenza delle clausole pattuite alle esigenze materiali e relazionali dei figli[26].

In senso cronologico, quindi, il riscontro della presenza dei requisiti di validità del patto deve necessariamente precedere la valutazione del merito di quanto pattuito – al fine di misurare l’intesa raggiunta al parametro dell’interesse della prole richiesto dalla legge – in quanto l’inversione dei termini produrrebbe un risultato illogico e privo di apprezzabile valore.

Il ruolo del pubblico ministero in presenza di figli a carico, è più articolato; egli, infatti, a seguito della trasmissione dell’accordo, entro un termine (ordinatorio) di cinque giorni, è chiamato a valutare se tale accordo risponda all’interesse dei figli o meno. Nel primo caso, egli autorizzerà l’accordo cui si applicherà il comma 3 dell’art.6; in caso contrario, dovrà trasmettere l’accordo stesso al presidente del tribunale che fisserà, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvederà senza ritardo.

Nel cercare di comprendere se l’accordo può o meno essere autorizzato, il pubblico ministero guarderà alla convenzione verificando, principalmente: la corretta applicazione dei principi sull’affidamento condiviso in modo tale da consentire la frequentazione equilibrata del figlio a entrambi i genitori[27]; la previsione di un calendario di visita avente orari che siano compatibili con l’età e lo stile di vita del minore[28]; l’adeguatezza del contributo economico al mantenimento dei figli minori o dei maggiorenni non ancora inseriti nel mondo del lavoro[29]. Alle citate verifiche potrebbe aggiungersene una ulteriore derivante dalla prassi giudiziaria, secondo la quale è necessario verificare che tra le parti sia intervenuta effettivamente la separazione personale che implica la cessazione della convivenza coniugale; non sono rari, infatti, i casi in cui i coniugi non fanno abbastanza chiarezza sul punto rimanendo piuttosto confusi, per mancanza di chiarezza dello stesso accordo[30].

È da rilevare come la legge utilizza il termine figli senza alcuna differenziazione, in linea con il D.lgs. 154/2013 che, determinando lo status unico della filiazione, ha superato la differenziazione tra figli naturali e figli legittimi; è necessario, però, in tale ambito, che ci si riferisca necessariamente ai figli della coppia in quanto, se si fosse in presenza di un figlio che è tale solo per uno dei coniugi, si procederà con la disciplina della negoziazione assistita in assenza di prole posto che non rileva la questione inerente l’affidamento del figlio non essendoci, in tal caso, la doppia responsabilità genitoriale[31].

I problemi interpretativi che la normativa pone in tale ambito riguardano, innanzitutto, l’individuazione dei casi da sottoporre ad autorizzazione e secondariamente occorre circoscrivere gli ambiti con riferimento ai quali va svolta, in concreto, la valutazione di rispondenza all’interesse dei figli quale condizione necessaria per il rilascio dell’autorizzazione a cura del pubblico ministero.

3.1. L’handicap grave

Con riferimento al primo problema interpretativo la formulazione della norma lascia alcuni dubbi; si legge: in presenza di figli minori , di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, ovvero economicamente non autosufficienti (…)

Mentre nessuna incertezza può sorgere in relazione al criterio della minore età dettato dal legislatore, per l’individuazione degli accordi da sottoporre ad autorizzazione, dubbi interpretativi sorgono con riferimento alla condizione di portatore di handicap grave. La norma non chiarisce cosa debba essere inteso per “figli portatori di handicap grave” ma la genericità del termine può essere superata facendo riferimento a quanto prevede il medesimo art. 6 con riguardo all’accoro tra coniugi senza figli; il secondo comma, prima parte, dell’articolo fa espresso riferimento ai figli “portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104” e pertanto non vi è alcun dubbio sulla corrispondenza delle due formulazioni. Ci si chiede, però se debbano ritenersi soggetti ad autorizzazione i soli accordi concernenti figli maggiorenni la cui condizione di handicap grave come descritta all’art. 3, comma 3, l.104/1992[32] sia stata certificata ai sensi del successivo art. 4[33] oppure anche quelli in cui il figlio maggiorenne, pur affetto dalle minorazioni descritte dall’art.3, non abbia, o non abbia ancora ottenuto, la certificazione da parte della competente commissione medica. Tale problematica può acquistare rilievo nel momento in cui il figlio affetto da handicap grave sia in condizione di autosufficienza economia; in tal caso, a secondo dell’interpretazione che viene data al dato letterale, la presenza nella coppia di un figlio maggiorenne, affetto da una delle gravi minorazioni descritte dall’art. 3, l.104/1992, le quali, però, non risultino ancora certificate, potrebbe alternativamente comportare la necessità dell’autorizzazione o la necessità del rilascio del mero nulla osta[34].

Non si può, inoltre, non notare, l’assonanza dell’espressione utilizzata dall’art. 6, comma 2, d.lgs. 132/2014, con quella utilizzata nella disciplina relativa all’affidamento dei figli, nell’art. 337- septies, c.c.[35], il cui comma secondo stabilisce che: “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”.

La Corte di Cassazione, del resto, più volte si è pronunciata affermando la sussistenza di uno “status del portatore di handicap come soggetto debole”[36]e in altre pronunce, inoltre, ha sottolineato come lo stato di incapacità del figlio maggiorenne portatore di handicap sia del tutto assimilabile al figlio minore, rispetto alle sue esigenze di vita, di assistenza e di accudimento[37].

3.2. I figli maggiorenni incapaci e i figli economicamente non autosufficienti

Ancora più vaga, poi, risulta l’espressione “figli maggiorenni incapaci” utilizzata dal legislatore come condizione soggettiva che impone di sottoporre l’accordo all’autorizzazione al pubblico ministero. Si è posto l’interrogativo se tale criterio vada inteso nel senso tecnico giuridico evincibile dall’ordinamento,  e dunque in esso ricomprendendo esclusivamente le situazione di incapacità legale di agire, ovvero se vada interpretato estensivamente nel senso di ricomprendervi anche la condizione naturale di intendere e di volere; è necessario chiarire che soltanto la prima costituisce una categoria giuridica che consegue alla pronuncia di interdizione giudiziale. L’incapacità naturale, diversamente, non viene sancita dall’autorità giudiziaria, ma consiste in una condizione di mancanza di capacità cognitiva causata da una menomazione, e non totale privazione, delle facoltà volitive e intellettive; come tale, l’incapacità di intendere e di volere rileva nell’ordinamento ai soli fini dell’annullamento degli atti e dei contratti posti in essere dall’incapace[38]. Nell’incertezza lasciata dal legislatore appare opportuno intendere l’espressione nel senso più garantistico per l’interessato ricomprendendovi, pertanto, tutte le condizioni psico-fisiche del figlio maggiorenne che ne compromettano o ne ritardino il processo di conseguimento di autonomia a causa di una determinata invalidità psico-fisica. Si rende quanto mai opportuno, proprio in tali situazioni, conservare la previsione del controllo giudiziale nell’interesse stesso del figlio, considerato soggetto debole[39]. Si tratta, del resto, di una impostazione in linea con quanto stabilito dall’art. 158, comma secondo, c.c., riguardo alla separazione consensuale che si perfeziona dinnanzi il tribunale, laddove si prescrive che: “quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione”.

La categoria di figli richiamata dall’comma 2 dell’art.6 del decreto che pone maggiori problemi interpretativi e pratici è la categoria dei figli maggiorenni “economicamente non autosufficienti”. La legge utilizza la formula “economicamente non autosufficienti” che si può ritenere equivalente a quella tradizionale “non economicamente indipendenti” posto che il significato è il medesimo; si posso ritenere applicabili pertanto le categorie e le valutazioni giurisprudenziali già acquisite[40].

Dalla prassi giurisprudenziale si può ricavare il concetto di figlio economicamente non autosufficiente come colui il quale non ha ancora terminato il ciclo di istruzione o di formazione professionale ovvero, pur avendoli completati non sia riuscito a trovare una occupazione adeguata per circostanze a lui non addebitabili. Non rientra nella valutazione del parametro di indipendenza economica, pertanto, l’età del figlio in quanto, in base alle aspirazioni del singolo, il completamento del percorso di formazione può avvenire in momenti molto differenti: si ritiene opportuno valutare il parametro dell’età caso per caso[41].  La giurisprudenza ha, inoltre affermato, che il rifiuto ingiustificato da parte del figlio, di attività lavorativa, è idoneo a estinguere il diritto al mantenimento (e, conseguentemente la qualità di figlio economicamente non autosufficiente), se l’attività è consona e idonea alla sua situazione[42].

La mancanza di autonomia economica del figlio non deve intendersi come assoluta assenza di percezione di redditi congrui ma come mancata percezione di redditi idonei a renderlo autosufficiente in relazione, quantomeno alle primarie esigenze di vita[43];  si prevede; inoltre, che non possono assumere rilievo a tal fine neanche il conseguimento di un titolo di studio universitario o la celebrazione delle nozze[44].

Come detto in precedenza, la presenza di figli che versino in tale situazione impone al pubblico ministero di sottoporre l’accordo dei coniugi a un controllo di merito finalizzato al rilascio dell’autorizzazione. È necessario chiedersi se, ai fini di tale verifica, il procuratore della Repubblica debba limitarsi a prendere atto delle allegazioni e delle prospettazioni contenute nell’accordo o se gli compete una valutazione autonoma della documentazione prodotta e un ulteriore potere di indagine circa il possesso o meno da parte dei figli dei mezzi idonei a sostentarsi. Nel silenzio della normativa non è affatto chiaro quale posizione e quali iniziative possa e debba assumere il pubblico ministero. Le situazioni astrattamente ipotizzabili prestano il fianco a obiezioni; se si ritiene che il pubblico ministero debba limitarsi a prendere atto di quanto allegato dalle parti, senza che gli sia consentita nessuna autonoma valutazione dei giudizi espressi dai coniugi, gli si potrebbe imputare di trascurare un aspetto che rientra comunque nei principali momenti del suo controllo. Se, invece, si ritenesse che egli abbia il potere di effettuare un controllo sostanziale sulle circostanze dedotte dai coniugi a sostegno della raggiunta indipendenza economica del figlio, ciò comporterebbe l’avvio di una indagine lunga e complicata che mal si concilierebbe con una procedura, quale quella di negoziazione assistita, che si caratterizzerebbe per snellezza e celerità[45].

Non vi è dubbio che la soluzione che potrà soccorrere il pubblico ministero nei casi incerti, sarà quella di trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale ai sensi del comma 2 dell’art. 6 (secondo periodo); egli, infatti, è tenuto a procedere a tale trasmissione ogni volta che non sia in grado di addivenire a una valutazione con un giudizio di sicura rispondenza dell’accordo all’interesse dei figli[46].

3.3. L’interesse dei figli; l’ascolto del minore e la problematica relativa ai figli nati fuori dal matrimonio

Una volta individuati, pur con le problematiche interpretative che sono state poste in evidenza, i casi in cui l’intervento del pubblico ministero debba riguardare solo il mero controllo formale dell’accordo posto in essere dai coniugi e i casi in cui tale controllo debba, invece spingersi a verificare il merito dell’accordo stesso, occorre ora concentrarsi su un altro profilo problematico che l’art.6 del decreto pone: è necessario circoscrivere il significato della formula, utilizzata dal Legislatore, “interesse dei figli”. È chiaro, infatti, che l’attività di valutazione in virtù della quale, rispetto ad ogni clausola inerente i figli, il pubblico ministero deve chiedersi se essa risponda o meno al loro interesse, presuppone di aver ricostruito preventivamente il concetto stesso di interesse del figlio e, in particolare, del figlio minore.

La norma non specifica in cosa consiste l’interesse dei figli.

Con riferimento all’interesse del minore va evidenziato come, nella normativa interna e in quella internazionale nonostante l’insistente richiamo a tale interesse, manchi una definizione codificata; ciò impone al pubblico ministero ad interrogarsi a quali parametri egli debba riferirsi nel momento in cui debba esprimere il proprio giudizio sulla rispondenza dell’accordo all’interesse del minore. Si ritiene[47], anzitutto, che il pubblico ministero debba verificare che non siano state violare le norme inderogabili del nostro ordinamento dettate a tutela dei diritti fondamentali del minore; in particolare, gli accordi dovranno risultare conformi all’art. 30 Cost.[48], in ambito di legislazione ordinaria si dovrà fare riferimento agli artt. 147[49], 148[50], 316-bis, 337-ter c.c., e, inoltre, si dovrà tener conto dei principi enunciati nelle convenzioni internazionali alla cui osservanza l’Italia si è impegnata, prima fra tutte la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989[51].

In conseguenza di tali disposizioni, nella formula ampia e generica adottata dal Legislatore rientra, anzitutto l’interesse economico, la cui violazione può ravvisarsi ogni volta che il contributo in favore dei figli sia insufficiente o sproporzionato ai redditi del genitore erogante, ma anche l’interesse alla bi genitorialità, che la legge considera inderogabile[52]. Nel caso di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap, l’interesse degli stessi, che potrebbe impedire l’autorizzazione dell’accordo da parte del pubblico ministero, può consistere nella mancanza della dovuta assistenza, come nel caso in cui non sia prevista, nell’accordo, alcuna attribuzione di responsabilità e divisione dei compiti tra i genitori, per le fondamentali esigenze di vita e di relazione del figlio[53]; l’art. 337-septies c.c., come già detto,  equipara al figlio minore di età il maggiorenne portatore di handicap grave attribuendogli il diritto alle medesime cure.

Il vero problema che si pone in tale ambito, nel silenzio della legge, è attraverso quali strumenti debba essere svolto il controllo del pubblico ministero ai fini del rilascio dell’autorizzazione. È necessario fin da subito chiarire che non si può ritenere possibile l’utilizzo di strumenti investigativi propri dell’indagine penale ciò perché l’indagine trae la sua legittimazione dall’obiettivo che la legge ad essa attribuisce; si deve ritenere, pertanto, che l’indagine non possa mai avere i connotati della imperatività né che possa essere condotta e portata a termine con iniziative unilaterali dell’ufficio[54] ma essa deve sempre svolgersi sollecitando un contributo chiarificatore ed eventualmente una integrazione istruttoria da parte degli interessati, anche sottoforma di produzioni documentali o di dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà[55] ovvero attraverso la convocazione delle stesse nell’ottica di ottenere chiarimenti dalle stesse.

Le parti potranno anche decidere di non ottemperare alle richieste e alle indicazioni del pubblico ministero esponendosi, però, in tal modo al rischio di vedersi negata l’autorizzazione con conseguente trasmissione degli atti al presidente del Tribunale.

Una questione specificamente legata alla negoziazione assistita “matrimoniale”, in presenza di figli minori è quella della previsione del loro “ascolto” ai sensi degli artt. 336- bis e 337- octies c.c.

Tali disposizioni prevedono che il minore ultradodicenne o anche di età inferiore, se capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato “in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Tra i primi commentatori del decreto 132/2014 vi è chi[56] ha giudicato la mancata previsione dell’ascolto del minore come una lacuna che getta ombre sulla stessa legittimità costituzionale delle norme che consentono la separazione e il divorzio stragiudiziale anche in presenza di figli minori, per non aver il legislatore rispettato, come vuole l’art. 117 cost., i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Non vi è dubbio, peraltro, che la normativa in materia di ascolto del minore debbano trovare applicazione anche nella procedura in esame nella fase che si svolge dinnanzi al pubblico ministero nonostante il sorprendente silenzio del legislatore sul punto[57]. In mancanza di una previsione espressa che autorizza a procede in tal senso, deve, invece, ritenersi preclusa la possibilità di dar corso all’ascolto del minore nella fase che si svolge tra i legali e le parti: osta, a tale soluzione, l’art. 56, comma 2, del codice deontologico forense il quale dispone che: “ l’avvocato del genitore, nelle controversie in materia familiare o minorile, deve astenersi da ogni forma di colloquio o contatto con i figli minori sulle circostanze oggetto delle stesse”. Pertanto nel caso sia utile acquisire il punto di vista del figlio minore, si potrebbe intraprendere la strada dell’ascolto a cura del pubblico ministero, ovviamente assicurando tutte la cautele e le garanzie previste per i casi in cui tale incombente debba svolgersi in sede giurisdizionale ex art. 336- bis del codice civile[58]e solo previa autorizzazione manifestata da entrambi i genitori.

È inteso, indubbiamente, che ove la procedura non si dovesse concludere con l’autorizzazione del pubblico ministero e proseguisse davanti al presidente del tribunale, anche in questo caso occorrerebbe assicurare  il diritto di ascolto del minore nell’eventualità che si addivenga ad un nuovo accordo[59].

Infine, una grave lacuna lasciata dall’art. 6 del decreto 132/2014 riguarda la non contemplazione nella disciplina della categoria dei figli nati fuori dal matrimonio. Come detto, gli accordi di negoziazione assistita riguardano i soli casi di separazione e divorzio o la modifica delle relative condizioni ma nulla si dice con riferimento alla possibilità di procedervi in relazione ai casi di affidamento dei figli ex art. 316 c.c. La norma fa riferimento alle modalità con le quali il genitore del figlio non convivente nato fuori dal matrimonio, esercita la potestà, sottoponendo al giudice questioni inerenti le scelte che l’altro genitore ha intrapreso nei confronti della prole, che si ritengono lesive degli interessi del minore stesso. Le perplessità sorgono con riguardo al fatto che l’art. 6 del decreto non ha previsto l’applicazione della negoziazione assistita ai conviventi more uxorio in relazione alle scelte che gli stessi debbano compiere con riguardo ai figli della coppia. A fronte del silenzio della legge alcuni autori hanno suggerito una interpretazione estensiva della norma, ammettendo la possibilità per le coppie di trasmettere al pubblico ministero accordi relativi ai figli nati fuori dal matrimonio[60]; tale soluzione in realtà sembra essere lontana dal tenore della norma[61]. Lo strumento della negoziazione assistita deve ritenersi soggetto a un principio di tassatività e non può, pertanto, essere utilizzato al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge[62]. Alla luce di ciò, la mancanza può essere giustificata dal clima “frettoloso”[63] che ha caratterizzato il momento di conversione del decreto in legge anche se il mancato riferimento ai figli nati fuori dal matrimonio, sembra mettere in discussione la legge n. 219/2012, la quale ha sancito il principio dello stato unico di filiazione. La scelta, di cui si discute, operata dal Legislatore nella normativa sulla negoziazione assistita viene criticata, infatti, da un punto di vista sistematico, poiché con la riforma della filiazione è stato affermato a chiare lettere che davanti alla legge “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” (art. 315 c.c.) nonché i medesimi diritti e doveri (art. 315- bis c.c.)[64]. A distanza di pochi mesi dalla definitiva entrata in vigore della riforma, il legislatore sembra essersi dimenticato di tale impostazione e (omettendo inspiegabilmente ogni riferimento sul punto) di fatto decide di negare ai genitori la possibilità di utilizzare, nell’interesse dei figli minori (giacché la regolamentazione delle condizioni attiene in questi casi soltanto agli stessi) uno strumento rapido, snello ed efficace per la risoluzione delle relative controversie[65].

4. Il diniego e il mancato nulla osta e il diniego e la mancata autorizzazione del pubblico ministero

Il pubblico ministero espletata l’indagine demandatagli dal legislatore può assumere tre distinti provvedimenti (formalmente quattro ma due di essi si differenziano solo nominativamente): l’assenso all’accordo attraverso la concessione del nulla osta o dell’autorizzazione a secondo che siano o meno presenti figli deboli; il diniego del nulla osta per ragioni di irregolarità dell’accordo; il diniego dell’autorizzazione qualora non ritenga soddisfatto l’interesse dei figli cd. deboli[66].

Venendo ad analizzare la prima fattispecie in seguito all’intervenuto assenso all’accordo da parte del pubblico ministero “la palla torna agli avvocati”[67]delle parti i quali hanno il dovere di trasmettere, nei dieci giorni successivi, l’accordo all’ufficiale di stato civile per le necessarie annotazioni, iscrizioni e trascrizioni ex art.6, comma 3°, dl. 132/2014.

Riguardo al diniego di nulla osta per ragioni di regolarità la normativa rimane silente. Come già visto in precedenza, relativamente agli accordi che non vedano la presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o in condizioni di handicap grave o comunque economicamente non autosufficienti, il pubblico ministero dovrà limitarsi a verificare la mancanza di irregolarità[68]. Se dovessero riscontrarsi irregolarità tale fattispecie è da ritenersi esaurita con il provvedimento della procura[69]: non essendo contemplata l’ipotesi della trasmissione degli atti al presidente del tribunale ( così come avviene nel caso del diniego dell’autorizzazione in presenza di figli cd. deboli) e non essendo neppure prevista una forma di impugnazione del diniego del nulla osta si ritiene che il pubblico ministero, in primo luogo, per evitare la pronuncia negativa, possa invitare le parti ad integrare la documentazione mancante o lacunosa. Qualora, pur dopo le integrazioni richieste, il pubblico ministero non riterrà soddisfatte le condizioni per il rilascio del nullaosta, dovrà negarne il rilascio[70]. A questo punto le parti possono: provvedere alla formazione di un nuovo e diverso accordo, eventualmente nell’ambito di una nuova negoziazione assistita, da sottoporre nuovamente all’approvazione del pubblico ministero; esperire l’azione giudiziaria, di separazione consensuale o di divorzio su domanda congiunta o di modifica concordata delle condizioni, volta ad ottenere gli effetti che si è infruttuosamente tentato di attingere attraverso la via negoziale; esperire l’azione giudiziaria, meramente dichiarativa e da convogliarsi nelle forme processuali ordinarie, tesa a ottenere la dichiarazione di regolarità e di validità dell’accordo e, di conseguenza, l’accertamento che l’accordo stesso ha conseguito l’effetto di attuare la separazione, il divorzio o la modifica delle condizioni dell’una o dell’altro[71].

Per la terza fattispecie consistente nella possibilità per il pubblico ministero di negare l’autorizzazione dell’accordo qualora dovesse ritenere che lo stesso sia contrario all’interesse dei figli cd. deboli, il comma 2 dell’art.6 nel penultimo capoverso prevede che il pubblico ministero lo trasmetta, entro cinque giorni, al presidente del tribunale che fissa, nei trenta giorni successivi, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. Giunti a questo punto, inizia una fase i cui contorni processuali sono di incerta ricostruzione: le indicazioni fornite dal legislatore sono talmente generiche da rendere lecita qualsiasi ipotesi ricostruttiva sia riguardo il procedimento che si instaura di fronte al presidente del tribunale sia riguardo ai poteri di quest’ultimo in ordine alla valutazione dell’effettiva rispondenza dell’accordo all’interesse della prole. L’incompletezza e la poca chiarezza del dettato normativo ha comportato, già dalle prime applicazioni della nuova disciplina, un incisivo intervento ermaneutico della giurisprudenza la quale, con particolare riferimento all’effettiva portata dei poteri del presidente del tribunale, si è mossa in direzioni diametralmente opposte, atteso che le prime due decisioni in tema giungono a conclusioni completamente differenti[72].

È del Presidente del Tribunale di Torino[73] la prima delle ordinanza censite su tale argomento.

Come già detto, il testo normativo si limita a stabilire che il presidente del Tribunale debba provvedere senza ritardo, fissando l’udienza di comparizione delle parti e, con la pronuncia in questione, il Tribunale di Torino si è interrogato sull’effettivo contenuto dei poteri presidenziali dopo aver confermato che il procedimento, nato in via amministrativa, non può automaticamente trasformarsi in un procedimento giurisdizionale, retto come tale dalla normativa prevista dal codice e dalla legge speciale per i procedimenti di separazione e divorzio[74].

Sul presupposto che il decreto presidenziale ex art.6 comma secondo, D.l. n.132/2014, debba perseguire lo scopo della norma ovvero l’interesse della prole, ha evidenziato come tale decreto non posso limitarsi a fissare l’udienza di comparizione delle parti ma debba prevedere, inoltre, l’invito per le parti ad uniformare, in quella sede, l’accordo negoziato alle prescrizioni del pubblico ministero, posto che, secondo quanto stabilito dal giudice torinese, solo l’accordo rispondente ai rilievi del procuratore della Repubblica potrà essere autorizzato. Qualora le parti, invece, non appongano alcuna modifica o modificando l’accordo non recepiscano in toto le prescrizione del pubblico ministero, secondo l’impostazione del giudice torinese, il presidente può comunque agire, denegando l’autorizzazione ciò in quanto la legge attribuisce il potere di autorizzare l’accordo ( in quanto conforme all’interesse dei figli) solo al pubblico ministero. Opinando diversamente verrebbe a mancare la partecipazione obbligatoria del procuratore della Repubblica[75]. Sulla base di tali premesse, il Tribunale di Torino giunge alla conclusione che il presidente, in tali ipotesi, deve invitare le parti a depositare un nuovo ricorso per instaurare un autonomo procedimento (questa volta pienamente giudiziale) di separazione consensuale.

Diversa interpretazione del ruolo e dei poteri del presidente del Tribunale viene offerta, invece dal Tribunale di Termini Imerese[76]. Innanzitutto si definisce non giurisdizionale il procedimento che si instaura di fronte al presidente del Tribunale all’esito del diniego di autorizzazione del pubblico ministero dell’accordo raggiunto dai coniugi in sede di negoziazione assistita e si sostiene, in tale decisione, che l’attività che il legislatore prevede debba svolgersi dinnanzi al presidente del Tribunale debba essere inquadrata nell’ambito dell’attività di volontaria giurisdizione[77], ovvero, in quella attività per sua natura inidonea alla risoluzione delle controversie su diritti soggettivi o status nonché alla formazione di un accertamento con efficacia di giudicato[78].

Si sostiene, inoltre, da quanto asserito, che nel caso in cui il pubblico ministero non fornisca parere positivo all’accordo, il presidente del Tribunale, può anche discostarsene e, rivalutate le condizioni o le ragioni a sostegno dell’accordo (che i coniugi possono ripresentare integrare o modificare) e la documentazione allegata, possa, invece, “ravvisare, invece, l’adeguatezza delle condizioni e sufficientemente salvaguardati gli interessi della prole, così da potere autorizzare l’accordo”. Ciò sarebbe possibile, in quanto la norma stabilisce che il parere del pubblico ministero è sì obbligatorio, ma non vincolante[79].

Si potrebbe ritenere preferibile tale ultima opzione interpretativa fornita dal Tribunale di Termini Imerese in quanto fondata non solo sulle esigenze deflattive e di celerità che caratterizzano l’istituto della negoziazione assistita, ma anche sull’analisi che il presidente del tribunale è chiamato a svolgere in sede di volontaria giurisdizione; l’intervento del presidente del Tribunale si concretizza, in tale ambito, in una attività latu sensu valutativa. Conseguentemente, pur dovendosi escludere la possibilità di autorizzare condizioni negoziali, in contrasto con le direttive impartite dal pubblico ministero, pena un vero e proprio svuotamento della funzione di tale organo, deve riconoscersi al presidente del tribunale il potere di riesaminare le conclusioni del procuratore della Repubblica[80]. Ciò non risulta in contrasto con la locuzione secondo la quale il presidente del Tribunale debba “provvedere senza ritardo” in quanto è stato rilevato che tale previsione, in quanto generica, è compatibile con una interpretazione che attribuisce al presidente non solo il potere di valutare nel merito le clausole già esaminate dal pubblico ministero o anche successivamente riformulate, ma gli consente, inoltre, anche una nuova valutazione dell’accordo ritenuto dal pubblico ministero inidoneo a tutelare l’interesse dei figli[81]. Tale soluzione appare conforme, peraltro, alla funzione che si ritiene attribuita dall’art.6 del decreto, al controllo del pubblico ministero, il quale “ ha soltanto il dovere di verificare se l’accordo risponde o no all’interesse dei figli e non anche quello di indicare i contenuti appropriati da dare alle clausole che li riguardano”[82].

E proprio a tale soluzione è giunta la prima Sezione civile del Tribunale di Palermo[83]. La questione posta all’attenzione della prima sezione era la seguente: a seguito della mancata autorizzazione del Pubblico Ministero, il Presidente del tribunale può solo invitare le parti ad adeguarsi ai rilievi del PM ovvero è possibile pervenire ad un’autorizzazione presidenziale a condizioni diverse da quelle sollecitate dal PM (e quindi teoricamente anche uguali a quelle non autorizzate da quest’ultimo)?

Secondo il Giudice nel caso in esame, in linea con quanto sostenuto dal Tribunale di Termini Imerese, “il rigetto dell’autorizzazione da parte del P.M. (magari previa opportuna interlocuzione con le parti ed eventuale invito ad integrare la documentazione o a modificare le condizioni dell’accordo) apre nella procedura di negoziazione un «incidente giurisdizionale», ed in particolare un procedimento di volontaria giurisdizione che si svolge nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio, in cui il Presidente o il giudice da lui delegato provvede in composizione monocratica (senza che operi alcuna conversione del procedimento in separazione consensuale o divorzio congiunto o modifica concordata) e stabilisce se concedere o meno l’autorizzazione richiesta tenendo conto dei rilievi mossi dal P.M. ma non essendo in alcun modo vincolato dagli stessi”.

Di talché, secondo il giudice a quo, non si ritengono sussistenti limiti alla possibilità per il Presidente del Tribunale di autorizzare anche condizioni assolutamente non in linea con i rilievi mossi dal P.M. e pure del tutto differenti da quelle inizialmente concordate. Invero, la funzione del P.M., instaurato l’incidente giurisdizionale, viene ad esaurirsi (divenendo in tale incidente il P.M. semplice parte, interveniente necessario ex art. 70 comma 1 n. 2 c.p.c.) e ad essere assunta integralmente dal Presidente del Tribunale.

Invero, anche le diverse eventuali condizioni approvate dal Presidente sono comunque frutto di un accordo tra le parti.

 

 

 

 

 

 

 


[1] L’art. 2062 del codice civile francese definisce la convention de procédure partecipative, “l’accordo con cui le parti di una controversia non ancora sottoposta all’esame di un giudice o di un arbitro si impegnano a operare congiuntamente e in buona fede per la risoluzione amichevole della controversia”.
[2] Si definisce il Collaborative Law Partecipation Agreement come l’intesa con cui le parti, rappresentate da un avvocato, scelgono di sottomettere la controversia ad un percorso di diritto collaborativo senza ricorrere al giudice. Cfr.  Uniform Collaborative Law Act , Art. 2, paragrafo 2 e ss., www.uniformlawcommission.com .
[3] Così A. NASCOSI, La negoziazione assistita per la crisi coniugale: un nuovo sistema deflattivo?, in R. trim. d.  proc. civ., fasc. 4, 2015, p. 1383.
[4] Cfr. Circolare n. 6 del 24 aprile 2015, del Ministero dell’interno
[5] Nella disposizione si fa, giustamente, riferimento al Procuratore della Repubblica e non già al Pubblico Ministero, figura che, nel processo civile presuppone un giudizio pendente.
[6] G. SANTACROCE, Prefazione, in La negoziazione assistita nella crisi coniugale,  di A. D’IPPOLITO – P. DELLA VALLE, Milano, 2015,  p. XII.
[7] C. CASTELLANI, Il ruolo del pubblico ministero e del presidente del tribunale nella negoziazione assistita da avvocati, in Min. giust., fasc.2, 2015, p. 25.
[8] F. DANOVI, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti,  in  Fam. e d., 2014, fasc. 12, p. 1144.
[9] Come in precedenza accennato, la magistratura nell’impianto originario del D.L. n.132, non era coinvolta in alcun modo nella procedura di negoziazione assistita e la percorribilità della via negoziale nell’impianto del decreto era comunque esclusa in tutte le ipotesi in cui la coppia avesse figli minori o figli maggiorenni incapaci, latori di gravi handicap o non economicamente autonomi[9]; è stato il Consiglio Superiore della Magistratura, nel rendere il suo parere sul decreto legge, a sottolineare per primo qualche incoerenza sistematica, rilevando come negli accordi stragiudiziali previsti dal decreto il p.m. non avesse alcuna voce in capitolo e auspicando quindi, alternativamente, che il suo intervento o non venisse più richiesto come necessario in sede giurisdizionale (ovviamente nei casi di accordo tra i coniugi) o dovesse in qualche modo esser previsto anche sui negozi ex novo contemplati.
La legge di conversione, vuoi recependo in parte questi rilievi e vuoi nel desiderio di ampliare lo spazio della stragiudizialità (e, simmetricamente, l’impatto deflattivo sui ruoli giudiziari), ha coinvolto il p.m.; viene, infatti, previsto che l’accordo raggiunto per il tramite degli avvocati debba sempre essere «trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente» (art.6 L. n. 162/2014).
[10] Tra i primi commentatori che hanno prestato attenzione al ruolo atipico del pubblico ministero si veda B. POLISENO , La convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio, in F. it., 2015, V, p. 41: “mentre nelle cause di separazione e divorzio incardinate davanti al giudice, il Pubblico Ministero, pur obbligato a intervenire ai sensi dell’art. 70, n.2, c.p.c., si limita ad apporre il solito “visto” all’accordo prima del provvedimento di omologa o della sentenza di separazione o di divorzio, nelle ipotesi in cui i coniugo opteranno per la negoziazione assistita, sarà chiamato a svolgere una funzione di vero e proprio controllo sulla congruità delle condizioni pattuite al pari dell’organo giudicante (…)”.
[11] F. DANOVI, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, cit., p. 1443 e ss.
[12] Così F. DANOVI, op.ult.cit, dove si afferma : “Si è tanto dibattuto circa l’opportunità di mantenere il p.m. addirittura nei contesti giudiziali, decisamente più difficili e delicati di quelli su accordo, e si sceglie ora di ergerlo a paladino della verifica formale di accordi stilati davanti a professionisti e riguardanti anche solo le parti!”
[13] La soluzione definitiva adottata dalla legge n.162 del 2014 sul punto è stata notevolmente modificata rispetto all’impianto originario previsto nella fase di decretazione.  Nel decreto legge, infatti, da un lato si prevedeva che le uniche controversie coniugali suscettibili di essere definite per il tramite dell’istituto della negoziazione assistita fossero quelle aventi ad oggetto coppie prive di figli e per le quali altresì, non fosse necessario alcun “consenso” pubblicistico, essendo prevista l’immediata trasmissibilità all’ufficiale dello stato civile una volta perfezionatisi gli adempimenti formali e sostanziali a cura delle parti e degli avvocati. Con la legge n.162/2014 si è estesa l’applicazione dell’istituto della negoziazione anche alle coppie con figli versanti in una delle situazioni previste dall’art. 6, comma 2 l. 132/2014, e tale estensione ha portato con sé l’assoggettamento di tutte le negoziazioni al controllo della Procura, anche di quelle in cui i figli non vi siano.
[14] Così A. D’IPPOLITO – P. DALLA VALLE, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, Milano, 2015, p. 116.
[15] Per una rassegna dei controlli possibili da parte del p.m., sia con riguardo alla regolarità che in relazione all’interesse dei figli, cfr. M. A. LUPOI, Separazione e divorzio, in R. Trim. d. e Proc. Civ., 2015, p. 293 e ss.; G. GABASSI, Separazione e divorzio semplificati o complicati? Prime note agli artt. 6 e 12 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, in l. 10 novembre 2014, n. 162, in StudiumJuris, 2015, p. 139 e ss.; M. CRESCENZI, La degiurisdizionalizzazione nei procedimenti di famiglia, in www.questionegiustizia.it  , § 2; S. U. DE SIMONE, La negoziazione assistita nelle cause di separazione e divorzio e la (mancata) tutela dei figli maggiorenni non autosufficienti , in www.questionegiustizia.it, §§ 4.1. e 5.1.
[16] Il pubblico ministero dovrà verificare l’intervenuto decorso del termine previsto dall’art. 2, n.2, lettera b) della l. n. 898 del 1970, come ora modificato dalla l. n. 55 del 2015.
[17] Per l’operatività delle regole temporali di cui all’art. 2 cfr. F. TOMMASEO, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. e d., 2015, 161.
[18] Il comma 3 dell’art. 6, infatti, prevede che “ l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono (…), i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di modifica della condizioni di separazione o divorzio. Nell’accordo si da’ atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’ art. 5”.
[19] Si veda fra tutti A. D’IPPOLITO – P. DALLA VALLE, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, cit., p. 119 e ss.
[20] Dopo la dichiarazione di incostituzionalità ( Corte Costituzionale, sentenza 23 maggio 2008, n.169) delle parole << del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza>>.
[21] Cass. 26 giugno 1984, n. 3721; Cass. 5 settembre 2008, n.22394; Cass., 2 aprile 2013, n.8016.
[22] Così A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, op. ult. cit., p. 121, dove si legge che “non va, in effetti, trascurato il fatto che la fase che si svolge davanti al Procuratore della Repubblica potrebbe non concludersi con l’auspicata autorizzazione e in tal caso gli atti sono destinati a transitare avanti al Presidente del Tribunale(…) Laddove fosse consentito radicare la competenza della Procura ai fini del nulla osta o dell’autorizzazione con criteri diversi da quelli già specificamente e tassativamente previsti per i relativi giudizi, si finirebbe con l’individuare surrettiziamente dei nuovi criteri di competenza territoriale anche per le procedure giurisdizionali nelle quali poi gli eventuali accordi non autorizzati sfocino”.
[23] M. A. LUPOI, Separazione e divorzio, cit., p. 293.
[24] A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, op. cit., p. 145; M. A. LUPOI, op. loc. cit., p.293 ss..
[25] La verifica della convenienza degli accordi si cumula e non si sostituisce a quella sulla loro regolarità: non avrebbe senso, infatti, omettere un controllo su quest’ultimo aspetto proprio nelle ipotesi in cui i patti tra i coniugi coinvolgono la sfera di soggetti terzi meritevoli di tutela. Cfr. A. RONCO, Negoziazione assistita ed accordi tra i coniugi: il ruolo del p.m. e del presidente del tribunale, in G. it., 2015, p. 1403.
[26]G. FINOCCHIARO, Un controllo formale che non tutela la prole, in Guida al d., n.50, 2014, p. 63.
[27] Anche nella negoziazione assistita vale il principio generale di limitare i casi di affido monogenitoriale solo ai casi in cui ci sia il rischi di un comprovato pregiudizio all’interesse della prole.
[28] A titolo esemplificativo, in caso di prole minorenne in età adolescenziale è apprezzabile la soluzione dell’affidamento alternato su base settimanale, anche tenendo conto delle capacità di relazione e condivisione degli stili educativi da parte dei genitori). Cfr. C. CASTELLANI, Il ruolo del pubblico ministero e del presidente del tribunale nella negoziazione assistita da avvocati, op. loc. cit.
[29] M. CRESCENZI, La degiurisdizionalizzazione nei procedimenti di famiglia, cit.,  § 3.
[30] Sempre M. CRESCENZI, op. loc. cit.
[31] La responsabilità genitoriale è comune laddove le parti si siano avvalse della possibilità, prevista dalla legge sull’adozione, di adottare, con la formula di cui all’art. 44 lettera b) della medesima, i figli del coniuge. Cfr. B. DE FILIPPIS, M. ROSSI, Divorzio breve, divorzio fai da te, cognome dei figli, figli non riconosciuti dalla madre, unioni civili, Padova, 2015, p. 80.
[32] A mente del quale si prevede che: “Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella relazionale, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.
[33] Il quale stabilisce che: “Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all’art. 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all’articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali”.
[34] Cfr. A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, cit., p.123.
[35] Articolo inserito dall’art. 55, d.lgs. n. 154/2013.
[36] Cass. Civ., sez. I, 18 febbraio 2008, n. 3934, citata da G. PASCALE, E. PERUZZINI, I. GRIMALDI, G. CASCELLA, M. MAZZOLA, D. PIAZZONI, Casi di affidamento ingiusto conflitti familiari e tutela del minore, Santarcangelo di Romagna, 2015, p.176.
[37] Cass., sez. I, 19 dicembre 2001, n. 16027, in Giust. civ., 2002, I, p. 1271.
[38] Cfr. artt. 428 e 1425, comma 2, c.c.
[39] Cfr. R. ROSSI, Divorzio breve e negoziazione assistita: tutte le novità, in Il civilista, Milano, 2015, p. 27. In senso contrario, A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, La negoziazione assistita nella crisi coniugale, cit., p.122, laddove si ritiene che si debba far riferimento alle consuete categorie legali dell’incapacità, perciò ai soli casi in cui il figlio maggiorenne sia stato dichiarato interdetto o inabilitato ai sensi dell’art. 414 c.c. dove si esclude, peraltro, anche il caso in cui il figlio maggiorenne sia soggetto all’assistenza di un amministratore di sostegno ai sensi degli artt. 404 e ss. c.c.
[40]  Cfr. B. DE FILIPPIS, M. ROSSI, op. cit., p. 86.
[41] Cfr. sul punto Cass., sentenza 20 agosto 2014, n. 18076: “Ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni, e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni”. B. DE FILIPPIS, M. ROSSI, op. cit., p. 86 nota 30.
[42] Cass., Sez. VI, 2 aprile 2015, n. 7970, in www.italgiure.giustizia.it, la quale, confermando la pronuncia della Corte d’Appello di Palermo, solleva un padre dall’obbligo di mantenimento della figlia trentasettenne poiché la stessa aveva rifiutato (rifiuti non giustificabili, secondo il giudice a quo), diverse proposte di lavoro ritenendole non coerenti con il suo percorso formativo.
[43] B. DE FILIPPIS, M. ROSSI, op. cit., p. 87. La Cassazione ( Cass. 23 gennaio 1996, in F. it., 1996, I, p. 863) ha affermato che non costituiscono termine di riferimento per la valutazione di congruità dei redditi percepiti dal figlio, il tenore di vita goduto dallo stesso nel periodo di convivenza familiare e la consistenza del patrimonio dei genitori, ma che si deve far riferimento a quanto consegue alla formazione professionale ricevuta, nella generalità dei casi e nelle condizioni di mercato esistenti.
[44] Cass., 26 gennaio 2011, n. 1830 , in F.  it., 2011, I, p. 864.
[45] Sul punto si veda A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, op. cit., p. 127.
[46] È ciò che ha provveduto a fare il Pubblico Ministero nel caso deciso dal Tribunale di Torino, sez. VII civ., ordinanza 15 gennaio 2015, consultabile in www.ilcaso.it (si veda amplius infra.). In tale caso, la ragione della trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale va rinvenuta nel fatto che, l’accordo del quale si chiedeva l’autorizzazione risultava sottoscritto non soltanto dai coniugi ma anche dal figlio maggiorenne che in tal modo prestava assenso alla riduzione del mantenimento previsto a proprio favore.
[47] A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, op. cit., p.133 ss.
[48] Art. 30 comma 1, Cost., “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”.
[49]  Rubricato “Doveri verso i figli” l’art. 147 c.c. dispone che “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’art. 315- bis.”
[50] Art. 148. “Concorso negli oneri. I coniugi devono adempiere l’obbligo di cui all’art. 147, secondo quanto previsto dall’art. 316- bis.
[51] Convenzione ratificata in Italia con L. n.176/1991.
[52]  Il primo comma dell’art. 337- ter c.c., nell’affermare che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi, detta un principio fondamentale, che sostanzia e caratterizza l’intera materia.
[53]  Cfr. B. DE FILIPPIS, M. ROSSI, op. cit., p. 95.
[54] A. D’IPPOLITO, P. DALLA VALLE, op. cit., p. 137. Dove si afferma, peraltro, che anche se l’art. 738 c.p.c. attribuisce al giudice della separazione consensuale il potere di assumere prove d’ufficio, sarebbe una forzatura pensare di traslare questi poteri in capo al pubblico ministero. Ancor più nelle procedure di volontaria giurisdizione dove è l’autonomia dei privati che governa la scena, sia sul piano dei contenuti che sul piano della scelta delle allegazioni.
[55]M. A. LUPOI, Separazione e divorzio, cit., p. 294.
[56] F. TOMMASEO, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. e d., 2015, p. 162.
[57] F. TOMMASEO, op. ult. cit., p.162; A. CARRATTA, Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in G. it., 2015, p. 1292; F. DANOVI, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, cit., p. 1141; A. D’IPPOLITO, – P. DALLA VALLE, op. cit., p. 138.
[58] L’art. 336- bis c.c. stabilisce che: “ (…) l’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o altri ausiliari. I genitori anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video”.
[59]A. CARRATTA, op. cit., p. 1293.
[60] G. FACCHINI, A. FISSORE, M. NEGGAR, Negoziazione assistita e conflitti familiari. Istruzioni per l’uso, Key editore, 2014,  p. 60 ss.
[61] C. CASTELLANI, op. cit.
[62] F. DANOVI, Negoziazione assistita e figli nati fuori dal matrimonio: il tribunale può sanare l’erroneo utilizzo dello strumento?, in Fam. e d., 2016, p. 688.
[63] C CASTELLANI, op. cit.
[64] F. DANOVI, Negoziazione assistita e figli nati fuori dal matrimonio: il tribunale può sanare l’erroneo utilizzo dello strumento?, cit., p. 689.
[65]  Ibidem.
[66] Nonostante i primi commentatori e le prime pronunce giurisprudenziali sembrano orientate a dare per scontato che, soprattutto quando il pubblico ministero non conceda l’autorizzazione per contrarietà all’interesse dei figli, lo stesso debba rendere esplicite le ragioni del proprio diniego, il dato testuale della norma non contempla affatto la necessità di una idonea motivazione. Addirittura non è neppure previsto un vero e proprio provvedimento di diniego in quanto l’art. 6 del d.l. n. 132/2014 prevede come unico adempimento imposto al pubblico ministero che ritenga l’accordo non conforme all’interesse dei figli, quello di trasmettere gli atti al presidente del tribunale entro il termine (ordinatorio) di cinque giorni. Cfr. A. D’IPPOLITO, – P. DALLA VALLE, op. cit., p. 144.
[67] Così A. RONCO, op. cit., p. 1404.
[68] Si è visto che al concetto di irregolarità va ricondotta l’esistenza dei presupposti di fatto che legittimano il ricorso alla procedura di negoziazione, il rispetto delle prescrizioni formali imposte dal decreto legge per quanto riguarda il contenuto dell’accordo e la sussistenza dei criteri che consentono di radicare la competenza a provvedere in capo alla procura adita.
[69] A. RONCO, op. cit., p. 1404; BORGHESI D., La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, in www.judicium.it, 5 dicembre 2014, p. 18.
[70]  Cfr. A. D’IPPOLITO, – P. DALLA VALLE, op. cit., p. 154
[71] A. RONCO, op. cit., p. 1404.
[72] F. TIZI, Prime riflessioni sui poteri presidenziali ex art. 6, 2° comma, D.L. 132/2014 convertito nella L. n. 162/2014, in G. it., Agosto/Settembre 2015, p. 1882.
[73] Trib. Torino, sez. VII civ., ord. 15 gennaio 2015 (Pres. M. Tamagnone), in Fam. e d., 2015, 4, p. 390 ss., con nota di F. TOMMASEO, Separazione per negoziazione assistita e poteri giudiziali a tutela dei figli: primi orientamenti giurisprudenziali.
[74] Il tribunale di Torino, 15 gennaio 2015, cit., specifica che, in assenza di apposita domanda di parte, giammai potrebbe emettersi decreto di omologazione, di modifica degli accordi ovvero sentenza di divorzio, ove i coniugi, intraprendendo la negoziazione assistita, non abbiano inoltrato una domanda giudiziale. <<In altre parole l’emissione di uno qualsiasi dei sopra citati provvedimenti risulterebbe resa in palese violazione anzitutto del “generale principio della domanda” ex art. 99 c.p.c. nonché della “corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” ex art 112 c.p.c., ed ancora, con particolare riferimento alle specifiche fattispecie, del tenore degli artt. 711 e 710 c.p.c., nonché 4 comma 16 e 9 L. 898/70, per i quali, evidentemente e ne rispetto di tali principi, sono previsti un atto introduttivo e l’impulso di parte>>.
[75] Il tribunale di Torino, ult. cit., afferma che : << Qualora peraltro le parti o non intendano aderire pienamente ai rilievi del Pubblico Ministero, o, in conseguenza di detti rilievi, intendano apportare modifiche importanti alle condizioni dell’accordo, è da chiedersi quali conseguenze debbano trarsi, e quale sia la soluzione più consona e ragionevole. Anzitutto, pare ovvio ritenere che laddove le parti meramente non intendano adeguarsi ai citati rilievi, il presidente debba limitarsi ad un “non autorizza”. (…) Diversa è l’ipotesi in cui le parti proprio a seguito di tali rilievi, manifestino la volontà di modificare significativamente l’accordo raggiunto: sostenere, che, se dette modifiche ulteriori e rilevanti appaiano corrette al Presidente, questi possa procedere de plano all’autorizzazione non sembra una interpretazione corretta. Invero sul “nuovo accordo” modificato in sede di udienza presidenziale difetterà il parere del Pubblico Ministero, e ciò appare in contrasto tanto con la normativa generale- che prevede l’intervento del Pubblico Ministero anteriormente al decreto di omologa, o alla sentenza di divorzio congiunto, o ai decreti di modifica ex art. 710 c.p.c. o ex art. 9 L. div., sulle condizioni già esaminate dall’organo giudicante- quanto con la nuova normativa ex D.L., n. 132/14 convertito con modificazioni dalla L. n.162/14 che, indubbiamente vede, quali protagonisti principali della negoziazione assistita e dell’accordo, i legali ed il Pubblico Ministero, pare, per contro, soluzione eccessiva e troppo macchinosa- seppur  in astratto aderente all’impostazione del nuovo istituto, che vede il PM quale soggetto “autorizzante”- ritenere che l’accordo modificato in maniera significativa in sede di udienza presidenziale debba tornare al Pubblico Ministero per una nuova autorizzazione: il rischio del dilatarsi della tempistica con conseguente svuotamento dei fini cui mira l’istituto di nuova creazione impone la necessità di individuare una diversa soluzione>>.
[76] Tribunale Termini Imerese, 24 marzo 2015 (Presidente Rizzo), in G. it., agosto/settembre 2015, con nota di F. TIZI, Prime riflessioni sui poteri presidenziali ex art. 6, 2° comma, D.L. 132/2014 convertito nella L. n. 162/2014, p. 1879 ss.
[77] Trib. Termini Imerese, cit., “ Il procedimento (…) non avendo ad oggetto una controversia tra le parti, bensì un accordo consensualmente raggiunto, è assimilabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione, che si svolge nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio e si conclude, sentite le parti e, quindi, nel contraddittorio delle stesse, con ordinanza”.
[78] Cfr. F. TIZI, op. cit., p. 1883. “ La funzione che il presidente del tribunale è chiamato a svolgere ai sensi dell’art.6, 2° comma, D.L. n. 132/2014 non si sostanzia nella risoluzione di una controversia giuridica, quanto piuttosto nel solo controllo dell’idoneità dell’accordo raggiunto dai coniugi alla tutela degli interessi dei figli non economicamente autosufficienti”.
[79] Anche la decisione del Tribunale di Termini Imerese, così come quella presa dal Tribunale di Torino, ribadisce infine, l’assenza di automaticità nella trasformazione dell’udienza di comparizione delle parti in procedimento di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione o divorzio, in quanto si ritiene che ai fini della trasformazione del rito sarà necessaria, in ogni caso, la domanda di parte. Cfr. F. TIZI, op.cit., p.1884.
[80] Così F. TIZI, op. cit., p. 1884.
[81]  Ibidem.
[82] F. TOMMASEO, op.cit., p. 395.
[83] Tribunale, Palermo, sez. I civile, sentenza 01/12/2016 n° 6

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