Ilva: tra disastro ambientale e violazione dei diritti umani

Ilva: tra disastro ambientale e violazione dei diritti umani

Il Gruppo ILVA è la più grande realtà industriale siderurgica italiana, di proprietà di ILVA Spa, attiva nella produzione e trasformazione dell’acciaio. Attualmente il Gruppo possiede stabilimenti in Francia e in Italia, dove si trovano 13 unità produttive tra cui lo stabilimento di Taranto. Come lo stesso Gruppo ILVA afferma, il polo di Taranto è lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa nel quale si svolge un ciclo di produzione detto « ciclo integrale » perché parte dalle materie prime, quali ferro e carbone fossile ,e si conclude con l’acciaio.[1]

Lo stabilimento ILVA di Taranto è stato costruito nel 1960 a spese dello stato ed inaugurato nel 1964. La scelta della città di Taranto rispondeva a diversi requisiti. In primo luogo, vi era una diffusa convinzione che la localizzazione di uno stabilimento siderurgico a Taranto avrebbe significato nel breve termine la forma di investimento migliore per promuovere effetti positivi di sviluppo economico a monte e a valle. Inoltre, la previsione di un impianto siderurgico a ciclo integrale situato in località costiera avrebbe significato la sostituzione delle importazioni con produzioni nazionali che potevano soddisfare la crescente domanda interna. Infine fu presa in considerazione l’economicità della localizzazione, la disponibilità di una vasta area pianeggiante, di calcare in quantità e di manodopera qualificata nonché la vicinanza con il porto, che avrebbe facilitato il trasporto e la spedizione di materiale in linea con la politica di aumento delle esportazioni.[2] Tali considerazioni di natura economica ebbero dunque la meglio sul rispetto di una norma che, già dal 1934, imponeva la costruzione di stabilimenti industriali al di fuori delle zone abitate.[3]

Le attività industriali dell’Ilva da sempre hanno portato ad una difficile situazione ambientale, tanto che nel 1990 il Governo italiano aveva dichiarato la provincia di Taranto una zona ad « alto rischio di crisi ambientale ».[4] Le emissioni inquinanti dell’ILVA sono state oggetto negli anni di diverse azioni di fronte all’autorità giudiziaria, alcune delle quali ancora in corso, per inquinamento, disastro ambientale doloso e colposo, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, sversamento e getto di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. In particolare, nel 2012 la Procura di Taranto ha ordinato l’arresto di alcuni membri della dirigenza del gruppo ed esponenti politici con l’accusa di aver deliberatamente prodotto un elevato livello di inquinamento che ha compromesso l’ambiente e la salute degli abitanti di Taranto. Inoltre sempre nel 2012, il Gip di Taranto, disponeva il sequestro senza facoltà di uso degli impianti a caldo dell’ILVA perché « chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto calpestando le più elementari regole di sicurezza». A seguito di tale provvedimento il Governo italiano ha adottato diversi (ormai 10) provvedimenti legislativi urgenti c.d. « Salva-ILVA » con i quali ha disposto il proseguo dell’attività produttiva nonostante gli accertamenti della magistratura e nonostante fosse stato provato l’impatto devastante di ILVA sulla popolazione e l’ambiente circostante. Nel porto di Taranto attraccano circa 800 navi all’anno destinate all’ILVA. Dal porto il minerale del ferro viene trasportato lungo dei nastri trasportatori lunghi decine di chilometri fino ai parchi minerari dello stabilimento. Questi parchi minerari sono tutt’ora a cielo aperto e ciò significa che, in presenza della minima quantità di vento oppure quando il materiale viene mosso a cominciare da quando viene caricato sui nastri, enormi quantità di polveri di ferro si disperdono nell’aria inquinando l’ambiente circostante.  In questo scenario, appare evidente come l’impatto ambientale di un simile impianto sia potenzialmente devastante e necessiti di accurati e costosi interventi per ridurre la pericolosità delle emissioni, per controllare lo smaltimento dei rifiuti tossici e per evitare le dispersioni di polveri inquinanti nell’aria.

Si sottolinea inoltre che l’ILVA è stata costruita del tutto immersa nel contesto urbano della città di Taranto. Un impianto di tali dimensioni immerso in un contesto abitato ha certamente bisogno, perfino in condizione di gestione ottimale, di notevoli sforzi per porre in attuazione misure efficaci di prevenzione e controllo che permettano la gestione degli imponenti rischi per l’ambiente e la salute della popolazione circostante. Secondo la perizia chimica dallo stabilimento ILVA si diffondono sostanze pericolose per la salute dei lavoratori e della popolazione di Taranto: « l’ILVA nel 2010 ha emesso oltre 4 mila tonnellate di polveri ; 11 mila tonnellate di diossido di azoto e 11.300 tonnellate di anidride solforosa, 338,5 chili di IPA, 52 grammi di benzo(a)pirene, 14,9 grammi di benzo diossine e PCDD/F. Tali sostanze sono assunte sia per via respiratoria da coloro che si trovano nell’area circostante ILVA sia per via alimentare attraverso alimenti contaminati. »[5] La perizia epidemiologica invece chiarisce che nel periodo 2004-2010 « 174 decessi risultano essere causati dall’ILVA, 83 dei quali sono attribuibili ai superamenti del valore limite della polverosità ambientale (PM10). Per i quartieri limitrofi, tale numero si alza a 91 ». La perizia afferma inoltre come si possa parlare di « forte evidenza scientifica » tra la nocività delle emissioni dell’impianto e l’insorgenza di patologie cardiovascolari e respiratorie nella popolazione, tumori e leucemie. [6]

Questi dati sono confermati anche dallo studio epidemiologico commissionato dall’istituto nazionale di sanità dei territori e degli insediamenti sottoposti a rischio di inquinamento pubblicato nel 2010 e nel 2012 (Studio SENTIERI)42 il quale analizza i periodi 1995-2002 e 2003-2009. In particolare, quest’ultimo aggiornamento dello studio precedente ha individuato ed accertato che:

1) l’incidenza di tumori infantili è aumentata del 54% rispetto alla media regionale e quella di mortalità infantile dell’11% rispetto alla media regionale. Lo studio attribuisce tale aumento alle emissioni e scarichi di ILVA;

2) l’eccesso di tumori femminili per le donne che abitano nei comuni di Taranto e Statte rispetto alla media provinciale è del 20%;

3) l’eccesso di tumori maschili per gli uomini residenti nei comuni di Taranto e Statte rispetto alla media provinciale è del 30%[7].

Si tenga presente che vi sono anche alcune scuole primarie e secondarie che sorgono in prossimità degli impianti ILVA. A fronte di tali studi e documentazioni il Sindaco di Taranto ha ordinato il divieto di giocare nelle aree verdi, il divieto di seppellire e disseppellire i morti nel cimitero adiacente allo stabilimento, il divieto di utilizzo delle acque di falda a qualsiasi titolo. Ma è evidente che tali precauzioni non possono in alcun modo ritenersi sufficienti a ridurre i rischi che comporta l’esposizione a tali livelli di inquinamento, emissioni e contaminazione. Nel 2017 la rivista ‘Ecotoxicology and Environmental Safety’ ha pubblicato uno studio sulla tossicità attuale delle polveri di Taranto nel quale, attraverso uno studio in vivo su embrioni di pollo, si analizza l’effetto angiogenico di diverse sorgenti inquinanti. Questo studio conferma che, a parità di massa, le attuali polveri di Taranto presentano una tossicità superiore rispetto a quelle di altre città.[8]

A fronte di quanto descritto precedentemente, bisogna ora chiedersi quale sia la responsabilità dello Stato di fronte a tale quadro problematico. Bisogna sottolineare innanzitutto che gli Stati sono obbligati a tutelare i diritti umani degli individui che si trovano nella propria giurisdizione in conseguenza della firma e ratifica di trattati internazionali sui diritti umani quali ad esempio i Patti Internazionali per i diritti civili, politici, sociali, economici e culturali e, nel caso degli Stati europei, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo dell’uomo (CEDU).  In Italia la violazione delle norme di diritto ambientale pone in capo all’impresa un preciso obbligo giuridico che dà luogo, in caso di violazione, alla responsabilità amministrativa dell’ente come prescritto dal Decreto Legislativo n. 231/2001 e che può portare ad importanti sanzioni quali la confisca e il sequestro dei beni aziendali fino all’interdizione dell’esercizio dell’attività, oltre alle responsabilità individuali dei dirigenti e dipendenti ove queste dovessero essere accertate. [9] Nel caso dell’ILVA, come sottolineato dai dati riportati sopra, la situazione è particolarmente grave e ha portato ad un quadro allarmante in cui risultano seriamente intaccati e compromessi diversi diritti umani sanciti come diritti fondamentali ed inalienabili dell’individuo in conseguenza delle attività produttive dell’impresa: il diritto alla vita, il diritto alla salute ed il diritto a vivere in un ambiente sano.

Il diritto alla vita si pone come diritto fondamentale per eccellenza, un diritto inalienabile della persona umana senza il quale ogni altro diritto resterebbe « illusorio ». È un diritto tutelato da tutti gli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani e direttamente da molte Costituzioni nazionali. Il diritto alla vita è inoltre indirettamente riaffermato dalla Costituzione italiana all’art. 2, il quale statuisce che : « La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ».

A livello nazionale il diritto alla salute è sancito dall’articolo 32 della Costituzione italiana che afferma « La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti ». La tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori è inoltre garantita dall’art. 2087 del Codice civile che impone l’obbligo al datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per la tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. L’art. 2087 non si riferisce soltanto alle misure necessarie per garantire la sicurezza e l’igiene dei luoghi di lavoro, ma interessa anche tutte le altre misure idonee a rendere l’ambiente di lavoro sicuro e funzionale al benessere dei lavoratori.

Pur non avendo un autonomo riconoscimento nel diritto internazionale il diritto a vivere in un ambiente sano è strettamente connesso con il diritto alla salute.

A fronte dei diritti sopra ricordati e riconosciuti da strumenti di diritto internazionale vincolante, vi sono dunque precisi obblighi degli Stati (firmatari di tali strumenti) di garanzia del godimento di tali diritti da parte dei propri cittadini. In linea generale gli obblighi degli Stati in materia di diritti umani in diritto internazionale si distinguono in obblighi negativi e positivi. I primi impongono allo Stato di astenersi dalla violazione dei diritti umani, i secondi lo obbligano a porre in essere condotte o adottare misure che favoriscono il godimento dei diritti da parte degli individui tutelati. [10]

Nel caso dell’ILVA e alla luce di quanto sopra illustrato non vi possono essere dubbi sulla pericolosità delle attività svolte e sull’impatto che esse hanno avuto e continuano ad avere sulla salute degli abitanti di Taranto e sull’ambiente circostante.

Sulla base di quanto sancito dalla Convenzione europea e dalla relativa giurisprudenza, nonché da tutti gli strumenti e principi internazionali richiamati in precedenza, lo Stato italiano aveva e ha l’obbligo di adottare tutte le misure in concreto necessarie a prevenire e porre rimedio alle violazioni nonché a sanzionare coloro che le hanno commesse.

Non è sufficiente l’adozione di misure legislative che tutelano i diritti individuali e l’ambiente, ma è invece necessario che tali misure vadano in concreto applicate e che eventuali violazioni siano debitamente investigate e sanzionate.

A fronte delle gravi violazioni commesse dall’azienda nei decenni in cui ha operato in gestione privata, documentate ampiamente dagli studi sopra riportati, e note alle autorità almeno dagli anni ’90, lo Stato italiano ha negligentemente ritardato l’adozione di misure preventive e di precauzione per contenere i rischi derivanti dall’esposizione alle emissioni inquinanti di ILVA.

Infine, si rileva come i cittadini di Taranto non siano mai stati informati della gravità della situazione legata all’inquinamento delle zone circostanti l’ILVA e all’impatto delle attività industriali sulla salute.

I predetti comportamenti dello Stato italiano si pongono dunque in evidente contrasto con l’obbligo positivo dello Stato di garantire una tutela effettiva e concreta dei diritti fondamentali degli individui quali il diritto alla vita, alla salute e alla vita familiare e privata contro le violazioni operate dalle imprese previsti dalla CEDU e dal diritto internazionale. Se è vero che lo Stato gode di un‘ampia discrezionalità circa le misure da adottare, è altresì vero che la giurisprudenza della Corte EDU è chiara nell’affermare che tale margine di apprezzamento dello Stato deve essere ridotto nel caso in cui le autorità pubbliche abbiano agito in violazione delle norme interne.

L’adozione di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante che chiarisca una volta per tutte quali sono gli obblighi degli Stati nella tutela dei diritti umani a fronte di attività economiche e che garantisca il controllo del rispetto di tali obblighi attraverso un meccanismo internazionale capace di monitorare l’effettiva attuazione delle previsioni contenute nel Piano di Azione Nazionale, di prendere decisioni di carattere vincolante e dotato di poteri di indagine, si rende pertanto necessaria.

 

 

 

 

 


[1] www.wikipedia.it
[2] E.Cerrito, La politica dei poli di sviluppo del Mezzogiorno: elementi per una prospettiva storica, Banca d’Italia, Quaderni di Storia economica, n.3,2010.
[3] Art.216 del Decreto Regio n.1265/1934.
[4] Deliberazione Consiglio dei Ministri del 30 novembre 1990.
[5] www.epiprev.it/materiali/2012/Taranto/Concl-perizia-chimica.pdf
[6] Ibidem
[7] www.salute.gov.it
[8] www.unionedirittiumani.it
[9] www.gazzettaufficiale.it
[10] www.unionedirittiumani.it

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